ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 28 gennaio 2017

Grillectomia

Guerra a Caffarra, il "massimalista" della famiglia
Il professor Andrea Grillo, sulla rivista Munera, continua il suo attacco contro il cardinal Caffarra, che egli giudica come l'alfiere di un "disastro massimalistico", fautore di una teologia "intollerante". Nel farlo cita il teologo Bernhard Haering. Ma quel che Grillo attacca, sulla scia di Haering, altro non è che il magistero di San Giovanni Paolo II. E in particolar modo la sua enciclica Veritatis splendor con cui condannava il relativismo morale.

«Il Magistero sa cambiare, Caffarra no». Questa è l’opinione del professor Andrea Grillo che sul sito della rivista Munera continua un misericordioso attacco al cardinale Carlo Caffarra che insieme ad altre quattro porpore ha sottoposto al pontefice i famosi dubia, dubbi, sull’interpretazione del capitolo VIII di Amoris laetitia.
Caffarra, già primo preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia, viene considerato l’alfiere di un «disastro massimalistico» della teologia morale e del Magistero. Lo aveva scritto, dice Grillo, il «grande moralista Bernhard Haering» in un articolo pubblicato sulla rivista dei dehoniani, Il Regno, nel 1989. «Allora Caffarra poteva determinare “la posizione del magistero” in materia familiare e sessuale, con un massimalismo e una intransigenza del tutto unilaterali».
Ma non basta. Per Grillo, che cita Haering, il cardinale arcivescovo emerito di Bologna è fautore di una teologia «intollerante e semplificatrice», con una posizione teoretica che impedirebbe «qualsiasi forma di “convenienza”, di “epikeia”, di “discernimento”». Quella di Caffarra sarebbe «una intelligenza dell’etico puramente formale e fredda», addirittura «disumana» nel risolvere le questioni di etica sessuale e matrimoniale.
Ovviamente tutta questa freddezza, questa insipiente brutalità, è stata fermata da Amoris laetitia. Caffarra, secondo Grillo, ai suoi tempi, «ha rappresentato una rottura grave e pesante (…) di cui porteremo ancora a lungo i segni e le cicatrici», ma finalmente un Magistero «serio, solerte, appassionato e fedele alla grande tradizione della Chiesa, alla sua meravigliosa complicatezza e alla sua sorprendente ricchezza» ha segnato non solo la fine di «un incubo», ma la fine di «un delirio».
Dispiace che in questi decenni il cattolico professor Grillo, ben addentro alle università pontificie, agli ambienti di varie diocesi italiane, seminari e circoli di fedeli adulti, sia stato costretto a vivere in una Chiesa così tetra e delirante. Verrebbe, infatti, spontaneo chiedersi come abbia fatto a sopravvivere nel suo ruolo di fedele e di stimato professore cattolico, dovendo convivere con un magistero come quello di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Deve essere stata veramente dura, forse è stato attraversato da moltissimi dubia. Immaginiamo il tormento interiore nel doversi confrontare, ad esempio, con un’enciclica come Veritatis splendor.
Il “grande teologo” Haering, insieme ad altri campioni della contestazione ecclesiale e teologica degli anni sessanta, settanta e ottanta del secolo scorso, ora «sorride dall’alto», dice Grillo, come a farsi beffe di quel monsignore [Caffarra, nda] che allora terremotava la Chiesa con il suo incedere arcigno e insensibile. Qui si sente il sapore della rivincita, un sentimento molto umano, ma non troppo evangelico. Peraltro il professor Grillo è in sintonia con i desiderata del vescovo di Anversa, monsignor Johan Bonny, che nelle sue richieste inviate a Roma per il sinodo 2014 invocava il superamento di una «determinata scuola di teologia morale, costruita su una propria interpretazione della legge naturale». Una interpretazione, ça va sans dire, determinatasi dopo «Humanae vitae e Familiaris consortio», paradigmi di un magistero evidentemente ritenuto per nulla serio, solerte, appassionato e fedele alla grande tradizione della Chiesa.
Secondo Bernard Haering, e altri teologi contestatori, la legge naturale si fa liquida. Viene interpretata come una morale che sa rispondere ai “segni dei tempi”, assumendo e seguendo i nuovi paradigmi dell’umanità. I criteri oggettivi si fanno assenti anche per la distinzione del peccato veniale da quello mortale, aprendo le porte ad una rischiosa morale della situazione. Guarda caso quella stessa da cui metteva in guardia quel magistero ritenuto massimalista, unilaterale e disumano che è presente in Veritatis splendor. «Secondo queste teorie», si legge al n°75 dell'enciclica di Giovanni Paolo II, il “papa della famiglia”, «la volontà libera non sarebbe né moralmente sottomessa a obbligazioni determinate, né informata dalle sue scelte, pur rimanendo responsabile dei propri atti e delle loro conseguenze». In poche parole, si apre la porta alla cosiddetta “etica della situazione”.
Comunque il “grande teologo” preso a riferimento dal tormentato Grillo viene richiamato dalla congregazione per la Dottrina della fede il 27 febbraio 1979, per ritrattare le sue posizioni contro l’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI. Rifiutò. Dieci anni dopo la stessa congregazione pose il veto alla pubblicazione di un libro  che avrebbe dovuto contenere gli atti di un congresso di moralisti cattolici svoltosi a Roma, all'Accademia alfonsiana, nell'aprile dell'88. Il volume avrebbe dovuto riportare una relazione del padre Haering, nella quale criticava l'antropologia e la teologia che sottostanno alla stessa enciclica. Si trattava, come dice Grillo, di «proscrizioni curiali», oppure di legittimi richiami perché il teologo sconfinava oltre la grande, meravigliosa e ricca tradizione della Chiesa?
Il fedele che volesse orientarsi in questo dibattito potrebbe riferirsi alle parole che il papa emerito, Benedetto XVI, ha riservato all'enciclica Veritatis splendor, in un libro del 2014 dedicato a Giovanni Paolo II. Alla domanda su quali siano state le più importanti encicliche del papa polacco, Ratzinger ne cita 4, ma dedica più spazio a una quinta. Guarda caso: Veritatis splendor.  «Il grande compito che il Papa si diede in quest’enciclica», ha spiegato il papa emerito, «fu di rintracciare nuovamente un fondamento metafisico nell’antropologia, come anche una concretizzazione cristiana nella nuova immagine di uomo della Sacra Scrittura. Studiare e assimilare questa enciclica rimane un grande e importante dovere». Perché, disse, «rimane di immutata attualità».
di Lorenzo Bertocchi28-01-2017 A
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-guerra-a-caffarrail-massimalistadella-famiglia-18772.htm

Il «teologo» Andrea Grillo, ovvero «La misericordia pelosa»

sabato 28 gennaio 2017


Gli alfieri della misericordia pelosa, come il professor Andrea Grillo docente di teologia (sacramentaria e liturgica) presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo in Roma e di tante altre cose ancora (QUI), attaccano il mite cardinale Carlo Caffarra. Lo fanno con l’insulto, essendo a corto di argomenti cattolici, e lo fanno da riviste “cattoliche”. Scrive Grillo sul sito della rivista Munera:

In un articolo sul “Regno” del 1989, firmato dal grande moralista Bernhard Haering, si denunciava con forza il sorgere di una “teologia intollerante”, che veniva ricondotta, almeno in Italia, alla figura del giovane Carlo Caffarra.
Con una intelligenza dell’etico puramente formale e fredda, egli risolve drasticamente – disumanamente – tutte le questioni di etica sessuale e matrimoniale.
I dubbi espressi da Mons. Caffarra contro AL sono in realtà la fine di un mondo. Forse la fine di un incubo. Sicuramente la fine di un delirio.

Molto “misericordioso”, vero? Grillo chiama in causa, come suoi maestri, niente meno che il padre redentorista Bernhard Haering e il teologo don Luigi Sartori e scrive che, finalmente, il Magistero ha preso la loro linea. In particolare, “Haering chiedeva una mediazione papale ed episcopale, che ponesse un freno a questo piano inclinato. Abbiamo aspettato quasi 30 anni. Il vero punto di arresto di questo disastro massimalistico – che tanto ha influenzato soprattutto il lavoro dell’Istituto Giovanni Paolo II – è rappresentato da “Amoris Laetitia”, che permette di superare una morale fredda da scrivania e recuperare il calore di una lettura pastorale della tradizione morale cristiana”.
Mai è stata data dimostrazione migliore e involontaria della necessità dei cinque dubia!
Addentriamoci nei meandri del pensiero di Bernhard Haering e di Luigi Sartori. Cominciamo dal primo. Scrive Bertocchi sulla Nuova Bussola (QUI):

Secondo Bernard Haering, e altri teologi contestatori, la legge naturale si fa liquida. Viene interpretata come una morale che sa rispondere ai “segni dei tempi”, assumendo e seguendo i nuovi paradigmi dell’umanità. I criteri oggettivi si fanno assenti anche per la distinzione del peccato veniale da quello mortale, aprendo le porte ad una rischiosa morale della situazione. Guarda caso quella stessa da cui metteva in guardia quel magistero ritenuto massimalista, unilaterale e disumano che è presente in Veritatis splendor. «Secondo queste teorie», si legge al n° 75 dell’enciclica di Giovanni Paolo II, il “papa della famiglia”, «la volontà libera non sarebbe né moralmente sottomessa a obbligazioni determinate, né informata dalle sue scelte, pur rimanendo responsabile dei propri atti e delle loro conseguenze». In poche parole, si apre la porta alla cosiddetta “etica della situazione”. Comunque il “grande teologo” preso a riferimento dal tormentato Grillo viene richiamato dalla congregazione per la Dottrina della fede il 27 febbraio 1979, per ritrattare le sue posizioni contro l’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI. Rifiutò.


Padre Haering, comunque, rimase al suo posto. Anzi, alla fine del 1988 venne diffuso dai mass media mondiali un testo di Bernhard Haring fortemente critico verso il pontificato di Giovanni Paolo II – in particolare per l’appoggio da lui dato alla benemerita opera di Mons. Carlo Caffarra in materia di etica sessuale –, seguito, il 15-1-1989, dalla cosiddetta Dichiarazione di Colonia, scritta proprio da Haering in Chiedere l’opinione di vescovi e teologi, in Il Regno-Attualità, anno XXXIV, n. 2, 15-1-1989, pp. 1-4 e firmata da numerosi ed influenti teologi tedeschi, olandesi, svizzeri e austriaci (per approfondire QUI). Naturalmente, non potevano mancare i teologi italiani che, il 15 maggio 1989, firmarono il cosiddetto Documento dei sessantatre. Tra i firmatari, ovviamente, Luigi Sartori e nomi oggi molto “prestigiosi” (in calce l’elenco completo): Enzo Bianchi, Alberto Melloni, Enrico Chiavacci, Giuseppe Alberigo, Franco Giulio Brambilla, Davide Maria Turoldo e, famoso per i bresciani, Giacomo Canobbio.
Torniamo a Luigi Sartori, riconosciuto suo maestro da Grillo, lasciamo la parola a quel Gigante della Teologia che risponde al nome del Venerabile Padre Cornelio Fabro, che nel 1973 scrisse:

E la teologia italiana? Sembra al momento trovarsi in fase di piena ebollizione. Certo è che se non i teologi più formati e maturi, la numerosa squadra dei giovani, che muove e forma l’attività dell’A.T.I., si è messa alle complete dipendenze della teologia progressista tedesca accettando a occhi chiusi la «svolta antropologica». Lo stesso Presidente di detta Associazione teologica si è messo all’avanguardia non solo del discepolato italiano di Rahner ma ha spezzato anche fieramente una lancia a favore e in difesa della punta estrema del progressismo teologico contemporaneo, che è il ben noto Hans Küng. Infatti Luigi Sartori, contro gli scandalizzati per le tesi estremiste di Küng negli ultimi libri, ne difende – secondo quanto riferisce compiaciuto lo stesso Küng – non solo la continuità e coerenza con le prime opere, ma ne esalta e approva il metodo e le posizioni. Infatti lo stesso Sartori spiega: «Comunque, si poteva aspettare altra cosa da Küng? Da quando egli fa teologia, non cessa di dialogare, di condurre una riflessione comune con altri. Egli non separa mai
la verità dall’uomo. Egli rappresenta, nella maniera più coerente, un modello
risolutamente ecumenico di praticare la teologia». Anzi, Küng è proposto dal Sartori a modello di spirito scientifico e di ecumenismo: «Non si sarebbe dovuto accontentarsi, nella Chiesa cattolica e in particolare con i teologi cattolici, di ammirare [sic!] l’esempio di Küng e di portarlo alle stelle, ma bisognava anche seguirlo, imitarlo, moltiplicarlo! Invece di questo, lo si è lasciato solo a lato della breccia da lui aperta ed egli deve proseguire praticamente solo l’esperienza di apertura della teologia». E Küng per suo conto conclude gongolante: «Ciò che i teologi tedeschi non hanno visto [in apertura il Küng critica le critiche del teologo rahneriano K. Lehmann al quale ora contrappone l’adesione del disinvolto Luigi Sartori, presidente dell’A.T.I.] non è sfuggito a questo italiano accorto: “Fin dalla prima opera di Küng, La giustificazione, si percepisce intuitivamente il suo programma nascosto: il raggiungimento dell’esperienza della reinterpretazione ecumenica [cioè ‘negazione’] delle tesi fondamentali dell’ecclesiologia, per esempio, del primato e dell’infallibilità” (pontificia e della Chiesa)». Sono le tesi che Küng, com’è noto, ha demolito e continua a irridere con spavalda baldanza, lieto e compiaciuto della solidarietà del theologus officialis della Commissione episcopale italiana.


Quindi, maestro di Grillo, in un certo senso, è anche Hans Küng, il che è una garanzia al contrario!
La domanda è: Come mai, oggi, ci ritroviamo un Grillo docente di Teologia? Come siamo giunti sin qui, direbbe Re Theoden?

Questo è stato l’effetto pernicioso dell’eresia modernista. Il 6 luglio 1973 vi fu la pubblicazione, da parte della Congregazione per la difesa della fede, della dichiarazione dottrinale Mysterium Ecclesiae riguardante i nuovi errori teologici sull’infallibilità della Chiesa. Essa fa seguito alla dichiarazione del 1972 contro le deviazioni dei teologi progressisti sui misteri della Trinità e dell’Incarnazione. Questo non ha arginato il modernismo per una ragione molto semplice, profetizzata nel 1974 con vibrante parresia da padre Cornelio Fabro (L’avventura della teologia progressista Rusconi Editore. Prima edizione gennaio 1974):

Ci sia permesso osservare, con sommo ossequio di fedeli ma con pari franchezza di credenti, che il documento rischia di rimanere un monumento isolato – e forse anch’esso soggetto a irrisioni e contestazioni – se a sua coerenza l’autorità non si impegnasse alla sua difesa anche sul piano pratico purificando l’ambiente teologico: anzitutto quello delle cattedre delle università cattoliche e dei seminari, passate in gran parte agli pseudo-progressisti, e poi quello altrettanto importante dell’editoria cattolica, che ha sfornato specialmente in questo ultimo decennio, e spesso con l’approvazione ecclesiastica, merce di ogni genere, in cui l’aberrazione teologica si è sbizzarrita fino ai limiti dell’irriverenza e della sconcezza.

[…] Il problema essenziale non è il ripristino né dell’Index librorum prohibitorum né delle carceri del S. Uffizio, ma quello dell’orientamento sicuro della coscienza cristiana: se nella prima parte del secolo la regula fidei è stata guidata nella linea della Pascendi di san Pio X e della Humani generis di Pio XII, oggi non dev’essere permesso ai teologi di cambiarla e di farsene beffe.


Questo non è stato fatto né allora da Paolo VI, né dopo e adesso, tremendamente, ne paghiamo le conseguenze, ma dubito fortemente che, come scrive Grillo, “Bernhard Haering e Luigi Sartori ora sorridono dall’alto, magna cum laetitia”. Disgraziatamente, è più probabile un loro ghigno…

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia!

Su Bernard Haering

NOTA. L’elenco dei firmatari del Documento dei sessantatre è il seguente: Attilio Agnoletto (Università Statale di Milano), Giuseppe Alberigo (Università di Bologna), Dario Antiseri (Università LUISS di Roma), Giuseppe Barbaccia (Università di Palermo), Giuseppe Barbaglio (Roma), Maria Cristina Bartolomei (Università di Milano), Giuseppe Battelli (Istituto per le Scienze Religiose Bologna), Fabio Bassi (Bruxelles), Edoardo Benvenuto (Università di Genova), Enzo Bianchi (Comunità di Bose), Bruna Bocchini (Università di Firenze), Giampiero Bof (Istituto Superiore di Scienze Religiose Urbino), Franco Bolgiani (Università di Torino), Gianantonio Borgonovo (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Franco Giulio Brambilla (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Remo Cacitti (Università di Milano), Pier Giorgio Camaiani (Università di Firenze), Giacomo Canobbio (Seminario di Cremona ora docente in Seminario a Brescia), Giovanni Cerei (Roma), Enrico Chiavacci (Studio teologico fiorentino), Settimio Cipriani (Facoltà teologica dell’Italia meridionale, Napoli), Tullio Citrino (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Pasquale Colella (Università di Salerno), Franco Conigliano (Università di Palermo), Eugenio Costa (Centro Teologico di Torino), Carlo d’Adda (Università di Bologna), Mario Degli Innocenti (Istituto per le Scienze Religiose Bologna), Luigi Della Torre (Direttore di “Servizio della parola”, Roma), Roberto dell’Oro (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Severino Dianich (Studio Teologico Fiorentino), Achille Erba (Comunità San Dalmazzo, Torino), Rinaldo Fabris (Seminario di Udine), Giovanni Ferretti (Università di Macerata), Roberto Filippini (Studio teologico interdiocesano, Pisa), Alberto Gallas (Università del Sacro Cuore, Milano), Paolo Giannoni (Studio Teologico fiorentino), Rosino Gibellini (Direttore Editoriale Queriniana, Brescia), Réginald Grégoire (Università di Pavia), Giorgio Guala (Alessandria), Maurilio Guasco (Università di Torino), Giorgio Jossa (Università di Napoli), Siro Lombardini (Università di Torino), Italo Mancini (Università di Urbino), Luciano Martini (Università di Firenze), Alberto Melloni (Istituto per le Scienze Religiose, Bologna), Andrea Milano (Università della Basilicata), Carlo Molari (Roma), Dalmazio Mongillo (Roma), Mauro Nicolosi (Istituto di scienze religiose di Monreale, Palermo), Flavio Pajer (Istituto di liturgia pastorale, Padova), Giannino Piana (Seminario di Novara), Paolo Prodi (Università di Bologna), Armido Rizzi (Centro S. Apollinare, Fiesole), Giuseppe Ruggieri (Studio teologico S. Paolo, Catania), Giuliano Sansonetti (Università di Ferrara), Luigi Sartori (Seminario maggiore, Padova), Cosimo Scordato (Facoltà teologica sicula, Palermo), Mario Serenthà (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Massimo Toschi (Lucca), Davide Maria Turoldo (Priorato S. Egidio, Sotto il Monte), Maria Vingiani (Segretariato attività ecumeniche, Roma), Francesco Zanchini (Università abruzzese, Teramo), Giuseppe Zarone (Università di Salerno).
Autore: Mondinelli, Andrea  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele

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