“The Young Pope”: impressioni a caldo su Pio XIII
La nuova serie del regista premio Oscar mette in scena un
Papa che si nasconde e si nega ai fedeli. Ma anche un Papa mediatico e “aperto”
come Bergoglio ha più di un lato in ombra
Passano i giorni e il neoeletto Papa non si decide a
pronunciare la sua prima omelia. Ha sognato di affacciarsi in Piazza San Pietro
e di dire al mondo intero che, per secoli, in nome della fede, "abbiamo
dimenticato di masturbarci, usare il preservativo, lasciare che i preti e gli
omosessuali si sposassero: abbiamo dimenticato di essere felici".
Poi si è svegliato, lavato ed ha quasi fischiettato ascoltando la radio:
tonico, andante, sfidante, bellissimo. Americano. Ieri sera le prime due
puntate di "The Young Pope", la prima serie tv firmata e
diretta da Paolo Sorrentino, sono andate in onda su Sky (ne restano altre otto,
poi arriverà anche la seconda stagione, sulla quale il regista è già all'opera)
e chissà se a qualcuno è venuto in mente che il Pio XIII della fiction, in
borghese Lenny Belardo, forma con Papa Francesco, l'amato Bergoglio
arrivato dalla fine del mondo, uno spettacolare combinato disposto. Due
uomini di Dio, uno vero e uno di fiction, che si nascondono in due modi opposti
e complementari, uno esponendosi e l'altro ritraendosi, con un obiettivo unico: la
rivoluzione reazionaria dell'origine, il ripristino della purezza.
Lenny canticchia; dubita; si definisce "una
contraddizione, come Dio che è uno e trino"; fuma (persino nel palazzo
apostolico e nel confessionale); non ha rughe; nomina come proprio Segretario
particolare una donna, suor Mary, sua precettrice, vice mamma e vice papà (i
genitori l'avevano abbandonato o erano morti - non è chiaro - quando lui era
molto piccolo); gioca a biliardo; si rifiuta di far stampare la sua immagine
sui gadget pietrificando Sofia Dubois, la responsabile marketing e
comunicazione del Vaticano, corsa a strappargli qualche scatto spiegandogli che
una fetta importante dell'economia dello Stato si regge sulla vendita di accendini,
calendari e memorabilia con sopra il volto del Pontefice ("lei ha studiato
ad Harvard, dove le hanno insegnato a decadere: qui, invece, proviamo ad
elevarci"); argina, quasi fino al mobbing, il Cardinal Voiello, Segretario
di Stato (forse la migliore, perché inattesa, interpretazione di Silvio
Orlando) corrotto, traffichino, spudoratamente temporale.
Fino a quando, alla fine della seconda puntata, Lenny non
tiene l'omelia che il mondo aspetta, non ci capacitiamo dello stridore tra la
promessa riformatrice che la sua immagine, la sua età, l'America, le sigarette,
la donna al suo fianco incarnano e il risvolto opposto del suo agire: fondamentalista,
oscuro, respingente. "Se volete vedermi, non mi meritate", dice
ai fedeli che, assiepati in migliaia in piazza San Pietro, gli domandano di
mostrarsi, poiché è sera e lui ha disposto che nessuna luce gli illumini il
volto. Si è presentato sul balcone dei Papi e anziché dire, come aveva sognato,
"ci siamo dimenticati di essere felici", ha detto "vi siete dimenticati
di Dio". Ha accusato tutti di essere schiavi della carne,
dell'apparenza, delle foto, della tangibilità, della faciloneria, del
godimento. Della vita. Ha detto che Dio va meritato, conquistato,
che a lui si deve dedicare tutta la propria vita, altrimenti misera e
irrilevante poiché solo Dio conta. E così le bandierine smettono di sventolare,
i papa boys di cantare, la piazza di esultare. Niente American Dream,
niente papato progressista, niente Chiesa per tutti: soffia un vento che sa di
controriforma, Savonarola, Medioevo. E scoppia un temporale.
In conferenza stampa, Sorrentino ha dichiarato di aver
voluto mostrare il lato debole e umano della Chiesa, la solitudine di un
mondo ovattato dove il potere è gestito da "maschi che non fanno
figli", un luogo d'amore dove nessuno ha mai amato e, soprattutto, di aver
pensato a un Papa che fosse l'opposto dell'attuale. Lenny Belardo
non è mai esistito, ma la sua storia è vera, perché "una storia, quando
viene raccontata, è sempre vera". Così scrive Dino Baldi nel suo
splendido "Vite efferate di Papi" (Quodlibet, 2015), introducendo la
storia della papessa Giovanna, che non ha alcun fondamento storiografico, ma
che molto ha condizionato la storia della Chiesa e che, ancora oggi, viene
tramandata soprattutto dai cultori del sottobosco vaticano, spesso
responsabili, come spiega lo stesso Baldi nella postfazione al libro, di
calunnie che, nei secoli hanno finito col dipingere i Papi con efferatezza
spesso di gran lunga superiore a quella di molti di loro, compresi quelli che
non disdegnavano il demonio (come Silvestro II di Aurillac, che a lui si era
venduto in cambio del sapere o Bonifacio VIII Caetani, che ne venerava una
effigie pagana).
Sorrentino sa perfettamente quello che fa e sa pure che
questo non significa possederne il significato: stavolta, forse, il significato
del suo Papa, senza che se ne rendesse conto, glielo ha suggerito il nostro
Papa.
Il Papa di Sorrentino, però, è vero in un altro senso
ancora: è lo sliding doors di Bergoglio. Confortati da quel
"Francesco", dalla periferia dalla quale arrivava, dai suoi modi
gentili, da Twitter che ha spezzato le sue frasi, dal richiamo alla povertà,
agli ultimi, abbiamo creato un Papa a nostra immagine e istanza.
Volevamo un Papa gay friendly e così abbiamo trasformato la sua risposta -
"chi sono io per giudicare?" - alla giornalista Ilze
Scamparini, che gli aveva chiesto un parere sulla presunta lobby gay nella
Chiesa, in una dichiarazione di apertura verso i matrimoni omosessuali.
Francesco si era semplicemente rifatto a San Paolo di Tarso ("perché
giudichi tuo fratello?", dalla lettera ai Romani). E sebbene Bergoglio
abbia ripetuto diverse volte che l'ideologia gender minaccia il matrimonio, che
la famiglia è sotto attacco, che si mira a distruggere la differenza sessuale
perché "non si sa più confrontarsi con essa" (lo disse a Napoli, era
il 22 marzo del 2015 e aveva incontrato i giovani della città sul Lungomare
Caracciolo), appare ancora il papa che sta sbullonando, attualizzando,
modernizzando il cattolicesimo.
Giuliano Ferrara ha scritto che "questo Papa piace
troppo", lo ha accusato di "rappresentarsi il mondo come un
cuoricino di bontà e misericordia" e di riscuotere un successo da box
office senza effettivamente muovere un dito, senza pronunciare parole
importanti sui temi fondamentali, rinunciando al "volto severo della
dottrina" e simulando quell'accoglienza che è poi la ragione per la quale
ci viene così facile fraintenderlo, farne una specie di pop star. Eppure, Papa
Francesco aveva cominciato il suo pontificato con un'omelia ai cardinali
durante la quale aveva detto chiaramente che "quando non si confessa Gesù
Cristo, si confessa la modernità del diavolo". Al mondo disse che la
Chiesa non doveva diventare una ONG. Su La Repubblica scrissero che era finito
per sempre il Barocco. Esultammo perché trovammo finalmente incarnato il
messaggio evangelico. Eppure, anche Belardo incarna il messaggio
evangelico: ma poiché non coccola, poiché si fa invisibile, si sottrae,
rimprovera, richiama al sudore e alla difficoltà della fede, sembra opposto a
Bergoglio.
Sarà che un gesuita non mostra mai quello che pensa davvero,
sarà che gli uffici stampa sono fatti per nascondere la notizia, come diceva
Pinuccio Tatarella, ma se alle azioni dei Papi non si deve cercare un senso -
Pio II - dixit, è interessante almeno immaginare che questo Belardo sia nato
nella fantasia di Sorrentino non in opposizione alla realtà, ma
sull'onda di una sua spinta, invisibile come ogni vero, immutabile, non
scalfibile potere. Sorrentino sa perfettamente quello che fa e sa pure che
questo non significa possederne il significato: stavolta, forse, il significato
del suo Papa, senza che se ne rendesse conto, glielo ha suggerito il nostro
Papa.
http://www.linkiesta.it/it/article/2016/10/22/the-young-pope-il-giovane-papa-di-sorrentino-e-bergoglio-allo-specchio/32159/
The Young Pope di Paolo Sorrentino: sublime o contorto? Il
dibattito è aperto
Sublime. Anzi bello. Forse criptico. Quasi un incubo. O è una ciofeca? Spettatori e critici si dividono sull’ultima opera diPaolo Sorrentino: la serie tv The Young Pope. Quello che è certo è il successo di pubblico.
COSA DICE DON MILANI
“Senza polemica ma come constatazione”, premette don Davide Milani, presidente della Fondazione dello Spettacolo e della Commissione nazionale valutazione film della Cei, quando Repubblica gli domanda una valutazione della prima puntata di The Young Pope, la serie che su Sky ha fatto il botto d’ascolti. Il ragionamento, poi, è quello previsto: “La realtà della Chiesa è ben diversa da quella mostrata nel film. Tutti possono conoscere chi sia davvero il Papa e quale sia la passione evangelica – assente da questa opera – che lo muove. Non soltanto Francesco, ma anche i predecessori erano ben lontani da quanto ho visto. E anche il popolo di Dio, qui presentato come massa di spettatori che attendono in piazza il Papa-divo per il suo show, è ben diverso nella realtà”.
IL COMMENTO DI AUGIAS
Si è scatenato un dibattito scontato attorno alla serie complicatissima e raffinatissima di Sorrentino, che solo per il fatto d’essere girata da Sorrentino deve per forza essere stupenda e densa di significati reconditi e/o sofisticati elementi di lettura critici e culturali. Subito s’è parlato di fotografia impietosa della Chiesa piegata dagli scandali e dalle malefatte di qualche suo rappresentante più o meno autorevole (va di moda), quindi di paragoni con una realtà che semplicemente non esiste. Lo scrittore Corrado Augias su Repubblica (forse senza accorgersene e dopo aver naturalmente notato che “il successo è meritato”) sottolinea che probabilmente la cosa più interessante della serie sia il fatto che al momento non si capisce dove Sorrentino voglia andare a parare: “Il segretario di Stato potrebbe sembrare una specie di Andreotti fatto cardinale, ma si intuisce che la sua personalità non è solo quella del vecchio maneggione di curia”.
L’IMMAGINE DELLA CHIESA IN UNA SERIE TV
La prima scena spiega un po’ tutto, ed è la solita solfa trita e ritrita di chi pretende un aggiornamento e un cambiamento della Chiesa pur tenendosi da essa a debita distanza, salvo poi plaudire a Papa Bergoglio perché considerato un rivoluzionario che vorrebbe fare della curia un gulag nordcoreano e autorizzare quel che tutto da sempre è stato vietato. Si prenda l’omelia che il Pio XIII (nome che ad Augias prova turbamenti intensi, anche perché “la figura di Pio XII non ha ancora una sistemazione storica definitiva, fu un Papa rigidamente conservatore, sospettato di simpatia verso il regime nazista che lo portò a sottovalutare in modo grave lo sterminio del popolo ebraico” – cose tutte da provare e più volte smentite, ma della cui veridicità gli esterni alla Chiesa sono da decenni convinti) sogna di pronunciare ai cardinali dopo l’elezione: “Ci siamo dimenticati di masturbarci, di usare contraccettivi, dell’aborto, di celebrare i matrimoni gay, di dare la possibilità ai preti di amarsi e di sposarsi, ci siamo dimenticati di avere rapporti senza scopo di procreazione, e senza sentirci in colpa, di divorziare, di far celebrare la messa alle suore, di fare figli in tutti i modi che la scienza ha scoperto. Ci siamo dimenticati di essere felici”.
PAPA CATTIVO VS PAPA BUONO
Il commento più azzeccato è quello che compare sulla Stampa di Torino: The Young Pope è l’abbattimento di ogni cliché ecclesiastico e ancor più papista. E’, cioè, la ruspa che abbatte decenni di vezzeggiativi e quintali di miele su tutto ciò che il Papa (da quello definito “Buono” a quello regnante cui si dedicano murales di dubbio gusto) dice e fa. Il Papa di Sorrentino è cattivo, sprezzante di tutto ciò che lo circonda. A cominciare dagli uomini, dai fedeli che lo acclamano e che al suo cospetto paiono solo dei poveretti adulatori di un divo dello spettacolo.
LA REPRIMENDA DI FAMIGLIA CRISTIANA
Il critico del settimanale Famiglia Cristiana, Maurizio Turrioni, descrive il Papa- aw (“Il Papa bono” secondo i lazzi del web) come “una macchietta che strizza l’occhio al pubblico americano”. E ancora, pur tra lodi per la potenza visiva di Sorrentino, la richiesta di violare il segreto della confessione è “blasfemia” e lo sguardo del regista sulle cose di Chiesa (“Nemmeno una preghiera in due ore”) è “freddo, un bluff piuttosto che un flop”.
UNA FINZIONE SENZA PRETESE
Con la trascendenza, con i santi e i martiri, The Young Pope non c’entra niente. Ed è un bene. Forse, per tornare a quel che diceva don Milani, basterebbe prendere la serie tv per quel che è: “Una finzione, un romanzo, forse un sogno. O un incubo”. E guardarsela (se lo si desidera) senza pensare di trovarvi una chiave per capire il Mistero più profondo della fede.