Dietro a Donald Trump, le trame della massoneria progressista
Dietro alle elezioni USA che hanno portato alla casa bianca Donald Trump si sono mosse forze organizzate, trasversali, apolidi e sovranazionali. Sorprendentemente, sono proprio le trame della massoneria progressistaad avere portato al successo Donald Trump. Il come e il perché di questo apparente paradosso, lo spiega bene Gioele Magaldi, Gran Maestro delGrande Oriente Democratico – che ha una visione privilegiata sulle dinamiche sconosciute ai più – intervistato da Claudio Messora.
Guarda anche:
Gioele Magaldi vi racconta i disegni della massoneria neo-aristrocratica e la battaglia in corso con quella progressista per il dominio sul mondo (la prima) e per il ripristino delle libertà fondamentali dell'uomo (la seconda), mostrando le connessioni con gli ultimi avvenimenti del quadro del contesto geopolitico.
https://www.youtube.com/watch?v=hp2xO7tHVps
https://www.youtube.com/watch?v=hp2xO7tHVps
Il dibattito con gli ospiti di Byoblu: Donald Trump, il fallimento dei media?
Soros prepara la guerra a Trump – di Roberto Vivaldelli
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George Soros sta preparando la sua dura battaglia contro il neo-presidente Donald Trump. Dopo aver fomentato e finanziato, attraverso le associazioni a lui vicine, le proteste di questi giorni nelle principali città statunitensi contro il tycoon, lo speculatore finanziario presidente della Open Society Foundations e della Soros Fund Management, ha radunato altri ricchissimi finanziatori della campagna elettorale della sconfitta Hillary Clinton in un incontro di tre giorni a porte chiuse che si sta tenendo in queste ore a Washington. A darne notizia è il sito d’informazione statunitense Politico, entrato in possesso dell’ordine del giorno dell’incontro e della lista degli ospiti.
La convention, che ha preso il via domenica sera presso il lussuoso Hotel Mandarin Oriental, è patrocinata da Democracy Alliance, club dei finanziatori legato al partito democratico che conta più di 110 donatori, tra cui proprio Soros. All’incontro vi partecipano molti beniamini e personalità di spicco della sinistra statunitense, dalla senatrice Elizabeth Warren alla ex speaker della Camera Nancy Pelosi. Si tratta del primo incontro istituzionale dei democratici e progressisti statunitensi dopo la vittoria di Donald Trump. Secondo la documentazione di cui è entrato in possesso Politico, durante queste tre giornate a porte chiuse si preparerà il piano strategico per le prossime elezioni e tutte le azioni necessarie atte a contrastare il piano del presidente Trump dei primi 100 giorni, che l’ordine del giorno dell’evento definisce “un attacco terribile ai risultati ottenuti dal Presidente Obama – e alla nostra visione progressista di una nazione equa e giusta”.
In questa sede si discute inoltre anche dell’approccio di Democracy Alliance, che ha avuto un ruolo fondamentale negli ultimi anni nel plasmare le istituzioni della sinistra americana e nel finanziare numerose organizzazioni vicine ai Clinton. Molte delle battaglie portate avanti da Democracy Alliance si sono rivelate tuttavia infruttuose, come, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico o contro i costi della politica; temi che non hanno attecchito più di tanto presso l’elettorato statunitense, convinto altresì dalle ricette di Donald Trump su economia, politica estera e lotta all’immigrazione clandestina. Il club è stato fondato dopo le elezioni del 2004 da Soros, dal magnate delle assicurazioni Peter Lewis e da un’altra manciata di finanziatori della campagna elettorale dell’allora candidato John Kerry: obiettivo primario era quello di finanziare alcuni gruppi e think tank vicini agli ambienti democratici.
Il Democracy Alliance – che oggi conta più di 100 finanziatori e comprende giganti della finanza come Soros, Tom Steyer e Donald Sussman, così come i principali sindacati – impone ai propri membri di contribuire con una donazione annua di almeno 200 mila dollari da destinare ai gruppi e alle fondazioni da sostenere. Gli affiliati pagano inoltre quote annuali di 30 mila dollari per stipendiare il personale del club e rimborsare le spese di queste convention, che si svolgono sempre in location esclusive e di lusso come l’Hotel Mandarin Oriental di Washington, sede della riunione iniziata ieri sera (domenica sera – ndr).
Questa tre giorni a porte chiuse rappresenta indubbiamente un ‘occasione importante per l’establishment democratico, chiamato a rivedere la propria strategia per contrastare i repubblicani e Donald Trump e trovare un’anima ad un partito post-Clinton e post-Obama. Qualche ragionamento lo farà sicuramente anche lo stesso George Soros, il quale ha speso la bellezza di 25 milioni di dollari per sostenere Hillary Clinton e i democratici durante l’ultima campagna elettorale. A giudicare dal ruolo dello speculatore di origine ungherese nelle manifestazioni contro il neo-presidente, pare proprio che Donald Trump abbia dinanzi un avversario temibile e pronto a tutto pur di metterlo in difficoltà. Perché dopo le proteste di questi giorni contro Trump c’è già chi parla di “rivoluzione colorata”: forse è un’esagerazione, ma da Soros è lecito attendersi di tutto.
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fonte: GLI OCCHI DELLA GUERRA – Il Giornale
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George Soros sta preparando la sua dura battaglia contro il neo-presidente Donald Trump. Dopo aver fomentato e finanziato, attraverso le associazioni a lui vicine, le proteste di questi giorni nelle principali città statunitensi contro il tycoon, lo speculatore finanziario presidente della Open Society Foundations e della Soros Fund Management, ha radunato altri ricchissimi finanziatori della campagna elettorale della sconfitta Hillary Clinton in un incontro di tre giorni a porte chiuse che si sta tenendo in queste ore a Washington. A darne notizia è il sito d’informazione statunitense Politico, entrato in possesso dell’ordine del giorno dell’incontro e della lista degli ospiti.
La convention, che ha preso il via domenica sera presso il lussuoso Hotel Mandarin Oriental, è patrocinata da Democracy Alliance, club dei finanziatori legato al partito democratico che conta più di 110 donatori, tra cui proprio Soros. All’incontro vi partecipano molti beniamini e personalità di spicco della sinistra statunitense, dalla senatrice Elizabeth Warren alla ex speaker della Camera Nancy Pelosi. Si tratta del primo incontro istituzionale dei democratici e progressisti statunitensi dopo la vittoria di Donald Trump. Secondo la documentazione di cui è entrato in possesso Politico, durante queste tre giornate a porte chiuse si preparerà il piano strategico per le prossime elezioni e tutte le azioni necessarie atte a contrastare il piano del presidente Trump dei primi 100 giorni, che l’ordine del giorno dell’evento definisce “un attacco terribile ai risultati ottenuti dal Presidente Obama – e alla nostra visione progressista di una nazione equa e giusta”.
In questa sede si discute inoltre anche dell’approccio di Democracy Alliance, che ha avuto un ruolo fondamentale negli ultimi anni nel plasmare le istituzioni della sinistra americana e nel finanziare numerose organizzazioni vicine ai Clinton. Molte delle battaglie portate avanti da Democracy Alliance si sono rivelate tuttavia infruttuose, come, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico o contro i costi della politica; temi che non hanno attecchito più di tanto presso l’elettorato statunitense, convinto altresì dalle ricette di Donald Trump su economia, politica estera e lotta all’immigrazione clandestina. Il club è stato fondato dopo le elezioni del 2004 da Soros, dal magnate delle assicurazioni Peter Lewis e da un’altra manciata di finanziatori della campagna elettorale dell’allora candidato John Kerry: obiettivo primario era quello di finanziare alcuni gruppi e think tank vicini agli ambienti democratici.
Il Democracy Alliance – che oggi conta più di 100 finanziatori e comprende giganti della finanza come Soros, Tom Steyer e Donald Sussman, così come i principali sindacati – impone ai propri membri di contribuire con una donazione annua di almeno 200 mila dollari da destinare ai gruppi e alle fondazioni da sostenere. Gli affiliati pagano inoltre quote annuali di 30 mila dollari per stipendiare il personale del club e rimborsare le spese di queste convention, che si svolgono sempre in location esclusive e di lusso come l’Hotel Mandarin Oriental di Washington, sede della riunione iniziata ieri sera (domenica sera – ndr).
Questa tre giorni a porte chiuse rappresenta indubbiamente un ‘occasione importante per l’establishment democratico, chiamato a rivedere la propria strategia per contrastare i repubblicani e Donald Trump e trovare un’anima ad un partito post-Clinton e post-Obama. Qualche ragionamento lo farà sicuramente anche lo stesso George Soros, il quale ha speso la bellezza di 25 milioni di dollari per sostenere Hillary Clinton e i democratici durante l’ultima campagna elettorale. A giudicare dal ruolo dello speculatore di origine ungherese nelle manifestazioni contro il neo-presidente, pare proprio che Donald Trump abbia dinanzi un avversario temibile e pronto a tutto pur di metterlo in difficoltà. Perché dopo le proteste di questi giorni contro Trump c’è già chi parla di “rivoluzione colorata”: forse è un’esagerazione, ma da Soros è lecito attendersi di tutto.
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fonte: GLI OCCHI DELLA GUERRA – Il Giornale
George Soros sta preparando la sua dura battaglia contro il neo-presidente Donald Trump. Dopo aver fomentato e finanziato, attraverso le associazioni a lui vicine, le proteste di questi giorni nelle principali città statunitensi contro il tycoon, lo speculatore finanziario presidente della Open Society Foundations e della Soros Fund Management, ha radunato altri ricchissimi finanziatori della campagna elettorale della sconfitta Hillary Clinton in un incontro di tre giorni a porte chiuse che si sta tenendo in queste ore a Washington. A darne notizia è il sito d’informazione statunitense Politico, entrato in possesso dell’ordine del giorno dell’incontro e della lista degli ospiti.
La convention, che ha preso il via domenica sera presso il lussuoso Hotel Mandarin Oriental, è patrocinata da Democracy Alliance, club dei finanziatori legato al partito democratico che conta più di 110 donatori, tra cui proprio Soros. All’incontro vi partecipano molti beniamini e personalità di spicco della sinistra statunitense, dalla senatrice Elizabeth Warren alla ex speaker della Camera Nancy Pelosi. Si tratta del primo incontro istituzionale dei democratici e progressisti statunitensi dopo la vittoria di Donald Trump. Secondo la documentazione di cui è entrato in possesso Politico, durante queste tre giornate a porte chiuse si preparerà il piano strategico per le prossime elezioni e tutte le azioni necessarie atte a contrastare il piano del presidente Trump dei primi 100 giorni, che l’ordine del giorno dell’evento definisce “un attacco terribile ai risultati ottenuti dal Presidente Obama – e alla nostra visione progressista di una nazione equa e giusta”.
In questa sede si discute inoltre anche dell’approccio di Democracy Alliance, che ha avuto un ruolo fondamentale negli ultimi anni nel plasmare le istituzioni della sinistra americana e nel finanziare numerose organizzazioni vicine ai Clinton. Molte delle battaglie portate avanti da Democracy Alliance si sono rivelate tuttavia infruttuose, come, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico o contro i costi della politica; temi che non hanno attecchito più di tanto presso l’elettorato statunitense, convinto altresì dalle ricette di Donald Trump su economia, politica estera e lotta all’immigrazione clandestina. Il club è stato fondato dopo le elezioni del 2004 da Soros, dal magnate delle assicurazioni Peter Lewis e da un’altra manciata di finanziatori della campagna elettorale dell’allora candidato John Kerry: obiettivo primario era quello di finanziare alcuni gruppi e think tank vicini agli ambienti democratici.
Il Democracy Alliance – che oggi conta più di 100 finanziatori e comprende giganti della finanza come Soros, Tom Steyer e Donald Sussman, così come i principali sindacati – impone ai propri membri di contribuire con una donazione annua di almeno 200 mila dollari da destinare ai gruppi e alle fondazioni da sostenere. Gli affiliati pagano inoltre quote annuali di 30 mila dollari per stipendiare il personale del club e rimborsare le spese di queste convention, che si svolgono sempre in location esclusive e di lusso come l’Hotel Mandarin Oriental di Washington, sede della riunione iniziata ieri sera (domenica sera – ndr).
Questa tre giorni a porte chiuse rappresenta indubbiamente un ‘occasione importante per l’establishment democratico, chiamato a rivedere la propria strategia per contrastare i repubblicani e Donald Trump e trovare un’anima ad un partito post-Clinton e post-Obama. Qualche ragionamento lo farà sicuramente anche lo stesso George Soros, il quale ha speso la bellezza di 25 milioni di dollari per sostenere Hillary Clinton e i democratici durante l’ultima campagna elettorale. A giudicare dal ruolo dello speculatore di origine ungherese nelle manifestazioni contro il neo-presidente, pare proprio che Donald Trump abbia dinanzi un avversario temibile e pronto a tutto pur di metterlo in difficoltà. Perché dopo le proteste di questi giorni contro Trump c’è già chi parla di “rivoluzione colorata”: forse è un’esagerazione, ma da Soros è lecito attendersi di tutto.
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fonte: GLI OCCHI DELLA GUERRA – Il Giornale
LO STRANO ‘EFFETTO TRUMP’ – MOSTRA L’INNATURALITA’ DEL SISTEMA
“Donald Trump può essere un buon presidente, dopotutto”, scrive il giornale economico francese “La Tribune”: “Accusare la politica commerciale cinese non è assurdo”.
“Trump può davvero rimettere sui binari l’economia Usa”, concede su Asia Times David Goldman, speculatore americano basato ad Hong Kong, e (quando scrive di geopolitica con lo pseudonimo di “Spengler”) suprematista ebraico e neocon. “L’economia Usa è il 10 per cento più piccola di quanto potrebbe essere in una ‘normale’ ripresa dopo il 2008; basta che guadagni la metà del terreno perduto, ed è un 5% in più di Pil”.
La fa facile, Spengler. Ma va segnalata l’aria di ottimismo e sollievo che, negli ambienti più lontani del mondo, accompagna la vittoria di The Donald. Durerà poco, temo, ma è notevole.
In un attimo, non si parla più di TTIP, né di trattati commerciali globali che tolgono sovranità agli stati per darla alle multinazionali. Sui mercati rincarano le materie prime e i titoli industriali e calano i titoli finanziari o “vuoti” (come Facebook), in previsione di una reindustrializzazione un ritorno all’economia reale che Trump ha annunciato, ma non si sa nemmeno se sia realizzabile.
Trump non ha fatto che qualche telefonata (a Putin, Xi Jinpin, Teresa May, non a Juncker), non ha ancora emanato direttiva alcuna, è ancora ben lontano dall’essersi insediato alla Casa Bianca, è persino contestato in patria; eppure già tutto avviene come se la sua politica mondiale, che ha espresso solo come intenzione e imprecisione , venisse naturalmenteeseguita. Bulgaria e Moldavia hanno eletto governanti filo-russi; la giunta di Kiev è nel panico e si prepara a reprimere nel sangue la “nuova Maidan”, una rivolta della popolazione che ha impoverito e depredato, mentre i caporioni si sono arricchiti sotto la protezione del Dipartimento di Stato,che li ha usati in funzione anti-Mosca. Adesso si sa persino, dai sondaggi, che il 68 per cento degli ucraini vorrebbero come presidente – udite udite – lui, Vladimir Putin .
“Donald Trump può essere un buon presidente, dopotutto”, scrive il giornale economico francese “La Tribune”: “Accusare la politica commerciale cinese non è assurdo”.
“Trump può davvero rimettere sui binari l’economia Usa”, concede su Asia Times David Goldman, speculatore americano basato ad Hong Kong, e (quando scrive di geopolitica con lo pseudonimo di “Spengler”) suprematista ebraico e neocon. “L’economia Usa è il 10 per cento più piccola di quanto potrebbe essere in una ‘normale’ ripresa dopo il 2008; basta che guadagni la metà del terreno perduto, ed è un 5% in più di Pil”.
La fa facile, Spengler. Ma va segnalata l’aria di ottimismo e sollievo che, negli ambienti più lontani del mondo, accompagna la vittoria di The Donald. Durerà poco, temo, ma è notevole.
In un attimo, non si parla più di TTIP, né di trattati commerciali globali che tolgono sovranità agli stati per darla alle multinazionali. Sui mercati rincarano le materie prime e i titoli industriali e calano i titoli finanziari o “vuoti” (come Facebook), in previsione di una reindustrializzazione un ritorno all’economia reale che Trump ha annunciato, ma non si sa nemmeno se sia realizzabile.
Trump non ha fatto che qualche telefonata (a Putin, Xi Jinpin, Teresa May, non a Juncker), non ha ancora emanato direttiva alcuna, è ancora ben lontano dall’essersi insediato alla Casa Bianca, è persino contestato in patria; eppure già tutto avviene come se la sua politica mondiale, che ha espresso solo come intenzione e imprecisione , venisse naturalmenteeseguita. Bulgaria e Moldavia hanno eletto governanti filo-russi; la giunta di Kiev è nel panico e si prepara a reprimere nel sangue la “nuova Maidan”, una rivolta della popolazione che ha impoverito e depredato, mentre i caporioni si sono arricchiti sotto la protezione del Dipartimento di Stato,che li ha usati in funzione anti-Mosca. Adesso si sa persino, dai sondaggi, che il 68 per cento degli ucraini vorrebbero come presidente – udite udite – lui, Vladimir Putin .
All’Est, un ritorno al reale
Il sollievo in Russia è ancora più evidente. “La vittoria di Trump ha scongiurato la terza guerra mondiale”, ha dichiarato Sergei Glaziev, uno dei più vicini collaboratori di Vladimir Vladimirovic. Ma a Mosca non ci si limita a godere lo stato d’animo da fine dell’incubo, cominciano le pulizie: il ministro dello sviluppo economico, Aleksei Ulukaiev, viene arrestato per tangenti: ora, si da il caso che Ulukaiev sia uno dei tre o quattro altissimi esponenti del governo che dagli eurasiatici (Dugin, lo stesso Glaziev) vengono additati come “la quinta colonna” di Wall Street e del Fondo Monetario, ideologicamente affini a Washington. “Finalmente Putin è in posizione di smantellare la Quinta Colonna”, valuta l’analista Umberto Pascale da Washington.
Ciò che avviene nell’Est Europa è in qualche modo un “ritorno al reale”, al destino manifesto di piccole e grandi nazioni; il fatto che avvenga spontaneamente, alla sola comparsa di Trump, accusa quanto “innaturali” fossero le costruzioni che ha imposto Washington nel decennio passato. La rottura dell’Ucraina con la Russia finanziata con 5 miliardi dalla Nuland, la forzata introduzione di Bulgaria, Moldavia (e Romania) nella NATO; la stessa chiusura di noi europei in una guerra fredda assurda che rischiava di diventare da un giorno all’altro calda, il cui scopo non era altro che quello indicato da Brzezinski: impedire l’integrazione economica fra Russia e l’Europa occidentale, mostrano quel che erano: forzature, imposte per coercizione. Sistemazioni artificiali, mantenute solo dalla hubrys americanista. E’ bastato che la coercizione si rilassasse, che il buonsenso desse l’impressione di insediarsi a Washington, ed ecco che le cose tornano a posto. Fine della globalizzazione, ritorno alle nazioni, pace con la Russia secondo il destino manifesto europeo.
Mostra anche quanto è innaturale la costruzione chiamata Unione Europea, come di colpo sia divenuta obsoleta ed arcaica questa costruzione che i maggiordomi locali dell’americanismo hanno prima disciolto nel mercato globale (liquidando la miglior proposte di De Gaulle, la “fortezza Europa”) e da ultimo, ampliato a dismisura per intrusione e sfida alla Russia, finendo per identificarla con la NATO stessa, per farne insomma uno strumento bellico – dove per lo più a dettare il Nemico sono estoni e lituani e polacchi.
Adesso: “La UE ha riunito un incontro urgente, nel panico perché Trump può smettere di pagare il 73% della NATO”, sunteggia brutale ma chiaro un blogger. Dunque la NATO esiste solo perché Washington la mantiene coprendo il 73% delle spese – ovviamente nell’interesse americanista, non di noi “protetti”. E anche la semplice vaga intenzione di Trump di far pagare anche noi per la difesa nostra (che è la loro), crea panico nelle oligarchie che hanno fatto coincidere la UE con la NATO, da Stoltenberg alla Mogherini, da Juncker a Schulz.
La Mogherini, pseudo-ministra dell’UE che non esiste, Erasmus Generation incapace di capire ed accettare il ritorno al reale, ha riunito d’urgenza una cena a 28 per allestire in gran fretta una linea comune – di fatto – contro Trump e le sue intenzioni appena più o meno vagamente espresse: ha preteso di legare The Donald “a principi e valori molto chiari, accordo sul clima e sul commercio, flussi migratori, realizzazione dell’accordo con l’Iran” – tutte le cose che Trump straccerà. Risultato, la cena a 28 è stata un fallimento. Il ministro degli esteri francese non è andato “per precedenti impegni”, ed ha mandato un funzionario, il rappresentante permanente a Bruxelles, che la Mogherini vede tutti i giorni. Stessa cosa hanno fatto Regno Uniti, Malta, Irlanda; la Lituania ha mandato un viceministro; l’Ungheria, un direttore ministeriale. Ma sì, è venuto almeno i ministro tedesco Steinmeier? “Molto in ritardo”.
Insomma, gli stessi ‘pilastri dell’europeismo’ Made in Usa, Parigi e Berlino, non hanno voluto o riconoscere alla Mogherini il potere che la UE fa’ finta di darle: era una finzione innaturale, ed è caduta. E’ bastato che la pressione si rilassasse, e s’è visto che l’Unione Europea non è né unione né Europa, ma solo un’artificiale accozzaglia tenuta insieme dalla hubrys americanista. Che adesso par venuta meno. Juncker, che prima ha insultato Trump, adesso con Schulz ha scritto una lettera in cui, secondo il Financial Times, i due hanno “implorato” di aiutare a garantire l’integrità territoriale dell’Ucraina contro “le minacce alla sua sovranità” (sic) – cioè a mantenere attiva e muscolare la forzatura che ha separato Kiev da Mosca con il sopruso e la “rivoluzione colorata” (di sangue versato dai cecchini polacchi) a Maidan. Che cosa patetica e ridicola. I due compari di bevute implorano che venga continuata “la cooperazione tra UE ed Usa, la sola che fa’ la differenza nell’affrontare la minaccia senza precedenti di Daesh”: ma Trump ha detto chiaro che Daesh, ossia l’IS, è una creazione di Obama, una minaccia fittizia, e già in Siria e Irak, le milizia islamiste sono in via di ripiegamento. Il progetto di destabilizzazione del Medio Oriente per contentare i sauditi, e dare al Katar il mercato energetico europeo togliendolo a Mosca, è finito, arrotolato e messo via come una carta geografica che non serve più. Trump manco ha risposto a Juncker.. La UE si riunisce per allestire “una difesa comune europea”, visto che Washingon non coprirà più le spese. Patetico. Non c’è un bisogno naturale di una difesa comune, l’ostilità con Mosca sta già venendo meno, perché innaturale. A maggior ragione, viene meno l’utilità di Juncker e di Stoltenberg. E della Mogherini. Creature della hubrys, e nient’altro.
Il sollievo in Russia è ancora più evidente. “La vittoria di Trump ha scongiurato la terza guerra mondiale”, ha dichiarato Sergei Glaziev, uno dei più vicini collaboratori di Vladimir Vladimirovic. Ma a Mosca non ci si limita a godere lo stato d’animo da fine dell’incubo, cominciano le pulizie: il ministro dello sviluppo economico, Aleksei Ulukaiev, viene arrestato per tangenti: ora, si da il caso che Ulukaiev sia uno dei tre o quattro altissimi esponenti del governo che dagli eurasiatici (Dugin, lo stesso Glaziev) vengono additati come “la quinta colonna” di Wall Street e del Fondo Monetario, ideologicamente affini a Washington. “Finalmente Putin è in posizione di smantellare la Quinta Colonna”, valuta l’analista Umberto Pascale da Washington.
Ciò che avviene nell’Est Europa è in qualche modo un “ritorno al reale”, al destino manifesto di piccole e grandi nazioni; il fatto che avvenga spontaneamente, alla sola comparsa di Trump, accusa quanto “innaturali” fossero le costruzioni che ha imposto Washington nel decennio passato. La rottura dell’Ucraina con la Russia finanziata con 5 miliardi dalla Nuland, la forzata introduzione di Bulgaria, Moldavia (e Romania) nella NATO; la stessa chiusura di noi europei in una guerra fredda assurda che rischiava di diventare da un giorno all’altro calda, il cui scopo non era altro che quello indicato da Brzezinski: impedire l’integrazione economica fra Russia e l’Europa occidentale, mostrano quel che erano: forzature, imposte per coercizione. Sistemazioni artificiali, mantenute solo dalla hubrys americanista. E’ bastato che la coercizione si rilassasse, che il buonsenso desse l’impressione di insediarsi a Washington, ed ecco che le cose tornano a posto. Fine della globalizzazione, ritorno alle nazioni, pace con la Russia secondo il destino manifesto europeo.
Mostra anche quanto è innaturale la costruzione chiamata Unione Europea, come di colpo sia divenuta obsoleta ed arcaica questa costruzione che i maggiordomi locali dell’americanismo hanno prima disciolto nel mercato globale (liquidando la miglior proposte di De Gaulle, la “fortezza Europa”) e da ultimo, ampliato a dismisura per intrusione e sfida alla Russia, finendo per identificarla con la NATO stessa, per farne insomma uno strumento bellico – dove per lo più a dettare il Nemico sono estoni e lituani e polacchi.
Adesso: “La UE ha riunito un incontro urgente, nel panico perché Trump può smettere di pagare il 73% della NATO”, sunteggia brutale ma chiaro un blogger. Dunque la NATO esiste solo perché Washington la mantiene coprendo il 73% delle spese – ovviamente nell’interesse americanista, non di noi “protetti”. E anche la semplice vaga intenzione di Trump di far pagare anche noi per la difesa nostra (che è la loro), crea panico nelle oligarchie che hanno fatto coincidere la UE con la NATO, da Stoltenberg alla Mogherini, da Juncker a Schulz.
La Mogherini, pseudo-ministra dell’UE che non esiste, Erasmus Generation incapace di capire ed accettare il ritorno al reale, ha riunito d’urgenza una cena a 28 per allestire in gran fretta una linea comune – di fatto – contro Trump e le sue intenzioni appena più o meno vagamente espresse: ha preteso di legare The Donald “a principi e valori molto chiari, accordo sul clima e sul commercio, flussi migratori, realizzazione dell’accordo con l’Iran” – tutte le cose che Trump straccerà. Risultato, la cena a 28 è stata un fallimento. Il ministro degli esteri francese non è andato “per precedenti impegni”, ed ha mandato un funzionario, il rappresentante permanente a Bruxelles, che la Mogherini vede tutti i giorni. Stessa cosa hanno fatto Regno Uniti, Malta, Irlanda; la Lituania ha mandato un viceministro; l’Ungheria, un direttore ministeriale. Ma sì, è venuto almeno i ministro tedesco Steinmeier? “Molto in ritardo”.
Insomma, gli stessi ‘pilastri dell’europeismo’ Made in Usa, Parigi e Berlino, non hanno voluto o riconoscere alla Mogherini il potere che la UE fa’ finta di darle: era una finzione innaturale, ed è caduta. E’ bastato che la pressione si rilassasse, e s’è visto che l’Unione Europea non è né unione né Europa, ma solo un’artificiale accozzaglia tenuta insieme dalla hubrys americanista. Che adesso par venuta meno. Juncker, che prima ha insultato Trump, adesso con Schulz ha scritto una lettera in cui, secondo il Financial Times, i due hanno “implorato” di aiutare a garantire l’integrità territoriale dell’Ucraina contro “le minacce alla sua sovranità” (sic) – cioè a mantenere attiva e muscolare la forzatura che ha separato Kiev da Mosca con il sopruso e la “rivoluzione colorata” (di sangue versato dai cecchini polacchi) a Maidan. Che cosa patetica e ridicola. I due compari di bevute implorano che venga continuata “la cooperazione tra UE ed Usa, la sola che fa’ la differenza nell’affrontare la minaccia senza precedenti di Daesh”: ma Trump ha detto chiaro che Daesh, ossia l’IS, è una creazione di Obama, una minaccia fittizia, e già in Siria e Irak, le milizia islamiste sono in via di ripiegamento. Il progetto di destabilizzazione del Medio Oriente per contentare i sauditi, e dare al Katar il mercato energetico europeo togliendolo a Mosca, è finito, arrotolato e messo via come una carta geografica che non serve più. Trump manco ha risposto a Juncker.. La UE si riunisce per allestire “una difesa comune europea”, visto che Washingon non coprirà più le spese. Patetico. Non c’è un bisogno naturale di una difesa comune, l’ostilità con Mosca sta già venendo meno, perché innaturale. A maggior ragione, viene meno l’utilità di Juncker e di Stoltenberg. E della Mogherini. Creature della hubrys, e nient’altro.
L’innaturalità della UE (e NATO)
LA UE è comunque condannata, ha spiegato sul blog liberista Mises.org Alasdair McLeod, in un articolo che potete leggere in italiano,e di cui mi limito a chiarire qualche tecnicità:
Con l’euro, e l’emissione di titoli di debito pubblico nella moneta “forte”da parte di paesi ad economie deboli, si doveva capire che “il rischio obbligazionario sovrano sarebbe stato misurato in base ai bund tedeschi, tradizionalmente i titoli a rendimento più basso in Europa. Non passò molto tempo prima che il differenziale tra i bund e gli altri titoli di debito nell’Eurozona venisse considerato un’opportunità di profitto piuttosto che un segnale di rischio relativo.
Ossia: chi aveva soldi (le banche tedesche, piene di profitti delle esportazioni) li investirono i titoli pubblici di Italia, Grecia, Portogallo, Spagna, perché “rendevano di più”. Il rischio di investire in questi paesi parve artificialmente annullato: questi paesi “non potevano fallire” perché sotto l’ombrello della moneta comune – garantita dalla Germania.
“Le banche, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione hanno beneficiato del notevole aumento dei prezzi delle obbligazioni emesse dai membri periferici dell’Unione Europea, e hanno investito di conseguenza. A loro volta i paesi periferici erano fin troppo disposti a soddisfare questa domanda mediante l’emissione di enormi quantità di debito, in violazione del Trattato di Maastricht. Il credito bancario s’ampliò, lasciando il sistema bancario commerciale altamente esposto”.
La Grecia è fallita perché ha emesso buoni del suo Tesoro a vagonate, e Deutsche Bank (e tutti gli altri enti finanziari tedeschi) li hanno comprati. Quando poi è fallita, Deutsche Bank (e Berlino) non vogliono riconoscerne l’insolvenza, non la lasciano fallire; le impongo austerità disumane, e intanto le prestano miliardi su miliardi perché possa continuare a pagare i ratei a Deutsche Bank. Berlino non si riconosce corresponsabile: impone austerità anche a Italia e Spagna e Portogallo, perché rivuole i suoi soldi. Con ciò, affossandoci sempre più nella recessione, e nell’insolvenza. Ma se coi paesi piccoli, Grecia, Portogallo e Cipro, “la Germania, guidata dal suo Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, è riuscita a sottomettere e ora sono zombie economici. Il vero problema viene con l’Italia, anch’essa sull’orlo del fallimento e con un rapporto debito/PIL oltre il 133% e in aumento. Se l’Italia andrà a gambe all’aria, sarà seguita da Spagna e Francia. Herr Schäuble non può forzare i creditori tanto facilmente, perché in questa fase l’intero sistema bancario della zona Euro finirà nei guai, così come il governo tedesco stesso. I risparmiatori tedeschi stanno diventando consapevoli che saranno loro a dover pagare il conto”.
Tanto più che per la loro ottusa avidità, sono stati irretiti nel “Bizzarro” sistema di saldi chiamato TARGET 2”: cioè il sistema di pagamento interbancario escogitato per i grossi pagamenti in euro in tempo reale. Un italiano o un greco che compra una BMW non lo sa, ma il suo pagamento viene alla Germania attraverso il TARGET 2, dove le banche eurozona si compensano crediti e debiti in tempo reale. Ovviamente – chi l’avrebbe detto? – l’Italia e la Grecia hanno accumulato enormi passivi, e la Germania un enorme attivo lì. 500 miliardi, diciamo. McLeod., brutale, spiega: “TARGET è il mezzo attraverso il quale i paesi membri avrebbero potuto acquistare a credito le merci tedesche. Buon per la Germania, ma il problema era che il credito veniva fornito dalla Germania stessa. È come se prestaste denaro all’acquirente della vostra attività in quella che risulterebbe una transazione truccata. Questo difetto nella costruzione del sistema è ora un vulcano pronto ad eruttare in qualsiasi momento”. Se si disgrega l’euro e i paesi tornano alle monete nazionali, vanno in bancarotta, ma la Germania perde i suoi crediti di 500 miliardi.”.
Conclusione: “Ci sono tutti gli elementi per una catastrofe politica ed economica. Resta da vedere se sarà innescata da elementi interni o esterni. In entrambi i casi, la crisi della zona Euro ora sembra essere solo una questione di mesi”.
Attenzione, perché la stessa forzatura, in misure ancor più titaniche, è alla base della globalizzazione. In che senso? L’America regge la sua superpotenza dai piedi d’argilla su un gigantesco indebitamento estero. Non ha più un attivo commerciale dagli anni’60. Il suo deficit è di 463 miliardi di dollari annui. Il problema del deficit è che “va finanziato”: ossia bisogna che qualcuno ti presti il denaro che spendi per comprare le merci straniere. Da decenni il deficit americano è finanziato da Cina e Giappone (ed altri asiatici), che lo finanziano comprando enormi quantità di buoni del Tesoro americani. Con ciò, Cina e Giappone consentono agli americani di comprare, a credito, le merci che i due paesi producono. Esattamente come in Europa dove “il TARGET 2 è il mezzo con cui i paesi membri possono comprare a credito le merci tedesche”.
Si capisce così perché gli Usa hanno imposto la globalizzazione, ossia l’apertura di tutti i mercati in tutti i paesi – e poi hanno fatto entrare la Cina nel sistema globale, senza esigere che la Cina sottostesse alle regole del liberismo, per esempio aprisse il suo mercato interno e non tenesse svalutata la sua moneta artificialmente: perché era sottinteso che la Cina avrebbe comprato le vagonate di buoni del Tesoro Usa, finanziando il deficit e sostenendo il dollaro, a patto che “non ricevesse lezioni da Washington” sulle regole del liberismo, E’ così che si è industrializzata la Cina e l’America si è impoverita. Ora, Trump ha questo problema, se vuole deindustrializzare l’America: chiudere alle merci della Cina? E Pechino comprerà ancora i Treasuries?
Questo è il nodo altamente innaturale – la causa vera e inconfessata dellla globalizzazione, – che The Donald ha promesso di sciogliere. Auguri.
Noi godiamoci l’allentamento momentaneo delle forzature e della hubrys, il sollievo e il senso di liberazione, senza troppo scrutare il futuro.
LA UE è comunque condannata, ha spiegato sul blog liberista Mises.org Alasdair McLeod, in un articolo che potete leggere in italiano,e di cui mi limito a chiarire qualche tecnicità:
Con l’euro, e l’emissione di titoli di debito pubblico nella moneta “forte”da parte di paesi ad economie deboli, si doveva capire che “il rischio obbligazionario sovrano sarebbe stato misurato in base ai bund tedeschi, tradizionalmente i titoli a rendimento più basso in Europa. Non passò molto tempo prima che il differenziale tra i bund e gli altri titoli di debito nell’Eurozona venisse considerato un’opportunità di profitto piuttosto che un segnale di rischio relativo.
Ossia: chi aveva soldi (le banche tedesche, piene di profitti delle esportazioni) li investirono i titoli pubblici di Italia, Grecia, Portogallo, Spagna, perché “rendevano di più”. Il rischio di investire in questi paesi parve artificialmente annullato: questi paesi “non potevano fallire” perché sotto l’ombrello della moneta comune – garantita dalla Germania.
“Le banche, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione hanno beneficiato del notevole aumento dei prezzi delle obbligazioni emesse dai membri periferici dell’Unione Europea, e hanno investito di conseguenza. A loro volta i paesi periferici erano fin troppo disposti a soddisfare questa domanda mediante l’emissione di enormi quantità di debito, in violazione del Trattato di Maastricht. Il credito bancario s’ampliò, lasciando il sistema bancario commerciale altamente esposto”.
La Grecia è fallita perché ha emesso buoni del suo Tesoro a vagonate, e Deutsche Bank (e tutti gli altri enti finanziari tedeschi) li hanno comprati. Quando poi è fallita, Deutsche Bank (e Berlino) non vogliono riconoscerne l’insolvenza, non la lasciano fallire; le impongo austerità disumane, e intanto le prestano miliardi su miliardi perché possa continuare a pagare i ratei a Deutsche Bank. Berlino non si riconosce corresponsabile: impone austerità anche a Italia e Spagna e Portogallo, perché rivuole i suoi soldi. Con ciò, affossandoci sempre più nella recessione, e nell’insolvenza. Ma se coi paesi piccoli, Grecia, Portogallo e Cipro, “la Germania, guidata dal suo Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, è riuscita a sottomettere e ora sono zombie economici. Il vero problema viene con l’Italia, anch’essa sull’orlo del fallimento e con un rapporto debito/PIL oltre il 133% e in aumento. Se l’Italia andrà a gambe all’aria, sarà seguita da Spagna e Francia. Herr Schäuble non può forzare i creditori tanto facilmente, perché in questa fase l’intero sistema bancario della zona Euro finirà nei guai, così come il governo tedesco stesso. I risparmiatori tedeschi stanno diventando consapevoli che saranno loro a dover pagare il conto”.
Tanto più che per la loro ottusa avidità, sono stati irretiti nel “Bizzarro” sistema di saldi chiamato TARGET 2”: cioè il sistema di pagamento interbancario escogitato per i grossi pagamenti in euro in tempo reale. Un italiano o un greco che compra una BMW non lo sa, ma il suo pagamento viene alla Germania attraverso il TARGET 2, dove le banche eurozona si compensano crediti e debiti in tempo reale. Ovviamente – chi l’avrebbe detto? – l’Italia e la Grecia hanno accumulato enormi passivi, e la Germania un enorme attivo lì. 500 miliardi, diciamo. McLeod., brutale, spiega: “TARGET è il mezzo attraverso il quale i paesi membri avrebbero potuto acquistare a credito le merci tedesche. Buon per la Germania, ma il problema era che il credito veniva fornito dalla Germania stessa. È come se prestaste denaro all’acquirente della vostra attività in quella che risulterebbe una transazione truccata. Questo difetto nella costruzione del sistema è ora un vulcano pronto ad eruttare in qualsiasi momento”. Se si disgrega l’euro e i paesi tornano alle monete nazionali, vanno in bancarotta, ma la Germania perde i suoi crediti di 500 miliardi.”.
Conclusione: “Ci sono tutti gli elementi per una catastrofe politica ed economica. Resta da vedere se sarà innescata da elementi interni o esterni. In entrambi i casi, la crisi della zona Euro ora sembra essere solo una questione di mesi”.
Attenzione, perché la stessa forzatura, in misure ancor più titaniche, è alla base della globalizzazione. In che senso? L’America regge la sua superpotenza dai piedi d’argilla su un gigantesco indebitamento estero. Non ha più un attivo commerciale dagli anni’60. Il suo deficit è di 463 miliardi di dollari annui. Il problema del deficit è che “va finanziato”: ossia bisogna che qualcuno ti presti il denaro che spendi per comprare le merci straniere. Da decenni il deficit americano è finanziato da Cina e Giappone (ed altri asiatici), che lo finanziano comprando enormi quantità di buoni del Tesoro americani. Con ciò, Cina e Giappone consentono agli americani di comprare, a credito, le merci che i due paesi producono. Esattamente come in Europa dove “il TARGET 2 è il mezzo con cui i paesi membri possono comprare a credito le merci tedesche”.
Si capisce così perché gli Usa hanno imposto la globalizzazione, ossia l’apertura di tutti i mercati in tutti i paesi – e poi hanno fatto entrare la Cina nel sistema globale, senza esigere che la Cina sottostesse alle regole del liberismo, per esempio aprisse il suo mercato interno e non tenesse svalutata la sua moneta artificialmente: perché era sottinteso che la Cina avrebbe comprato le vagonate di buoni del Tesoro Usa, finanziando il deficit e sostenendo il dollaro, a patto che “non ricevesse lezioni da Washington” sulle regole del liberismo, E’ così che si è industrializzata la Cina e l’America si è impoverita. Ora, Trump ha questo problema, se vuole deindustrializzare l’America: chiudere alle merci della Cina? E Pechino comprerà ancora i Treasuries?
Questo è il nodo altamente innaturale – la causa vera e inconfessata dellla globalizzazione, – che The Donald ha promesso di sciogliere. Auguri.
Noi godiamoci l’allentamento momentaneo delle forzature e della hubrys, il sollievo e il senso di liberazione, senza troppo scrutare il futuro.
Magaldi è un massone, quindi tendenzialmente bugiardo. Dice ciò che gli dicono di dire, per un pò di successo.
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