ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 7 novembre 2016

Ma può, il papa, parlare così?

SE LA CHIESA SI AUTOMORTIFICA

Vuol dire che ha smesso di credere in se stessa. Ciò a cui stiamo assistendo è un suo continuo inchinarsi e strisciare in maniera talvolta servile davanti ai suoi interlocutori: questa non è mitezza bensì auto-disprezzo 
di Francesco Lamendola  


Esiste una differenza sostanziale fra il ripensare serenamente e onestamente il proprio passato, fare ammenda dei propri errori e domandare scusa a chi abbia subito dei torti, e il seguitare ad auto-mortificarsi ed auto-flagellarsi incessantemente, chiedendo scusa a tutti e assumendo il ruolo di chi si ritiene colpevole di ogni nefandezza, mentre tutti gli altri sono stati vittime innocenti, e hanno solo dei grossi crediti da riscuotere.
Il primo è l’atteggiamento che scaturisce dall’equilibrio, dalla conoscenza di sé, dall’assunzione delle proprie responsabilità, allo scopo di procedere senza scheletri nell’armadio, senza ipocrisie, senza falsi pudori, ma con lo sguardo rivolto in avanti e con la voglia di rendere il proprio passo sempre più sicuro, sempre più convinto e sempre più leggero; il secondo è quello di chi ha smesso di credere in se stesso, si disprezza, si sente il più indegno di tutti, il meno meritevole di perdono, e, magari inconsciamente, attende e spera di trovare qualcuno che, assestandogli il colpo di grazia,  ponga pietosamente fine alla sua lenta e insopportabile agonia.

Un individuo sano, una società sana, una grande istituzione sana, non seguono la seconda strada, ma la prima, se hanno voglia di continuare a esistere e se ritengono di avere ancora qualcosa da fare in questo mondo; altrimenti, ciò vuol dire che hanno scelto la strada del suicidio. Ora, da molto, da troppo tempo, la Chiesa cattolica sembra essersi posta su questa strada. In nome della pace, della verità, del dialogo interreligioso e dell’ecumenismo, non fa altro che domandare perdono a tutti quanti, come se fosse sempre stata una grande associazione a delinquere e non avesse niente, o quasi niente, di cui gloriarsi e di cui essere ringraziata dagli altri, compresi i non credenti, ad esempio per tutta una serie di valori morali che, nel corso del tempo, la stessa società civile ha fatto propri, ma che, all’inizio – cioè prima della diffusione del cristianesimo – non le appartenevano; primo fra tutti, l’idea della intrinseca dignità della persona umana.
Ciò a cui stiamo assistendo, a partire dal Concilio Vaticano II, è una continua auto-mortificazione, una continua auto-umiliazione della Chiesa, un suo continuo inchinarsi e strisciare, in maniera talvolta servile, davanti ai suoi interlocutori, come se avesse solo delle colpe da farsi perdonare e nulla di buono di cui esser fiera: ma questa non è mitezza, bensì auto-disprezzo; non è onestà intellettuale, ma infatuazione ideologica dell’altro, solo perché diverso da sé; non è buona volontà, ma stanchezza esistenziale e istinto di auto-distruzione. Le cronache recenti ce ne offrono continui esempi, nelle forme più varie di uno stillicidio quotidiano. C’è da chiedersi quanto potrà ancora resistere una Chiesa siffatta, che sembra avere scelto la strada dell’eutanasia, invece di affrontare con piglio sicuro e con l’ausilio insostituibile delle virtù teologali – fede, speranza e carità -, dono della Grazia divina, le prove causate dall’addensarsi minaccioso delle tenebre della modernità.
Da un po’ di tempo a questa parte, infatti, pur di ricucire i rapporti con i protestanti, i cattolici sembrano aver messo la sordina al culto mariano, alla centralità del miracolo eucaristico, alla grandezza del libero arbitrio; abbiamo appena sentito il papa Francesco che, a Lund, in Svezia, citando la similitudine evangelica della vite e dei tralci, suggeriva che sia i cattolici, sia i luterani, se restano divisi, sono come i tralci staccati dalla vite, rami inutili e secchi, destinati a bruciare nel fuoco. Ma può, il papa, parlare così? Può suggerire il fatto che il cattolicesimo, dopo lo scisma protestante, ha perduto la sua ragion d’essere, e che la Chiesa è diventata un ramo secco? Se la Chiesa, in questi 500 anni, è rimasta fedele al Vangelo – fedele teologicamente; perché, moralmente, può avere avuto dei momenti di debolezza e di cedimento – come si può affermare che essa è divenuta simile a un ramo secco? Solo perché Lutero ha voluto uscirne, tentando, per giunta, di distruggerla con ogni mezzo? Ci si può domandare per che cosa Thomas Moore abbia offerto la testa alla mannaia del boia di Enrico VIII, e tanti altri martiri cattolici abbiano affrontato la morte per mano dei protestanti, visto che la Chiesa cattolica, dopo mezzo millennio, si è “accorta” che, in fondo, anche questi ultimi avevamo le loro buone ragioni, al pari delle sue; e che, dopotutto, bisogna ringraziarli, perché, senza di essi, non ci sarebbe stata nemmeno la Riforma cattolica. E poco importa se i protestanti, nei Paesi ove hanno preso il potere – con la spada dei principi, al vero e quasi unico scopo di rubare i beni della Chiesa, e non certo, come vorrebbe una goffa propaganda, per una adesione spontanea delle masse: che furono massacrate nella guerra dei contadini del 1525, appunto con la benedizione ai carnefici da parte di Lutero – hanno portato la religione letteralmente all’estinzione, oltre che alla nemesi del peccato che viene riabilitato e santificato: valga per tutti l’esempio del vescovo donna di Stoccolma, apertamente lesbica e sposata con un’altra  donna. È per riabbracciare questi “cristiani” che il papa è andato in Svezia? Ed è per non offendere la loro suscettibilità che si è deciso, solo molto a malincuore, a tenere una Messa anche per i cattolici di quel Paese, però il giorno dopo quella interconfessionale coi luterani, onde non venir sospettato di scarsa delicatezza o, peggio ancora, di voler fare del proselitismo (una parola diventata improvvisamente bruttissima e quasi impronunciabile, sotto questo pontificato)?
Se da quello coi luterani si passa al dialogo con i giudei, anzi, coi nostri “fratelli maggiori”, come li chiamava Giovanni Paolo II, il quadro non cambia, anzi: cosa non ha fatto e cosa non farebbe una certa neochiesa modernista e progressista, pur di sollevare costoro dalla responsabilità di aver messo in croce Gesù, di aver perseguitato i suoi apostoli, di aver continuato a maledire la figura del Redentore? Quante scuse sono state porte al popolo eletto, da parte dei cristiani, per le persecuzioni del passato (ignorando il fatto che le persecuzioni non furono mai dei cristiani in quanto tali, ma di singoli governi; e che gli ebrei ricambiarono con gli interessi, ogni qualvolta ne ebbero l‘occasione, come quando i Persiani invasero la Palestina, nel VII secolo). Ma si è mai visto un rabbino, uno solo, chiedere perdono ai cristiani per il processo e la crocifissione di Cristo? Mai lo si è visto e mai lo si vedrà. E perché dovrebbero farlo, se la premura dei cristiani nei loro confronti arriva al punto di stravolgere il racconto dei Vangeli, pur di attenuare e di minimizzare la responsabilità del Sinedrio nella condanna a morte di Gesù, e di addossare quasi tutto il peso di quella condanna sui romani? Veramente, tutti e quattro i Vangeli, nonché gli Atti degli Apostoli, dicono esattamente il contrario: che a volere, e volere ad ogni costo, la morte di Cristo, furono i giudei, mentre Ponzio Pilato fece di tutto per non condannarlo: ma che importa? Pur di non recare offesa ai “fratelli maggiori”, si sono visti e si vedono fior fiore di teologi cattolici e di preti cattolici dichiarare, né più, né meno, che i Vangeli, almeno su questo punto, non dicono il vero, ma caricano le accuse sulla groppa dei giudei, al solo scopo di ingraziarsi i romani (il che è assurdo, visto che la prima predicazione cristiana si rivolgeva innanzitutto ai giudei, e poi ai pagani). Ma si rendono conto, siffatti teologi e preti, di quel che hanno fatto e che stanno facendo? Stanno dichiarando che il Vangelo non è parola verissima di Dio, ma parola umana, per giunta tendenziosa e inattendibile: e solo per compiacere i membri di un’altra religione, la religione i cui membri (non tutti, certo) si presero la responsabilità di volere la more di Cristo (il suo sangue ricada su noi e i nostri figli, dissero). Si può immaginare un esempio di auto-mortificazione più spinto, più delirante, e, oltretutto più sacrilego, dato che per piacere agli uomini costoro non esitano a sbugiardare la parola di Dio?
Passiamo agli islamici. Non sono “fratelli maggiori”, ma sono comunque fratelli nella religione del Libro, dicono i cristiani politically correct. E anche nei loro confronti, quante violenze e quante colpe,  cominciando con le Crociate e proseguendo con lo sfruttamento coloniale! È vero che, in questi ultimi anni, essi hanno fatto fuori un milione di cristiani nei Paesi del Nordafrica e del Vicino Oriente, e ne hanno costretti alla fuga altri milioni; che i loro terroristi uccidono e terrorizzano le popolazioni cristiane, dal Senegal al Mali, dalla Nigeria al Kenya, rapiscono le ragazze e le usano come schive sessuali; ed è pur vero che hanno seminato di attentati sanguinosi le strade di Londra, di Madrid, di Parigi, di Bruxelles, di Nizza, e sgozzato un prete cattolico sull’altare, mentre diceva Messa, in una chiesa della Normandia: ma che volete farci, sono piccole minoranze di pazzoidi, che non devono gettare alcuna ombra sul dialogo, fraterno e costruttivo, fra noi e loro. Anzi: è sembrato opportuno invitare nelle chiese cristiane, a pregare – per Allah, non certo per Cristo - con i cristiani, nel bel mezzo della santa Messa, i devoti islamici: quasi per rendere  omaggio a quel povero prete ottantenne, martire della fede in Gesù. Bisognerebbe vedere, tuttavia, se costoro hanno accettato l’invito con le medesime intenzioni dei cristiani. Un indizio, per chi non sia accecato dai pregiudizi buonisti e progressisti della neochiesta postconciliare, dovrebbe darlo la sorte riservata alle minoranze cristiane del Pakistan, dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi; basterebbe vedere se la presenza dei cristiani, che venissero a pregare Gesù Cristo, sarebbe gradita nelle moschee; o anche, più semplicemente, se essi hanno libertà di costruire le loro chiese e di seguire la loro fede per conto proprio, e questo anche nei Paesi “democratici”, dove sono una minoranza non tanto esigua, e molto più antica della comunità islamica, come nel caso dei Copti in Egitto.
Se, adesso, dal “dialogo” con le altre religioni si passa al cosiddetto dialogo con i non credenti, che poi sono i nemici dichiarati e irriducibili della Chiesa di Cristo, la situazione appare se possibile, ancora più sconfortante. Alla morte di Marco Pannella - il campione del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, delle unioni civili, dei matrimonio omosessuali e della libera droga -, il portavoce del papa ne ha tessuto l’elogio, come di persona degnissima e stimabilissima. Anche la radicale Emma Bonino è persona bene accetta in Vaticano e di sicuro più “grata” di certi cattolici che si permettono di nutrire perplessità o di avanzare critiche sulla linea interreligiosa ed ecumenica di papa Francesco. E che dire di quella incredibile intervista con il gran papa della setta gnostico-massonica, radicalmente atea e anticristiana, Eugenio Scalfari, rilasciata da papa Francesco proprio all’inizio del suo pontificato? In compenso, la massima severità è stata esercitata, fin da subito, contro i francescani dell’Immacolata, evidentemente non altrettanto graditi al “nuovo corso” di papa Bergoglio. Oppure, se un teologo come padre Cavalcoli si permette d’ipotizzare un legame fra certe calamità naturali e il dilagare del peccato fra gli uomini, sotto forma di un avvertimento divino, monsignor Angelo Becciu a nome del Vaticano, per non parlare della C.E.I. di monsignor Galantino (quello che ha dichiarato aver Dio risparmiato, e non già distrutto, Sodoma e Gomorra, le città peccatrici), si scagliano con furia contro il malcapitato; oltretutto travisando le sue parole, e gettandolo in pasto ai leoni, senza neanche prendersi la briga di ascoltare la registrazione originale del programma radiofonico “incriminato”, sulle frequenze di Radio Maria.
Insomma: Pannella glorificato, Scalfari e Bonino portati in palmo di mano, Calvalcoli e i francescani dell’Immacolata condannati, umiliati, emarginati. E tutto questo all’ombra di un pontificato che ha voluto presentarsi, fin dall’inizio, come contraddistinto da spirito di apertura, di tolleranza, di dialogo. Certo, dialogo con tutti, apertura e buona volontà verso tutti, e anche qualcosa di più del dialogo: fino alla auto-mortificazione, come abbiamo visto; ma non nei confronti di quegli ostinati cattolici  che non sono d’accordo, e che il papa ha definito “rigidi” ed esposti al pubblico ludibrio dal pulpito di Santa Marta, asserendo che dietro la rigidezza c’è qualcosa di nascosto e di non bello, una doppia vita, se non una vera e propria malattia. Di nuovo, poniamo la domanda; può, il papa dei cattolici, parlare così di una parte non insignificante del suo gregge? È questo il linguaggio del Buon Pastore, che ama le sue pecorelle e le va a cercare, una ad una, per evitare che anche l’ultima si smarrisca? Ed è un linguaggio tale che le pecorelle possano riconoscere, è una voce che ai loro orecchi suoni familiare, come quella del Buon Pastore?
Ahimè. Con papa Francesco è giunta al culmine la spettacolarizzazione della figura del pontefice, una brutta tendenza incominciata, forse in buona fede, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Papa Francesco sa riempire le piazze, come le riempiva Wojtyla; ma non è altrettanto bravo a riempire le chiese. Perché la religione viva, bisogna che siano piene le chiese, non le piazze. Ma se nelle chiese si vedono vescovi andare a spasso in bicicletta; si ode uno strimpellare di musiche e canti banali, che riecheggiano il pop degli spettacoli profani, e se nel catechismo si riduce la religione cattolica a una burletta, a uno scherzo, a un teatro di marionette; e se si vedono preti e vescovi che ardono dal desiderio di celebrare in chiesa matrimoni omosessuali: allora non c’è da stupirsi che le chiese si svuotino. Com’è già accaduto nei Paesi protestanti, che furono l’avanguardia della secolarizzazione.
Riflettano bene, quanti presiedono ai destini (umani) della Chiesa: è questo che Dio vuole per lei?... 

Se la Chiesa si auto-mortifica continuamente vuol dire che ha smesso di credere in se stessa

di Francesco Lamendola

2 commenti:

  1. Grazie! Gli interventi del prof. Lamendola sono sempre chiarissimi ed estremamente puntuali, oltre che pienamente condivisibili.

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  2. Poiché proprio all'inizio si parla di "differenza sostanziale", è necessario parlare per essenze: la Chiesa è essenzialmente "santa", come professato nel Credo. In quanto tale non ha colpe per cui chiedere scusa; se colpe vi sono state, sono da imputare ad un elemento umano. Ma questo è ormai morto e sepolto e non ha senso chiedere scusa per altri a nome di Chi è santo. Ognuno chieda scusa davanti a Dio per il proprio peccato, ma si lasci stare la Chiesa che nella gloria è già santa e immacolata (cfr. Ef 5,27).

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