Lʼanticristo rappresentato, nellʼaffresco del Signorelli,
come straordinariamente somigliante al Cristo.
«Simone, Simone, ecco satana vi ha reclamato per vagliarvi
come il grano. Ma Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu,
una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32).
LʼAnticristo. Era da tempo che non se ne parlava più come di
una persona. Alì Agca ne ha evocato la presenza, ha detto che lʼAnticristo è
vivo, che la gerarchia romana lo conosce: se ne parli, lo si additi, «cosicché
lʼumanità possa ravvedersi ed affrontare meglio questo periodo della fine del
mondo». Le parole del vecchio lupo turco, grigio di nome ed ormai anche di
fatto, sono di quelle che nel bene o nel male lasciano il segno. È stata la
morte di Suor Lucia di Fatima ad armare la penna di Alì, che in perfetto
italiano, in una “lettera aperta al Vaticano”, ha esordito, bruciante: «Io
esprimo il mio cordoglio per la morte della suora Lucia di Fatima. Il segreto
di Fatima è collegato anche alla fine del mondo». La notizia, pubblicata in
Italia il 20 febbraio, è rimbalzata immediatamente in tuttʼEuropa, provocando
inevitabili malumori.
IPOTESI SULLʼANTICRISTO
Così, quando Agca ha parlato dellʼAnticristo, non stava
semplicemente sproloquiando: Anticristo significa crisi della Chiesa, perdita
della fede. Apocalisse. Che la visione dellʼattentatore possa essere fuori
tempo o fuori luogo, lo si può senzʼaltro discutere; che però la si voglia del
tutto assurda anche in astratto, è un rinnegamento della Scrittura. Le parole
dellʼattentatore turco sul terzo segreto di Fatima e sulle scomode verità cui
la Chiesa della tradizione credeva e che la Chiesa del Concilio irride, hanno
evocato fantasmi che mettono i brividi. Agca ha parlato in codice: i satelliti
ed i precursori della Bestia nascondono la verità ai popoli; le membra del
corpo mistico di Lucifero fanno katéchon (= ciò che trattiene) in senso
capovolto. Cioè contro Cristo. Se infatti Fatima parla di un tradimento, di una
apostasia, allora Fatima potrebbe concretizzare nel tempo la profezia
dellʼapostolo Paolo che nella seconda lettera ai Tessalonicesi predice lʼepoca
in cui si manifesterà «lʼUomo del peccato, il Figlio della perdizione,
lʼAvversario, che si innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio o che è
oggetto di venerazione al punto da sedersi egli nel tempio di Dio, proclamando
se stesso come Dio». LʼAnticristo. QuellʼAnticristo che Luca Signorelli
raffigura nel duomo di Orvieto in tutta la sua seducente somiglianza con il
vero Cristo, a significare la spaventosa potenza di inganno di cui parla
lʼApostolo, potenza che il Figlio della perdizione userà per irretire maree
sterminate di uomini: «quelli che periranno per non aver accolto lʼamore della
verità in maniera da salvarsi» (2 Tess 2, 10). LʼAnticristo simulerà il Cristo,
donerà unʼapparenza di sicurezza al mondo sconvolto, dirigendo lʼodio
inconsulto in una precisa direzione: contro Cristo e la sua Chiesa, ormai allo
sbando, ma pur sempre indefettibile. E le genti, la più gran parte dei popoli,
non sapendo leggere nei fatti la pienezza dei tempi, adoreranno lʼUomo del
peccato. La gerarchia romana attuale banalizza, stizzisce, scherza, commisera
il vecchio lupo grigio turco… eppure, nella sua ondivaga ridda di sentimenti,
continua a fingere di non sapere che queste profezie erano state prese
tremendamente sul serio dai Papi, dai santi, dai teologi. Nei primi tempi
dellʼannuncio evangelico, il terrore e lʼattesa dellʼAnticristo erano
tangibili: i fedeli ritennero spesso che il Figlio della perdizione fosse già
allʼopera. Poi subentrò una consapevolezza più profonda: gli anticristi di cui
la storia pullula non avrebbero potuto aspirare a sedere nel tempio di Dio e
realizzare le profezie sinché vi fosse stato il katéchon di cui parla
lʼApostolo delle genti, San Paolo: katéchon, in greco, è “ciò che trattiene”.
Ciò che trattiene la Bestia dellʼApocalisse. Il katéchon sono il Papa, la
Chiesa, ma anzitutto la fede. È la vera fede, senza cui «non è possibile
piacere a Dio» (Eb 11, 6), la prima nota che in teologia contraddistingue la
Chiesa cattolica ed i suoi membri: dal più elevato, il Papa, sino allʼultimo
dei popolani. Persa la fede non può più esservi katéchon e la Bestia sarà
libera di manifestarsi in tutta la sua potenza. La Grande Apostasia sarà il
viatico dellʼAnticristo: senza unʼeclissi del pensiero cattolico sin nelle più
alte gerarchie della Chiesa, sino al cuore di Roma, lʼAnticristo resterebbe
incatenato ai piedi della storia. Solo gli uomini possono togliergli i ceppi.
Gli anticristi di ogni tempo, dunque, realizzano in parte le Scritture, ma
lʼAnticristo per eccellenza si manifesterà solo a tempo debito. PREDIZIONI,
VISIONI Nelle descrizioni degli ultimi tempi che San Paolo fa a Timoteo, segno
precursore del disastro sarà unʼimpressionante decadenza dei costumi: «Gli
uomini saranno egoisti, avidi di danaro, vantatori, superbi, maldicenti,
ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, disamorati, sleali, calunniatori,
intemperanti, crudeli, senzʼamor di bene, traditori, temerari, gonfi di
orgoglio, amanti del piacere, più che di Dio, con parvenza di pietà, ma
rinnegatori di quel che nʼè lʼessenza vera». Quando sarà giunto il tempo
dellʼAnticristo, profetizza ancora Daniele nellʼAntico Testamento, «molti
saranno eletti, purificati, e quasi raffinati al fuoco, e gli empi agiranno da empi,
e tutti gli empi non comprenderanno, ma i saggi comprenderanno. E dal tempo in
cui sarà abolito il sacrificio perenne e sarà collocato lʼabominio della
desolazione passeranno milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetta e giunge
fino a milletrecentotrentacinque giorni!». Parole dure, parole difficili da
comprendere… Le tracce dellʼesegesi scritturale che indaga sullʼAnticristo e
sugli ultimi tempi, sono antiche e nobili. SantʼAgostino, nel “De civitate
Dei”, interpretando la seconda lettera ai Tessalonicesi, immagina che il tempio
in cui lʼAnticristo si insedierà sarà quello di Gerusalemme o, forse, la stessa
Chiesa cattolica. Sederà, commentava il santo con altri interpreti, «come
amico, cioè in quanto amico» (libro XX, 19, 2). Un Anticristo, dunque, che
potrebbe venire dalle stesse file della gerarchia regolare, che parrà papa, che
sedurrà, che illuderà i più… Il demonio, si sa, è la scimmia di Dio e ne copia
in maniera deforme, ma pur sottile ed efficace, la divinità, le manifestazioni,
le leggi, il carisma, e persino la giustizia, la bontà. La potenza infera di
cui parlano le profezie simulerà lʼelezione del Cristo: un uomo, figlio
dellʼAde e di carne eletta, un sacerdote, come Cristo, un vicario di potenze
che superano i figli di donna, come il Vicario di Cristo; starà in Roma, come
il Pontefice romano, o forse anche in Gerusalemme, la Città santa. Egli sarà il
falso Messia. In ebraico Māšîah significa ciò che Cristo significa in greco:
lʼunto, lʼeletto. E lʼeletto pretenderà di sedersi nel tempio di Dio, come
ricorda San Paolo. Molti secoli dopo SantʼAgostino, toccherà a Papa Paolo IV,
nel 1559, in una bolla pontificale - Cum ex apostolatus officio - esplicitare
più chiaramente la possibilità che un falso papa possa occupare il soglio di
Pietro: proprio in Roma, ritiene quel roccioso Vicario di Cristo, si potrebbe
«vedere lʼabominio della desolazione predetta dal profeta Daniele»; un falso
papa, un eretico, potrà cioè concretizzare lʼapocalittica profezia, portando in
Roma lʼabominio della desolazione, fermi restando gli elementi essenziali della
costituzione della Chiesa che resteranno fino alla fine dei tempi, giusta le
promesse di Nostro Signore. La terribile bolla di Paolo IV, sarebbe poi stata
trasfusa in buona parte nel Codice di diritto canonico del 1917, in toni meno
impressionanti, più lievi… come si addice allʼera contemporanea.Passati più di
trecento anni dalle parole del suo illustre predecessore, Leone XIII, in un
esorcismo riportato nel rituale romano del tempo, ammonirà: «Là dove è stabilita
la sede del beatissimo Pietro e la cattedra di verità per dare la luce alle
genti, là hanno messo il trono dellʼabominio della loro empietà». La storia
dellʼesorcismo è di quelle che inquietano: nel 1886, durante una messa di
ringraziamento - racconterà nella Quaresima del 1946 il Cardinal Nasalli Rocca
- Leone XIII era divenuto terreo in volto ed era rimasto sgomento guardando
verso lʼalto. Padre Pechenino, presente al fatto, descrisse così la scena: «Ad
un tratto lo si vide drizzare energicamente il capo, poi fissare qualcosa, al
di sopra del capo del celebrante. Guardava fisso, senza battere palpebra ma con
un senso di terrore e di meraviglia, cambiando colore e lineamenti» (30 giorni,
novembre 1990). Ripresosi dalla violenta emozione, il Papa era corso nelle
proprie stanze dove aveva composto di getto due esorcismi: quello
impressionante che descriveva in una preghiera la visione di Roma oscurata dai
demoni e la sede di Pietro occupata da forze demoniache, e quello in cui
invocava la difesa di San Michele Arcangelo. Il Pontefice della Rerum novarum
aveva unʼidea precisa del potere luciferino che insidiava la Chiesa: denunciò
lʼInimica vis, la Forza nemica, anticristica, che incessantemente lavorava
nellʼoscurità delle logge pretendendo persino, ricordava quel Pontefice nella
Humanum genus, di togliere di mezzo il papato cattolico. O meglio - come
parrebbe dalla visione del medesimo Leone XIII e dalle previsioni di Mazzini -
di svuotarlo e sostituirlo iniettandogli una nuova anima, in vista di un nuovo
universalismo. Non più cattolico. Quella stessa forza nemica, in effetti,
condivideva e condivide con lʼApocalisse e la lettura che tutti gli esegeti
hanno dato di quel documento, oltre, ovviamente ad una nuova religione
anticristica, la fine delle nazioni, un villaggio globale: «fu dato potere alla
Bestia sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione» (Ap 13,7). La tesi che
lʼInimica vis intendesse ed intenda infiltrare la Chiesa cattolica, riemerse
con forza quasi un secolo dopo, nel settembre del 1978: un giornalista
italiano, un uomo di loggia molto addentro alla materia, pubblicò un lungo
elenco (121 persone) di prelati romani massoni sulla propria rivista: “OP”.
Quello scomodo cronista, poi morto ammazzato nel marzo del 1979, Mino
Pecorelli, aveva puntato il dito chiamando in causa alcuni dei presuli stessi
che occupavano posizioni chiave nella struttura romana. Pecorelli aveva
provocato elegantemente il Vaticano, chiedendo, come conseguenza della propria
pubblicazione, o una «pioggia di smentite o, nel silenzio, lʼepurazione» dei
prelati massoni. Non vi fu la pioggia di smentite, né si attuò alcuna
epurazione: Giovanni Paolo I, che «aveva manifestato lʼintenzione di […] far
chiarezza in merito alla lista dei presunti prelati iscritti alla massoneria» (30
giorni, settembre 1993), pochi giorni dopo morì. Fra gli altri appartenenti
alla lista “inimica”, figurava pure il Cardinale Sebastiano Baggio, Prefetto
della Sacra Congregazione dei Vescovi, che a lungo aveva presieduto ed avrebbe
continuato a presiedere le nomine episcopali.Se le affermazioni di Pecorelli
fossero vere, se ne dovrebbe desumere che la numerosa discendenza spirituale di
Baggio e degli altri alti presuli affiliati alla setta, possa aver fatto lunga
strada allʼinterno delle mura dellʼUrbe. Cinque anni prima di Pecorelli,
dʼaltronde, Mons. Rudolf Graber, Vescovo di Ratisbona, aveva editato un breve
studio in cui sottolineava la stretta connessione esistente fra la penetrazione
nella Chiesa degli ideali modernisti e massonici e la crisi di fede in atto: lo
stesso titolo del libretto di denuncia - SantʼAtanasio e la chiesa del nostro
tempo - rappresentava di per sé una conclusione piuttosto esplicita. Il dotto
prelato tedesco si era infatti richiamato alla figura di Atanasio, Vescovo di
Alessandria, grande oppositore dellʼeresia ariana che aveva massicciamente
infettato la Chiesa del IV secolo. Dietro al diaframma di parole altrui, ma
inequivocabilmente fatte proprie, Mons. Graber espresse la propria angoscia per
lo stato della «intera Chiesa, scossa nelle sue fondamenta» dalle nuove eresie:
«Ma il Signore ha forse abbandonato completamente la sua Chiesa? È forse venuta
lʼultima ora e incominciata lʼapostasia? Giacché è sempre più evidente che
lʼuomo del peccato, il figlio della perdizione, lʼanticristo, si eleva al di
sopra di tutto ciò che si chiama Dio e santuario». Per anni Graber era stato
capo della redazione del Messaggero di Fatima… LʼATTESA DELLʼANTICRISTO Quando
si adempiranno le Scritture? Tante volte nel corso dei secoli si credé di intravedere
lʼAnticristo: la storia ci dice che furono illusioni… o forse frammenti
incarnati di antiche profezie. La più impressionante coincidenza fra le
Scritture e la realtà dei fatti, si verificò sotto lʼImperatore Decio, nel 250
d. C., quando si attuò la prima persecuzione anticristiana ed anticristica su
scala globale a livello di Impero romano: Nerone ed i suoi successori non
avevano mai operato tanto in grande. Allora si realizzarono le predizioni, o
almeno così parve: non solo i cristiani, ma tutti gli abitanti dellʼImpero che
volevano evitare la persecuzione dovevano sacrificare agli dèi pagani, così
ottenendo il libellus, il libretto che li liberava da ogni sospetto, che
consentiva loro di possedere beni e di commerciare. Era la profezia di san Giovanni
nellʼApocalisse. O, piuttosto, una parte di quella predizione: «E le fu dato
(alla seconda bestia, n.d.r.) di dar spirito allʼeffigie della Bestia, sì che
lʼeffigie della Bestia parlasse, e di far che quanti non avessero adorato
lʼeffigie della Bestia fossero uccisi. E farà che tutti, piccoli e grandi,
ricchi e poveri, liberi e servi, ricevano un marchio nella loro mano destra o
sulla loro fronte, e che nessuno possa comprare o vendere, se non chi ha il
marchio, il nome [cioè] della Bestia o il numero del suo nome». I cristiani
interpretarono quel libello e lʼatto di culto ai falsi dèi romani come
realizzazione delle Scritture che parlano del marchio impresso sulla mano di
chi avesse adorato la Bestia. E molti di loro non cedettero: lʼatto di culto è
dovuto solo al vero Dio, la morte è preferibile al tradimento… così almeno
insegnava la Chiesa preconciliare. Quasi 1700 anni dopo, la realizzazione della
profezie parve ormai vicina a San Pio X, Papa Sarto, noto per la sua incessante
lotta al modernismo. Lʼinfaticabile Pontefice, nella sua prima enciclica, E
supremi apostolatus, espresse il timore che lʼAnticristo fosse già nato: era il
1903 e Fatima sarebbe seguita a distanza di 14 anni; poi il comunismo, il
nazionalsocialismo… Lʼidea di Pio X, unʼidea che i Papi non esprimevano più da
molti secoli in questi termini, era che fosse vicina lʼora: che i segni dei
tempi e la penetrazione sempre più massiccia delle eresie nella società - e di
conseguenza in seno alla stessa compagine ecclesiale - annunciassero notizie
funeste. Oggi Papa Sarto è stato ormai dimenticato e la tesi di un imminente
avvento anticristico viene bollata come fantasia da ignoranti: forse solo
lʼopera del “vescovo ribelle”, di Lefebvre, la Fraternità San Pio X, porta
ancora alto nel mondo il nome dello scomodo Vicario di Cristo che temeva
lʼimminente avvento del Figlio della perdizione. Probabilmente non è un caso.
Un filo sottile sembra legare la scelta del nome del Papa che temeva
lʼAnticristo a Lefebvre: molti anni dopo aver scelto quel nome per la propria
opera, il Vescovo dʼOltralpe avrebbe accusato i vertici della gerarchia romana,
resistendo in faccia allʼ“anticristo” che a suo dire si era manifestato nella
riunione ecumenica di Assisi nel 1986. Lo scomodo Lefebvre non poteva però disturbare
più di tanto la marcia dei novatori: ormai da tempo era stato confinato in una
riserva indiana e, a dispetto della proclamata tolleranza del nuovo corso
romano, nei suoi confronti il rigore era sempre stato inflessibile. Roma, per
castigare il presule francese, aveva rispolverato persino gli odiati strumenti
della Chiesa preconciliare, fulminando il ribelle dapprima con una sospensione
a divinis, ed infine con la scomunica. Si pensava così di avere isolato il
virus identitario di una tradizione ormai superata, ma si ignorava, o si
fingeva di ignorare, che oltre a Lefebvre innumerevoli focolai erano
sopravvissuti un poʼ ovunque, anche nelle terre di missione. Continuava,
continua ad esistere una Chiesa dissidente, drammaticamente in rotta - anche se
spesso in maniera poco consapevole - con il Concilio; una Chiesa che volendo ad
ogni costo vedere una continuità fra il prima ed il poi, legge il presente
deformandolo con gli occhi del passato; una Chiesa dalle molte ramificazioni,
che tollera rassegnata la teologia astrusa della “primavera” ecclesiale, ma che
poi in realtà non cessa di fondare il proprio credo sui vetusti canoni di un
tempo: in effetti ancor oggi non sono pochi i cristiani che vedono la Via
Crucis – e dunque la stessa teologia della croce – con gli occhi di Mel Gibson,
il regista “eretico” rimasto fedele alle dottrine dellʼera preconciliare. Ma
cʼè di più, lʼopposizione alla nuova linea non è solo un problema intestino:
oltre ai dissidenti cattolici si contano anche autori eterodossi fra i critici
dellʼattuale orientamento ecclesiale, autori che sono giunti persino a scorgere
nella Chiesa umanista, in particolare nellʼecumenismo romano, le stimmate
dellʼera dellʼAnticristo. Pochi anni dopo la morte del ribelle francese, un
autore eccentrico, un esegeta gnostico, ma di penetrante acume, Sergio Quinzio,
avrebbe messo in bocca ad una propria creatura letteraria, Papa Pietro II,
queste parole: «Dobbiamo prendere atto dellʼapostasia della Chiesa che elude lo
scandalo della fede, che lo stravolge in ciò che fede non è, riducendo a etica
la salvezza escatologica, e perciò ne fa unʼopera ragionevolmente umana». Le
conclusioni dellʼirriverente pensatore, nellʼapocalittico “Mysterium
iniquitatis”, sembrano dar ragione ai timori dei dissidenti: «Bisogna aver il
coraggio di riconoscere - accusava Quinzio - che in tempi recenti la verità
cristiana non è stata più annunciata nella sua integrità, ma via via ne sono
stati accentuati sempre più marcatamente i risvolti e le implicazioni
compatibili con la sensibilità degli uomini… moderni. Il cristianesimo si è
praticamente ridotto così, agli occhi dei più, ad una forma di umanesimo […].
Dai supremi pastori della Chiesa fino alle più umili omelie che si pronunciano
tutte le domeniche nelle nostre Chiese, il discorso che viene proposto è ormai,
quasi sempre,un discorso soprattutto etico, sociale, politico, economico. Non è
esagerato dire che, in questo senso, il Magistero ha abdicato al proprio
compito. La Chiesa, in quanto istituzione, sembra non avere più il coraggio di
proclamare la propria fede. Tutto fa pensare che se ne vergogni, o addirittura
che finga di credere ancora ciò in cui in realtà non crede più». Illustrando
più direttamente il proprio pensiero nel corso di unʼintervista al Corriere
della sera (21/2/1995), Quinzio spiegò: «La Chiesa di oggi per lo più si limita
a formulare auspici (non fate la guerra, impegnatevi nella solidarietà,
eccetera) condivisibili anche da chi è ateo o professa altre fedi. […] Così i
contenuti teologici vengono tramutati in dottrine filosofiche o etiche
accettabili da tutti; ed è una falsificazione che Pietro II bolla come
anticristica […] voglio… dire che, nello sforzo soltanto umano compiuto per
adeguare Cristo alla sensibilità del mondo, essa (cioè la Chiesa, n.d.r.) piano
piano ha ceduto. E quello di Pietro II è lʼultimo atto di una Chiesa che
finalmente percepisce la sua negatività, tutta lʼoscurità del mysterium». Il
parallelo si impone, imperioso: la Chiesa dellʼAnticristo di Quinzio è
impressionantemente simile alla Chiesa anticristica secondo Pacelli, Ottaviani,
Lefebvre; una Chiesa malata di immanentismo, che volendo piacere al mondo
asseconda lʼuomo e la sua pretesa di essere legge a se stesso: lʼuomo che è
legge a se stesso, e che dunque si fa Dio, in effetti, è quello stesso uomo per
cui il Concilio ebbe una «simpatia immensa», come ricordava Paolo VI. Ma lʼuomo
che si fa Dio, non è forse lʼAnticristo di cui parla lʼApostolo Paolo? ESCHATA:
LE COSE ULTIME Le Scritture, le profezie, i commentatori, dicono che lʼAnticristo
sarà sconfitto. Anche se il popolo della Bestia sarà numeroso come la rena del
mare e altrettanto numerosi i suoi pensieri di iniquità, Dio distinguerà ogni
membro di quellʼinfernale corpo mistico, ogni pensiero di quelle menti e li
sconfiggerà. Con un soffio della sua bocca, Cristo annichilirà il Figlio della
perdizione, ha scritto lʼApostolo. Sul momento dellʼultimo redde rationem, la
Chiesa del passato ha sempre voluto che le previsioni oscillassero fra il
mistero di un momento che neppure il Figlio di Dio conosce, e la necessità di
distinguere i segni dei tempi e comprendere lʼApocalisse imminente: «Quando
diranno: “Pace e sicurezza” - ammoniva i Tessalonicesi Paolo di Tarso - allora
improvvisa sopraggiungerà la rovina, come le doglie del parto a donna incinta,
e non sfuggiranno». La cronologia secondo cui si dipanano le profezie, non è
però chiara: in molti sostengono che lʼavvento dellʼAnticristo e la fine dei
tempi si susseguiranno immediatamente. Fra gli antichi Padri ed i commentatori,
però, più dʼuno ritiene che passerà del tempo, forse un lungo tempo, prima
della fine. Non aveva forse profetato il Cristo che alcuni di coloro che lo
ascoltavano lo avrebbero visto tornare nel suo regno (Mt 16, 28)? Eppure egli
non era tornato, non almeno visibilmente. Di quella generazione, però, alcuni
videro la distruzione di Gerusalemme ad opera dellʼesercito imperiale romano.
Il Figlio dellʼuomo, ne desunsero alcuni commentatori, aveva visitato
Gerusalemme, in maniera invisibile, ma tremenda. La venuta di Cristo, dunque,
non riguarderebbe solo gli ultimi tempi: «Nei giorni che precedettero il
diluvio la gente mangiava, beveva, prendeva moglie e andava a marito, fino al
giorno in cui Noè entrò nellʼarca e la gente non si accorse di nulla, finché
venne il diluvio che portò via tutti; così avverrà anche alla venuta del Figlio
dellʼuomo. Allora due saranno nel campo, lʼuno sarà preso e lʼaltro lasciato;
due donne faranno andare la mola, lʼuna sarà presa e lʼaltra lasciata.
Vegliate, dunque, perché non sapete in qual momento il vostro Signore verrà»
(Mt 24, 38-41). Se lʼuno sarà preso e lʼaltro lasciato, se qualcuno resterà, i
tempi non saranno ancora finiti. Solo la parousìa segna la fine, la presenza
sensibile del Figlio di Dio nel dies irae: il giorno dellʼira in cui si
consumeranno i secoli, in cui tutto ciò che è nascosto apparirà e nulla resterà
impunito. Ed è questa la certezza che tenne desta nei secoli la Chiesa: la
necessità per lʼuomo cristiano di essere sempre vigile nellʼattesa. Il dies
irae non si esaurisce nella promessa di un giudizio universale, ma si rende
presente di momento in momento, in prospettiva di un impressionante giudizio
particolare a cui ogni uomo sarà sottoposto, senza conoscerne né il giorno né
lʼora. Giunge rapido il giorno della morte - dicevano i santi - spesso
inatteso: forse ti sta attendendo dietro lʼangolo in un giorno di festa. E
così, sospinto oltre le apparenze dopo la fiera delle vanità di questo mondo,
varcherai il ponte che conduce allʼeternità: se avrai perseverato sino alla fine
lo percorrerai; altrimenti cadrai nellʼabisso in quello stesso folgorante
istante del trapasso. «Che dirò allora - si chiedevano i cristiani
preconciliari pensando al giudizio di Dio - a quale patrono mi appellerò se a
stento persino il giusto sarà sicuro di salvarsi?» «Sforzatevi dʼentrare per la
porta stretta, - predicava il Cristo - perché, vi dico, molti cercheranno
dʼentrare e non vi riusciranno» (Lc 13, 24). La ininterrotta tensione
escatologica che emerge violenta dai Vangeli e che per quasi venti secoli ha
dominato nella cultura cattolica, compendiata nei “novissimi” - morte,
giudizio, inferno o paradiso - svanisce a mano a mano che le novità del
Concilio prendono corpo. Si eclissa il sensus stesso del cristianesimo
tradizionale, che ruotava attorno a queste quattro impressionanti meditazioni.
Era talmente forte questa trepidazione del poi, che Don Giovanni Bosco, il
fondatore dei salesiani, dedicava sei su sette delle meditazioni che proponeva
ai suoi ragazzi durante la settimana alla contemplazione della morte, del
giudizio di Dio e della dannazione eterna… una sola al paradiso. Oggi i
reverendi salesiani riderebbero di queste truculente ingenuità cui il loro
Fondatore dava tanto rilievo. Eppure, come negare che la forza sovrumana dei
santi, la forza del perdono e della intransigenza, della pace e della guerra,
lo spirito di abnegazione che spinge a rinnegare se stessi, fosse possibile
solo nella tensione irrequieta verso la meta? Come sarebbe immaginabile un san
Francesco, o il suo ultimo, più noto epigono, Padre Pio da Pietrelcina, senza
il bruciante desiderio del paradiso, senza il timore dellʼinferno? «Guai a
quelli ke morrano ne le peccata mortali», predicava il fraticello di Assisi. Un
cristianesimo senza spinta verso lʼeternità, cade inevitabilmente nellʼeresia
immanentista del regno in terra; unʼeresia che trova la propria ragion dʼessere
nelle stesse radici del cristianesimo, in unʼinterpretazione letterale delle
promesse veterotestamentarie. Si sviluppa così unʼideale anticristico che non a
caso acquista la massima forza e capacità di sconvolgere la storia grazie alle
teorizzazioni di un eretico: lʼebreo-cristiano Karl Marx, lʼantitesi dellʼebreo
saggio che pone la sua fiducia in Dio, lʼantitesi dei fratelli Maccabei,
lʼantitesi di Eleazaro… Oggi, in effetti, quellʼideale anticristico,
socialista, ma prima ancora liberale, domina incontrastato nella società. Si
dice: liberale e socialista perché non esiste un ossimoro liberalsocialista -
come già in passato si è avuto occasione di evidenziare - ma un rapporto
parentale: la paternità è liberale, la discendenza socialista. Il liberalismo
viene prima neltempo, rappresenta una fase meno evidente del deterioramento
dellʼideale cristiano. Il liberalismo è padre: essendo laico, allontana Dio
dalla polis; essendo indifferente alla verità, pone Gesù e Barabba sul medesimo
piano, così apostatando dal Cristo. Il socialismo è figlio: porta alle logiche
conseguenze il relativismo religioso ed etico del padre, scivolando
dallʼateismo pratico di derivazione paterna ad un più coerente ateismo teorico.
Perché allora inorridire di fronte alle stimmate anticristiche del figlio, se
già il padre ostentava compiaciuto quelle medesime piaghe? Perché non ricordare
che questo connubio liberalsocialista è puntualmente rappresentato, ancora una
volta, dallʼuomo del Concilio, lʼuomo tutto interamente occupato di sé, che si
fa principio e ragione di ogni realtà? Lo si ammetta o meno, con lʼavvento del
Concilio lʼumanesimo laico e profano conciliare prende il sopravvento sulla
prospettiva escatologica: la tagliente aspettativa del giudizio divino e la
potente carica di ascesi e di trascendenza che esso portava con sé, erano
andate progressivamente collassando. La riforma liturgica attuata da Paolo VI
aveva persino cambiato le parole evangeliche della consacrazione; nella messa
montiniana, infatti, il sangue di Cristo versato in remissione dei peccati «pro
vobis et pro multis – per voi e per molti», si converte in un sangue «versato
per voi e per tutti»: la dottrina eretica della salvezza universale si insinua
così, sottile ed ambigua, sin nel cuore stesso del cattolicesimo. Lungo una
medesima linea di penetrazione, al termine di una messa che concede molto
allʼuomo e poco al mistero di Dio, la riforma liturgica elimina senza tentennamenti
uno dei due esorcismi che Leone XIII aveva composto dopo la agghiacciante
visione di Roma infestata dai demoni. È lʼesorcismo che impetra lʼaiuto di San
Michele Arcangelo contro gli spiriti maligni che abitano lʼaria. Quella
preghiera, elevata contro Satana ed i suoi satelliti da ogni latitudine
dellʼorbe cattolico durante più di ottantʼanni, aveva avuto un forte
significato nella prospettiva dei Pontefici: fare katéchon, ostacolare le forze
anticristiche dei nostri tempi. Ma gran parte della Chiesa conciliare non crede
più necessario fare katéchon e così, via via deformando il senso delle
Scritture in unʼallegoria dellʼumanità, si è arrivati a cancellare il nome di
Satana ed a trasformare lʼAnticristo in un meschino Antiuomo. Ed è in questo
senso che Quinzio, già negli anni Settanta, valutava la progressiva perdita
della prospettiva trascendente e commentava lʼevoluzione ecclesiale in atto in
una sua opera, “La fede sepolta”, denunciando la dissoluzione imminente della
specificità cristiana: «una fede nei limiti della ragione mondana - osservava
quellʼautore - non è che un fantasma tenue e superfluo». È evidente, ribadì
nella stessa ottica molti anni dopo in “Mysterium iniquitatis”, che si è ormai
verificato un «indebolimento del depositum fidei», un indebolimento
dellʼimmutabile deposito della fede.
FATIMA, PROFEZIA PRECONCILARE
Al contrario,Fatima è stata una profezia preconciliare, in
armonia con il depositum fidei. Una profezia che non sfigurerebbe sulle labbra
di un austero predicatore del passato: a Fatima i pastorelli avevano visto in
atto forze arcane, tremende; avevano visto una pioggia di anime riempire come
lapilli ardenti il cielo rosso e nero dellʼinferno, fra urla disumane e figure
demoniache; avevano sentito incessanti esortazioni alla preghiera, alla
conversione, alla penitenza. Il Dio di Fatima, nelle parole della Bella
Signora, era rimasto il Dio geloso del popolo ebraico, quello stesso Dio che
nella pienezza dei tempi, senza rispetti ecumenici, pretese di essere
riconosciuto nella figura di Gesù Cristo: «Io sono la via, la verità e la vita.
Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio» (Gv 14, 6)Nelle visioni di Fatima,
il messaggio profetico segue percorsi antichi, già battuti… proclama la
necessità della vigilanza e della lotta incessante contro il Tentatore: la
milizia cristiana. Una delle immagini più alte di questa idea militante cui nei
secoli si era appellata la tradizione romana, lʼaveva proposta santʼIgnazio di
Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, il campione della Controriforma
cattolica. È la descrizione dei due stendardi: da un lato lo stendardo ed il
campo del «caporione dei nemici», assiso «su una cattedra elevata tutta fuoco e
fumo»; dallʼaltro lo stendardo ed il campo dei militanti di Cristo a
Gerusalemme, «in luogo umile e bello e di piacevole aspetto». Lʼaffresco
ignaziano, possente nel rendere viva agli occhi di chi medita lʼinfernale
realtà del campo del caporione nemico in contrapposizione alla composta armonia
dello schieramento di Gesù, ricorda che in ogni epoca della storia vi saranno
due campi e due stendardi: due comandanti e due milizie contrapposte. Come a
Fatima. La bontà divina, nei messaggi di Cova dʼIria, non va disgiunta dalla
giustizia: lʼapparizione parlava ai bambini della maledizione di Dio incombente
sul capo dei popoli, ormai privi di fede e dediti al peccato… Bagliori
apocalittici si elevano da quel lontano 1917 portoghese. La tentazione di
leggere segni profetici in questi tempi è forte, e non solo per chi medita sul
terzo segreto di Fatima o sulle previsioni di Pio X: è la stessa nella realtà
in atto che suggerisce cupi interrogativi. Lʼapostasia della Chiesa cattolica
viene evocata persino ai più alti livelli della gerarchia romana: il Cardinal
Ratzinger [lʼarticolo è stato scritto prima della sua elezione al soglio
pontificiio, n.d.r.], raffinatissimo nelle sue incursioni fra il campo della
Chiesa preconciliare e quello della Chiesa rivoluzionaria - di cui fu uno degli
artefici allʼepoca del Concilio - ha riconosciuto che è in atto una crisi della
fede devastante. Le parole del porporato in occasione del triduo pasquale
dellʼanno 2005, spaventano: «Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca
che sta per affondare… La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci
sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli» (Corriere della sera, 25/3/2005).
Anche sul fronte della società civile, la situazione non è delle più
tranquillizzanti: le guerre ed i rumori di guerra di cui brulica il mondo e
persino lʼinattesa palingenesi della Russia, suggeriscono, accanto alle vecchie
previsioni, scenari nuovi, non preventivati. È un poʼ di tempo che i poteri
forti vanno cautamente ammonendo i popoli: dopo la fine della guerra fredda non
ci si pensa più, eppure è quantomai probabile che in tempi brevi si scateni un
conflitto nucleare. Anche lʼItalia - come gli altri Paesi, dʼaltronde - ha i
propri grilli parlanti: Arrigo Levi, che fu uomo degli Agnelli, e consigliere
di Carlo Azeglio Ciampi, ha lanciato questo avvertimento apocalittico il 13
settembre del 2004 a Procida (Corriere del Mezzogiorno, 14/9/2004). Lʼiniziale
ipotesi di conflitto proposta dal tetro Samuel Huntington, portavoce dei gruppi
di potere globale, era quella di uno scontro fra Occidente, da un lato, ed
Islam e Cina dallʼaltro. Il problema, però, è che i teorici dello scontro di
civiltà non avevano calcolato la rinascita della Russia. Il timore che il
previsto conflitto nucleare, apocalittico ma pur sempre “controllato”, degeneri
e che la Russia sovverta i programmi, è palpabile negli Usa, soprattutto fra
coloro che trasversalmente agli schieramenti coltivano grevi attese per il
regno di questo mondo: uomini di potere come George Soros e Michael Ledeen,
democratico il primo e neocon il secondo, vanno proclamando allʼunisono la
necessità di una rivoluzione democratica nei Paesi orientali. I due
democratizzatori statunitensi riassumono in sé un metodo, unʼidea, una meta:
nemici, almeno agli occhi del mondo, agiscono per un medesimo fine, e non si
tratta di uno scopo di secondaria importanza. Mentre Soros ha più volte
dichiarato espressamente le proprie aspirazioni messianiche nel corso degli
anni, Ledeen, dal canto suo, si esibisce in discorsi esaltati che svelano a
loro volta pretese messianiche non difformi da quelle del medesimo Soros (Il Foglio,
18/2/2005). In effetti le stesse mani, gli stessi interessi, le stesse tecniche
riemergono nelle rivoluzioni “popolari” che in questi tempi stanno
drammaticamente erodendo lʼaerea di influenza geopolitica della Russia
putiniana: in Georgia, in Ucraina, in Kirghizistan… La foga di schiacciare chi
si oppone al predominio statunitense e di raggiungere in breve la meta, rischia
di essere stupida ed esiziale. A scompaginare i programmi, potrebbe proprio
essere quella Russia, così centrale nelle profezie di Fatima e così eccentrica
nei programmi umani di inizio millennio. Quella Russia che è stata per decenni
propagatrice di errori, ma che oggi sembrerebbe avere aspirazioni persino più
nobili e più vere di quelle del mondo occidentale, ormai devastato dalle idee
che hanno sporcato la veste ed il volto della Chiesa.È lecito porsi una domanda
sugli esiti della storia ed è anche lecito chiedersi perché la Chiesa
“progressista” non voglia porsela. Neppure lʼumanissima curiosità del domani
smuove la gerarchia dal suo letargo: carismi e profezie, segni dei tempi e
tensioni escatologiche sono stati sepolti nelle grotte vaticane sin dai tempi
di Roncalli, assieme ai “profeti di sventura” che avevano funestato lʼera
preconciliare durante più di diciannove secoli. Eppure schiere di cristiani che
hanno creduto alla buona, antica novella annunziata dal Cristo, si sono chiesti
se fosse giunta lʼora, se lʼAnticristo fosse ormai alle porte, pronto ad usare,
oltre allʼarma della violenza, anche lo strumento della dolcissima e velenosa
seduzione di cui egli sarà sommo maestro… ma al contempo quei cristiani non
hanno fondato la loro vita su questa attesa. Per quanto prosaica possa apparire
la conclusione, importa fino ad un certo punto chiedersi quando le profezie
apocalittiche si realizzeranno. Comunque sia, comunque dovesse evolversi il
cammino del mondo, se non è dato di prevedere con certezza quando sarà giunta
lʼora di tenebra annunciata dalle Scritture, è però certo che ogni uomo è
chiamato a vigilare costantemente, anzitutto su se stesso: sino ad oggi gli
anticristi della storia sono stati tutti coloro che hanno cooperato al
mysterium iniquitatis come membra del corpo mistico di Lucifero che si
manifesterà nellʼAnticristo, membra proiettate in anticipo nella mischia
dellʼumanità a spianare la strada del Figlio del peccato, suoi “battisti” e
profeti. In questo senso la gerarchia romana fedele al passato aderiva,
aderisce, alle Scritture: rinunciando invece allʼescatologia del mysterium
iniquitatis, la chiesa conciliare, quella che già non milita sotto un altro
stendardo, rinuncia alle Scritture e alla vigilanza. E chi non vigila, il
nemico lo coglie di sorpresa.
di Saverio Agnoli
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.