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domenica 13 novembre 2016

“Perché a me?”

Male fisico, bontà e Giustizia divina

Nel mio precedente post ho analizzato la questione dei disastri naturali alla luce di una visione prettamente filosofica; qui intendo invece dare un taglio più teologico alla vicenda, la quale mi porterà a trattare anche del problema dell’esistenza dei castighi divini.

Tutto parte dalla constatazione dell’esistenza del male fisico nel mondo, dato questo del tutto innegabile e che non può essere svicolato. Cosa si intende con “male fisico”? Solitamente designiamo con ciò un evento non causato dall’agire umano, il quale arreca della sofferenza e del dolore. Di fronte a tali eventi, non serve a nulla l’ottica determinista (filosofica, non scientifica) secondo cui tutto ciò che accade è meccanicamente determinato fin dall’inizio del tempo: trovatemi un terremotato che se la prende con il determinismo meccanicista. La prima domanda che ogni persona colpita da una catastrofe naturale si fa è “perché a me?”, aggiungendo solitamente “cosa ho fatto di male?” È questo il punto di partenza da cui intendo abbozzare una replica, che non intende essere esaustiva – sarebbe puramente utopico – ma che ha l’intento di non far cadere nell’assurdo, che è l’esatto opposto di una risposta.

La prima cosa da mettere in chiaro per poter dare una qualche risposta è che il rapporto del cristiano con Dio non è un do ut des, del tipo “io prego, vado a Messa, ma in cambio mi deve andare tutto bene”, cosa questa che si può assimilare ad un “sia fatta la volontà dell’uomo”. Anche perché i progetti umani interferiscono sempre tra loro: è chiaro che una visione do ut des è assurda sotto tutti gli aspetti. E questo è una prima risposta, sebbene molto cruda: Dio non è ai comodi nostri, che io sia Papa, capo di stato o semplice fedele e mendicanteMa sorge spontanea la domanda: Dio allora può fare quello che vuole, senza curarsi di nulla e nessuno? Se ci fate caso, ponendo questa domanda non fate altro che ridurre Dio ad uno spettatore che interferisce col mondo quando ne ha voglia – cosa questa che Lo renderebbe soggetto al tempo, e dunque non staremmo parlando di Dio, ma di qualcos’altro che nemmeno esiste. Va tenuto presente che Dio non ha i nostri limiti temporali e prospettici: non essendo soggetto al tempo, ed essendo il creatore, non c’è nulla che sia esterno alla sua influenza, né nello spazio né nel tempo, e quindi non ha alcuna difficoltà a conoscere tutte le conseguenze di un evento, per quanto nel lontano futuro. Non porterebbe all’essere degli eventi dai quali non potrebbe trarre del bene, per quanto a noi sfugga tutto ciò: alzi la mano chi di voi sa cosa accadrà tra 200 anni ad Amatrice, o ad Arquata o a San Severino Marche – se non lo sapete voi, Dio lo conosce, e quindi è più indicato di voi a rispondere alla domanda “perché il male nel mondo?” Va chiarito che dei singoli eventi traumatici non possiamo sapere il motivo. Non possiamo sapere nel dettaglio che un certo evento ha portato certi beni, oltre a far crollare paesi ed a causare la morte di alcune persone: ciò che intendo sostenere è che Dio conosce cose che noi ignoriamo, e questo è sufficiente per fidarsi del Suo agire.

Ma c’è un ultimo tassello in questo puzzle: se Dio è buono per essenza, tutto ciò che fa o crea è necessariamente buono? La risposta è no. Solo in Dio essere e bene coincidono, per cui tutto ciò che è creato non è buono nella sua essenza. La questione è difficile, ma chiunque di noi sa di non essere buono per essenza, e ciò vale anche per le cose inanimate. Se perciò noi e il mondo non siamo buoni quanto lo è Dio, l’unica cosa che possiamo fare di fronte al male nel mondo è rivolgerci a Dio in preghiera perché sia fatta la Sua volontà e non la nostra. Se infatti non siamo buoni, perché Dio non potrebbe sconvolgere i nostri piani, visto che ne conosce le conseguenze meglio di noi? Ecco quindi che dare l’essere ad una catastrofe naturale non implica che Dio sia malvagio perché sconvolge i nostri piani con degli eventi traumatici.

Ma se non siamo buoni, vuol dire che possiamo anche fare del male. E Dio sa meglio di noi quanto le nostre azioni possano portare male nel mondo, e per quanto tempo. Ecco quindi il fondamento teologico del castigo divino: la non permissione di certe azioni umane, per evitare mali peggiori. Vista sotto questo punto di vista, è chiaro che anche il castigo divino non compromette la bontà divina, anzi: correggere un figlio, evitare che faccia una cosa che farà del male a lui e ad altri è tutt’altro che incompatibile con la bontà divina. “Punizione” infatti non è da intendere come “fare del male a Tizio perché così impara” – visione questa molto infantile della questione. Purtroppo il discorso sulle punizioni divine è spesso viziato da tale concezione del castigo, che è del tutto erronea, e sono il primo a dire che una cosa del genere è da rigettare a tutti i livelli, anche umani. Ma ciò non vuol dire che Dio non possa sconvolgere i nostri piani per evitare un male peggiore.

A livello teologico e scritturale, la Bibbia contiene degli eventi che vengono indicati dagli agiografi come “castighi divini”, sia nell’antico testamento (cos’è infatti la cattività babilonese se non il castigo divino dei peccati del popolo? E non lo dico io, lo dicono i profeti) che nel nuovo: pensate a Mt 11, 20-24: questo passaggio (come altri) difficilmente si possono interpretare diversamente da correzioni divine verso borgate precise (che peraltro oggi non esistono più). Oppure pensate all’Apocalisse: il messaggio fondamentale non è che l’uomo si castiga da solo, ma che certe sue azioni gridano vendetta al cospetto di Dio. Come è del tutto testualmente infondato sostenere che certi eventi non sono indicati dalla Bibbia come castigo divino, così è altrettanto assurdo dire che le punizioni riguardano solo il tempo precedente la venuta di Cristo: forse il Dio dell’antico testamento non era lo stesso di quello di Gesù Cristo?

Ciò che certi giornalisti e che molti ecclesiastici non capiscono è che la loro “teologia” che esclude le punizioni divine è viziata da una visione preconcetta del termine “castigo”, ed è in nome di questo che affermano urbi et orbi che Dio non può punire perché è buono. Ci sarebbe da aprire il discorso di quanto siano buoni gli ecclesiastici che hanno censurato e punito padre Cavalcoli o. p., ma qui conviene ringraziare Dio del fatto che costoro non sono Dio – anche se ogni tanto occorre rammentarglielo.
di Riccardo Zenobi

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