L'OLOCAUSTO DELLE RELIGIONI
Vogliono imporre la religione dell’Olocausto sulle ceneri di tutte le altre. Negazionismo: casi Irving, Williamson e l'indicatore di Charlie Hebdo. La lotta occulta per instaurare sul trono del mondo l’Anticristo?
di Francesco Lamendola
Si faccia caso a quali sono gli obiettivi delle vignette oscene e degli sberleffi sacrileghi di un giornaletto squallidissimo come Charlie Hebdo, che solo l’azione terroristica del 2 novembre 2011 ha fatto conoscere al resto mondo, fuori della Francia, e che, nel medesimo tempo, ha rivestito di un alone di martirio, mobilitando a suo sostegno le pubbliche autorità, la stampa e l’opinione pubblica di tutto l’Occidente: l’islam e Maometto; il cristianesimo e Gesù, la Madonna e il papa; indi occasionali bersagli laici, scelti sempre con ottimo tempismo e perfetto buon gusto, come le vittime del terremoto avvenuto nell’Italia centrale, il 24 agosto del 2016. La sua linea di battaglia è la difesa dei “diritti dell’uomo e del cittadino”, nella più pura tradizione illuminista, giacobina e massonico-radicale; i suoi avversari sono sempre, o spesso, i fondamentalismi religiosi, percepiti e denunciati come estremamente pericolosi per l’assetto laico, pluralista e democratico della società, però con una clamorosa assenza.
Charlie Hebdo, anche se si atteggia a politicamente scomodo, impertinente, irriverente, è, in effetti, estremamente politically correct: non se la prende mai con certi poteri intoccabili, con certi dogmi indiscutibili, con certi argomenti che sono divenuti realmente tabù, come l’Olocausto, il Giudaismo, la finanza ebraica mondiale. Ama scherzare su tutto, deridere tutti, spernacchiare tutti, ma non lo fa quasi mai su questi argomenti, verso questi obiettivi. La sua polemica finisce là dove è veramente proibito scherzare: non teme di offendere a sangue islamici e cristiani, né di essere sacrilego nei confronti di Allah o della Santissima Trinità; però non si permette di estendere la sua satira, le sue vignette iconoclaste e le sue sghignazzate a tutto ciò che riguarda, direttamente o indirettamente, Israele, se non in modo assai blando. E abbiamo citato il caso di Charlie Hebdo, perché si tratta di un caso estremo: la linea offensiva di quel settimanale, proprio per la sua natura provocatoria e aggressiva, rappresenta un vero e proprio indicatore su fino a dove possono spingersi le critiche, le barzellette e le prese in giro sugli argomenti seri, e dove, invece, nettamente, irremovibilmente, si fermano, perché devono fermarsi.
Questa è una prima cosa che fa riflettere, o che dovrebbe indurre a farlo. Adesso prendiamo in considerazione la vicenda dello storico David Irving e quella del vescovo lefebvriano Richard Williamson. Irving, classe 1938, fu arrestato in Austria, l’11 novembre 2005, mentre si recava a una conferenza, sotto l’imputazione di negazionismo, ma ufficialmente per aver glorificato ed essersi identificato con il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori tedeschi, cioè con un partito politico che non esisteva più da 60 anni, e condannato a tre anni di prigione: ne scontò più di uno (400 giorni, per l’esattezza) e fu poi scarcerato, il 21 dicembre 2006, in seguito a una sentenza della Corte d’appello, indi frettolosamente espulso dal Paese come persona non grata (cfr. il nostro precedente articolo:Il rogo dei libri di David Irving è un sinistro segnale per la libertà di ricerca, pubblicato sul sito di Arianna Editrice l’11/02/2010). Oltre ad alcune cause penali per le sue idee storico-politiche, ha subito varie forme di boicottaggio, ad esempio in occasione della Fiera del libro di Varsavia, nel 2007, è stato interrotto nel corso di incontri pubblici, è stato multato, è stato espulso o gli è stato proibito l’accesso in vari Paesi del mondo, fra i quali la Germania e la Nuova Zelanda, che gli ha proibito di salire a bordo di qualsiasi aero diretto verso di essa; in Norvegia, nel 2008, l’invito a partecipare ad un incontro letterario ha scatenato un fiume di aspre polemiche. Quasi tutti gli altri storici lo hanno condannato, isolato e ricoperto di disprezzo. Ma il colpo più duro gli è venuto dalla sconfitta in una causa legale con la giornalista Deborah Lipstadt, che lo aveva accusato di negazionismo e di falsificazione storica, nel 2002, perché la sentenza di condanna della corte, che riconobbe la giustezza delle accuse, si accompagnò a un vero e proprio tracollo finanziario, a causa delle spese sostenute nel corso del processo. Peraltro, le opinioni di Irving sull’Olocausto hanno conosciuto una altalena di negazioni e di revisioni e smentite delle precedenti affermazioni; va rilevato, inoltre, che, prima di portare la sua attenzione su questo tema, egli era decisamente apprezzato, specialmente come storico militare della Seconda guerra mondiale, e che nessuno, prima del processo Lipstadt e delle vicende successive, tra cui la carcerazione in Austria, aveva messo in dubbio la sua serietà di studioso e la sua scrupolosità di ricercatore, anzi; per esempio, a proposito del bombardamento alleato su Dresda, nel 1945, molti gli avevano riconosciuto il coraggio di aver aperto una riflessione partendo da un punto di vista fino ad allora inedito, o, comunque, assolutamente minoritario.
Il caso di monsignor Williamson, benché meno drammatico (niente galera, per adesso), è, per certi aspetti, ancor più significativo. Williamson, classe 1940, non è uno storico e non ha particolari interessi storici, ma è un vescovo cattolico, ordinato il 30 giugno 1988 da monsignor Lefebvre, che, per quel gesto (aveva ordinato, nello stesso giorno, anche altri tre vescovi), venne scomunicato latae sententiae, scomunica che si estese automaticamente ai nuovi quattro vescovi. Fu a partire da quel momento che finirono nel mirino alcune opinioni espresse da monsignor Williamson sulla vicenda dell’Olocausto: da quando, nel 1989, la famosa Royal Canadian Mounted Police, la Polizia a cavallo canadese, aveva aperto una inchiesta su di lui, a causa di una conferenza tenuta dal prelato a Sherbrooke, nel Québec, nella quale aveva negato l’esistenza delle camere a gas, così come riferito dal giornale The Boston Globe; ma la cosa, per il momento, era finita con una archiviazione. Rettore del seminario San Tommaso d’Aquino a Winona, nel Minnesota (Stati Uniti), Williamson, nel 2003, si è trasferito in Argentina, essendo stato nominato rettore del seminario La Reja, della Fraternità sacerdotale san Pio X, nella provincia di Buenos Aires. Il 21 gennaio 2009 la scomunica a Williamson e agli altri vescovi venne revocata dal pontefice, pur restando la sospensione a divinis; ne seguì una feroce polemica che incrinò l’autorevolezza del pontificato di Benedetto XVI, in quanto, il giorno stesso della remissione della scomunica (il 21 gennaio), vennero diffuse dai media alcune dichiarazioni del vescovo di segno negazionista. In realtà, si trattava di una intervista registrata da tempo della televisione di Stato svedese, che giaceva in un cassetto e che, guarda caso, venne mandata in onda a poche ore di distanza dalla remissione della scomunica (ma due giorni dopo che il tedesco Der Spiegel l’aveva anticipata ai suoi lettori), costringendo il Vaticano a fornire affannose spiegazioni per un gesto che pareva quasi di approvazione alle tesi negazioniste.
Il 4 febbraio, la Segreteria di Stato vaticana diffondeva una nota trasudante d’imbarazzo, in cui, fra l’altro, si affermava: Il vescovo Williamson, per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa, dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la Shoah, non conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della sua scomunica. Ma il processo a Williamson, i bravi cattolici progressisti lo avevano già fatto per direttissima (non c’è niente di più spietato della cattiveria dei “buoni”), gareggiando con la stampa laica, a cominciare dalla solita Repubblica, che puntava il dito contro l’antigiudaismo e l’antisemitismo persistente, a suo dire, nelle file dei lefebvriani. Il portavoce del papa, padre Federico Lombardi, dichiarò alla Radio Vaticana che chi nega il fatto della Shoah non sa nulla del mistero di Dio né della croce di Cristo; il cardinale Camillo Ruini, Vicario emerito del papa per la diocesi di Roma, disse lapidariamente, in una intervista alla televisione di Stato italiana, e precisamente al TG1, che chi nega la Shoah non può essere un vescovo cattolico. Il Centro Simon Wiesenthal, da parte sua, esortò pubblicamente Benedetto XVI a rimangiarsi la remissione della scomunica. La stessa cancelliera tedesca, Angela Merkel, volle dire la sua ed espresse stupore e indignazione per l’intervista di Williamson, insinuando che la Chiesa avrebbe fatto bene a chiarire al più presto la propria posizione ufficiale; disse testualmente: Io auspico un chiarimento pieno della questione da parte del papa e del Vaticano. Due testate internazionali del peso del Financial Times e del Sunday Times spararono a zero contro Benedetto XVI (a proposito di poteri forti…). In Italia, dal canto loro, i cattoprogressisti non si lasciarono sfuggire la ghiotta occasione e il settimanaleFamiglia Cristiana si espresse in termini assai critici sulla remissione della scomunica, sostenendo che quel gesto di Benedetto XVI rischiava di “appannare l’immagine della Chiesa”. Anche in questo caso, bisogna precisare che monsignor Williamson non nega che vi sia stato l’Olocausto, ma afferma di dubitare che in esso siano periti sei milioni di ebrei, e, inoltre, sostiene che non vi sono prove storiche dell’esistenza delle camere a gas.
È comunque significativo seguire la vicenda di questo vescovo dopo che l’intervista venne mandata in onda e fece subito il giro del mondo. Anche se l’obiettivo vero era, probabilmente, Benedetto XVI, Williamson pagò un prezzo piuttosto alto, venendo cacciato sia dall’Argentina, sia dalla stessa Fraternità san Pio X, e nel 2014 ha fondato, con altri, un’altra organizzazione d’ispirazione tradizionalista, l’Unione sacerdotale Marcel Lefevre, a Nova Friburgo, in Brasile, opponendosi direttamente al vescovo lefebvriano Bernard Fellay, desideroso di ricomporre la spaccatura con Roma. Inoltre, avendo consacrato un altro vescovo, Jean-Michel Faure, è incorso nuovamente nella scomunica della Chiesa cattolica, nel marzo 2015. La Germania, da parte sua, compresa la Chiesa cattolica tedesca - in particolare la diocesi di Ratisbona, che gli negò l’accesso ai luoghi di culto di quella città -, fece del suo meglio per rendergli dura la vita: il 16 aprile 2010 il tribunale di Ratisbona lo condannò a pagare una multa di 2.000 euro per le sue affermazioni negazioniste ed un supposto “incitamento all’odio razziale” (anche se, l’anno dopo, la Corte d’appello di Norimberga annullò la sentenza e condannò la Baviera a pagare le spese processuali addebitate a Williamson), Vale la pena di riportare le motivazioni addotte dal Ministro degli interni argentino, Florencio Randazzi, a nome del governo del suo Paese, il 19 febbraio 2009, al momento della espulsione di Williamson, la quale avvenne, in realtà, dietro pressione del rabbino di Buenos Aires, Daniel Goldman: Episodi come questi [cioè la famosa intervista alla tv di Stato svedese, ma forse anche la remissione della scomunica da parte del papa, nonché la stessa presenza di Willianson in territorio argentino] nocciono profondamente alla società argentina, al popolo ebreo e a tutta l’umanità, pretendendo di negare una comprovata verità storica. Da parte sua, la presidente Cristina Kirchner aveva dichiarato il vescovo persona a motivo delle sue spregevoli dichiarazioni antisemite.
A proposito di rispetto della religione altrui, delle opinioni altrui e della sensibilità altrui, vale la pena di ricordare che il 18 febbraio 2009, alla vigilia di uno storico accordo fra il Vaticano e lo Stato d’Israele per regolare lo status giuridico della Chiesa cattolica in quel Paese, la televisione israeliana mandò in onda, sul Canale 10, un programma intitolato Like a Virgin, nel quale, prendendo lo spunto dalla polemica sul caso Williamson, si ridicolizzavano sia la figura di Gesù Cristo, che quella della Vergine Maria. Arriviamo così ad una conclusione difficilmente smentibile: si può offendere impunemente qualsiasi religione, filosofia o credenza, ma non si può toccare in alcun modo la sensibilità del giudaismo e dei suoi esponenti. Da parte nostra, siamo dell’opinione che la vera colpa di Williamson, agli occhi di quanti si sono stracciati le vesti per l’indignazione, come Caifa nel Sinedrio, non sia tanto legata al suo cosiddetto negazionismo (ma se negare le dimensioni e le modalità del genocidio è sufficiente per essere considerati dei “negazionisti”, allora andiamo davvero verso un fosco futuro per la libertà, non solo degli studiosi di storia, ma anche dei comuni cittadini), e nemmeno al fatto che egli ha dichiarato di credere alla autenticità dei Protocolli dei Savi anziani di Sion, quanto alla sua posizione, in generale, nei confronti del giudaismo come religione, e alle sue dichiarazioni relative all’ebraismo internazionale come protagonista occulto della politica mondiale. Per quanto riguarda il primo aspetto, Williamson ha dichiarato, in una intervista al Catholic Herald, che se gli ebrei sono nemici di Nostro Signore Gesù Cristo,- naturalmente non tutti gli ebrei, ma quelli che lo sono – allora non mi piacciono. Una affermazione che può scandalizzare solo chi sia piovuto sulla Terra dal pianeta Marte, o chi abbia la memoria assai corta, perché essa riflette fedelmente la posizione ufficiale della Chiesa cattolica, e il sentire comune dei cattolici, almeno fino all’epoca del Concilio Vaticano II, ma in realtà anche dopo, diciamo fino al pontificato di Giovanni Paolo II e alla sua storica visita alla sinagoga di Roma, nel 1986. Quanto al secondo aspetto, il vescovo ha dichiarato (come riferito dal Telegraph del 4 febbraio 2009; consultabile su Internet) chegli Ebrei stanno lottando per il dominio mondiale ed instaurare il trono dell’Anticristo. E questo, la nuova religione dell’Olocausto non lo può tollerare...
Vogliono imporre la religione dell’Olocausto sulle ceneri di tutte le altre
di Francesco Lamendola
Vedi anche:
IL ROGO DEI LIBRI DI IRVING - Il rogo dei libri di David Irving è un sinistro segnale per la libertà di ricerca
RELATIVISMO E VALORI "ROVESCIATI"
Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene. Il relativismo consente di introdurre in maniera silenziosa e quasi dolce un totale rovesciamento di valori che porta allo scardinamento e distruzione dell’intera società
di Francesco Lamendola
Il relativismo ambisce a presentarsi sotto una veste mite, dimessa, quasi umile: come una forma di tolleranza e di rispetto verso tutte le fedi e le opinioni, come una forma di accoglienza e di non giudizio verso tutte le credenze e le convinzioni; ma la verità è che la sua intima natura, e la ragione stessa della sua nascita e della sua esistenza, è profondamente aggressiva, maligna e intollerante: invocando la tolleranza, esso mira a scalzare le basi stesse della società, la possibilità stessa di una convivenza pacifica e ordinata fra soggetti diversi.
Il relativismo, infatti, non si limita ad accogliere e ad accettare le diversità: proclama la norma della loro reciproca insignificanza e l’impossibilità di giungere ad una certezza, di trovare la verità; non sopporta che qualcuno la cerchi e, soprattutto, che qualcuno la trovi: lo considera un intollerabile atto di sopraffazione e mobilita le forze del mondo intero in una crociata globale contro un siffatto temerario, che esso giudica mortalmente pericoloso, perché portatore di una visione del reale diametralmente opposta alla sua. In ultima analisi, è per proteggere se stesso che il relativista parla tanto di comprensione e tolleranza; quello che gli sta a cuore, tuttavia, non sono la comprensione e la tolleranza, ma la possibilità di seguitare all’infinito a proclamare che nessuna verità esiste, che nessuna certezza è valida, che nessuna fede è assoluta.
La cultura relativista, tipica della civiltà moderna, si presenta, pertanto, come una “gioiosa macchina da guerra” il cui scopo è stroncare, possibilmente sul nascere, qualsiasi pretesa di verità certa e definitiva; e questo non perché abbia una sua verità da sostenere e da difendere, ma perché non ne ha alcuna, o, almeno, così dichiara (vedremo poi se ciò sia proprio vero) e ritiene che averla, o pretendere di averla, sia, oltre che un atto di arroganza, una vera e propria minaccia alla sicurezza e alla pace altrui. Oggi la cultura del relativismo si configura sempre più come una sorta di dittatura onnipresente; una dittatura paradossale, che, per difendere gli uomini dai rischi del fanatismo, si arma di uno scetticismo fanatico, e si auto-proclama il solo gendarme autorizzato a proteggere il bene dell’armonia e della convivenza sociale.
E magari fosse solo questo; in realtà, c’è dell’altro. Il relativismo, di per sé, si limita a negare l’esistenza di qualunque verità assoluta; ma esso, nel contesto attuale, è diventato qualcosa d’altro: è diventato lo strumento di cui si servono, senza dichiararlo apertamente, coloro i quali vogliono distruggere la nostra civiltà, vogliono seminare il caos e l’anarchia, vogliono creare le condizioni per una generale disperazione e un totale assoggettamento delle persone a chiunque vorrà assumere la signoria di un mondo prostrato, umiliato e in rovina. Il relativismo, nelle mani di questi tenebrosi cavalieri dell’Apocalisse, è il cavallo di Troia per introdurre, in maniera abile e senza suscitare un allarme eccessivo, gli elementi della dissoluzione, che è i il loro vero obiettivo finale, ancorché non dichiarato.
Non si può pensare che la maggioranza di costoro sia pienamente consapevole di quel che sta facendo. La forza di questa congiura mondiale risiede nel fatto che pochissimi ne sono a conoscenza e manovrano le pedine con perfetta cognizione di causa; la maggior parte delle truppe vanno avanti senza sapere perché, oppure animate da meschine ragioni d’interesse personale, prima fra tutte l’ambizione. Prendiamo il caso degli intellettuali, che sono coloro i quali, purtroppo, conferiscono una particolare tonalità psicologica e morale alla società intera: la maggior parte degli scrittori, dei pensatori, degli artisti e dei giornalisti del secolo appena trascorso, si è adoperata in ogni modo per diffondere una visione relativista del mondo, per demolire ogni residuo di certezza e per bollare come crimine o come follia la pretesa di parlare ancora di verità. Siccome non possiamo immaginare che siano tutti a parte di una congiura mondiale per distruggere la nostra civiltà e per gettare le persone nell’angoscia, nello sconforto e nella disperazione, resta l’altra possibilità: che siano stati gli utili imbecilli nelle mani di un disegno ben più grande di loro, e che si siano adoperati nel modo che sappiamo allo scopo di ottenere visibilità, fama, riconoscimenti. Sta di fatto che i poteri occulti, se hanno svolto bene il loro compitino, alla fine li premiano: il Nobel per la letteratura a Dario Fo, prima, e a Bob Dylan, poi, ad esempio, così incongrui sotto il profilo della logica, si spiegano perfettamente in questa chiave: l’uno non ha fatto altro, con il suo teatro, che sbeffeggiare le verità più sacre (si pensi solo al Mistero buffo, parodia del cristianesimo), il secondo, con le sue canzoni, predica la non verità esclusiva di tutte le fedi, e si adopera in favore di una specie di sincretismo religioso, nel quale cristianesimo, giudaismo, islamismo, buddismo, possano convivere allegramente, all’ombra di un vago deismo che è, poi, la maschera della vera religione che costoro hanno in mente: l’auto-glorificazione dell’uomo.
Ci sono scrittori di successo, che hanno veduto milioni di copie dei loro libri, i quali non hanno fatto altro, per decenni, che battere e ribattere, in maniera ripetitiva, monotona, noiosa, sempre sullo stesso tasto: la relatività di tutte le certezze e l’impossibilità di giungere al vero; valga per tutti – e sono legione – il caso di Umberto Eco, uno scrittore che non aveva assolutamente niente da dire, se non ripetere, fino all’esasperazione, che le cose non sono come sembrano, ma che, scavando, si finisce per scoprire che non sono in alcun modo, perché esse sono semplicemente incomprensibili nella loro radicale casualità e inconsistenza. Nei suoi romanzi pletorici, ridondanti, sempre più seriali, non si coglie mai il barlume di un’idea costruttiva, né di un pensiero positivo, né di un qualunque sforzo di originalità: mutatis mutandis, che si tratti di un’isola persa in mezzo al mare o di una cupa abbazia medievale, o del cimitero di Praga o del regno improbabile della regina Loana, sempre la stessa minestra è stata servita al fedele lettore: un gioco degli specchi che vorrebbe essere spiritoso, un narcisistico compiacimento nel fare sfoggio d’ironia erudita, un prendersi anche il lusso di scherzare sui poteri occulti (come ne Il pendolo di Foucault) per far vedere che non esistono, tranne che nella testa di qualche pazzoide; e il tutto sempre con la stessa tecnica, ossia creando un pastiche formato da tanti pezzi di opere, generi e stili diversi, e cucendo poi il tutto come il vestito d’Arlecchino, in modo da poter gigioneggiare dall’uno all’altro, senza mai impegnarsi in un discorso serio, senza mai dover sostenere la fatica di portare avanti una tesi coerente e ben definita. Eh già, ciò sarebbe contrario alle premesse ideologiche dell’autore, che non c’è alcuna verità “vera”: comodo, no? Questo dà il diritto di scherzare su tutto, di sbeffeggiare tutto, di affermare e di negare, subito dopo, qualsiasi cosa, senza mai lasciarsi cogliere in fallo, senza mai farsi accusare di contraddizione: perché, in un mondo privo di verità, la coerenza diventa un grave difetto, e la ricerca della verità, una pretesa stramba e inquietante, quasi quanto quella di Don Chisciotte di andare in giro per il mondo come un cavaliere errante, in cerca di avventure. Comodo, molto comodo: sarebbe, più o meno, come darsi da se stessi la licenza di tirar sassi a chiunque, ma senza che alcuno sia autorizzato a renderci la pariglia. Sia detto fra parentesi, questo è precisamente il vizio del tipico intellettuale moderno, e l’amo con il quale è tanto facile, per il potere, catturare tutti questi pseudo rivoluzionari e questi finti critici del sistema: il piacere di parlar male di tutto e di tutti, senza alcun rischio di ricevere un uguale trattamento.
Il relativismo consente di introdurre, in maniera silenziosa e quasi dolce, un totale rovesciamento di valori. Se non esistono più né il vero, né il giusto, né il buono, né il bello, ma tutto può essere, a seconda di come lo si guarda, vero, giusto, buono o bello, allora ne consegue che è possibile proclamare che il male è bene e che il bene è male; che il falso è vero e che il vero è falso; che l’ingiusto è giusto, e il giusto è ingiusto; e che il brutto è bello, e il bello è brutto.In base a questo rovesciamento, è possibile scardinare letteralmente l’intera società, distruggere l’etica, l’estetica, la filosofia e la religione; e ritornare all’Atene dei sofisti, nella quale è indifferente quel che si sostiene e la causa che si vuol patrocinare, l’importante è possedere delle buone doti dialettiche, e il gioco è fatto. In tal modo, i criminali possono venire celebrati come benefattori dell’umanità, e i benefattori, trattati da criminali; le nullità possono essere acclamate come dei geni, e i geni possono rimanere ignorati e disprezzati; le cose più ingiuste, aberranti, disgustose, possono venire presentate e riconosciute come un contributo alla causa della giustizia e della civiltà; e via delirando. È chiaro che una società nella quale si diffondesse un tale relativismo assoluto, sprofonderebbe nel caos entro brevissimo tempo; nel caso della nostra civiltà, c’è da chiedersi come mai essa non si sia ancora auto-distrutta, visto che da molto tempo i profeti e i maestri del relativismo vanno spargendo la loro pessima seminagione. Evidentemente, le radici della nostra civiltà – o, per dir meglio, non della nostra civiltà, ossia della civiltà moderna, ma di quella che l’aveva preceduta, e che solo da un cinquantennio è definitivamente uscita di scena: la civiltà pre-moderna di origine contadina – erano più profonde, più sane e vigorose, di quanto noi stessi non abbiamo creduto.
Ammoniva, nei suoi lontani tempi, il profeta Isaia (5, 18-23):
Guai a coloro che si tirano addosso il castigo
con corde da buoi
e il peccato con funi da carro,
che dicono: "Faccia presto,
acceleri pure l'opera sua,
perché la vediamo;
si facciano più vicini e si compiano
i progetti del Santo di Israele,
perché li conosciamo".
Guai a coloro che chiamano
bene il male e male il bene,
che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro.
Guai a coloro che si credono sapienti
e si reputano intelligenti.
Guai a coloro che sono gagliardi nel bere vino,
valorosi nel mescere bevande inebrianti
a coloro che assolvono per regali un colpevole
e privano del suo diritto l'innocente.
Gesù si sarebbe ricordato di queste parole, in particolare quando eruppe in un inno di lode a Dio, perché Egli nasconde la sua verità ai sapienti e agli intelligenti e la rivela ai piccoli (cfr. Matteo, 11, 25). Gli Umberto Eco, i Dario Fo, i Bob Dylan, e cento e cento altri simili a loro, i cui nomi riempirebbero una intera enciclopedia, questo hanno fatto: hanno affermato che il bene, a volte, è male, e il male è bene; che il vero può essere falso, e il falso, vero, e così via: sono stati degli zelanti operai del caos, degli infaticabili diffusori della confusione e del disorientamento intellettuale, spirituale e morale. Il fatto che la nostra società non riconosca come male, ad esempio, l’aborto volontario o l’eutanasia, e che non veda quanto è sbagliato, grottesco, infamante, il cosiddetto matrimonio omosessuale, ci offre degli esempi di quanto sia facile, per una cultura che ha coltivato in se stessa, scaldandoseli come serpi in seno, i propagandisti del relativismo, arrivare a non riconoscere più, neppure sul terreno pratico immediato, il bene dal male, il vero dal falso, e arrivare a capovolgerli.
Questo è un pensiero che non dovrebbe lasciarci dormire la notte, finché non avremo fatto qualcosa per tentar di rimediare. Abbiamo lasciato che i piromani appiccassero l’incendio ai quattro angoli della nostra casa, senza neppure sognarci di fermarli: e perfino adesso, che la casa sta bruciando e il fuoco divampa sempre più alto, stentiamo a riconoscere che quello è un incendio, e che periremo tutti nel fuoco, se non proveremo a spegnerlo. I nostri sofisti hanno a tal punto manipolato le nostre intelligenze e la nostra sensibilità, perfino il nostro buon senso più elementare, che neanche adesso, nell’ora dell’estremo pericolo, vorremmo riconoscere che l’incendio è un incendio reale, e non un esercizio letterario, e che, se non facciamo qualcosa, periremo per opera delle nostre stesse mani…
Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9885:-guai-a-coloro-che-chiamano-bene-il-male-e-male-il-bene&catid=96:filosofia&Itemid=124
Distinti animali
A Torino si è parlato di spiritualità animale.
Ecco un nuovo grande e colorato circo, quello del XXI secolo.
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A Torino in questi giorni c’è stato un evento interessantissimo: Distinti animali. La rassegna di conferenze è durata diversi giorni e ha visto protagonisti eterogenei: accademici di ogni scienza, esponenti religiosi di ogni credo. L’iniziativa nasce nell’ambito di “Torino Spiritualità” che va in scena a Torino da 13 anni.
Quest’anno il focus lo hanno avuto gli animali e si sono alternati vari interventi per discettare proprio dell’universo faunistico. Tra gli ospiti spiccano i nomi di studiosi (Cavalli-Sforza, Barbujani), personaggi dello spettacolo e giornalisti, infine rappresentanti di vari culti e presenze naif.
La mia prima sensazione, entrando a Torino e osservando i manifesti pubblicitari che mostravano la parola Spiritualità accostata all’immagine di tre cani, è stata di curiosità. Spiritualità e cani? Cosa avrà voluto dire? Neanche il tempo di lasciare i bagagli e la famiglia, eccomi catapultato al primo incontro che prevedevo succoso: l’onnipresente Enzo Bianchi, per soli cinque euro (diconsi 5 euro!), si accingeva al teatro Carignano (di fronte a palazzo Carignano, dove Vittorio Emanuele II ebbe i natali) a raccontarci tutto sui misteri che mettevano in relazione gli animali e l’animale spirituale per eccellenza. Silenzio, parla Bianchi:
“La Terra non è nostra e non dobbiamo soggiogare gli animali. ““Nella Bibbia solo dopo il Diluvio l’uomo poteva mangiare carne, prima era vegetariano”“La buona novella è anche per gli animali. La salvezza apparterrà anche a loro”“Quando si dice che non è bene che l’uomo sia solo, ci si riferisce anche agli animali che possono convivere con l’uomo”“Dio benedice gli animali esattamente come benedice l’uomo”“Più un animale ci frequenta, più si umanizza”“Si mangia carne come male minore, l’essere vegetariano è il piano ultimo di Dio” (per noi)
La prima cosa che mi sono chiesto è stata : Ma questo, di che religione è? Per carità, va bene tutto. Me lo chiedevo tanto per capire.
Lungi dal discettare di dottrina, mi interessa capire, passatemi la metafora, se le etichette dei prodotti al supermercato, sono state incollate sulle scatole giuste. Io non voglio aprire un barattolo di Nutella e trovarci dentro crocchette per cani. (e non dimentichiamo il valore aggiunto di ottenere la Nutella senza il sacrificio di nessun animale..)
Son partito da un’ipotesi: vuoi vedere che qui a Torino parlano di spiritualità e non di Spiritualità? Cioè vuoi vedere che, come tra il Settecento e l’Ottocento, qui si vuole provare a inventare mondi spirituali artificiali che provino a dare un senso alle cose che ci circondano? In passato, molti intellettuali provarono a inventare mondi fisici, si fantasticava – presi dai facili entusiasmi illuministici – dell’origine del mondo e di una sua descrizione più o meno fantasiosa. Tanto per citarne uno ricordiamo un giovane Kant che a 31 anni nel 1755, per fare pratica, pubblicò “La storia universale della natura e teoria del cielo ovvero un’esplorazione della costituzione e l’origine meccanica dell’intera struttura dell’universo basata sui principi newtoniani”. Ovviamente Kant partiva da presupposti che andavano oltre la fisica, cioè citava la scienza per poi parlare di metafisica. Altri inventori di mondi pullulavano in quegli anni, dove ognuno esprimeva come poteva essere il mondo, senza la fatica di dover dimostrare nulla. Interessante a riguardo una riflessione dello storico Paul Johnson: “L’intellettuale laico poteva essere deista, scettico o ateo, ma era pronto non meno di un pontefice o di un ministro di culto a insegnare al genere umano come doveva comportarsi. Non si sentiva più vincolato a nessuna religione rivelata. A differenza dei sacerdoti loro predecessori, essi non erano servitori e interpreti degli dei, ma li sostituivano.”
In iniziative di questo tipo, tornando a discettare intorno a Torino Spiritualità, intravedo un parallelismo molto stringente. Si vuole parlare di spirituale (altre volte di ‘scientifico’), svuotandone il significato originario e sostituendolo con un sentimento spirituale (proprio ‘sentimento’) che come tale può variare al variare del ‘sentire’ e delle emozioni indotte.
Anche qui però assistiamo ad una religione dogmatica, come le vecchie religioni che almeno tra i vip non vanno più di moda. La differenza sostanziale è che la religione di Torino spiritualità è sì dogmatica, ma non rivelata. Cioè ognuno ha i suoi dogmi ma non deve preoccuparsi di spiegarli e, udite udite, può cambiarli quando non sono più di moda o non stupiscono più.
Una religione relativa, un vestito su misura che dura il tempo di una moda. Altro che le religioni rivelate: sempre gli stessi valori, che barba che noia. Ma guarda un anagramma cosa riesce a fare!
Ottenere un credente che a seconda delle mode trova positiva o negativa la stessa cosa, valoriale o disvaloriale lo stesso comportamento, può essere interessante o almeno utile. Se poi si potesse anche decidere che mode lanciare, bè sarebbe il massimo. Il consumatore (di un’idea o di un prodotto) sarebbe molto più duttile per l’economia pret a porter di cui oggi abbiamo flebili, flebilissimi segnali.
Non ultimo, anche l’aspetto della comunicazione può trarne benefici per chi vuole promuovere un’idea o un prodotto: con tante religioni dovrò comunicare in molti modi diversi perché parto da basi culturali e valoriali diverse (e questo comporta impegno, lavoro, bassa efficienza nel ‘raccolto’ di feed) mentre se tutti avessero lo stesso substrato valoriale (che magari ho scelto io) sai che raccolti che faccio nei campi di cera vergine passando col mio lapis? Inquietante quanto volete, ma volete mettere quanto sia più comodo ed efficiente?
Se a Torino Spiritualità c’è posto per Paolo De Benedetti (“biblista che da anni elabora e divulga una personale teologia che considera gli animali protagonisti paritetici dell’uomo nel Creato” come recita l’introduzione al suo corso) allora il primato dell’uomo va in soffitta, con tutte le religioni rivelate. E avanti con le filosofie orientali. Ma proprio il Dalai Lama, nel suo ultimo lavoro che è il suo testamento spirituale, spiega che “l’uomo contemporaneo ha pregiudizi sulla religione. Meglio non parlare di religione ma di antropologia” condivisa o condivisibile. Che però, aggiungo io, è guidata dalle mode del momento. Che come sappiamo sono influenzate da chi ha in mano la comunicazione.
Solo per curiosità, lo sapevate che dei 155 interventi, 9 sono di giornalisti. 5 di questi sono de La Repubblica e a seguire uno de La Stampa , uno di Pagine Ebraiche ,uno de L’unità e uno dell’Ansa. (ah, dimenticavo, anche Enzo Bianchi scrive su Repubblica)
Ecco che trovo un senso nel grande circo colorato e allegro che mi vedo davanti, con altri illustri ospiti: Eduardo Ferrante (chef vegano e crudista), Eric Minetto (fondatore della crescita creativa Upaya), Juri Nervo (fondatore dell’Eremo del Silenzio e dell’Università del Perdono – di Torino).
Di sfuggita leggo anche dell’incontro con Cavalli-Sforza e Vito Mancuso dal titolo :”Dove inizia anthropos”, sottotitolo “Una riflessione sulla soglia che separa gli altri primati dall’uomo e su quanta distanza – o vicinanza – c’è tra noi e i viventi che più ci somigliano”. Un sorriso sornione mi smaschera. Due film demenziali in un giorno non riesco a vederli. Figuriamoci a descriverli.
Ho ancora qualche dubbio, forse sono stato troppo tranchant, allora vado a leggere sul sito di Torino Spiritualità qualche dichiarazione dei protagonisti della rassegna:
La parola Spiritualità era, nel 2005, esclusivamente appannaggio della religione, dice il sito di Torino Spiritualità. Forse allora non ho capito male, ma lascio a voi l’ardua sentenza. A me sembra che parliamo di etiche senza Dio, di religioni filosofiche. Dove i nuovi guru che, come diceva Paul Johnson: “A differenza dei sacerdoti loro predecessori, non erano servitori e interpreti degli dei, ma li sostituivano.” E io mi chiedo: “Ma questi, che mi vogliono vendere?”
Ah, dimenticavo: gli esponenti religiosi erano in numero di 20. Su 155 intervenuti. Un po’ come andare al Convegno di Ostetrici e trovarne a fatica tre o quattro in mezzo alla folla dei convenuti. Ma visto come viene intesa la spiritualità, forse anche 20 son troppi.
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