INEFFABILI MODERNISTI
Ineffabili modernisti: se la dicono e se la godono. Per loro il Vangelo è una cosa di sinistra e chi non la pensa come loro non è un vero cattolico. Il metodo Bedeschi: legame fra modernismo “storico” e neomodernismo conciliare
di Francesco Lamendola
Verrà
un giorno, prima o poi, in cui sarà possibile valutare esattamente i
settant’anni di storia della cultura italiana susseguenti il 1945, e si
capirà fino a che punto siano stati viziati, in ogni ambito possibile,
dalla filosofia alla storia, dalla letteratura alla teologia, dalla
poesia all’architettura, dal cinema alle scienze sociali, da una
ininterrotta, compiaciuta, beffarda autoreferenzialità degli
intellettuali allineati, autonominatisi studiosi, giudici e soli
interpreti autorizzati ciascuno del proprio orticello e della propria
parrocchia, e anche di qualche spazio altrui, spesso e volentieri con il
denaro pubblico (centri di ricerca e associazioni “culturali”
finanziate dagli enti pubblici o direttamente dallo Stato). Mai, in ogni
caso, è stata presa in considerazione la voce dei dissidenti; mai è
stato concesso il benché minimo credito agli argomenti dei “vinti”; e
ben raramente ci si è sforzati di salvare anche solo le forme
dell’equanimità, dell’obiettività, della ricerca e della valutazione
spassionate, al solo fine di capire i fenomeni invece di giudicarli dal
proprio punto di vista – il punto di vista del vincitore, l’unico
politicamente corretto e, pertanto, l‘unico avente la dignità richiesta
per potersi manifestare.
In
tal modo, per esempio, la storia del fascismo è stata scritta dagli
antifascisti militanti puri e duri, meglio se comunisti, perché i
partigiani comunisti avevano lottato più di tutti gli altri per
abbattere la dittatura (e poco importa se lo avevano fatto non per amore
della libertà, ma per consumare le loro vendette personali e nella
speranza di instaurare dittatura ben peggiore e più feroce, quella
d’impronta staliniana); e la storia del cattolicesimo è stata
scritta, sempre più spesso, e, oggi, pressoché unanimemente, dai
cosiddetti cattolici modernisti, che poi non sono affatto cattolici,
perché il modernismo è un’eresia, la somma di tutte le eresie,
giusta la definizione di san Pio X: ma, siccome costoro, un poco alla
volta, hanno occupato tutte le principali posizioni all’interno della
Chiesa, si possono prendere anche il lusso di definire se stessi, e i
loro antesignani di cent’anni fa, come i veri e i soli cattolici, e gli
altri, quelli che non sono passati alle loro idee, e che rappresentano
il “vecchio” Magistero, vengono bollati come “tradizionalisti”, una
specie di razza in estinzione che, in fondo, non merita veramente
l’appellativo di “cattolica”, perché, aggrappandosi al passato, essi si
sono auto-squalificati. Anzi, l’arroganza dei modernisti è giunta al
segno che, per completare l’opera iniziata ai primi del XX secolo, hanno
deciso di passare alla “fase due”: la rimozione vera e propria del
passato, la cancellazione del Magistero, della storia della Chiesa,
della teologia tomista, della liturgia, della pastorale, della catechesi
uscite dal Concilio di Trento e confermate dal Concilio Vaticano I.
Tutto questo viene fatto e studiato allo scopo di dare alle
nuove generazioni l’impressione che il cattolicesimo sia sempre stato
quello che ora essi spacciano per tale, ma che tale non è,
tirando un rigo sopra duemila anni di Tradizione e di interpretazione
magisteriale della Scrittura, allo scopo d’ingraziarsi i protestanti e
di stabilire un dialogo “proficuo” con le altre religioni, in realtà per
svendere e liquidare la Chiesa alle forze esterne ed interne – la
Massoneria in primis - che da molto tempo si danno da fare per
giungere a questo risultato, ma facendolo apparire come perfettamente
naturale e, soprattutto, senza presentarlo per ciò che realmente è, ma
ammantandolo da “rinnovamento”, da “approfondimento” e da “più matura
comprensione” del messaggio evangelico.
Il
modernismo, pertanto, è stato fatto oggetto di studio proprio da parte
di quei cattolici modernisti che sognavano ciò che in effetti è
accaduto: una piena rivincita dottrinale e “storica”, una piena
riabilitazione delle idee moderniste nella prassi della Chiesa, e
quindi, parallelamente, una svalutazione e una condanna, aperta o
implicita (quest’ultima nel caso di san Pio X, bersaglio troppo elevato
perfino per costoro, che non hanno più paura di nulla, e nemmeno pudore
in ciò che stanno facendo) di quanti al modernismo si sono opposti,
facendo apparire vane, inconsistenti, retrive o meschine le loro
preoccupazioni e deplorevole il loro modo di agire, in quanto basato
sulla delazione e sulla calunnia. Anzi, la voluta confusione dei due
piani – quello del merito e quello del metodo – è stata sfruttata senza
alcun ritegno da codesti storici di se stessi, e in perfetta mala fede,
dando a intendere che della gente così sordida, così squallida, da non
arretrare neanche davanti alla delazione e alla calunnia, non poteva che
essere portatrice di un atteggiamento mentale sbagliato e di una
teologia fallace e disastrosa.
Un esempio paradigmatico di tutto questo è offerto dall’opera storiografica di padre Lorenzo Bedeschi,
prete modernista che ha dedicato l’intera sua vita alla riabilitazione e
all’esaltazione del modernismo e alla denigrazione sistematica e
implacabile di ciò che egli chiama “antimodernismo”, mentre è stato,
puramente e semplicemente, il vero e solo cattolicesimo, quello che la
Chiesa ha sempre praticato e che il Magistero ha sempre tramandato.
Autore di oltre 80 libri, molti dei quali dedicati al suo argomento
preferito, Bedeschi è stato, per cominciare, un prete fieramente
antifascista e un partigiano, che, quando l’Italia era sprofondata nel
vortice della guerra civile, non si è certo tirato indietro dal bagno di
sangue fraterno, ma si è arruolato nel Corpo Italiano di Liberazione e
poi, a guerra finita, è stato tra i fondatori della sezione di Ravenna
dell’Istituto Storico per la Resistenza. Come abbia potuto, un sacerdote
cattolico, aderire con tanta convinzione alla carneficina della guerra
civile, senza vedervi la minima contraddizione con il primo dovere di
pastore del gregge (gregge che comprendeva i fascisti, gli antifascisti e
quelli che non amavano né gli uni né gli altri, e che poi erano la
stragrande maggioranza degli italiani), è cosa che riguarda la sua
coscienza. I cattolici di sinistra non hanno mai avuto molti
scrupoli in questo senso: per loro, il Vangelo è una cosa di sinistra, e
chi non la pensa come loro non è un vero cattolico, né merita
la benché minima indulgenza, la benché minima apertura di credito;
quanto al sangue versato, è il prezzo da pagare per affermare, nella
storia, i valori evangelici: e pazienza se tutto questo, con le parole e
con le azioni di Gesù Cristo, non c’entra assolutamente nulla. Sta di
fatto che dalla “fucina di Bologna”, dalla centrale di Dossetti e
Lazzati, è venuta fuori tutta una generazioni di cattolici progressisti e
modernisti, i quali, dismessi i panni partigiani di Bedeschi, vestono
ora, come Alberto Melloni, il severo abito accademico degli storici
blasonati e “ufficiali”, regolarmente invitati in televisione (di
preferenza su Rai tre, la rete neocomunista) a rievocare le loro glorie
passate e recenti, e ad esaltare la “svolta” del Concilio, preannunciata
da uomini come don Primo Mazzolari, maestro ideale di Bedeschi e molti
altri.
Una
deduzione sulla obiettività di Lorenzo Bedeschi storico del modernismo
si può ricavare dal fatto che la figlia del noto storico e pastore
calvinista Paul Sabatier, amico di cattolici italiani di tendenza
modernista come Antonietta Giacomelli, ha voluto donare l’archivio
paterno al Centro studi fondato a Urbino, per la storia del modernismo,
proprio da Lorenzo Bedeschi. Se la fanno e se la godono: e il segno di
stima e amicizia che traspare da quell’atto non è che il riconoscimento
alla diuturna, instancabile battaglia condotta da Bedeschi per
“sdoganare” il modernismo, non solo nelle sue idee e nella sua prassi,
ormai del resto largamente penetrate nella neochiesa o contro-chiesa
progressista di papa Francesco, ma proprio nelle figure dei suoi “padri
nobili”: i Buonaiuti, i Murri, i Semeria, i Lepri. Sarebbe come se, mutatis mutandis,
uno storico italiano dello stalinismo avesse ricevuto un’altissima
onorificenza dall’Accademia delle Scienze dell’URSS: e il fatto che
nessuno, né fra i cattolici, né fra gli esponenti della cultura laica,
abbia fatto una piega o abbia manifestato la minima perplessità,
evidenzia che, da decenni, vige una strana prassi fra gli intellettuali
politicamente corretti. Essi non si preoccupano nemmeno di fingere una
qualche obiettività davanti all’oggetto dei loro studi, ma, nel caso
specifico, gli storici alla Bedeschi si presentano apertamente come i
vindici dell’idea modernista e come i restauratori del buon nome e della
rispettabilità (teologica, s’intende) dei suoi esponenti. Ciò
la dice lunga sul grado di conformismo, appiattimento, omologazione
culturale, imperanti nella cultura italiana di questo settantennio
“democratico” e “antifascista”, nel quale gl’intellettuali progressisti
delle varie correnti e tendenze non han fatto altro che complimentarsi e
pavoneggiarsi a vicenda (per quanto, privatamente, si siano
logorati nei rancori e nelle invidie di carriera e di bottega: ma questo
è un altro discorso, non ideologico, attinente alle miserie dell’animo
umano, e specialmente di quello stranissimo tipo umano che è il
cosiddetto intellettuale).
Vogliamo
offrire al lettore un esempio del “metodo storico” di Bedeschi, che
corrisponde, in tutto e per tutto, a quello degli storici partigiani
degli Istituti Storici della resistenza (e il cosiddetto Centro studi di
Urbino risponde alla stessa, identica logica: io fondo un istituto
culturale per magnificare la mia parte ideologica, e spaccio la mia
propaganda per verità storica), trascegliendo, quasi a caso, una pagina
dal suo saggio Il modernismo italiano. Voci e volti (pubblicato
nel 1995, significativamente non da una casa editrice laica, ma proprio
dalle storiche Edizioni San Paolo: a conferma dell’avvenuto trionfo
della neochiesa modernista; pp. 14-16):
Lo
stesso Fogazzaro, in una lettera confidenziale a monsignor Bonomelli,
parlava di “un certo occulto spirito di inquisizione segreta” disposto a
servirsi – come avrebbe aggiunto l’agiografo faentino Francesco
Lanzoni – anche di “rapporti di qualche secolare”. E lo zelante vescovo
antimodernista di Piacenza, monsignor Pellizzari, nel regolamento
compilato per i candidati al sacerdozio invitava a riferire su certi
“disordini” ai superiori. L’articolo 176 recitava: “Chi fa ciò non
esercita l’ufficio del delatore, ma zela il bene comune e la carità
verso il prossimo”. Naturalmente chi si ispira ad una siffatta
pedagogia, orientata più al governo del “Principe” che al senso
evangelico, era portato ad ammettere che il fine giustifica i mezzi.
In
tal prospettiva rientra anche l’uso della calunnia, che diventava
doverosa trovando piena legittimazione al pari della violazione del
segreto confessionale, e dell’amicizia. Il gesuita padre Chiaudano,
direttore dell’ufficiosa “Civiltà Cattolica”, consigliava padre Rosa,
specialista nella polemica antimodernista, a ricorrere alla calunnia nei
riguardi del modernista Buonaiuti. Precisava: “Mi sembra proprio di
quelli dei quali san Francesco di Sales sentenziava che ‘sunt
diffamandi’ e che è un’opera di grande zelo toglierli ogni autorità”. Il
padre Giulio Sabaut poi, l’alter ego di monsignor Benigni
(organizzatore del “Sodalizio piano” istituto per scoprire e segnalare i
modernisti), non aveva dubbi ad ammettere che “ad estremi mali vanno
applicato estremi rimedi. Scoprire e denunciare certe forme subdole di
errore non è far la spia”.
Si
può allora capire come il carismatico don Brizio Cadciola, il prete
umbro a cui Fogazzaro s’era ispirato nel delineare la figura del
protagonista del romanzo “Il Santo”, inviasse un messaggio ai cardinali
riuniti in conclave per eleggere il successore di Pio X nel giugno 1914
(alla guisa di Dante Alighieri) perché scegliessero un pontefice “che
rispetti l’azione misteriosa della Grazia entro le anime, le coadiuvi,
le guidi; che guardi ai dissidenti con la simpatia che guadagna i cuori;
che sia persuaso del’opera incessante e progressiva di Dio nella
storia; che anteponga la persuasione alla coercizione […] che preferisca
la giustizia e la carità alle virtù passive, le grandi devozioni atiche
alle nuove pratiche minute e restituisca i chiostri ai pensieri
solenni; che soffochi la delazione, peste del clero; che ami il popolo e
si volga a lui non per organizzarlo in partito,l ma per comunicargli la
luce, la gioia, la libertà di Dio; che dica ai potenti parole
inflessibili di giustizia”.
Così
si può capire come l’arcivescovo francese di Albi, monsignor Mignot,
interpretando il pensiero di molti, inviasse al neoeletto Benedetto XV –
a suo tempo accusato pure lui di modernismo – un memoriale che suonava
denuncia: “Dietro un’intransigente e feroce ortodossia – si leggeva fra
l’altro – certi personaggi soddisfacevano normalmente i loro rancori
personali. Che anzi sembravano essersi assunti il compito di gettare il
discredito sui più seri e attivi apostoli”.
E
dopo mezzo secolo un altro arcivescovo, monsignor Pellegrini di Torino,
parlando in San Pietro a Roma durante il concilio Vaticano II, alla
fine della IV Sessione sulla formazione scientifica dei fedeli, chiedeva
che non tornassero più gli orrori dell’antimodernismo e invocava il
rispetto della libertà. Esclamava a un certo punto: “Tutti siamo assai
riconoscenti alla suprema autorità della Chiesa che ha sbaragliato a suo
tempo l’errore esiziale del modernismo. Ma chi oserebbe affermare che
in questa necessaria repressione siano stati sempre religiosamente
rispettati i diritti e la dignità della persona dei sacerdoti, sia che
si trattasse di sacerdoti esuberanti di zelo giovanile, sia che si
trattasse di vescovi o anche di cardinali di Santa Romana Chiesa?” Con
tono sofferto aggiungeva: “Affinché nessuno creda che queste e simili
cose riguardino i vecchi temi, ritengo che sia sufficiente ricordare
che, pochi anni fa, ho conosciuto un religioso che viveva in un esilio
non certo volontario, perché aveva espresso opinioni che oggi ritroviamo
con gioia in documenti pontifici conciliari. E non è un caso unico.
Tutti lo sanno”.
Gli orrori dell’antimodernismo (niente di meno!), dunque, erano ancor vivi al tempo del Concilio: ecco il vero intento di costoro: ristabilire il modernismo, fingendo di condividerne la condanna ”storica” di san Pio X (Tutti
siamo assai riconoscenti alla suprema autorità della Chiesa che ha
sbaragliato a suo tempo l’errore esiziale del modernismo; ma via,
il gioco è fin troppo scoperto: costoro pensano che gli altri siano
tutti stupidi?) e chiedendo “solo” di restituire l’onore alle persone
ingiustamente e iniquamente perseguitate. Insomma: il modernismo era un
errore esiziale, ma i modernisti erano tutti belli e bravi, gente onesta
e rispettabile, ottimamente intenzionata, meritevoli della massima
stima: un po’ strano questo modo di ragionare, vero? Se non altro, è
molto italiano: come quando si denuncia la corruzione, o il malgoverno, o
la cattiva sanità, o il degrado della scuola; ma se poi si passa a
parlare delle persone in carne e ossa, degli uomini politici, dei
medici, degli insegnanti, ecco che sono tutti eccellenti professionisti,
senza macchia e senza paura. Comunque, per Bedeschi e i cattolici come
lui, la cosa importante è che ora i vescovi che la pensano come
l’arcivescovo Pellegrini, possano “ritrovare con gioia”, nei documenti
pontifici, le opinioni dei precursori del modernismo!
Dalla citazione dell’intervento di monsignor Pellegrini, se non altro, appare evidente il “metodo Bedeschi”: il legame fra modernismo “storico” e neomodernismo conciliare, ieri “perseguitato” da san Pio X (con gli orrori dell’antimodernismo;
quasi che, orrori a parte, l’antimodernismo fosse una particolare setta
o deviazione dottrinale, e non il vero e solo cattolicesimo, di ieri e
di sempre), ora pienamente riabilitato dal Vaticano II, è dichiarato
apertamente, senza alcuna remora. Del resto, che cosa direbbe oggi il
buon Bedeschi, morto nel 2006, se potesse assistere alla piena
instaurazione del modernismo nella neochiesa di papa Francesco? Vedrebbe
finalmente coronati i suoi voti e ripagati gli sforzi di tutta una
vita.
Come
volevasi dimostrare: se la dicono e se la godono fra di loro; e tanto
peggio per tutto il resto, Verità compresa, che non cambia al mutare
delle umane opinioni, per moderne che siano: Stat Veritas, perenne e incrollabile.
Ineffabili modernisti: se la dicono e se la godono
di
Francesco Lamendola
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