ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 19 dicembre 2016

L’opzione Sarajevo 2.0?

Turchia, è “Archduke moment” o destabilizzazione interna? Di certo, ricorda molto Sarajevo nel 1914

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False flag doveva essere e false flag, forse, è stato. E in grande stile. Alla vigilia di un incontro preparatorio al vertice trilaterale previsto per il 27 dicembre a Mosca fra Russia, Turchia e Iran per il futuro della Siria, a cui avrebbe paertcipato anche il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, l’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov, è stato ucciso in un attentato a colpi d’arma da fuoco, mentre presenziava alla mostra fotografica “La Russia vista attraverso gli occhi dei turchi”. Altre quattro persone sono rimaste ferite ma, almeno in due casi, non pare in maniera fatale.
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Un testimone oculare dell’agenzia RIA Novosti ha così raccontato l’accaduto: “L’ambasciatore stava tenendo un discorso per l’apertura della mostra e, improvvisamente, durante l’orazione, si è sentito gridare “Allah Akbar” e qualcuno ha cominciato a sparare. L’obiettivo era l’ambasciatore, perché dopo gli spari, l’attentatore ha lasciato uscire le altre persone dalla stanza”. Un fotografo dell’Associated Press, anch’egli presente sulla scena, ha confermato che l’attentatore ha sparato più volte, otto o più colpi. In un video della sparatoria,
Footage of Russian Ambassador Shot Dead in Turkey | 'We die in Aleppo, you die here'
si sente l’attentatore gridare “Io non mi scordo della Siria, io non mi scordo di Aleppo” e, subito dopo, avrebbe detto “io non uscirò vivo da qui ma finché non ci sarà sicurezza in quei posti (la Siria, ndr), allora nemmeno tu assaporerai la sicurezza”.
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L’uomo, come nella migliore tradizione, compiuto il suo lavoro, è stato ucciso dalla polizia turca. Quindi, non potrà parlare: di lui sapremo ciò che Ankara vorrà farci sapere. Il grande tradimento di Erdogan? O forse, piuttosto, la prova che le purghe messe in atto dopo il tentato golpe del 15 luglio non sono state sufficienti a sradicare la rete di collegamento tra estremismo islamico, servizi di sicurezza, parte dell’esercito e i servizi d’intelligence occidentali che hanno come unica priorità la deposizione di Bashar al-Assad in Siria? Che si tratti del classico attentato ad orologeria, utilizzando l’utile idiota fanatico di turno, ci vuole poco a capirlo: con la tensione presente sul caso siriano, l’ambasciatore russo in Turchia viene protetto così poco durante un’uscita pubblica?
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Poi l’urlo “Allah Akbar” e il proclama su Aleppo e la Siria, con il rappresentante diplomatico di Mosca utilizzato come bersaglio simbolico della vendetta: gli spari, in rapida sequenza, letali pare solo per l’ambasciatore e, poi, il beau geste di lasciare andare via gli altri presenti all’evento. Infine, i colpi di arma da fuoco che hanno chiuso per sempre la bocca al vendicatore islamico. Pare che l’attentatore si sia identificato come un funzionario di polizia all’ingresso della mostra, stando a una fonte militare turca citata da Interfax: “Abbiamo informazioni, da un testimone, che l’attentatore si sia presentato come un funzionario di polizia, mostrando un documento all’entrata. Stiamo controllando la validità di questa informazione”. Il quotidiano Yeni Safak lo ha identificato come un uomo nato nel 1994, le cui iniziali sarebbero M.M.A. e che avrebbe frequentato l’accademia di polizia nella città di Izmir.
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Non so voi ma quell’attentatore mi ricorda, terribilmente, Gavrilo Princip, l’anarchico serbo bosniaco che uccise l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria e sua moglie Sofia, durante una visita ufficiale a Sarajevo il 28 giugno 1914. Se ben ricordate, fu il prologo, il casus belli, il flash-point, per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. E si gela il sangue a pensare a cosa ha detto, non più tardi di tre giorni fa, Barack Obama nel suo ultimo discorso di fine anno da presidente degli Usa: “Il sangue dei siriani è sulle mani di Assad, della Russia e dell’Iran”. E ancora: “Ben poco succede in Russia senza il consenso di Vladimir Putin, voglio mandare un messaggio chiaro a Mosca e ad altri, non continuate a fare questo perché possiamo cominciarle a farlo anche noi”. Certo, il presidente parlava di hackeraggio ma ha anche parlato di altri tipi di risposta, “non obbligatoriamente pubbliche” La rete di Fethullah Gulen si è premurata di fornire la logistica, facendo ora ricadere la colpa sull’Isis o su qualche cellula islamista impazzita?
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E se la pista fosse interna, ovvero scaricare su Gulen e gli Stati Uniti quella che invece è una scelta folle di Ankara per non perdere la Siria? Immediatamente dopo la notizia della morte dell’ambasciatore, il sindaco di Ankara, Melih Gokcek, ha definito l’assassino “un gulenista”, di fatto suggerendo che la Turchia è pronta a gettare ogni responsabilità sul governo ombra e in esilio guidato dal predicatore che vive da anni in Pennsylvania. Dal canto suo, il Dipartimento di Stato si è limitato ad avvertire i cittadini americani di stare lontani dall’ambasciata ad Ankara. Poi, l’accusa di Mosca: “Consideriamo l’assassinio dell’ambasciatore un grave fallimento della misure di sicurezza della Turchia”. C’è poi la terza ipotesi: accreditare la destabilizzazione interna, dimostrando al mondo come le purghe post-golpe di Erdogan siano state necessarie e non ancora sufficienti ma, nei prossimi giorni, rendere note – o fabbricare – prove che inchiodino il suo governo o apparati ad esso vicini all’attentato. Sarebbe entrare nel campo del diabolico ma ormai non mi stupisco più di nulla. Di certo ci sono due cose: primo, come ci mostrano questi grafici,
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la reazione del mercato. La lira turca è sprofondata con un tonfo peggiore di quello seguito al rialzo dei tassi della Fed, mentre gli indici statunitensi hanno virato al ribasso e l’oro è schizzato all’insù. Tutti segnali che prefigurano una crisi seria. Secondo, questo attentato è un chiaro segnale a Mosca: non pensare di essere player unico per la Siria e il Medio Oriente, a partire dal trilaterale del 27 dicembre prossimo, il quale facilmente sarà spostato a data da destinarsi. Chi ha armato la mano di quell’uomo voleva spezzare innanzitutto la fragile fiducia che Vladimir Putin aveva ritrovato in Recep Erdogan, dopo il caso del Mig abbattuto, la palese ambivalenza e opacità tenuta dal presidente turco nei confronti dell’Isis e la decisione di entrare in territorio siriano con le proprie forze armate, ufficialmente in chiave anti-curda.
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Ora Vladimir Putin dovrà decidere se continuare a comportarsi da scacchista, mantenendo sangue freddo di fronte a quella che è una provocazione di gravità inaudita o forzare la mano, cercando di capire chi c’è dietro davvero: casualmente, proprio oggi il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva approvato la risoluzione per Aleppo che apre le porte agli osservatori, chiamati a vigilare sullo sgombero dei civili e dei miliziani arresi dalla parte Est della città. Il veto russo questa volta è stato evitato proprio perché la bozza francese teneva conto dei rilievi e delle richieste di Mosca, finalizzate ad evitare ingressi incontrollati in una zona sensibile ma è chiaro che adesso la Russia potrebbe irrigidire e non di poco il suo atteggiamento, soprattutto sul campo in Siria.
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Non a caso, poco fa il ministero degli Esteri russo ha dichiarato di ritenere quanto accaduto “un atto terroristico” e che solleverà il caso al meeting del Consiglio di sicurezza dell’ONU di lunedì prossimo. In serata e nei prossimi giorni ne sapremo di più ma, se Erdogan si dimostrerà innocente, c’è la possibilità – folle – che qualcuno abbia voluto attivare il “Archduke moment”, ovvero l’opzione Sarajevo 2.0, prima che Donald Trump arrivi alla Casa Bianca e stabilizzi davvero le relazioni con Mosca. Se così fosse, vuol dire che il Deep State è davvero al controllo del Paese. E quindi nulla è più da escludersi, persino un ribaltone da parte dei Grandi Elettori che oggi sono chiamati, guarda caso altra coincidenza, a ratificare la vittoria del tycoon alle elezioni dello scorso 8 novembre. Mala tempora currunt. Stavolta davvero.

Di Mauro Bottarelli , il 

UN MINUTO A MEZZANOTTE: COLPO DI STATO IN USA, GUERRA ALLA RUSSIA, ARMAGEDDON? Aleppo, Trump, Putin: rettilari e verminai. Parte 2.



(Segue da Cap.1. Dove si era parlato di rettilari atlantici e verminai italioti scatenati su di noi per accecarci, assordarci e ammutolirci,  davanti all’inaudito spettacolo della sconfitta con sputtanamento a 360 gradi subita in Siria, e non solo, da coloro che dei rettilari e verminai sono i domatori e gestori)

ULTIM’ORA  Andrey Karlov, ambasciatore russo in Turchia è stato ucciso ad Ankara da un singolo attentatore mentre stava inaugurando una mostra fotografica.
La gravissima provocazione è stata accompagnata dalle urla "Ricordati di Aleppo" e "Allah U Akbar", tanto per indicare una paternità. Il killer, che ha agito indisturbato per diversi minuti, è stato ucciso dalla polizia. Ti pareva. E' il sistema: non devono poter parlare, proprio perchè avrebbero moltissimo da dire. I mandanti sono i soliti, lo sanno anche i russi. Sapranno reagire?

Sulle prime si può dire:
Che la sicurezza a protezione dell'ambasciatore era nulla. Nonostante che in Occidente sia in atto uno tsunami antirusso. La mancanza di protezione al più minacciato ambasciatore del paese rivela i mandanti. E questo va imputato al regime turco e all’organizzazione Nato di cui fa parte. Ma i russi non potevano premunirsi?
Che la sequenza di provocazioni terroristiche contro la Russia si arricchisce del più grave episodio possibile sul piano diplomatico e politico, seguendo l'abbattimento del Sukhoi 24 russo nel novembre 2015.
Che l'attentato viene 24 ore dopo la liberazione totale di Aleppo e la cattura da parte dei siro-russi del manipolo di ufficiali Nato, anche americani, israeliani di altri paesi occidentali, rintanati ad Aleppo Est da dove dirigevano il mercenariato  terrorista. Cattura che ribadisce, oltre ogni dubbio, l’identità di chi manovra il terrorismo internazionale, in Medioriente e nel mondo (vedi in fondo al pezzo).
Che Mosca farebbe bene a smettere di fidarsi di Erdogan, Kerry, Onu,e concludere con costoro accordi di tregua o altro, sistematicamente traditi e volti a favore dei mercenari di Nato, Golfo e Turchia.
Che tutto il terrorismo, islamista e non, è creatura USraeliana con il concorso di alleati e vassalli e, dunque, uno che si presenta come vendicatore di Aleppo liberata è uno strumento al servizio dei mandanti del terrorismo.
Che l'assassinio arriva nel momento del diapason di una forsennata campagna anti-russa e anti-Putin che, su input principale di una Cia in piena fase eversiva, sostenuta da un Obama in vena di colpi di coda demenziali, ha fatto mobilitare i servizi segreti e i media di tutto l'Occidente con al centro l'accusa,  tanto idiota quanto assurda, che Putin avrebbe manovrato, hackerato, cospirato, per demolire Hillary e far vincere Trump, per il quale dunque si dovrebbe prospettare un'operazione di rimozione, perchè traditore della patria, prima che venga insediato. Regime change, questa volta a casa. 
L’eventualità dell’impedimento a Trump, in una forma o nell’altra, a insediarsi presidente, attraverso il voto negativo del Comitato degli Elettori o altri strumenti, rischia di provocare qualcosa di simile a una guerra civile in Usa. Occasione per le definitiva fascistizzazione del paese. I campi di internamento sono già stati allestiti dalla FEMA (Protezione Civile) in tutti i 52 Stati dell'Unione, su ordine espresso di Obama.

Ci sta precipitando addosso qualcosa di brutto. 

E così i sibili del cobra uscito dal rettilario mediatico imperiale, passati per i latrati, squittii  e grugniti del bestiario eurocoloniale, per finire tra gli ultrasuoni di lombrichi e vermi solitari brulicanti nel cortile della marca Italia (e chiedo scusa per la pigra riproposizione di queste speciste similitudini animali)  hanno invece finito con lo schiarirci la vista e stapparci le orecchie. Ora sappiamo che:

       Putin ha personalmente hackerato, via Wikileaks, i computer del Partito Democratico e di Yahoo per svergognare Hillary e far vincere The Donald, amico suo. Non c’è la minima prova, Assange ha smentito, un alto diplomatico britannico, Craig Murray, ha confermato la smentita e l’origine interna dell’intervento sulle mail del Partito Democratico e di John Podesta, direttore della campagna di Hillary e sabotatore di quella di Sanders. Ma la Cia  lo ha detto a un oscuro e anonimo sito internet, PropOrNot, di sua creazione. Questi lo ha detto al Washington Post che lo ha detto all’universo mondo. Prove? Zero. Anzi, Il Washington Post ritratta e viene dimostrata l’esistenza di una gola profonda democratica che ha fornito a Wikileaks certe sconcezze prodotte dagli altifondi del partito per bloccare il rivale di “sinistra” Sanders. Ma che fa. Con fonti impeccabili come la Cia, come dubitare?

 (Piuttosto sarà interessante scoprire come si scioglie l’enigma di una Cia che dà addosso all’infiltrato di Putin Trump, di un FBI che ha fatto sgambetto a Hillary favorita della Cia, di un complesso militar-industriale che si vede onorato di torme di generali nella nuova amministrazione, insieme, però,  a promesse di pesanti tagli agli F35 e altri suoi redditizi giocattoli, di bacetti soffiati a Mosca e di telefonate alla dinamite fatte a Taiwan e contro Pechino. Un bel casino, in attesa che il burattinaio riconduca questo ambaradan a unità strategica).

2    Fino a ieri infestavano il  Medioriente, fiere schiere di subumani recanti il logo di Isis, Al Nusra, Al Qaida e sottosigle varie e con quelli si erano fatti conoscere, in video di indubbia fattura hollywoodiana, come orrende materializzazioni di film e videogiochi dell’orrore con cui Hollywood ci educa ai culti dello Zeitgeist moderno. Di colpo, grazie all’effetto Aleppo Est come elaborato da rettili e vermi, si sono miracolosamente trasformati in civili, eroi e martiri della democrazia, esposti al genocidio per mano del mostruoso Putin e degli apprendisti stregoni Assad, Hezbollah, iracheni e iraniani.

Gazzettieri CIA, sveglia!
Tali sono la frustrazione che questo tsunami senza precedenti di menzogne, calunnie, logiche surrealiste rivela, tale è la mobilitazione contro la Russia di tutto il mobilitabile dal New York Times ai vermiciattoli del “manifesto”, che davvero c’è stavolta da temere il peggio. Hanno dato la sveglia a quei giornalisti europei che, dopo l’Ucraina e per il risentimento dei tanti padroni italiani nei confronti delle sanzioni  antirusse che colpivano più il loro business che i russi, si erano un po’ assopiti. Ma come, si beccano dalla Cia 20.000 dollari di primo ingaggio e poi dormono? 

Mai dimenticarsi di Udo Ulfkotte, l’ex-editore del più autorevole quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung che, confessato di essere stato per una vita al soldo della Cia, ci ha rivelato, mai smentito, che non meno dell’80% dei giornalisti che contano nei media che contano sono a libro paga della Cia. Eseguono, in cambio di quell’ingaggio, di viaggi-premio a New York, di avanzamenti di carriera e altri benefit, quanto gli è commissionato volta per volta. Da un bel po’ di tempo a questa parte, diciamo dal fiduciario Rothschild, Eltsin, in qua, l’ordine di servizio è una robusta e martellante campagna russofobica e anti-Putin. Aprite i giornali, ascoltate la corrispondente da New York, o da fronti di guerra, seguite gli analisti nel talkshow, scorrete l’elenco degli appellanti di cui sopra, fate attenzione alla lobby talmudista e poi rileggetevi Udo Ulfkotte. E se non vi basta, considerate anche questa orgogliosa rivendicazione dell’ex-direttore della Cia William Colby: “La Cia possiede ogni giornalista di una certa importanza nei maggiori media”.
 
Anche Bergoglio è della crociata
Mi chiedo se questo vale anche per i papi. L’altro giorno, al culmine delle efferatezze dei terroristi sulla gente che scappava da Aleppo Est, dal rettilario del Vaticano è uscita un sibili diretto… ad Assad, a chi se no? La lettera del Bergoglio, già connivente con i generali della dittatura argentina, chiedeva al presidente siriano che difende il suo popolo da 6 anni di assedio del mondo, di “smetterla con la violenza, di non violare i diritti umani”. Mica a Obama l’ha mandata’sta fetecchia, mica a Erdogan, mica a re Salman… E’ la ciliegina su una torta impastata di ossa e sangue e da lui benedetta. L’aveva già fatto uguale il Ratzinger: noblesse oblige. Del resto il gesuita argentino che ha spodestato quello tedesco, si era già fatto valere per la sua irreprensibile fedeltà alla libertà e correttezza di comunicazione: Inserendosi nel pandemonio anti-libertà d’espressione (roba consueta nella Chiesa di Roma) come rappresentato dalla campagna contro le cosiddette “fake news”, ha sentenziato che è “peccato grave diffonderle, anziché educare il pubblico e certi scandali non vanno pubblicati, anche se sono veri” (sic!!!).

Tornando da Ulfkotte  il pentito tedesco ha anche raccontato come gli stessi servizi tedeschi venissero da lui a chiedergli di scrivere di Gheddafi e russi. E alla sua obiezione che non ne sapeva abbastanza, gli fornivano i materiali opportuni. Cosa pensate che succeda da noi che, come i tedeschi, abbiamo gli americani in casa a occupare basi, ministeri e servizi, con uno come Marco Minniti, testè elevato al rango di ministro degli Interni, ma che vanta una vita intera, a partire dal sodalizio con il noto Cossiga, spesa nei cunicoli di servizi segreti che a quelli Usa stanno come, per ripetere l’iniqua metafora, la vipera sta al cobra?

Sono i russi a decidere chi va nella Casa Bianca, mica la Cupola
E’ fantastica, affascinante, virtuosissima, la capacità di questi di volgere la realtà nel suo contrario. I russi hackerano gli Usa al punto da poter rovesciare gli esiti numerici di un’elezione presidenziale. Sottraggono milionate di dati, spiano, cospirano. Sa di ’ classico transfert freudiano: infatti su tutto questo ci piove come fosse Katrina. Fino a ieri, a schiarire la notte universale della privacy era stata la NSA statunitense, massima agenzia di spionaggio Usa ad essersi accomodata nei computer, tablet, smartphone e, dunque, nella vita privata di miliardi di persone, fin nelle blindatissime stanze di capi di governo o Stato come Merkel o Rousseff. Sparita, lavata con Dash, anzi da hacker russi. 

Fino a ieri i russi, bene o male, ammesso a denti stretti, erano intervenuti a fiancheggiare americani, Nato e illuminati del Golfo nell’epocale lotta contro la barbarie dei tagliagole, scuoiatori, crocefiggitori, bambini giustizieri, schiavisti sessuali  jihadisti e, dal momento che ci stanno riuscendo (tra l’altro sopperendo a bombardamenti Usa, finti, su Isis e Al Qaida e, veri, su civili e infrastrutture irachene e siriane), ecco che diventano quelli che, con Assad, radono al suolo Aleppo Est, vi “bruciano vivi i bambini” (Il Fatto Quotidiano e altri) massacrano le “opposizioni”  e sterminano civili con i barili-bomba (mai visti né documentati). Civili che sarebbero 100mila nei 2,5 km quadrati  riconosciuti ancora sotto Al Nusra e Co.: la più alta densità demografica del mondo…. Prima si parlava di 100mila bambini su 250mila abitanti in Aleppo Est: la popolazione, a dispetto della catastrofe in cui vegetava, più prolifica del mondo…..Da Aleppo Est, si afferma ora, sono riusciti a mettersi in salvo 18mila e pare ne siano rimasti pochini….

Tanto bruciano, non tanto gli immaginari bambini pianti delle nostre antenne ripetitrici, detti giornalisti, quanto lo sconvolgimento geopolitico determinato dalla sconfitta dei propri surrogati, da far abbandonare all’inquilino in uscita dalla Casa Bianca ogni finzione di combattente anti-terrorismo. La riconquista di Palmira è avvenuta perché, nell’urgenza di controbattere allo smacco di Aleppo, il primo di quella portata strategica dai tempi di Saigon, a Obama è stato detto di dismettere ogni finzione. Con i gregari curdi, travestiti da Forze Democratiche Siriane, ha aperto e accompagnato il trasferimento di 5000 mercenari Isis da Mosul, riaprendo a forza di bombe la strada che le milizie popolari irachene e iraniane avevano bloccato, per Raqqa e quindi per Palmira, presieduta da appena 1000 soldati siriani. E qui qualche domanda dovranno pur porsi i russi circa intelligence, osservazione e prevenzione.

O zitti o in galera? Se la scampiamo lo dobbiamo ad Assad.
La conclusione di quanto abbiamo preso in considerazione è, in misura sempre più evidente e drammatica, la seguente: In Occidente la libertà di stampa, e più ancora l’onestà di stampa, sono state uccise. Al di là  di una sempre più grossolana e strumentale deformazione dei fatti, delle cause, degli effetti, la dimostrazione ultima di questo assunto viene da un dato incontrovertibile e che si è andato radicalizzando man mano che le difficoltà per l’Impero crescevano. La voce dell’altro, qualsiasi voce non controllata, deve essere soppressa. A partire dal bombardamento, o dalla neutralizzazione tecnica, delle centrali di comunicazione dei paesi aggrediti, in Serbia, Iraq, Libia, Siria, Iran, fino alla demonizzazione di organi d’informazione della massima affidabilità e professionalità, come RT, o Sputnik, o Press TV (Iran), o Telesur (Venezuela), perché appartenenti a Stati dichiarati nemici e dunque ontologicamente inattendibili. Una dimostrazione di insicurezza e di timore di verità altre che denota l’aleatorietà della propria, non meno di quanto la riveli la repressione dei vari cosiddetti negazionismi. Che sono quelli in cui il bue dà del cornuto all’asino.

Ultimamente si è arrivato al diapason di questa campagna di apartheid delle notizie e opinioni, di chiusura nei campi di concentramento della censura  di ogni voce non solo mediatica, ma soprattutto di rete, che non sia riconosciuta e patentata voce del padrone. In Germania e Francia sono passate norme che puniscono i diffusori di “fake news”, cioè di verità altre (si era cominciato con il carcere ai “negazionisti”). E’ di nuovo il Washington Post a lanciare la campagna contro il nemico del momento, appunto queste “Fake News”, notizie false, bufale, campagna ormai estesa all’intero armamentario mediatico occidentale, con protagonista di nuovo l’immancabile Russia, ma con obiettivo diretto e nominato i “social network”. Quelli che chiamiamo MSM (Main stream media), quelli che, con il fantoccio Powell, hanno esibito al mondo prove delle armi di distruzione di massa di Saddam, quelli che si sono inventati le bombe sul proprio popolo di Gheddafi e Assad, quelli che ci hanno rifilato l’11 settembre come lavoro di Osama bin Laden, quelli che, con appresso i chierichetti dei diritti umani,  definiscono dittatura ogni governo il cui paese vogliono sbranare e il cui popolo depredare ed eliminare, quelli del più turpe menzognificio non religioso mai esistito, quelli che il più grande masskiller nella storia dei presidenti Usa è stato “il migliore presidente dopo Washington e Lincoln”, quelli che a Kiev hanno salvato la democrazia, quelli che a Dresda (200mila morti a guerra spenta, più che a Hiroshima) hanno salvato la Germania dal nazismo..
Queste epica associazione a mentire per delinquere ha iniziato la caccia alle “fake news”, ai bugiardi annidati nella rete e ovunque si esprima anche solo un alito di dissenso,  di alterità. Ci stanno venendo a prendere tutti. Neanche un granello di sabbia deve inserirsi negli ingranaggi della guerra contro la Russia. Quella che deve mettere Trump davanti al fatto compiuto, o ce lo deve costringere (mentre lui magari pensava a staccare la Russia dalla Cina per poi fare la guerra al bersaglio più grosso)…

Da Aleppo verso il futuro, come da Stalingrado
Aleppo è liberata e il concerto umano ha ragione di levare inni alla gioia. Palmira lo sarà sicuramente, lo hanno promesso Assad e Putin e sono  le parti più affidabili. Poi dovrebbe toccare a Idlib nel nord, ai miserabili curdi delle pulizie etniche a nord est, a Deraa nel Sud. Per ricomporre la Siria libera, sovrana, socialmente equa, antimperialista e anti-sionista che abbiamo conosciuto dal momento della sua indipendenza e della liberazione dal colonialismo francese in poi. Tutto questo, però, costituisce un tale affronto a chi s’è visto strappare di mano il timone, da farci aspettare di tutto. Un tutto che dai soliti noti ci verrà presentato come l’ineluttabile necessità di salvarci dall’orso russo avviato a divorarci tutti.
Questi occhiuti cronisti, circospetti analisti, pensosi commentatori, sdegnati umanitari che appendono striscioni per Aleppo ai municipi, come già per altri falsi scopi, Giulio Regeni, le due Simone, Sakineh Ashtiani, la Shalabajeva (complice del furfante banchiere kazako  Ablyazov, inseguito per furti di milioni dalle polizie di mezzo mondo, ma qui fatto passare per dissidente)  e altri martiri inventati dell’imperialismo, si scordano  un piccolo particolare. 

Chi ha iniziato tutto questo, chi ha sconquassato la Siria e l’intero Medioriente ammazzando tra Iraq, Libia, Siria e Yemen, più di tre milioni di innocenti esseri umani? Chi ha assoldato in giro per il mondo trucidi e psicopatici arnesi della più efferata violenza e li ha lanciati contro Stati sovrani, popoli sereni e pacifici, civiltà millenarie, a compiere inenarrabili orrori per poi, nel nome della guerra al terrorismo, completare in prima persona le devastazioni e i genocidi, svuotare i paesi degli esseri sopravvissuti, perché  a quei popoli sia negato il futuro e, a forza di alluvioni umane, sia compromesso quello di paesi europei da tener sotto scacco, con l’effetto non tanto collaterale di ridurre a Stati di polizia e di mafia i paesi nati dalla resistenza antifascista? 

NATO TERRORISTA
Il deputato al parlamento siriano e presidente della Camera di Commercio di Aleppo, Fares Shehabi, ha pubblicato una prima lista, non esaustiva, degli ufficiali stranieri (Nato e Golfo) arrestati nel bunker di Aleppo Est da dove coordinavano le operazioni dei terroristi di Al Nusra e associati. Si tratta di ufficiali che hanno declinato le proprie generalità e ammesso la loro funzione. Sono stati catturati altri militari di nazionalità diverse,  britannici, tedeschi, francesi, di cui i nomi non sono stati ancora resi noti. Nessuna smentita da parte dei governi degli ufficiali arrestati. Molte conferme dai media.
Mutaz Kanoğlu — Turquie
David Scott Winer — États-Unis
David Shlomo Aram — Israël
Muhamad Tamimi — Qatar
Muhamad Ahmad Assabian — Arabie saoudite
Abd-el-Menham Fahd al Harij — Arabie saoudite
Islam Salam Ezzahran Al Hajlan — Arabie saoudite
Ahmed Ben Naoufel Al Darij — Arabie saoudite
Muhamad Hassan Al Sabihi — Arabie saoudite
Hamad Fahad Al Dousri — Arabie saoudite
Amjad Qassem Al Tiraoui — Jordanie
Qassem Saad Al Shamry — Arabie saoudite
Ayman Qassem Al Thahalbi — Arabie saoudite
Mohamed Ech-Chafihi El Idrissi — Maroc

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