ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 27 gennaio 2017

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AMORIS LAETITIA ERA GIÀ STATA «SCRITTA» PARI PARI DA BERNHARD HÄRING. ECCO COSA NE PENSAVA LA CHIESA

Amoris Laetitia era già stata «scritta» pari pari da Bernhard Häring. Ecco cosa ne pensava la Chiesa
Su L'’Osservatore Romano del 6 marzo 1991 comparve, “su autorevole richiesta”, una traduzione di un articolo del professor William E. May, docente di teologia morale alla Catholic University of America di Washington e unico membro laico della Commissione Teologica Internazionale, già pubblicato nel periodico Fellowship of Catholic Scholars Newsletter, vol. 14, n. 1, dicembre 1990.

Nel 1989 P. Bernhard Häring, CSSR, ha pubblicato il libro Ausweglos? Zur Pastoral bei Scheidung und Wiederverheiratung: Ein Plädoyer, Freiburg, Herder 1989 (trad. it.: Pastorale dei divorziati. Una strada senza uscita?, Bologna, Ed. Dehoniane 1990). (I riferimenti delle citazioni saranno fatti seguendo l’edizione italiana). Häring, che evidentemente considera la pratica delle Chiese Ortodosse Orientali, fondata sulla loro spiritualità della oikonomia, come superiore alla pratica della Chiesa Cattolica Romana, sostiene alcune posizioni che non sono compatibili con l’'insegnamento cattolico.
La nostra attenzione si concentrerà qui sugli aspetti più pericolosi della sua opera.

Il primo di essi riguarda l'’interpretazione che egli dà dell'’insegnamento del Signore sull'’indissolubilità del matrimonio (Mc 10, 2-12; Mt 5, 31-32; 19, 3-12; Lc 16-18). Giustamente Häring respinge l'’idea che questo insegnamento ci presenti solamente un ideale o un “semplice” ideale. Tuttavia egli sostiene che l'’insegnamento di Gesù è un “obiettivo” (Zielgebot) o un “ideale normativo”, cioè un ideale obiettivo per il cui raggiungimento uno è obbligato ad impegnarsi con tutte le sue energie (p. 34). Ora però questa interpretazione non è in conformità con la comprensione che di questo insegnamento del Signore ha la Chiesa. Gesù, presentando il suo insegnamento sul matrimonio, contrappone all’'insegnamento mosaico, che permetteva il divorzio e le nuove nozze a motivo della “durezza del cuore”, il progetto originario del Padre nella creazione, circa il matrimonio. Inoltre, il Regno di Dio è venuto nella persona di Gesù, così che a quelli che sono uniti con lui è donato un “cuore nuovo” e la grazia di vivere in conformità col disegno di suo Padre. È questo il modo in cui la Chiesa intende l’'insegnamento del Signore: come una verità; ritiene cioè che il matrimonio, per volontà del Creatore, è per sua stessa natura intrinsecamente indissolubile, e quindi che nessuna autorità umana ha il potere di scioglierlo e che ogni tentativo di farlo non è efficace. Di conseguenza, i tentativi di “nuove nozze” non sono validi e le relazioni sessuali di persone divorziate, che hanno cercato nuove nozze, non sono relazioni coniugali, ma piuttosto un adulterio (cf. Mc 10, 11-12; Mt 5, 32; 19, 9; Lc 16, 18; cf. Concilio di Trento, Sessione XXIV, 11 nov. 1563, can. 7; Pio XI, Enc. Casti Connubii, 31 dic. 1930: AAS 11/1930, 574). La Chiesa, pur avendo il potere, per sua natura divino in quanto conferitole da Dio, di sciogliere matrimoni non sacramentali e matrimoni sacramentali non consumati, non ha l'autorità di sciogliere i matrimoni sacramentali consumati di fedeli cristiani: “Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito — e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7, 11; sott. aggiunta).
La seconda posizione pericolosa assunta da P. Häring è il suo tentativo di applicare l'’oikonomia delle Chiese Orientali alla prassi della Chiesa Cattolica. (Secondo Häring la oikonomia consiste in una spiritualità e in una prassi di amministrazione misericordiosa e graduata del disegno di Dio, in riferimento alla singolarità di ogni caso e persona [pp. 44-45]). Egli sostiene che quando una persona divorziata, dopo un periodo di accompagnamento pastorale, giunge al giudizio di coscienza che sarebbe meglio per lei, per i suoi figli e per gli altri di “risposarsi”, “noi, in qualità di rappresentanti della chiesa, non possiamo dare una convalida diretta” di questa decisione (p. 61; sott. aggiunta). Ma, continua, “comunque possiamo rimandare alla soluzione che adottano le chiese orientali secondo lo spirito della oikonomia ed esprimere il nostro modesto parere e invito a considerare se la decisione del nostro interlocutore sia conforme a tale spirito” (p. 61). Certamente un consigliere spirituale, che seguisse in questo punto la proposta di Häring, offrirebbe di fatto il suo appoggio e la sua conferma alla decisione di risposarsi di una persona divorziata. Ma un consigliere spirituale cattolico non può dare un tale consiglio! Farlo sarebbe abdicare alla sua responsabilità, dal momento che non può dare a nessuno il permesso di commettere un adulterio, così come, malgrado tutto, è il significato di quanto viene proposto, se si considera oggettivamente e correttamente il caso.
Una terza posizione pastoralmente pericolosa avanzata da P. Häring riguarda la virtù dell'’epikeia (Secondo la tradizione morale cattolica l’'epikeia consiste nell’“eccezione fatta di un caso, quando nella situazione si può giudicare con certezza, o per lo meno con grande probabilità, che il legislatore non aveva intenzione di far rientrare tale caso sotto la legge” [S. Alfonso M. de’ Liguori]), circa la cui natura e sul cui ricorso egli propone gravi fraintendimenti. Häring comincia coll'’asserire che le procedure di annullamento in atto all'’interno della Chiesa sono fondate su una mentalità legalistica, che subordina le esigenze reali di una persona umana alla legge e manca così totalmente di manifestare l’'amore e la misericordia di Cristo. Sostiene che i tribunali ecclesiastici sono viziati da un cattivo “tuziorismo”, che impone alle parti l’'onere di provare che il loro primo matrimonio era invalido. Häring replica che l’'onere della prova dovrebbe ricadere non sugli individui che sostengono che il loro matrimonio era invalido, ma piuttosto su coloro che asseriscono che era valido. Egli afferma che tutte le volte che c'’è un dubbio ragionevole sulla validità del primo matrimonio e tutte le volte che la parte che chiede l’'annullamento è convinta in coscienza che il matrimonio sia effettivamente invalido, il matrimonio dovrebbe essere annullato (pp. 66-68). Qualora il primo matrimonio non sia stato annullato a motivo di una “tuzioristica” richiesta di prove e qualora tanto la parte coinvolta quanto il consigliere spirituale siano entrambi convinti che il primo matrimonio era invalido, allora — sostiene Häring — può essere applicata l’'epikeia e il pastore di anime può “con grande discrezione (in aller Stille), procedere alla celebrazione delle nozze” (p. 79).
Su questo punto la proposta di P. Häring è incompatibile non solo con la concezione che la Chiesa ha del matrimonio, ma anche con la realtà. La ragione per cui si presume che il primo matrimonio sia valido finché non sia dimostrato chiaramente il contrario è che la Chiesa rispetta la dignità delle persone umane e presume che esse dicano la verità quando, con “un atto di consenso personale irrevocabile” (cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 48), un uomo e una donna mutuamente si danno e si ricevono nel matrimonio, realtà il cui “vincolo sacro (sacrum vinculum) non dipende dall’arbitrio dell’uomo” (ibidem). Anche se una persona può essere sinceramente convinta nella sua coscienza individuale che un matrimonio era invalido, essa può sbagliare in buona fede, dal momento che la realtà non dipende dalla sincerità delle convinzioni.
Inoltre, l'epikeia è una virtù mediante la quale si è in grado di determinare se, in particolari circostanze, l’'intenzione del legislatore è rispettata o meno nel caso che si segua una norma specifica. Il giudizio sulla validità del matrimonio, tuttavia, non è affatto un caso in cui si tratti di determinare se una legge sia applicabile o meno. È piuttosto l'’accertamento di un fatto, cioè se veramente l'’unione tra quest'’uomo e questa donna è un matrimonio o invece solo l’apparenza di un matrimonio. D'’altra parte l'’epikeia non può essere applicata neppure quando la “legge” in questione è tale da non ammettere eccezioni, com’'è il caso della norma che proibisce l’'adulterio.
Nel presente volume Häring, facendo ricorso alla sua consueta retorica, distingue tra una concezione legalistica della moralità (la quale, come egli apertamente denuncia, starebbe al cuore della pratica della Chiesa) e una concezione della moralità più evangelicamente ispirata, che mette in rilievo l’'amore e la misericordia di Dio. Egli sembra ritenere che tutte le norme morali specifiche o “leggi” (per usare l'’espressione da lui preferita), eccezion fatta per quelle che proscrivono la tortura e la violenza sessuale, sono suscettibili di eccezioni. Egli sembra pensare che le norme morali o “leggi” siano limitazioni estrinseche della libertà umana — utili, per la maggior parte, a proteggere i valori umani basilari, ma da mettere da parte tutte le volte che diminuiscono senza necessità le possibilità di scelta dell’'uomo. Non sembra affatto che egli pensi alle norme morali come a verità, alla luce delle quali le persone possono compiere scelte buone e così diventare esse stesse, attraverso le azioni da loro scelte liberamente, gli esseri che Dio vuole che esse siano. Egli non riconosce che alcune norme sono assolute, cioè, senza eccezioni. Tra queste vi è anche la norma che proscrive l’'adulterio. L'’adulterio è moralmente cattivo poiché un uomo o una donna devono essere fedeli alla parola data e non possono sostituire nel rapporto coniugale con qualche altra persona quella che hanno reso non sostituibile, attraverso la loro scelta irrevocabile di donarlesi come marito o come moglie. L'’adulterio non è compatibile con un cuore aperto a ciò che è buono e degno di amore, con il “cuore nuovo” donatoci quando, nel battesimo, siamo diventati nuove creature in Cristo. Questo è l'’insegnamento di Cristo e della Chiesa e questa è la ragione per cui le “nuove nozze” dopo il divorzio non sono permesse; questa è la ragione per cui la Chiesa non può permettere l'’adulterio.
Inoltre, Häring insinua anche che la Congregazione per la Dottrina della Fede, in una lettera al Cardinal Bernardin (21 marzo 1975), ritiene che quei cattolici che vivono per disgrazia in un irregolare “secondo matrimonio” possono essere ammessi ai sacramenti senza la risoluzione di astenersi dagli atti sessuali genitali (cioè di vivere come “fratello e sorella”) (cf. pp. 84-85). Quest’insinuazione è del tutto fuorviante.
P. Häring osserva tendenziosamente (p. 81, nota 4) che egli aveva già avanzato alcune delle sue idee sul divorzio e le “nuove nozze” in scritti precedenti, in particolare nel suo saggio Internal Forum Solutions to Insoluble Marriage Cases in The Jurist, 30 (1970) 21-30, senza aver ricevuto rimproveri da parte delle autorità della Chiesa. Ne conclude che questo silenzio da parte delle autorità ecclesiastiche signi fica una accettazione o almeno una tolleranza delle sue tesi.
Per finire, nel presentare la “spiritualità dell'’oikonomia” delle Chiese Orientali, Häring mostra chiaramente di ritenere che i matrimoni possono “morire” non solo per una morte fisica (quando uno degli sposi muore), ma anche di una morte “morale”, “psichica” e “civile” (cf. pp. 48-53). Questo modo di concepire la “morte” del matrimonio viene asserito sulla scorta di una filosofia che considera come reale ed importante ciò che appare nella coscienza e ignora altri aspetti della realtà. Ora ciò trasforma in una beffa quella promessa reciproca, che l'’uomo e la donna si scambiano quando si sposano, promessa secondo cui essi rinunceranno a tutti gli altri e saranno fedeli l’uno all'’altro fino alla morte, cioè fino alla fine della vita di uno di essi.
In breve, il libro in questione è fuorviante e pericoloso, dal momento che sostiene posizioni incompatibili con la verità cattolica. È deplorevole il frequente appello alla dottrina di Sant’'Alfonso Maria de’ Liguori, volendo applicare l'’insegnamento di questo grande Dottore in modalità che sono del tutto estranee al suo pensiero. È retorico dipingere la pratica attuale della Chiesa come priva di cuore e crudele. L'’Autore si presenta come uno che vorrebbe solo rendere evidente la misericordia e l’'amore di Cristo; di fatto però finisce col presentare l’'insegnamento e la prassi della Chiesa come un tradimento legalistico e farisaico del Vangelo di amore e di misericordia del Signore. Ma in realtà sono proprio tesi simili che distorcono e travisano l’insegnamento di Cristo e così danneggiano gravemente la vita dei fedeli.

http://www.iltimone.org/35637,News.html

I Dubia e san Tommaso: quando un sottoposto deve richiamare un superiore (anche il papa)


Sembra evidente il tentativo di emarginare sempre più il cardinale Raymond Burke: dopo averlo  declassato, sin dal principio del pontificato, escludendolo da qualsiasi ruolo importante; dopo aver nominato, negli Usa, a ruoli importanti tutti i suoi avversari, oggi anche il suo ruolo, onorifico, di patrono dell’Ordine di Malta viene attaccato, con grave danno dell’Ordine intero.
Ma il cardinale non ha fatto nulla di male: ha solo posto delle domande, che assillano non solo lui, ma tantissimi ecclesiastici e tantissimi cattolici. Non si vuole rispondere. Si preferisce la persecuzione. E in nome dell’obbedienza, si pretende che altri uomini disobbediscano alla Tradizione della Chiesa, ai papi precedenti, alla propria coscienza.

La coscienza è sacra, se è di Scalfari e di Pannella. ..ma la coscienza dei 4 cardinali e di chi sta con loro, va calpestata.
Eppure, cosa insegnano Sant’Agostino e il dottore angelico, san Tommaso d’Acquino?
Ascoltiamoli: “Essendoci pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere richiamati dai sottoposti, anche pubblicamente. Così fece san Paolo, che era sottoposto a san Pietro: lo richiamò pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di Fede. E come dice la glossa di sant’Agostino: ‘Lo stesso san Pietro diede l’esempio a coloro che governano, così che, allontanatisi qualche volta dalla retta via, non ricusino come indegna una correzione che venga dai loro sottoposti’ ” ( Summa, II-II, 33, 4, 2)
Libertà e Persona26 gennaio 2017

Il teologo don Massimo Lapponi: “La Amoris Laetitia crea il rischio di relativismo”

“Nella Chiesa vi è una grande confusione dottrinale, Amoris Laetitia crea il rischio di relativismo.” Ecco gli affondo  a La Fede Quotidiana di don Massimo Lapponi, benedettino dell’Abbazia di Farfa, teologo,  già docente al Pontificio Ateneo Sant’ Anselmo, autore di numerose pubblicazioni accademiche, oggi in Sri Lanka.


Don Massimo, è vivo il dibattito su Amoris Laetitia e sul capitolo 8. Quattro cardinali hanno avanzato Dubia al Papa, che valutazione attribuisce a questa iniziativa?
” Mi sembra che i Dubia persentati dai 4 Cardinali siano domande molto precise su punti di dottrina che andrebbero chiariti, sia in riferimento all’ammissione ai sacramenti di persone in situazione irregolare, sia in riferimento ai problemi più generali relativi alla coscienza soggettiva e al suo rapporto con la Verità oggettiva. Mi sembra che il chiarimento dovrebbe dissipare il rischio di relativismo che è presente”.
Che cosa non la convince nel capitolo 8?
” Ripeto: i Dubia dei cardinali sono legittimi. Il documento parla della diminuzione  di responsabilità per la quale si distingue l’ azione oggettivamente disordinata della situazione soggettiva di chi la compie. Determinate circostanze, possono infatti diminuire o annullare la libertà di scelta di una persona e quindi un’ azione che in sè stessa è disordinata, in tal caso sarebbe pienamente o anche affatto imputabile a chi la compie. Questo fa parte della morale tradizionale a cui il documento fa riferimento e non ci sta nulla da dire se non fosse che un actum hominis che non sia un actum humanum non acquista dignità. Ma il punto che suscita perplessità è che non si vede come questa dottrina possa essere applicata ad uno stato che non è un atto. Un atto singolo può essere compiuto  in una situazione soggettiva particolare che ne diminuisca la responsabilità. Ma come potrebbe questo avvenire in un abituale stato di vita?”.
Il cardinal Caffarra in una recente intervista,  ha parlato di una Chiesa in stato di confusione dottrinale, condivide?
” Nessuno potrebbe onestamente negare che, non da oggi, nella Chiesa vi sia una grande confusione dottrinale.  Appunto per questo già a suo tempo Giovanni Paolo II promosse la redazione e la pubblicazione del catechismo Oggi questo strumento non è più sufficiente. Penso che  vi sia bisogno di una rinnovata elaborazione teologica. Per questo dovrebbe uscire nei prossimi mesi un mio saggio teologico dal titolo: Per una teologia rinnovata “.
Ritiene che oggi la Chiesa parli adeguatamente dei valori non negoziabili?
” I pastori della Chiesa, già da tempo, non solo in Italia, stanno tacendo sui punti fondamentali della dottrina cristiana che investono direttamente o indirettamente  sui costumi. Così non si parla più esplicitamente di peccato e del legame col peccato originale. Le conseguenze pratiche sono molto gravi sul piano sociale”.
Bruno Volpe

 Michele M. Ippolito  25 gennaio 2017  




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