ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 27 gennaio 2017

“Odore di pecora”

L'ODISSEA DEL RANCORE

    Cosa c’è dietro l’astio anti-Trump di Francesco. Nel cristianesimo e fin da subito si sono insinuati i rancorosi: quelli che nel Vangelo hanno visto la grande occasione per odiare i ricchi, i forti e gl’intelligenti 
di Francesco Lamendola  



C'era una volta il rancore.  Il rancore del povero nei confronti del ricco; del debole nei confronti del forte; dello stolto nei confronti del saggio. Nel mondo antico il rancore poteva esprimersi solo in rare occasioni e solo a mugugni: la struttura sociale non permetteva altrimenti. Lo vediamo nel discorso di Tersite agli Achei, contro Agamennone; e capiamo perché, quando Odisseo lo percuote sulla gobba e lo zittisce, tutti i guerrieri greci scoppiano a ridere: non perché siano dei vili, come i soliti commentatori moderi politically correct si affrettano a spiegare, ma perché Tersite, piangente sotto le percosse di Odisseo, è l’emblema vivente e grottesco del rancore frustrato e umiliato, un qualcosa che essi non possono che disprezzare doppiamente. Tersite, per loro, non è affatto il nobile pacifista inascoltato, ma un vile e un maldicente di professione: il primo a fuggire davanti al pericolo, il primo a schizzare veleno sui capi con la sua lingua tagliente.
Poi è venuto il cristianesimo. Gesù ha insegnato a ciascuno a rendere i conti davanti a Dio, senza guardarsi né a destra, né a sinistra; senza criticare il vicino, senza borbottare, anzi, perfino ignorando, con la propria mano destra, quel che sta facendo la sinistra.
Nel cristianesimo, però, si sono insinuati, e fin da subito, i rancorosi: quelli che nel Vangelo hanno visto la grande occasione per odiare i ricchi, i forti e gl’intelligenti, dal basso, o dall’alto - secondo i punti di vista – della loro mediocrità; quelli che hanno strumentalizzato il messaggio di Cristo per fare le loro vendette sociali, e sia pure soltanto a livello di desideri. Ma la Chiesa ha sempre vigilato con saggezza e inflessibilità contro questa deviazione, contro questo snaturamento; ed è riuscita a estirparlo ogni qual volta si è manifestato, a reprimerlo quando si limitava a covare sotto la cenere. Se così non fosse stato, fin dall’inizio il cristianesimo avrebbe coinciso con le rivolte degli schiavi e, più tardi, con quelle dei servi della gleba; invece non è stato così, tranne in casi isolati. Gli storici progressisti, che non sanno pensare, né immaginare alcunché, al di fuori dei loro rigidissimi schemi mentali, hanno sempre interpretato questo fatto come la “prova” che la Chiesa, in quanto istituzione, e soprattutto in quanto gerarchia, si è costantemente alleata con i “potenti” e contro le “masse”, il che è una solenne sciocchezza, buona soltanto perché essi possano “dimostrare” le loro tesi precostituite. In realtà, la Chiesa ha vegliato sulla deviazione e sulla eresia del rancore, cioè contro la snaturamento del Vangelo in senso pauperista e rivoluzionario: e , così facendo, ha fatto semplicemente il proprio dovere. È noto che ci sono stati dei papi, dei vescovi, dei vescovi-conti, i quali si sono alleati con il potere; ma è altrettanto ovvio che lo facevano per tutelare i loro personali interessi. Di per sé, la Chiesa non ha mai abbracciato o benedetto la “causa” degli oppressori: basta leggere quel che dice san Paolo sulla schiavitù; e basta pensare a come agì il vescovo Ambrogio di Milano, nei confronti dell’imperatore Teodosio, reo di avere ordinato la strage di Tessalonica: gli chiuse le porte della cattedrale in faccia, lo rimproverò e lo costrinse a fare penitenza.
Poi, però, è arrivato Rousseau: sono arrivati i poeti, i buonisti, i giusnaturalisti, i filantropi, gli scrittori noiosi e falliti (alzi la mano chi è riuscito a leggersi tutta la Nuovelle Éloise), i rivoluzionari da salotto, gli scontenti, i rancorosi, gl’ipocondriaci, i vegetariani, i deisti, gli enciclopedisti, i patiti del Buon Selvaggio; non gente del popolo, ma philosophes da strapazzo, savants da quattro soldi, avvocati falliti, giornalisti sanguinari, tuttologi a un tanto il chilo: tutta la genia partorita dall’illuminismo, la più rozza, la più insulsa, la più infantile di tutte le “avanguardie” culturali che avrebbero poi infestato, parassitato e vampirizzato, succedendosi l’una all’altra, la cultura e la società europee nei due secoli successivi, e che non hanno ancora finito di depositare a riva, con le loro onde fangose, tutti i detriti e le immondizie dei loro sogni vendicativi, delle loro utopie sconclusionate, delle loro aspettative infrante, delle loro ambizioni calpestate dalla storia.
A partire da quel momento, l’odissea del rancore (come l’avrebbe chiamata Émile Cioran) è entrata in una nuova fase, quella della dissimulazione e dell’ipocrisia. In nome della liberté, della fraternité e della egalité, il rancore sociale ha trovato un nuovo e più perfetto travestimento: quello dell’umanitarismo e dei diritti dell’uomo. Dopo la barbarie delle teste mozzate e portate in giro per le vie di Parigi in cima ad una picca, il genocidio: prova sperimentale, la Vandea del 1793: paese di preti, di signori e, horribile dictu, di contadini monarchici. Indegni di vivere; indegni di gustare le meraviglie del repubblicanesimo e della “virtù” robespierrista. Gentaglia da spazzar via senza pietà, con raddoppiato furore rispetto a quello d’un tempo, degli inquisitori cattolici contro eretici e stregoni.  Finalmente si può decapitare, sventrare, squartare, scannare, ma in nome di un altissimo ideale civile: la religione laica del Progresso, l’instaurazione del regno della Ragione.
Dopo un poco, però, il gioco è venuto a noia. Era pur sempre un gioco borghese, anche se con molte strizzatine d’occhio ai sanculotti: le rigorose indagini d’archivio hanno avuto il torto di mostrare che, sulla ghigliottina, son cadute molte più teste di popolani che di nobili o ricchi borghesi. Bisognava inventare un altro gioco, sempre borghese, ma camuffato meglio da popolare, o, almeno, fatto per conto del popolo: e sono arrivati la dialettica marxista, il materialismo storico e la lotta di classe. Con un vantaggio inestimabile rispetto al giacobinismo e a qualsiasi altro rivoluzionarismo del passato: che adesso si faceva veramente sul serio, perché si era scoperto un gioco “scientifico”. Parola di Karl Marx e Friedrich Engels. Erano loro ad avere scoperto il nuovo giocattolo, erano loro ad averlo brevettato: come mettere in dubbio che lo avessero garantito come assolutamente scientifico, a differenza di tutti gli altri socialismi, ridicolmente “utopistici”? Per quasi un secolo e mezzo, il nuovo vangelo progressista ha fatto furore: al punto da esercitare un fascino irresistibile e inossidabile, ad onta dei suoi fallimenti, delle sue menzogne, dei suoi crimini: caso forse unico nella storia della umana follia, più disastri combinava e più continuava a sedurre, a conquistare, a far innamorare perdutamente di sé, specialmente i professorini e i poeti.
Quando, infine, è caduto, è caduto con tanta grazia e con tanta discrezione, da sopravvivere a se stesso nelle regioni iperuraniche del mito, e in quelle, assolutamente inestirpabili, della nostalgia. Legato alla giovinezza e ai suoi miti intramontabili (vedi ’68), non è mai stato formalmente rigettato; i suoi seguaci non hanno mai abiurato, né, meno ancora, fatto alcun mea culpa. Ciò non toglie che sono rimasti orfani, anche se poco disposti ad ammetterlo, e più che mai bisognosi di un’altra grande Mamma, benché troppo discreti per dichiararlo apertamente. Non hanno dovuto andare troppo lontano per cercarla e per trovarla, tuttavia: anzi, non hanno quasi fatto in tempo a rendersi conto d’essere rimasti orfani – ammesso che se ne siano resi conto – che già erano stati felicemente adottati, e il giudice aveva ufficialmente riconosciuto la loro adozione, o, almeno, il loro sollecito affido. La nuova Mamma era lì, bella e pronta, che li stava aspettando a braccia aperte, troppo sensibile e amorosa per sopportare che una sola lacrimuccia di dolore spuntasse dalle loro ciglia di rivoluzionari (quasi) delusi: ed era la Chiesa. Sissignori, proprio la Chiesa cattolica, che ha un cuore così grande e così materno, da accogliere tutti, ma specialmente i professorini e i poeti rimasti senza il loro giocattolo rivoluzionario, però sempre nobilmente affamati di giustizia e assetati di libertà, fraternità e uguaglianza. Se non proprio tutta, almeno una parte della Chiesa; se non quella vera, almeno quella che le assomiglia; se non quella di Cristo, almeno quella di fra Dolcino e di don Giulio Girardi, di don Gallo e di padre David Maria Turoldo (e dalli coi poeti innamorati della rivoluzione: non c’è niente da fare, son sempre loro).
Si sono visti, si sono piaciuti, si sono riconosciuti. Si sono annusati, come fanno i cani per la strada, quando appartengono a due razze diverse: e hanno trovato che l’odore era famigliare, l’uno per gli altri. Papa Francesco lo chiama “odore di pecora”; anche se non sono le pecore della parabola del Buon Pastore, ma le pecore beote del “popolo” che ha ragione a prescindere, che è nel giusto perché è “povero”, e al quale tutti si devono inchinare, perché è fatto dagli “ultimi”. Il rancore, adesso, ha raggiunto dimensioni ipertrofiche, incontenibili, inverosimili: è ovunque, deborda, dilaga dai pulpiti, dai conventi, dalle sacrestie, dagli oratori, dalla stampa cattolica politicamente corretta. Non conosce pudore, né vergogna, né senso del limite: impazza, letteralmente, brandendo il vangelo (ma non quello di Gesù Cristo; uno che gli assomiglia solo superficialmente) come una clava. Per bastonare i moderni filistei, i moderni Epuloni, persino i moderni “clericali” (o almeno così ama dire; anche se, di costoro, nel mondo reale, non si vedono molte tracce). È il rancore partorito dall’osceno connubio fra i marxisti orfani di Marx e i cattolici orfani di fra Dolcino e di don Girardi, triplicato nella sua veemenza, ruggente, furioso, fiammeggiante di sacra indignazione. Non ha mai speso molte parole né per le vite soppresse con l’aborto, né per quelle eliminate con l’eutanasia; non si è indignato neppure per le donne stuprate di Colonia, pur avendo il femminismo tra i suoi sacri fondamenti; e meno che mai per i cristiani trucidati in giro per il mondo islamico, e ora anche per l’Europa. Però soffre, si rattrista e si scandalizza se una coppia omosessuale non riceve la dovuta considerazione, se un povero gay non è libero di affittare l’utero di una donna indigente per poter avere il sospirato figlioletto, e persino se un presepio o un crocifisso offendono, con la loro molesta presenza, la delicata sensibilità degl’immigrati musulmani. I suoi seguaci, i cattoprogressisti in salsa modernista, sono fatti così: hanno il cuore sensibile, si commuovono davanti alle ingiustizie, non sopportano di vedere un gattino maltrattato, un canarino malnutrito.
Ora essi hanno trovato la loro Bestia Nera, perché non possono fare a meno di avere un particolare bersaglio verso il quale dirigere tutto il loro rancore, il loro odio e la loro (giusta, per carità!) sete di vendetta: il neopresidente americano Donald Trump, reo di avere vinto democraticamente le ultime elezioni. Papa Francesco lo aveva già individuato prima del luttuoso evento come il Nemico Pubblico numero uno ed era entrato a gamba tesa nella campagna elettorale, qualificandolo (lui così misericordioso, lui così buono) come un personaggio politico indegno di definirsi cristiano; ora che l’hanno eletto, apriti cielo, si tratta di una sfida intollerabile, uno sgarbo personale. Bergoglio concentra in sé tutto il rancore latino-americano verso il mondo yankee, con l’aggravante – per Trump, si capisce - che costui non si vergogna neanche un poco di essere quel che è: un perenne affronto al vangelo (di fra Dolcino e di don Girardi). Bergoglio è un argentino di ceppo europeo; un bianco della borghesia sudamericana, che è, in casa sua, la classe egemone, la classe al potere, fin da quando sono nate quelle repubbliche, rendendosi  indipendenti dalla Spagna, per opera e coi soldi della massoneria internazionale. Ciononostante, questa borghesia, frustrata dal confronto con quella degli Stati Uniti, si è sempre considerata “oppressa”, non si sa bene da chi, e piena di rancore verso di quella. Chi scrive ricorda bene un corso di formazione per i volontari di un’associazione cattolica, destinati a lavorare in America latina: un giorno si presentò un signore, proveniente da una nazione sudamericana, a tenere una conferenza sulla storia di quel continente, e, pur essendo un bianco, proprio come Bergoglio, esordì dicendo con enfasi: Noi siamo stati conquistati. La cosa ci parve strana, tanto che chiedemmo chiarimenti: a quel che ne sapevamo, erano state le popolazioni indigene ad esser conquistate e in vari casi (come in quello, appunto, dell’Argentina), letteralmente sterminate. La sua risposta, fra sorpresa e imbarazzata, fu tutt’altro che chiara; egli ribadì, comunque, il concetto: loro erano stati vittime di una conquista, dunque sapevano bene quanto pesa la spada del conquistatore. E c’era molto rancore in quella auto-convinzione, mista a dosi industriali di vittimismo. Lo stesso rancore dei cattolici alla Bergoglio contro Trump: reo, fra le altre cose, di voler bloccare l’invasione dei clandestini attraverso la frontiera del Messico, come nessuno, in Europa (tranne Orban) ha il fegato di fare.
A questo punto, vorremmo chiarire una cosa. Ciò che abbiamo detto sulla odissea del rancore, la diagnosi che abbiamo fatto delle sue radici post-marxiste e pseudo evangeliche, non implica affatto che siamo favorevoli al capitalismo finanziario, alla globalizzazione, allo sfruttamento economico e sociale di alcun genere; non significa che neghiamo l’esistenza dello sfruttamento. Avendo visitato l’America del Sud, come potremmo negarlo, dopo aver visto con i nostri occhi le favelas? Quel che neghiamo, è la legittimità dell’atteggiamento rancoroso e vittimistico dei cattolici di sinistra (nonché di una certa borghesia sudamericana); è il buonismo cieco e sordo davanti ai fatti, perché impregnato di ideologismo progressista e russoviano, nonché di teologia della liberazione, ultima edizione del mito del Buon Selvaggio; sono l’immigrazionismo, l’omosessualismo, il femminismo, il modernismo infiltratisi abusivamente nel Vangelo e miranti a stravolgere il cattolicesimo, per farne qualcosa di nuovo e di diverso da ciò che esso è, ed è sempre stato: un credo sincretista gnostico e massonico, un deismo di facciata destinato a risolversi in un super-umanesimo. Dobbiamo dirla tutta? Trump, personalmente, non ci è molto simpatico. Ma è stato eletto dai suoi concittadini: possibile che i progressisti non sappiano mai accettare la realtà, quando dà loro torto?

Cosa c’è dietro l’astio anti-Trump di Francesco

di

Francesco Lamendola

2 commenti:

  1. A me risulta che l'odore di pecora sia un pochino nauseabondo e penso sia molto meglio l'odore del Buon Pane di Cristo. I pastori di Dio(intendo i buoni pastori) effondono un profumo di Paradiso che supera e annienta il puzzo di pecora.Mi ricordo quando andavamo nelle chiese dove prestavano servizio iFrati e le Suore Francescane dell'Immacolata,che profumo di pulito, di bello , di santo che si sentiva in quelle Chiese.Non avevano bisogno di usare profumi alla rosa o simili che si sentono in certe chiese ( per me sono nauseabondi,come i don che si profumano ) . La santità profuma di Cristo, San Pio profumava di santo, i santi profumano di Cielo e non di pecora.Purtroppo la nostra povera chiesa è talmente immersa nel puzzo che non riesce più ad emanare il buon profumo di Cristo.Che tristezza. jane

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  2. Purtroppo il sig. Mario Bergoglio è un comunista della peggior specie, è un cattocomunista storicamente e culturalmente ritardato di circa cento anni. Con questo assunto tutto torna. Siccome le opere sono decisive per la salvezza per il principio di non contraddizione è più facile che possa essere Papa Trump che Bergoglio.

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