ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 2 febbraio 2017

C’è sempre il pericolo che qualcuno si svegli e si ribelli

La piovra omosessualista e la sua strategia 

L’omosessualità, indossata un’armatura da combattimento, è diventata il perno di un movimento propriamente politico, mirato alla conquista di un potere egemonico del tutto inedito che tenta di strangolare la intera società dopo averla imbavagliata a dovere, secondo un più vasto disegno planetario.
di Patrizia Fermani
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La piovra omosessualista, il tempo di superare lo shock di non avere la Clinton alla Casa Bianca, ha ripreso ad allungare i tentacoli anzitutto sulla scuola, ora sotto l’alto patrocinio morale e culturale della Fedeli. Non importa che l’Italia sia seppellita sotto valanghe e terremoti. Anzi, tanto meglio se qualcuno è un po’ distratto da altre tragedie, l’obiettivo di ridurre in poltiglia il cervello dei più giovani diventa ancora più appetibile. E intanto i genitori, come le stelle, stanno a guardare. Un po’ perché hanno ormai un’idea un poco sfocata della paternità e della maternità, nelle orecchie la voce robotica della Bignardi, negli occhi l’oscenità normalizzata dei Vendola, tanto surreali da sembrare astratte, e quindi innocue. Del resto quasi nessuno sembra più mettere in conto che ogni rapporto omosessuale contraddice l’ordine della natura come il camminare sulle mani. Che mortifica l’istinto di sopravvivenza della specie e l’esigenza naturale dell’uomo di perpetuarsi nelle generazioni attraverso la famiglia.

La normalizzazione in via mediatica dell’omosessualità ne ha messo da parte il disvalore. Tutti sanno ormai che la misura di tutte le cose è l’amore, come lo intende Vendola, anzi, la laetitia dell’amore come lo intende Bergoglio. Il resto è leggenda.
Ma la normalizzazione oscura anche il fenomeno tutto nuovo dell’omosessualismo, ovvero del vero e proprio sistema di potere strutturato e organizzato che ha fatto di una distorta inclinazione sessuale l’ariete per sfondare le porte della cittadella comune, e mira a distruggere la famiglia, gli equilibri delle generazioni future e le libertà fondamentali. Una forza mai sperimentata prima che mina la società umana infiltrandosi in ogni suo ganglio vitale.
Che l’omosessualità sia ontologicamente in contrasto con gli assetti famigliari e quindi con le esigenze vitali della società è stato sempre avvertito. È significativo come, sullo sfondo delle  relazioni sentimentali tra giovanissimi maschi alle quali il Satiricon ha dedicato tante pagine, non compaia mai alcuna figura paterna. Ma il fenomeno è rimasto ai margini della vita collettiva anche quando ha avuto una diffusione notevole, soprattutto per particolari condizioni ambientali o esistenziali, quali quelle legate alle campagne militari o alla vita marinara, né mai ha preteso di scimmiottare i rapporti matrimoniali. E se nella Firenze del duecento la pratica era tanto diffusa nella cerchia degli uomini d’affari che i tedeschi le avevano dato il nome di “florentia”, per Dante quello dei “mal protesi nervi” rimaneva il peccato individuale contro Dio e contro l’ordine della creazione.
Oggi però, non dico una Bignardi o un Mogavero, ma qualunque persona che abbia mantenuto l’uso della ragione, dovrebbe essere in grado di riconoscere che l’omosessualità, indossata un’armatura da combattimento, è diventata il perno di un movimento propriamente politico, mirato alla conquista di un potere egemonico del tutto inedito che tenta di strangolare la intera società dopo averla imbavagliata a dovere, secondo un più vasto disegno planetario. Le vicende della dottoressa de Mari bastano da sole a rappresentare questa goffa imitazione dei peggiori modelli totalitari.
Eppure, di fronte ad un nemico che gonfia il petto con tanta incredibile arroganza, e cerca di stravolgere il buon vivere comune riuscendo a dettare leggi oltraggiose per l’intelligenza e il buon senso, non vengono attivate neanche le difese più elementari, e una società confusa e svagata,  sembra non riesca a valutare nè la entità della minaccia né quella della posta in gioco. Tuttavia, anche se il fenomeno è inedito, all’origine di questa inerzia, non ci sono la sorpresa e lo smarrimento. Vi sono ragioni ben più profonde di ordine politico e culturale, interne alla stessa società, sommate tristemente alla latitanza di quella chiesa che dopo avere rinnegato la legge naturale divina e i suoi principi morali fondamentali, ha abbandonato il gregge a se stesso.
Per ritrovare le ragioni di questa difesa mancata, o del tutto inefficace, di fronte alla aggressione dell’omosessualismo, occorre guardare anzitutto alla sapiente strategia che esso ha messo in atto e alle armi di cui si serve.
Il primo stadio di questa strategia è stato, come è noto, quello della “normalizzazione” della relazione omosessuale attraverso la sua narrazione insistente e disinibita affidata ai mezzi di comunicazione, al cinema, al teatro. Una narrazione accattivante soprattutto per le giovani generazioni, che vi hanno letto il superamento degli schemi moralistici del proprio ambiente domestico. Il fenomeno introdotto nella quotidianità è diventato familiare e quindi innocuo. Mentre veniva sottratto ai disturbi della personalità, dagli psichiatri americani, e trasformato per via burocratica in una variante normale della sessualità.
Ma poiché l’appetito vien mangiando, il movimento omosessualista si è posto obiettivi sempre più ambiziosi, ha mirato a costituirsi come forza socio politica e a conquistare col tempo un potere  egemonico attraverso le leggi. Si trattava di ottenere una tutela sempre crescente che finisse per elevare la stessa omosessualità a valore, cancellando così anche ogni giudizio morale negativo ancora latente almeno nelle generazioni dei padri. Di qui il passo alla imposizione sociale sarebbe stato breve e il modello omosessista e transessualista (non merita citazione il demenziale repertorio delle varianti), avrebbe guadagnato addirittura dignità pedagogica tale da poter essere propagandato nelle scuole di ogni ordine e grado. Questo capovolgimento di posizione attraverso le leggi era impresa non troppo temeraria, in tempo di crescente relativismo etico e giuridico. Infatti poteva contare sul concorso di due fattori decisivi: lo sfaldamento progressivo dei principi dell’ordinamento e del senso stesso del diritto, e la dissoluzione della morale collettiva. Il tutto sul terreno cedevole del catto-progressismo piccolo borghese e parrocchiale e su quello accogliente della sinistra pseudointellettuale, giornalistica, accademica, imprenditoriale e giurisprudenziale, versione italica della gauche caviar.
Nonostante queste condizioni favorevoli, un’operazione, in ogni caso spericolata, aveva bisogno di appoggiarsi a ragioni di principio, che le fornissero un nobilitante supporto ideale. Niente di meglio che puntare allora su libertà, uguaglianza e amore. Cioè sui due “valori” portanti della democrazia occidentale europea figlia dell’89, che garantiscono per definizione ogni progresso civile. Mentre il terzo, derivato cristiano ed eterna tentazione romantica, oggi in gran voga perché capace di superare ogni ostacolo morale e di tranquillizzare la coscienza mettendo in sordina le esigenze della ragione, viene rilanciato dal nuovo cattolicesimo in disarmo. Questi erano i miti perfetti per rendere plausibile ogni pretesa ed irretire una intera società già moralmente snervata, e di essi ci si è serviti: chiavi di lettura e vizi d’origine di tutta una straordinaria commedia dell’assurdo.
Del resto la liberté e l’égalité, erano stati i grimaldelli usati per forzare le leggi della natura e soprattutto la legge morale naturale al centro del cristianesimo. Non per nulla in loro nome De Sade aveva elevato ogni perversione sessuale a manifesto di una filosofia “politica”. Prodotti abortivi di un pensiero degenerato destinato a perpetuarsi nelle varie Dichiarazioni dei diritti, fino a quella dei “diritti del fanciullo”, la fonte “pulita” da cui già si tenta di trarre elementi per la legittimazione prossima ventura della pedofilia.
La libertà, senza alcun riferimento ad un principio superiore diverso dalla volontà e dalle aspettative personali, dà all’individuo l’illusione di poter fare a meno di Dio e di poter rinunciare alla guida della ragione per seguire solo le proprie “emozioni”. Apre la strada all’arbitrio del più forte, e al dominio di chi è capace di manovrare la volontà altrui a proprio piacimento. La storia di Adamo, di Eva e del serpente, ne ha tracciato lo schema premonitore. Per questo Cristo ha messo in guardia dalla libertà della libertà ricordando che solo la verità fa liberi.
In nome della libertà si possono travolgere le regole della comune convivenza, senza che nessuno se ne dolga. La pederastia orgogliosa di sé può dare lezioni di pornografia gratuita all’aperto, da impartire ad adulti e bambini di passaggio, con il contributo delle amministrazioni comunali.
In suo nome vent’anni fa la legge penale ha trasformato i reati contro la moralità pubblica e il buon costume in offese alla libertà personale, mentre il Comitato dei Ministri della UE nel 2010 ha raccomandato agli stati membri di rendere penalmente leciti i rapporti anche omosessuali con un minore se c’è il suo consenso. La buona disposizione della vittima toglie al fatto ogni disvalore.
Del resto, se in nome della libertà una gravidanza indesiderata giustifica la soppressione del feto, può giustificare la sua fabbricazione anche ad uso di due omosessuali.
Poi, con la scoperta geniale del gender, la libertà giustifica ogni trasloco da un sesso all’altro, previa ristrutturazione chirurgica o mentale. Straordinaria ed esaltante possibilità illustrata anche dal prontuario sull’amore senza frontiere edito dalla casa madre bergogliana. Infatti sul connubio tra libertà e amore profano che supera in bellezza l’ostacolo della ragione e dell’etica è stato stretto il patto d’acciaio ufficiale tra il nuovo cattolicesimo e il mondo. Infine, nel momento in cui la perversione sessuale entra nella zona di rispetto della libertà, viene tratta fuori da quella oscura della  patologia, e dal pericolo di interventi “curativi”.
Tuttavia, se la libertà ha tolto all’omosessualità e dintorni ogni disvalore morale, la chiave di volta per ottenere una tutela giuridica rafforzata era l’uguaglianza.
Inesistente in rerum natura, essa è l’aspetto della giustizia fondata sulla identità metafisica degli uomini derivante dalla loro natura razionale, mentre dal punto di vista cristiano è l’essere fratelli di fronte a Dio Padre comune. Esigenze equitative col tempo hanno imposto che in suo nome fosse eliminato ogni abuso e prepotenza di una classe sociale sull’altra. Invece la stessa uguaglianza sbandierata dai giacobini è nata come mezzo di lotta politica, perché in realtà interpretava la aspirazione della borghesia alla abolizione di privilegi altrui, dei quali intendeva appropriarsi.
Il pensiero liberale la riporta nell’alveo dei limiti imposti alla pubblica amministrazione dai principi dello stato di diritto. La Costituzione dice che il legislatore ordinario non può fare leggi che assumano il sesso, la razza, le convinzioni religiose o politiche per stabilire un trattamento svantaggioso o privilegiato. È l’enunciato di massima di un principio di non discriminazione. Si intende che operi a parità di condizioni, nel rispetto dei principi dell’ordinamento, e nei limiti imposti dal criterio di ragionevolezza perché è evidente che le differenze accidentali esigono valutazioni e trattamenti differenziati. È bene che non sia un maschio irsuto ad interpretare la parte di Odette nel Lago dei cigni. Potrebbe convenirne persino la Bignardi.
Il costituente non ha pensato di inserire l’orientamento sessuale tra le cause di non discriminazione, (ma la Fedeli non se n’è ancora accorta), considerandolo a ragione un vezzo privato indifferente per il legislatore. Compare invece nel Trattato di Lisbona col quale ci siamo incoronati sudditi della UE.
Ecco dunque che il movimento omosessualista, affiliato alla sinistra, ritrova proprio nell’uguaglianza giacobina lo strumento di lotta politica che fa alla bisogna. La brandisce anche per superare il principio di ragionevolezza. Il matrimonio e la procreazione non debbono essere appannaggio soltanto della coppia formata da un uomo e una donna. È un privilegio da abbattere in nome della non discriminazione in cui riecheggia la lotta di classe. Su questo stesso registro si muove il rinverdito femminismo delle Boldrini e delle Fedeli che fa da spalla al movimento omosessualista aprendogli la strada quando occorre. La non discriminazione diventa la formula magica buona per spegnere i cervelli, far votare le leggi, far scrivere le sentenze. A forza di evocarla nessuno oserebbe negare la santità di questo imperativo categorico buono per tutti gli usi. Viene imbastito il grande bluff sul quale il movimento omosessualista costruisce la propria  fortuna e i relativi obbrobri.
Se tutte le varianti e le variazioni della sessualità sono buone perché espressione di libertà, tutte sono meritevoli di godere degli stessi diritti in omaggio al principio di uguaglianza che rende uguali le diversità. E poiché il diritto presuppone il riconoscimento di un interesse oggettivamente meritevole di tutela, se vengono riconosciuti diritti agli omosessuali in quanto tali, viene  riconosciuto il valore in sé dell’omosessualità. Per raggiungere questo ardito traguardo occorre tuttavia preparare il terreno: occorre parlare dei “diritti degli omosessuali” inventarli e sbandierarli anche prima che la legge li attribuisca. Come occorre nominare spesso la non discriminazione, quale obbligo e principio imprescindibile di civiltà che tutti dobbiamo rispettare. Perché sono le  parole a creare la realtà e ad imporla come vera.
Discriminazione è voce dotta che indica l’atto di separare, e quindi di scegliere. Il principio costituzionale di non discriminazione riguarda soltanto il legislatore al quale non è consentito creare arbitrariamente situazioni i privilegio o di svantaggio, e quindi discriminare, nei limiti e con i correttivi che sappiamo.
Al contrario i principi democratici assicurano ad ogni singolo cittadino libertà di agire e quindi di scegliere, nonché libertà di pensare ciò che più gli aggrada e di manifestarlo, s’intende sempre nei limiti consentiti dalla legge. Tuttavia per l’omosessualismo anche la libertà dei singoli diventa un ostacolo sulla via della conquista della egemonia politica e culturale. Occorre che anche le scelte individuali non vadano a svantaggio di una comunità felice e orgogliosa di sé. Bisogna che l’imperativo della non discriminazione, funzioni anche nei confronti dell’individuo e che nessuno pensi corretto licenziare una baby sitter soltanto perché lesbica. Bisogna inculcare questa idea con la suggestione della non discriminazione.
Ma la pecora nera di ogni regime totalitario sono soprattutto le opinioni avverse. Qualcuno potrebbe rivendicare la propria sanità morale e psichica, e vedere il sopruso per quello che è. Un regime non può permettersi i rischi della libera manifestazione del pensiero, come ha insegnato il paradiso comunista sovietico e quello hitleriano. Nel primo si andava sempre al sodo con la tortura e la fucilazione contro le cattive disposizioni d’animo. Nel secondo ai dissidenti di maggior  riguardo veniva anche consigliata la capsula di cianuro. Questione di stile.
Certo, la sinistra pacifica per antonomasia, oltrechè pacifista, non permetterebbe metodi cruenti. Bisogna demonizzare ogni iniziativa o pensiero che ostacoli il trionfo dell’omosessualismo, per mezzo di una formula riassuntiva che denunci il pensiero da combattere e il nemico da neutralizzare. Dopo la non discriminazione, dal cappello del prestigiatore omosex esce l’omofobia. La società libera e democratica è avvisata, e siccome aborrisce l’idea di avere idee non aggiornate o diverse da quelle più vendute, fa capire di avere imparato la lezione a memoria. Un tempo i sudditi della DDR confessavano di non avere neppure più il coraggio di pensare. Qui molti hanno risolto il problema in radice facendo a meno di pensare, e si dichiarano con compunzione non omofobi, ovvero nemici di ogni discriminazione. Un buon sistema per riscuotere una patente di correttezza politica rinnovabile solo per buona condotta.
È stato detto che il totalitarismo fa leva sulla forza e sulla persuasione. Dunque l’omosessualismo ha ottenuto anzitutto in via persuasiva che sia cosa buona pensarsi non omofobi e che la non discriminazione sia il primo comandamento dato alla “società civile”. Il cittadino perfetto, “patriota” europeo, assillato dal pensiero di avere buttato i gusci dell’uovo nell’umido, che frequenta soltanto belle persone non trumpiste, e non leghiste, non vorrebbe mai essere sospettato di omofobia e di atteggiamenti discriminatori. Egli assicura al movimento omosessualista conforto morale e politico,  incoraggiato dall’Amoris Laetitia.
Tuttavia, perché c’è sempre il pericolo che qualcuno si svegli e si ribelli, bisogna preparare il deterrente per diserbare in anticipo la mala pianta degli eventuali oppositori, e per una vera prevenzione, occorre la minaccia della sanzione penale. Ecco perché è nato il ddl Scalfarotto, solo momentaneamente messo da parte, ma pronto a trovare il momento buono per essere approvato. Si tratta di un meccanismo a orologeria di cui vale la pena osservare il funzionamento.
Nel 1996 viene confezionata la legge Mancino in ossequio alla Convenzione di New York con cui gli stati firmatari si sono impegnati a perseguire penalmente ogni discriminazione ispirata da motivi razziali o ogni manifestazione di odio razziale. Era la risposta alla questione razziale esplosa in Sudafrica con l’apartheid (e va detto per inciso che ora, a distanza di anni di pacificazione egualitaria, da quelle parti la gente si ammazza per strada. Ma questa è un’altra storia che per il momento pare ancora non interessarci da vicino).
Il ricordo delle persecuzioni naziste contro gli ebrei era ancora fresco, monopolizzato dalla sinistra (che ignorava inspiegabilmente le omologhe persecuzioni da parte dei bolscevichi) e rinverdito regolarmente ancora oggi per ogni uso elettorale. L’Italia, che pure non ha problemi di intolleranza razziale, confeziona una legge che risulta inapplicabile perché, prendendo alla lettera la Convenzione, contiene disposizioni contrarie a principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Infatti essa trasferisce in capo al singolo cittadino l’obbligo di non discriminazione che riguardando per dettato costituzionale il legislatore e solo il legislatore, se fosse applicato comporterebbe una inaudita limitazione della libertà individuale. Inoltre nella punizione delle manifestazioni di odio razziale, vengono perseguiti i pensieri, gli stati d’animo le intenzioni, cioè tutto quello che la civiltà giuridica rimprovera, come sommo sopruso, agli stati totalitari.
La dissennata legge Mancino non ha trovato fortunatamente applicazioni, ma il suo contenuto,    perfettamente in linea con l’orizzonte culturale omosessualista dell’omofobia e della non discriminazione, diventa il modello cui attingere. Così viene ripescata dalla pederastia nostrana, che la adatta alle proprie esigenze pensando di potersi autoeleggere a razza discriminata rispetto a quella degli odiati eterosessuali e aspira ora a fa valere le proprie pretese sul versante della non discriminazione: stando alla lettera della legge potrebbe essere punito chi volesse riservarsi la libertà di evitare per propri figli l’insegnante di pianoforte o la baby sitter con tendenze pederastiche, o chi manifestasse contro l’indottrinamento omoerotico a scuola.
Il ddl Scalfarotto è un’arma a doppio taglio dalle conseguenze suicidiarie e forse non arriverà in parlamento. Ma forse il movimento omosessalista già non ne ha bisogno perché ha in mano la legge 107 che, con il piano di indottrinamento omo e transessuale ideato dalla filiera Fornero-Fedeli-Renzi-Giannini, secondo le istruzioni di Bruxelles, è pronto ad impossessarsi delle teste e dei corpi degli scolari. Ha dalla sua il torpore di molti, la connivenza della neochiesa e delle “alte cariche dello Stato”, l’interesse delle schiere di “operatori culturali” assunti ad hoc dalla Buona Scuola, l’esercito delle psicologhesse “esperte” addestrate e pagate dall’utenza per mandare in onda l’indecente prontuario dell’omosessismo, il potere politico debordante delle 29 associazioni LGBT di stanza nell’anticamera del Presidente del Consiglio e in filo diretto con Bruxelles. Ma soprattutto il pensiero unico devitalizzato.
L’omosessualismo ha puntato a conquistare il potere attraverso le leggi. Ma le leggi non si fanno da sole. Sono il frutto di idee e le idee di chi vota le leggi passano oggi attraverso il filtro comune di una omogeneizzazione culturale che supera ogni colorazione politica. Tutti, a destra e a manca, attingono agli stessi schemi mentali e verbali. Tanto che anche chi pretende di appartenere alla opposizione finisce per usare le medesime formule dell’avversario e utilizza le medesime armi. Così, se la società nel suo complesso non riesce a difendersi, incapace di mettere a fuoco da chi e da che cosa è minacciata, ad intravedere la sagoma dell’aggressore, è anche perché usa le armi spuntate che questi le ha messo in mano. Tutti parlano lo stesso linguaggio senza contenuto di pensiero, vantano gli stessi principi degenerati, usano le stesse categorie distorte. Così si disquisisce con compunzione di diritti fasulli, di discriminazioni immaginarie e di non discriminazioni impossibili, di diversità uguali e di uguaglianze diverse, di stereotipi e di inclusioni, di omofobia e di cittadinanze, tutte cose che hanno lo stesso senso delle famose tre civette sul comò. Mentre chi le ha inventate e distribuite gratis se la ride.
Tuttavia il processo di dissoluzione messo in moto sembra rientrare in un disegno egemonico più vasto che fa capo ad altri poteri e di cui l’omosessualismo è in ogni caso una delle componenti essenziali.
Gli storici riconducono la decadenza dell’impero romano in gran parte alla crisi demografica e alla contigua crisi economica, con particolare riguardo a quella della produzione agraria affidata al lavoro degli schiavi che vivevano senza donne e senza famiglia irreggimentati in caserme rigidamente sorvegliate. Ogni schiavo era considerato semplicemente un instrumentum vocale accanto agli animali, strumenti di lavoro non provvisti di parola. Le caserme degli schiavi senza famiglia dovevano essere continuamente alimentate da nuove guerre di conquista.
Forse nell’orizzonte del mondo nuovo dominato da pochi eletti detentori del potere economico c’è lo stesso individuo sterile controllato da vicino e adibito solo alla manovalanza. La piovra omosessualista può operare efficacemente a forgiarlo.
C’è solo da sperare che una società intera si scuota da questo sonno della ragione e tagli i lacci in cui colpevolmente si è fatta imprigionare. Prima che sia troppo tardi. Ma forse è già tardi.

– di Patrizia Fermani

Cyber bullismo, menzione speciale per il gender
Il genere è ormai diventato il minimo comun denominatore delle politiche di questa legislatura, si tratti di scuola o di salute pubblica. Lo si trova da per tutto, persino la recente revisione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori ha previsto particolari tutele per i dipendenti esposti ad discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, sebbene siano stati eliminati molti diritti acquisiti di tutte le categorie dei lavoratori.
Non poteva mancare quindi una speciale menzione alla questione del genere nel testo sul contrasto al cyber bullismo che sarà votato oggi in maniera definitiva dal Senato. Più precisamente nell’articolo 3 del suddetto disegno di legge viene istituito il tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyber bullismo presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Questa cabina di regia, che avrà anche il compito di redigere il piano di azione integrato, sarà animata da esperti di vari ministeri, associazioni con comprovata esperienza nei diritti dei minori e degli adolescenti, associazioni studentesche e dei genitori, operatori del web e, come se tutte queste realtà non fossero sufficienti ad inquadrare la problematica, anche dalle associazioni che si occupano contrasto alle discriminazioni di genere.
E’ una menzione speciale, di cui non sono degne le organizzazioni che combattono le altre forme di bullismo menzionate nel testo di legge. Nei primi articoli si afferma chiaramente infatti che la legge persegue ogni atto di bullismo o comportamento vessatorio per ragioni di lingua, etnia, religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima.
Insomma tutte le categorie erano già specificate in questa definizione, non si spiega allora perché dare il privilegio di sedere al tavolo tecnico ai presunti esperti di tematiche di genere. Seguendo questo ragionamento al tavolo avremmo avuto anche i rappresentati delle leghe contro il razzismo, delle associazioni contro le persecuzioni religiose, di quelle per i diritti dei portatori di handicap e delle minoranze etniche come sinti e rom. Oltre tutto la questione dell’orientamento di genere risulta pleonastica alla luce della dicitura legata alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. 
Tutte queste osservazioni sono state avanzate giovedì scorso al Senato, in occasione della discussione degli emendamenti, dai senatori Malan e Giovanardi che hanno presentato una modifica che eliminava il riferimento - inserito al passaggio alla camera  - alle associazioni che si occupano di genere, facendo di questa forma di bullismo una superiore e distinta da tutte le altre. 
Durante il dibattito, il relatore del governo Francesco Palermo in un primo momento aveva accolto la richiesta avanzata dall’opposizione, ma ripreso immediatamente dal senatore Pd Sergio Lo Giudice, noto attivista gay che ha ottenuto due figli da utero in affitto in California, si è rimesso al volere dell’aula che poi ha bocciato l’emendamento 3.100 di Malan. 
Nel suo intervento Lo Giudice ha ripetuto che il gender non esiste e che le questioni di genere attengono “primariamente” al rapporto tra genere maschile e genere femminile. Il senatore dem ha inoltre sostenuto che è necessario che a questi tavoli “siedano le associazioni LGBT”, poiché “in questo paese sono da tempo antico le principali sostenitrici e promotrici di azioni e di progetti contro il bullismo nelle scuole e nella società”.
Insomma la manina dei rappresentati del mondo lgbt in Parlamento porta a casa anche un posto al tavolo che dovrà elaborare le strategie anti-bullismo. Ma la legge in questione stanzia anche 220000 euro, ulteriori ai due milioni già previsti, che saranno distribuiti dai distretti scolastici provinciali a quelle associazioni che andranno a sensibilizzare gli studenti con iniziative di varia natura. Una torta che rischia di alimentare le casse di realtà ideologizzate che sperimentano le loro teorie sulla pelle dei ragazzi. 
di Marco Guerra31-01-2017

Di nuovo Castellucci ed ecco S. Giovanna d’Arco “transgender”

Duole che gli Italiani vengano conosciuti all’estero per la loro blasfemia. Ancor più duole che il nome del nostro Paese sia associato a quello dei suoi “figli” degeneri.
Di Romeo Castellucci (nella foto) ci eravamo già occupati. Anzi, se n’era occupata la stampa internazionale per la sua oscena rappresentazione dal titolo Sul concetto di volto di Dio, la cui scena centrale consiste in una gigantografia del Cristo raffigurato da Antonello da Messina nel Salvator Mundi, letteralmente inondato di liquami ed escrementi. Siamo purtroppo costretti a parlar di nuovo di questa sorta d’impenitente iconoclasta, acclamato dalla grancassa mediatica, per denunciare l’ennesima sua opera blasfema, opera che ha massacrato l’oratorio drammatico scritto da Paul Claudel e composto da Arthur Honegger, Giovanna al rogo, evidentemente dedicato a Santa Giovanna d’Arco.
L’Opéra di Lyon – teatro che riceve ed utilizza fondi pubblici grazie ad un’apposita convenzione sottoscritta col ministero della Cultura – ha malauguratamente ospitato lo spettacolo dal 21 gennaio sino al prossimo 3 febbraio. Quel che è avvenuto in scena è stato però una decostruzione metodica della «Pulzella d’Orléans», sfigurata in una sorta di “transgender”, a metà strada tra il casalingo in grembiule grigio-blu e la ballerina svestita del Concert Mayol tra la prima e la seconda guerra mondiale. Dovrebbe esprimere il «mistico» ed il «sacro», in realtà la protagonista può solo esprimere la propria depravata pazzia e manifestarsi vittima della propria assoluta psicosi. Un autentico scempio, dissacrante ed osceno, per questo vietato ai minori di 14 anni, ma non basta… in realtà, i contenuti sono tali da renderlo inappropriato per chiunque ed a qualunque età.
Lo stesso Castellucci ha dichiarato d’aver voluto «insorgere contro i simboli, contro l’agiografia, contro la commemorazione nostalgica della storia e contro la celebrazione dell’eroina celeste». Chiaro, no? Prosegue così quella persecuzione silenziosa ed incruenta, ma non meno violenta e letale, che punta non tanto ai corpi, bensì direttamente alle anime con bestemmie spacciate per arte. Dal canto suo, la Federazione Pro Europa Christiana ha subito lanciato una protesta on line al ministro della Cultura, protesta che ha raccolto già nel primo giorno oltre 11 mila adesioni. E questa è l’unica notizia positiva, emersa da questa storia.

Mauro Faverzani


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