Ciò che è accaduto a Radio Maria è solo la coda di un mostro così enorme che si fatica persino a vederlo, è la parte finale del potere mondano che ha occupato Roma senza che nessuno lo chiami con il suo nome… Quel “non cercare la verità” è l’essenza della neochiesa bergogliana che si fa dottrina e permea di sé ogni azione chiamando “pastorale misericordiosa” un metodo inquisitorio fondato sull’arbitrio..
Venerdì 11 novembre 2016
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È pervenuta in Redazione:
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Caro Alessandro Gnocchi,
la mia domanda è molto semplice: visto che lei ci è già passato, anzi ha inaugurato la triste serie degli espulsi da Radio Maria, che cosa significa il fatto che l’elenco si allunghi sempre di più e che ora sia toccato a padre Cavalcoli? Che cosa sta accadendo nella Chiesa?
Grazie per la cortese attenzione e buon lavoro.
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per quando riguarda l’episodio in sé, non mi pare che ci sia niente di nuovo rispetto a quanto accade da quando l’uomo fornica con il potere e, quindi, con il servilismo. Più roncalliano di Roncalli, più montiniano di Montini, più wojtyliano di Wojtyla, più ratzingeriano di Ratzinger, penso che padre Livio Fanzaga abbia persino trovato il tempo di essere più lucianiano di Luciani nei 33 giorni di uno tra i più brevi pontificati della storia. Si figuri se ora non si sente in dovere di essere più bergogliano di Bergoglio. Se domani dovesse diventare papa lei, caro Dusi, padre Fanzaga sarebbe senza alcun dubbio più dusiano di Dusi. Da buon papolatra, il direttore di Radio Maria ha il suo idolo in un uomo che cambia a ogni morte, o dimissione, di papa. Ogni testa tagliata è un granello d’incenso bruciato ai piedi del potente di turno.
Ma questa, per quanto possa muovere a orrore e ribrezzo, è solo la coda di un mostro così enorme che si fatica persino a vederlo, è la parte finale del potere mondano che ha occupato Roma senza che nessuno lo chiami con il suo nome. Se ne contano le vittime, se ne riscontra la brama di conformismo, se ne osservano i meccanismi, ma raramente se ne coglie la natura anticristica.
Se me lo permette, caro Dusi, vorrei cercare di spiegarglielo partendo da un fatto personale, che non riguarda la mia espulsione da Radio Maria. Voglio dirle come il parroco del paese in cui abito, in nome e per conto del vescovo di Bergamo, giustificò la negazione del rito antico al funerale di mio padre. E tenga presente che sul soglio di Pietro sedeva ancora Benedetto XVI. Se la mia famiglia, mi fu spiegato in un breve colloquio nell’ufficio parrocchiale, fosse stata protestante, anglicana, di una “religione del Libro” o di qualsiasi altra credenza, in obbedienza all’ecumenismo e alla libertà religiosa avrebbe ottenuto ciò che chiedeva. Ma, essendo malauguratamente cattolici, noi non avevamo il diritto di dare scandalo provocando strappi allo “stile liturgico della comunità” e, naturalmente, della diocesi tutta. Dunque, niente funerale in rito antico e niente appello.
Ha capito bene, caro Dusi: in quanto cattolici, non abbiamo avuto ciò che la legge della Chiesa cattolica stabilisce come diritto dei suoi fedeli. Concessione che avremmo invece avuto se della Chiesa cattolica ci fossimo fatte beffe.
Se non le basta, le racconto un altro brevissimo episodio. Quello del vescovo che ha cacciato dalla parrocchia un sacerdote per eccesso di cattolicità spiegandogli, giustamente, che “la nuova Chiesa” non ha bisogno di preti come lui. Ma non è questo il punto. Il bello è venuto quando monsignor vescovo ha presenziato all’insediamento del nuovo parroco, più conciliare e conciliante del suo predecessore. Per timore che i fedeli, per nulla felici dell’avvicendamento, potessero esternare in modo vivace il loro dissenso, monsignore ha chiesto al sindaco di sinistra del paese che gli fornisse una squadra della protezione civile per scortarlo dal piazzale alla chiesa. Riassumo: il pastore chiede al capo dei lupi una squadra di lupacchiotti per essere difeso dalle pecore del suo gregge.
È dunque chiaro, caro Dusi, ciò che muove l’azione di questa infernale macchina di potere guidata e sorretta da incandescenti e sulfurei tizzoni d’inferno: l’odio per il proprio popolo. Lo stesso odio che ha mosso tutte le rivoluzioni e si è manifestato con sistematica sete di sangue nei Paesi comunisti. Aleksàndr Solženicyn ne parla in Arcipelago gulag comparando le persecuzioni del regime sovietico a quello nazista: “Ancor più naturale il paragone veniva a chi, come Aleksej Ivanovič Divnič, emigrante e predicatore ortodosso, fosse passato tanto attraverso la Gestapo che al MGB. (…) Le conclusioni di Divnič non erano a favore della MGB: qui e là torturavano, ma la Gestapo cercava di appurare la verità e, quando l’accusa cadde, Divnič fu rilasciato. La MGB invece non cercava la verità e non intendeva far scappare chi le era capitato tra le unghie”.
Quel “non cercare la verità” è l’essenza della neochiesa bergogliana che si fa dottrina e permea di sé ogni azione chiamando “pastorale misericordiosa” un metodo inquisitorio fondato sull’arbitrio. In nome di una misericordia abbandonata nelle fauci di uomini dimentichi della verità, quindi selettiva, capricciosa e vendicativa, si sovvertono le regole più elementari della legalità. Nessuno può essere così libero nella propria cattiveria come chi ritiene ideologicamente di essere buono.
In questa chiave, ogni rapporto con quelli che il più grande sociologo dell’ultimo secolo, Massimo Introvigne, chiama “dissidenti”, diventa un processo alle intenzioni. Non sta più all’accusatore provare l’accusa e neppure sta all’accusato di provare la sua innocenza: tutto si risolve nel fatto che l’inquisito deve dimostrare di non essere ostile al potere. Che cosa era, se non questo, il senso di ciò che il kommissario chiedeva ai Frati Francescani dell’Immacolata accusandoli di “non sentire” con la neochiesa bergogliana? Ai frati inquisiti non veniva ingiunto di mostrare chi fossero e cosa facessero, ma di provare di non essere ostili al nuovo “sentire cum Ecclesia”. Per nulla interessata alla realtà poiché è irresistibilmente attratta dal nulla, anche nella procedura inquisitoria la neochiesa non cerca ciò che è, ma solo ciò che non è. Il suo occhio maligno, come quello di Mordor, cerca vendicativamente e vede solo chi ancora non riconosce il suo potere.
Di nuovo, per comprendere questo passaggio, è utile rileggere Arcipelago gulag: “Gli Organi erano esentati del tutto dalla fatica di cercare le prove. Il coniglio acciuffato, tremante e pallido, privato del diritto di scrivere, telefonare, portare qualcosa con sé, privato del sonno, del cibo, della carta, d’una matita e perfino dei bottoni, seduto sullo sgabello nell’angolo di un ufficio doveva mostrare DA SÉ ed esporre all’ozioso giudice istruttore le prove di NON avere avuto intenzioni ostili. E se non le trovava (come avrebbe potuto procurarsele?) offriva all’istruttoria prove approssimative della propria colpevolezza!”.
Tutto questo, caro Dusi, potrebbe persino essere ritenuto comprensibile in un sistema di potere solo umano. Da che esiste il peccato, uomini che inquisiscono, condannano, umiliano e dannano programmaticamente altri uomini non sono una novità nella storia del mondo. Ciò che qui inquieta è lo spettacolo di uomini che inquisiscono, condannano, umiliano e dannano Dio, o si illudono di poterlo fare. Fra le tante esibizioni bergogliane ascrivibili a questo filone, la più ripugnante è quella andata in scena nelle grotte vaticane il 2 novembre del 2013. Quel giorno, il vescovo venuto dalla fine del mondo si mostrò fortemente infastidito da un chierichetto che, al suo passaggio, teneva le mani giunte. Dunque si fermò e violò il gesto liturgico di quel bambino separandogli i palmi e chiedendogli se glieli avessero incollati.
Non si rifletterà mai abbastanza su questo episodio e, soprattutto, non lo si comprenderà nella sua essenza se ci si ferma a considerare l’ingiustizia dalla parte del bambino. Per quanto sia scandalosa l’umiliazione di un fanciullo orante, non lo sarà mai come lo sfregio portato a Dio, causa e termine di ogni segno di devozione. Per quanto sia odioso il sopruso perpetrato su un bimbetto inerme, non lo sarà mai come la negazione di un segno di adorazione a Cristo indifeso sulla croce. Sta qui la radice della tremenda misericordia bergogliana.
L’umiliazione dell’uomo è sempre frutto dell’umiliazione di Dio, il cui sintomo è il rancore che, nella Scala del Paradiso, San Giovanni Climaco definisce così: “Custode dei peccati, odio della giustizia, rovina della virtù, veleno dell’anima, verme della mente, vergogna dell’orazione, interruzione della preghiera, avversione all’amore, chiodo conficcato nell’anima, sensazione priva di dolore, amata per la dolcezza della sua amarezza, peccato continuo, trasgressione incessante, vizio di tutte le ore”.
Forse, caro Dusi, bastavano queste poche righe per spiegare che cosa sta accadendo dentro la povera Chiesa di Roma.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi
riscossacristiana.it/fuori-moda-la-posta-di-alessandro-gnocchi-111116/http://www.riscossacristiana.it/fuori-moda-la-posta-di-alessandro-gnocchi-111116/
Francesco visita sette ex preti sposati e le loro famiglie
Il Papa nella periferia romana per l’ultimo «Venerdì della Misericordia»: un segno di vicinanza a chi ha compiuto una scelta spesso non condivisa da confratelli e familiari
Se il Papa va a confortare ex sacerdoti che hanno messo su famiglia. Accade oggi pomeriggio, 11 novembre 2016, quando Francesco, alle 15,30, lascia Casa Santa Marta per recarsi a Ponte di Nona, quartiere all’estrema periferia di Roma est.
In un appartamento, il Pontefice incontra sette famiglie, tutte formate da giovani che hanno lasciato, nel corso di questi ultimi anni, il sacerdozio. Papa Bergoglio, fa sapere la Sala stampa vaticana, ha inteso offrire un segno di vicinanza e di affetto a questi ragazzi che hanno compiuto una scelta spesso non condivisa dai loro confratelli sacerdoti e familiari.
Dopo diversi anni dedicati al ministero sacerdotale svolto nelle parrocchie - riferisce sempre la Sala stampa - è accaduto che la solitudine, l’incomprensione, la stanchezza per il grande impegno di responsabilità pastorale hanno messo in crisi la scelta iniziale del sacerdozio. Sono quindi subentrati mesi e anni di incertezza e dubbi che hanno portato spesso a ritenere di avere compiuto, con il sacerdozio, la scelta sbagliata. Da qui, la decisione di lasciare il presbiterato e formare una famiglia.
Papa Francesco, dunque, è andato a trovare questi giovani: quattro della diocesi di Roma, dove sono stati parroci in diverse parrocchie della città; uno di Madrid e un altro dell’America Latina, che risiedono a Roma, mentre l’ultimo è della Sicilia.
L’incontro rappresenta l’ultimo appuntamento nell’ambito dei «Venerdì della Misericordia» che il Papa ha voluto ogni mese durante tutto l’Anno giubilare.
L’ingresso del Papa nell’appartamento è segnato da grande entusiasmo, raccontano dalla Sala stampa della Santa Sede: «I bambini si sono raccolti intorno al Pontefice per abbracciarlo, mentre i genitori non hanno trattenuto la commozione». La visita «del Santo Padre è stata fortemente apprezzata da tutti i presenti che hanno sentito non il giudizio del Papa sulla loro scelta, ma la sua vicinanza e l’affetto della sua presenza». Il tempo passa veloce; il Pontefice «ha ascoltato le loro storie e ha seguito con attenzione le considerazioni che venivano fatte circa gli sviluppi dei procedimenti giuridici dei singoli casi. La sua parola paterna ha rassicurato tutti sulla sua amicizia e sulla certezza del suo interessamento personale».
In questo modo, «ancora una volta, Francesco ha inteso dare un segno di misericordia a chi vive una situazione di disagio spirituale e materiale, evidenziando l’esigenza che nessuno si senta privato dell’amore e della solidarietà dei pastori».
La visita si è conclusa alle 17,20 circa.
Nei Venerdì della Misericordia precedenti il Pontefice ha visitato: una casa di riposo per anziani e malati in stato vegetativo (15 gennaio); una comunità per tossicodipendenti a Castelgandolfo (26 febbraio); Centro di Accoglienza per Profughi (Cara) di Castelnuovo di Porto (24 marzo, Giovedì santo, con Lavanda dei piedi); insieme al patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronimus, i profughi e migranti nell’Isola di Lesbo (Grecia, 16 aprile); comunità del «Chicco» per persone con grave disabilità mentale (Ciampino, 13 maggio); comunità «Monte Tabor» che ospita sacerdoti sofferenti per diverse forme di disagio e comunità dei sacerdoti anziani della diocesi di Roma («Casa San Gaetano»; 17 giugno); preghiera silenziosa ad Auschwitz-Birkenau (Polonia) e bambini malati all’ospedale pediatrico di Cracovia, la Via Crucis della Giornata mondiale della Gioventù con i giovani iracheni e coloro che vivono particolari situazioni di disagio (29 luglio); gruppo di donne ex prostitute (Roma, Pietralata) - progetto di recupero della Comunità Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi (12 agosto); a Roma due strutture ospedaliere per sottolineare l’importanza della vita dal suo inizio alla sua fine naturale: pronto soccorso e il reparto di neonatologia dell’Ospedale San Giovanni di Roma e l’hospice «Villa Speranza» (pazienti in fase terminale), struttura della Fondazione del Gemelli dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (16 settembre); «Villaggio Sos bambini», in zona Boccea, una casa famiglia che accoglie bimbi su segnalazione dei servizi sociali e del tribunale, in condizioni di disagio personale, familiare e sociale (14 ottobre).
CITTÀ DEL VATICANO
Dopo la vittoria di Trump. Papa Bergoglio leader della sinistra internazionale?
(di Roberto de Mattei su “Il Tempo” del 11/11/2016) Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha inviato a Donald Trump gli auguri della Santa Sede, esprimendo il suo auspicio che il nuovo presidente lavori al servizio della patria e della pace del mondo. Anche mons. Joseph Kurtz, arcivescovo di Louisville e presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, si è congratulato con il neo-eletto, sollecitandolo a governare per il bene comune di tutti i cittadini. La posizione della diplomazia vaticana sembra voler correggere, o temperare, quella di papa Francesco, che non ha mai nascosto la sua insofferenza verso il candidato alla presidenza americana.
Il 18 febbraio di quest’anno, sul volo di ritorno dal Messico, commentando il progetto di Trump di costruire un muro tra Stati Uniti e Messico per frenare il flusso migratorio, il Papa aveva detto che “una persona che pensa soltanto a fare muri e a non fare ponti non è cristiana”. In un altro volo di ritorno, quello del 2 ottobre da Baku a Roma, a chi gli chiedeva quale candidato preferisse per le elezioni americane, Francesco non si è sbilanciato. Eppure, per quanto forti possano essere le riserve verso Trump, per un cattolico sarebbe difficile immaginare una posizione di equidistanza tra lui e Hilary Clinton, che aveva inserito ufficialmente nel suo programma una massiccia implementazione dell’aborto e dell’agenda LGBT. A meno di considerare l’autodifesa dall’invasione migratoria come un peccato più grave della legalizzazione dell’aborto e del cosiddetto matrimonio omosessuale.
Al di là del giudizio morale su tali questioni, il problema di fondo che divide il Vaticano dalla nuova presidenza americana è di ordine politico. Il tema dell’immigrazione è infatti, fin dall’inizio del pontificato, l’asse portante della politica bergogliana, ma costituisce anche un cardine del programma di Donald Trump. Su questo punto le visioni di Francesco e del presidente degli Stati Uniti sono opposte. “Una nazione senza confini non è una nazione, così come non è una nazione un paese senza leggi” afferma Trump, mentre per papa Bergoglio, l’illimitata accoglienza agli immigrati è quasi un “locus” teologico. Se Trump andrà avanti per la sua strada non porrà solo un freno al multiculturalismo imperante nel suo Paese dal’epoca kennedyana, ma darà anche un inevitabile impulso a quei partiti di destra e “identitari” che nelle prossime settimane e mesi andranno al voto in Austria, Olanda, Francia e Germania. Da parte sua, dopo la disfatta della Clinton, Francesco è rimasto l’unico punto di riferimento della sinistra internazionale, priva di leader. Quando, il 5 novembre si è concluso in Vaticano il Terzo Incontro mondiale dei cosiddetti “Movimenti popolari”, alla presenza di agitatori rivoluzionari dei cinque continenti. Papa Francesco si è rivolto loro dicendo “Faccio mio il vostro grido”. Ma il grido di protesta che si leva dai movimenti convenuti nella sala delle udienze Paolo VI, è purtroppo caratterizzato dal fanatismo ideologico e dalla incitazione alla violenza.
La linea di tendenza è chiara. Nel suo ultimo viaggio in Sud America, Francesco ha espresso la sua simpatia per i presidenti di Bolivia ed Ecuador e il 24 ottobre ha ricevuto in udienza privata in Vaticano il presidente venezuelano Nicolas Maduro Moros, anch’egli di estrema sinistra, a cui ha assicurato il suo sostegno. Nessuna parola di approvazione e compiacimento è invece giunta dal Vaticano per lo straordinario gesto del presidente del Perù Pedro Pablo Kuczynsky che, il 21 ottobre, davanti ai membri di Camera e Senato, ha consacrato il suo paese al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.
Quanto opportuno sarebbe che, abbandonando la politica, il Papa e i vescovi del mondo unissero i loro sforzi per atti religiosi di questo genere, a cominciare dalla tanto attesa consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, in occasione del centenario di Fatima del 2017, che coincide con quello, funesto, della Rivoluzione bolscevica di Ottobre. (di Roberto de Mattei su “Il Tempo” del 11/11/2016)
http://www.corrispondenzaromana.it/dopo-la-vittoria-di-trump-papa-bergoglio-leader-della-sinistra-internazionale/
Francesco un po’ a vanvera….
Confidandosi, come ormai è consuetudine, con Eugenio Scalfari, Francesco I è tornato sul tema Trump.Il pontefice lo aveva attaccato, in passato, dichiarando che chi vuole costruire muri, non è cristiano. Non fu un bel modo per intervenire nel dibattito politico, ma tant’è…
Forse Francesco non sapeva che il muro in Messico lo aveva già in parte costruito Bill Clinton, il marito della candidata democratica Hillary,
Forse Francesco non sapeva che il muro in Messico lo aveva già in parte costruito Bill Clinton, il marito della candidata democratica Hillary,
l’avversaria di Trump.
Leggiamo qui:
“… nel 1994 il Presidente Bill Clinton diede inizio a quella che venne chiamata Operation Gatekeeper (ribattezzata in Messico Operación Muerte), con cui si approvò la costruzione di una barriera di separazione tra San Diego (California) e Tijuana (Messico); l’obiettivo dichiarato fu quello di riprendere il controllo della frontiera e contenere – se non impedire – l’immigrazione illegale ed il traffico di armi e droga, garantendo, in tal modo, un’efficace tutela della sicurezza dei cittadini statunitensi, vessati dagli innumerevoli episodi criminosi perpetrati da “fuorilegge” messicani. Tale operazione, messa in atto dalla US Border Patrol (agenzia federale responsabile dell’applicazione della legislazione dei confini) e rientrante nelle competenze di quello che all’epoca era chiamato United States Immigration and Naturalization Service [1], ebbe una grande eco a livello mondiale; ciononostante, occorre ricordare che non fu l’unica misura adottata dal governo statunitense per frenare l’immigrazione messicana…Nel 1993, infatti, aveva avuto inizio la cosiddetta “Operation Hold the Line” con cui si era aumentato il numero delle unità militari preposte al controllo della zona di frontiera tra El Paso (Texas) e Ciudad Juárez in Messico (ampliandola, in un secondo momento, allo Stato del New Mexico): vennero creati degli avamposti militari a distanza di un quarto di miglio l’uno dall’altro su tutta la zona perimetrale che si estendeva a venti miglia ad est e ad ovest della città statunitense. ” (http://www.bloglobal.net/2014/03/limiti-e-confini-il-boarder-wall-tra-messico-e-usa-2.html).
Oggi si torna sul tema e Francesco dice solo di temere per i poveri… Che Trump abbia davvero intenzione di far loro del male?
Riteniamo che Francesco dovrebbe scegliere meglio i suoi interlocutori, e che, prima di parlare, dovrebbe informarsi meglio. Perchè rischia davvero, sia quando parla di politica, che quando parla di storia ecc., di far fare alla Chiesa delle brutte figure.
Se si informasse, verrebbe a sapere che:
- Hillary Clinton è stata la candidata dei ricchi e di Wall Street
- Hillary Clinton ha speso in campagna elettorale il doppio, in milioni di dollari, di Trump
- Trump ha ricevuto il voto proprio dalle classi medie e povere.
- 11 novembre 2016
Cosa ha detto Papa Francesco a papa Scalfari su Donald Trump, banche, poveri e migranti
Al di là del non giudizio su Donald Trump (le elezioni non c’erano ancora state e il Papa s’è limitato a un “non do giudizi sulle persone e sugli uomini politici, voglio solo capire quali sono le sofferenze che il loro modo di procedere causa ai poveri e agli esclusi”) e la sdrammatizzazione dei contrasti interni alla Chiesa (“avversari non direi, la fede ci unifica tutti. Naturalmente ciascuno di noi individui vede le stesse cose in modo diverso”), stando a quanto riportato da Eugenio Scalfari su Repubblica, la conversazione con il Papa che ha avuto luogo lo scorso lunedì ha avuto come tema portante il lungo discorso di Francesco ai Movimenti popolari (pronunciato sabato scorso). Denaro, banche, poveri, migranti erano state le quattro direttrici prioritarie su cui era imbastito l’intervento papale. Scalfari ha chiesto a Bergoglio quale sia la sua preoccupazione principale in questo particolare momento storico.
LA PREOCCUPAZIONE PRINCIPALE E’ QUELLA DEI PROFUGHI
La risposta non è sorprendente: “Quella dei profughi e degli immigrati”. Le cause del fenomeno, ha spiegato il Papa, “sono molte e noi facciamo il possibile per farle rimuovere. Purtroppo molte volte sono soltanto provvedimenti avversati dalle popolazioni che temono di vedersi sottrarre il lavoro e ridurre i salari. Il denaro è contro i poveri oltreché contro gli immigrati e i rifugiati, ma ci sono anche i poveri dei Paesi ricchi i quali temono l’accoglienza dei loro simili provenienti da paesi poveri”. Questo, ha osservato ancora Francesco, “è un circolo perverso e deve essere interrotto. Dobbiamo abbattere i muri che dividono: tentare di accrescere il benessere e renderlo più diffuso, ma per raggiungere questo risultato dobbiamo abbattere qui muri e costruire ponti che consentono di far diminuire le diseguaglianze e accrescono la libertà e i diritti”.
“I COMUNISTI LA PENSANO COME I CRISTIANI”
Confermato il j’accuse al denaro, che a giudizio di Francesco “crea le diseguaglianze ed è contro quei provvedimenti che tendono a livellare il benessere e favorire quindi l’eguaglianza”. Parole che hanno molte assonanze con le teorie marxiane, ma il Papa si schermisce: “Semmai sono i comunisti che la pensano come i cristiani. Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi siano loro a decidere. Non i demagoghi, non i barabba, ma il popolo, i poveri, che abbiano fede nel Dio trascendente oppure no, sono loro che dobbiamo aiutare per ottenere l’eguaglianza e la libertà”.
“IL SANGUE PUO’ ESSERE SPARSO”
Il Papa, poi, spera che il movimento dei popolari (che comprende personalità quali Evo Morales, José Pepe Mujica, guerrigliero in pensione divenuto presidente dell’Uruguay) entri nella politica vera e propria, ma “non nel cosiddetto politichese, le beghe per il potere, l’egoismo, la demagogia, il danaro, ma la politica alta, creativa, le grandi visioni. Quello che nell’opera sua scrisse Aristotele”. Il fondatore di Repubblica domanda quindi al Pontefice se in questo scontro in cui è in gioco il potere sarà necessario che i movimenti popolari sostengano una guerra, “sia pure politica”, senza armi e senza spargimento di sangue. “Non ho mai pensato a guerra e armi”, risponde Francesco. “Il sangue sì, può essere sparso, ma saranno eventualmente i cristiani a essere martirizzati come sta avvenendo in quasi tutto il mondo a opera dei fondamentalisti e terroristi dell’Isis carnefici. Quelli sono orribili e i cristiani ne sono le vittime”.
“LA NOSTRA FEDE HA CONQUISTATO IL MONDO”
Insomma, conflitto sì, ma non come quelli in corso per annientare il cosiddetto califfato. “Non è questo il tipo di conflitti che i movimenti popolari cristiani portano avanti. Noi cristiani siamo sempre stati martiri, eppure la nostra fede nel corso dei secoli ha conquistato gran parte del mondo. Certo, ci sono state guerre sostenute dalla chiesa contro le altre religioni e ci sono state perfino guerre dentro la nostra religione”. Ma, precisa il Papa, “avvenivano quando le varie religioni e la nostra, come e a volte più delle altre, anteponevano il potere temporale alla fede e alla misericordia”.
http://formiche.net/2016/11/11/cosa-ha-detto-papa-francesco-papa-scalfari-su-donald-trump-banche-poveri-e-migranti/
Eugenio Scalfari e il papa. Dall'altra parte, c'è Cristo. - Danilo Quinto - 11 novembre 2016
Eugenio Scalfari e la massoneria.
11 novembre 2016
L’appartenenza di Berlusconi alla loggia p2 in Italia la conoscono tutti, benchè non sia chiaro quanto veramente vi fosse inserito e quanto sia servita alla sua carriera ( sembra siano stati più utili i rapporti coi socialisti).
Molto più reticenza, invece, c’è sul suo grande avversario politico e mediatico,
quel De Benedetti che possiede Repubblica, l’Espresso, e decine di altri giornali locali, e che ha permesso in buona parte l’ascesa prima di Rutelli e poi di Veltroni…
Sentiamo cosa scrive su di lui Ferruccio Pinotti nel suo “Fratelli d’Italia”, Bur (libro interessante per quanto spesso superficiale e acritico):
“De Benedetti risulta essere entrato nella massoneria a Torino, nella loggia Cavour del Grande Oriente d’Italia (GOI), ‘regolarizzato col grado di Maestro il 18 marzo 1975 con brevetto n.21272’ (Ansa, 5 novembre 1993). L’informazione è accertata in quanto proviene direttamente dal Gran Maestro del Goi Gustavo Raffi, che lo ha dichiarato pubblicamente nel 1993….Il Gran Maestro Raffi ha affermato che De Benedetti era ‘proveniente dalla massoneria di piazza del Gesù’. Quindi la sua affiliazione dovrebbe essere anteriore: a quando risale? Ancora più interessante sarebbe capire a quale loggia di piazza del Gesù appartenesse l’imprenditore. E’ noto infatti che la massoneria di piazza del Gesù, molto forte in Piemonte, aveva al pari del GOI delle logge coperte, la più celebre delle quali è stata Giustizia e Libertà, cui sarebbero appartenuti Cuccia, Merzagora, Carli e altre figure della finanza laica.Sembra inoltre che la Giustizia e Libertà sia confluita nel Grande Oriente nel 1973. Ma De Benedetti non è entrato nel Goi col grado di Apprendista: era già Maestro in una non meglio identificata loggia di piazza del Gesù. Quale? Impossibile stabilirlo, certo è curioso che molti anni dopo De Benedetti lanci un’iniziativa politica chiamata Libertà e Giustizia”, con Enzo Biagi, Umberto Veronesi, Giovanni Sartori, Umberto Eco, Claudio Magris….”Sta di fatto che, secondo Raffi, De Benedetti resta nel Grande Oriente, come Maestro, dal marzo 1975 al dicembre 1982. Un periodo estremamante significativo, in cui accadono molti eventi forti legati alla massoneria. Un anno dopo l’ammissione al Grande Oriente, nel 1976, a De Benedetti viene affidata la carica di amministratore delegato della Fiat…”.
“De Bendedetti entra ed esce dalla massoneria come da un taxi ” (Stefano Cigolani)
“Su “Roma fascista” Eugenio si mette subito in luce. Per sei mesi la inonda di corsivi e articoli…Un paio di brani, tanto per capire. E’ il 16 Luglio del 1942. Gli piace Mussolini. Ma la guerra va male. Ci sono critiche. Il ragazzo insorge: “Noi siamo pronti a marciare, a costo di qualsiasi sacrificio, contro tutti coloro che tentano di fare mercimonio della nostra passione e della nostra fede. E ancora oggi è la stessa voce del Capo che ci guida e ci addita le mete da attingere“. Titolo: Aristocrazia”. “Passa l’estate e gli viene il pallino dell’impero e della razza italiana. Il 24 Settembre esce l’articolo: Volontà di potenza. “Gli imperi quali noi li concepiamo” scrive Scalfari con un sussiego che sopravviverà al crollo del regime “sono basati sul cardine di razza escludendo perciò l’estensione della cittadinanza da parte dello Stato Nucleo alle altre genti“. “In redazione si va due volte alla settimana. Una per concordare i contenuti dell’articolo. L’altra per consegnarlo. Ma per festeggiare il ventennale della marcia su Roma col numero del 28 Ottobre 1942, Pintus [il direttore] convoca una megariunione dei redattori. I giovani decidono di fare un giornale di fuoco. Si sentono tutti moschettieri del Duce attorniato, secondo loro, da imbelli, pancepiene e traditori”.
“Ne viene fuori un numero che è un inno al fascismo rivoluzionario delle origini, allo stato etico, allo stato sociale sul tipo della futura repubblica di Salò, e compagnia cantante. Titolo di copertina: Primo ventennio: avanti verso la rivoluzione sociale. Mussolini, che aveva altre gatte da pelare, prende i redattori per dei pericolosi imbecilli. Chiude il settimanale colpevole di eccesso di zelo e manda tutti a spasso”. “Fascismo e GUF”, continua Perna, “erano comunque agli sgoccioli. Comincia a tirare un’altra aria. Quattro mesi dopo le riflessioni sull’imperialrazza, Scalfari ha già infilato un piede e mezzo nell’antifascismo”.
Nel libro di Giancarlo Perna, Scalfari, una vita per il potere, leggiamo anche: «Scalfari-padre era massone. Una tradizione di famiglia. Il capostipite fu don Antonio, che, a cavallo tra il sette e l’ottocento, fondò la Loggia della Calabria uniforme (…). Eugenio ha i ritratti degli avi che indossarono il grembiulino appesi nella sua villa di campagna, a Velletri. Su ognuno c’è l’emblema massonico scalfariano: uno scudetto a due campi: uno con la scure e l’altro con il ponte (…). Con la caduta del fascismo (…) Pietro (padre di Eugenio) fu tra i fondatori della loggia locale».
Molto più reticenza, invece, c’è sul suo grande avversario politico e mediatico,
quel De Benedetti che possiede Repubblica, l’Espresso, e decine di altri giornali locali, e che ha permesso in buona parte l’ascesa prima di Rutelli e poi di Veltroni…
Sentiamo cosa scrive su di lui Ferruccio Pinotti nel suo “Fratelli d’Italia”, Bur (libro interessante per quanto spesso superficiale e acritico):
“De Benedetti risulta essere entrato nella massoneria a Torino, nella loggia Cavour del Grande Oriente d’Italia (GOI), ‘regolarizzato col grado di Maestro il 18 marzo 1975 con brevetto n.21272’ (Ansa, 5 novembre 1993). L’informazione è accertata in quanto proviene direttamente dal Gran Maestro del Goi Gustavo Raffi, che lo ha dichiarato pubblicamente nel 1993….Il Gran Maestro Raffi ha affermato che De Benedetti era ‘proveniente dalla massoneria di piazza del Gesù’. Quindi la sua affiliazione dovrebbe essere anteriore: a quando risale? Ancora più interessante sarebbe capire a quale loggia di piazza del Gesù appartenesse l’imprenditore. E’ noto infatti che la massoneria di piazza del Gesù, molto forte in Piemonte, aveva al pari del GOI delle logge coperte, la più celebre delle quali è stata Giustizia e Libertà, cui sarebbero appartenuti Cuccia, Merzagora, Carli e altre figure della finanza laica.Sembra inoltre che la Giustizia e Libertà sia confluita nel Grande Oriente nel 1973. Ma De Benedetti non è entrato nel Goi col grado di Apprendista: era già Maestro in una non meglio identificata loggia di piazza del Gesù. Quale? Impossibile stabilirlo, certo è curioso che molti anni dopo De Benedetti lanci un’iniziativa politica chiamata Libertà e Giustizia”, con Enzo Biagi, Umberto Veronesi, Giovanni Sartori, Umberto Eco, Claudio Magris….”Sta di fatto che, secondo Raffi, De Benedetti resta nel Grande Oriente, come Maestro, dal marzo 1975 al dicembre 1982. Un periodo estremamante significativo, in cui accadono molti eventi forti legati alla massoneria. Un anno dopo l’ammissione al Grande Oriente, nel 1976, a De Benedetti viene affidata la carica di amministratore delegato della Fiat…”.
“De Bendedetti entra ed esce dalla massoneria come da un taxi ” (Stefano Cigolani)
Eugenio Scalfari
Ecco cosa scrive Giancarlo Perna nella sua “biografia non autorizzata”: Scalfari – Una vita per il potere (Leonardo editore, 1990), accolta al suo apparire, come scrisse l’autore, da un “fragoroso silenzio stampa”. Leggiamo da p. 13 e seguenti: “Come tutti, Eugenio ha aderito al GUF, la gioventù universitaria fascista. La sede è palazzo Braschi. Ecco perchè è lì, lontano dall’università, a due passi da piazza Navona, un giorno dell’inizio del ’42“. “Scalfari ha un’ispirazione: collaborare a “Roma fascista”, il settimanale del movimento…In redazione c’è Ferruccio Troiani col quale Eugenio simpatizza. Negli anni Cinquanta, saranno insieme all'”Europeo”. C’è Enzo Forcella, oggi editorialista di “Repubblica” e consigliere comunale di Roma eletto nelle liste comuniste nell’autunno del 1989. C’è Paolo Sylos Labini, futuro grande economista e collaboratore di “Repubblica”. Ci sono Luciano Salce e Massino Franciosa, registi cinematografici di sinistra degli anni Sessanta”…“Su “Roma fascista” Eugenio si mette subito in luce. Per sei mesi la inonda di corsivi e articoli…Un paio di brani, tanto per capire. E’ il 16 Luglio del 1942. Gli piace Mussolini. Ma la guerra va male. Ci sono critiche. Il ragazzo insorge: “Noi siamo pronti a marciare, a costo di qualsiasi sacrificio, contro tutti coloro che tentano di fare mercimonio della nostra passione e della nostra fede. E ancora oggi è la stessa voce del Capo che ci guida e ci addita le mete da attingere“. Titolo: Aristocrazia”. “Passa l’estate e gli viene il pallino dell’impero e della razza italiana. Il 24 Settembre esce l’articolo: Volontà di potenza. “Gli imperi quali noi li concepiamo” scrive Scalfari con un sussiego che sopravviverà al crollo del regime “sono basati sul cardine di razza escludendo perciò l’estensione della cittadinanza da parte dello Stato Nucleo alle altre genti“. “In redazione si va due volte alla settimana. Una per concordare i contenuti dell’articolo. L’altra per consegnarlo. Ma per festeggiare il ventennale della marcia su Roma col numero del 28 Ottobre 1942, Pintus [il direttore] convoca una megariunione dei redattori. I giovani decidono di fare un giornale di fuoco. Si sentono tutti moschettieri del Duce attorniato, secondo loro, da imbelli, pancepiene e traditori”.
“Ne viene fuori un numero che è un inno al fascismo rivoluzionario delle origini, allo stato etico, allo stato sociale sul tipo della futura repubblica di Salò, e compagnia cantante. Titolo di copertina: Primo ventennio: avanti verso la rivoluzione sociale. Mussolini, che aveva altre gatte da pelare, prende i redattori per dei pericolosi imbecilli. Chiude il settimanale colpevole di eccesso di zelo e manda tutti a spasso”. “Fascismo e GUF”, continua Perna, “erano comunque agli sgoccioli. Comincia a tirare un’altra aria. Quattro mesi dopo le riflessioni sull’imperialrazza, Scalfari ha già infilato un piede e mezzo nell’antifascismo”.
Nel libro di Giancarlo Perna, Scalfari, una vita per il potere, leggiamo anche: «Scalfari-padre era massone. Una tradizione di famiglia. Il capostipite fu don Antonio, che, a cavallo tra il sette e l’ottocento, fondò la Loggia della Calabria uniforme (…). Eugenio ha i ritratti degli avi che indossarono il grembiulino appesi nella sua villa di campagna, a Velletri. Su ognuno c’è l’emblema massonico scalfariano: uno scudetto a due campi: uno con la scure e l’altro con il ponte (…). Con la caduta del fascismo (…) Pietro (padre di Eugenio) fu tra i fondatori della loggia locale».
Paradossale a dirsi, bei tempi quando sembrava che il Vaticano, pochi anni fa, fosse stato trasformato in una specie di circo, con lotterie, palloncini e regalini.
RispondiEliminaOra, man mano che si alzano i sipari consecutivi proprio come al circo, sempre più ci si addentra in una realtà tenebrosa dove si balla un tango tragico.