ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 12 febbraio 2017

Il “metodo Bedeschi”

INEFFABILI MODERNISTI


    Ineffabili modernisti: se la dicono e se la godono. Per loro il Vangelo è una cosa di sinistra e chi non la pensa come loro non è un vero cattolico. Il metodo Bedeschi: legame fra modernismo “storico” e neomodernismo conciliare
di Francesco Lamendola 
Verrà un giorno, prima o poi, in cui sarà possibile valutare esattamente i  settant’anni di storia della cultura italiana susseguenti il 1945, e si capirà fino a che punto siano stati viziati, in ogni ambito possibile, dalla filosofia alla storia, dalla letteratura alla teologia, dalla poesia all’architettura, dal cinema alle scienze sociali, da una ininterrotta, compiaciuta, beffarda autoreferenzialità degli intellettuali allineati, autonominatisi studiosi, giudici e soli interpreti autorizzati ciascuno del proprio orticello e della propria parrocchia, e anche di qualche spazio altrui, spesso e volentieri con il denaro pubblico (centri di ricerca e associazioni “culturali” finanziate dagli enti pubblici o direttamente dallo Stato). Mai, in ogni caso, è stata presa in considerazione la voce dei dissidenti; mai è stato concesso il benché minimo credito agli argomenti dei “vinti”; e ben raramente ci si è sforzati di salvare anche solo le forme dell’equanimità, dell’obiettività, della ricerca e della valutazione spassionate, al solo fine di capire i fenomeni invece di giudicarli dal proprio punto di vista – il punto di vista del vincitore, l’unico politicamente corretto e, pertanto, l‘unico avente la dignità richiesta per potersi manifestare.

In tal modo, per esempio, la storia del fascismo è stata scritta dagli antifascisti militanti puri e duri, meglio se comunisti, perché i partigiani comunisti avevano lottato più di tutti gli altri per abbattere la dittatura (e poco importa se lo avevano fatto non per amore della libertà, ma per consumare le loro vendette personali e nella speranza di instaurare dittatura ben peggiore e più feroce, quella d’impronta staliniana); e la storia del cattolicesimo è stata scritta, sempre più spesso, e, oggi, pressoché unanimemente, dai cosiddetti cattolici modernisti, che poi non sono affatto cattolici, perché il modernismo è un’eresia, la somma di tutte le eresie, giusta la definizione di san Pio X: ma, siccome costoro, un poco alla volta, hanno occupato tutte le principali posizioni all’interno della Chiesa, si possono prendere anche il lusso di definire se stessi, e i loro antesignani di cent’anni fa, come i veri e i soli cattolici, e gli altri, quelli che non sono passati alle loro idee, e che rappresentano il “vecchio” Magistero, vengono bollati come “tradizionalisti”, una specie di razza in estinzione che, in fondo, non merita veramente l’appellativo di “cattolica”, perché, aggrappandosi al passato, essi si sono auto-squalificati. Anzi, l’arroganza dei modernisti è giunta al segno che, per completare l’opera iniziata ai primi del XX secolo, hanno deciso di passare alla “fase due”: la rimozione vera e propria del passato, la cancellazione del Magistero, della storia della Chiesa, della teologia tomista, della liturgia, della pastorale, della catechesi uscite dal Concilio di Trento e confermate dal Concilio Vaticano I. Tutto questo viene fatto e studiato allo scopo di dare alle nuove generazioni l’impressione che il cattolicesimo sia sempre stato quello che ora essi spacciano per tale, ma che tale non è, tirando un rigo sopra duemila anni di Tradizione e di interpretazione magisteriale della Scrittura, allo scopo d’ingraziarsi i protestanti e di stabilire un dialogo “proficuo” con le altre religioni, in realtà per svendere e liquidare la Chiesa alle forze esterne ed interne – la Massoneria in primis - che da molto tempo si danno da fare per giungere a questo risultato, ma facendolo apparire come perfettamente naturale e, soprattutto, senza presentarlo per ciò che realmente è, ma ammantandolo da “rinnovamento”, da “approfondimento” e da “più matura comprensione” del messaggio evangelico.
Il modernismo, pertanto, è stato fatto oggetto di studio proprio da parte di quei cattolici modernisti che sognavano ciò che in effetti è accaduto: una piena rivincita dottrinale e “storica”, una piena riabilitazione delle idee moderniste nella prassi della Chiesa, e quindi, parallelamente, una svalutazione e una condanna, aperta o implicita (quest’ultima nel caso di san Pio X, bersaglio troppo elevato perfino per costoro, che non hanno più paura di nulla, e nemmeno pudore in ciò che stanno facendo) di quanti al modernismo si sono opposti, facendo apparire vane, inconsistenti, retrive o meschine le loro preoccupazioni e deplorevole il loro modo di agire, in quanto basato sulla delazione e sulla calunnia. Anzi, la voluta confusione dei due piani – quello del merito e quello del metodo – è stata sfruttata senza alcun ritegno da codesti storici di se stessi, e in perfetta mala fede, dando a intendere che della gente così sordida, così squallida, da non arretrare neanche davanti alla delazione e alla calunnia, non poteva che essere portatrice di un atteggiamento mentale sbagliato e di una teologia fallace e disastrosa.
Un esempio paradigmatico di tutto questo è offerto dall’opera storiografica di padre Lorenzo Bedeschi, prete modernista che ha dedicato l’intera sua vita alla riabilitazione e all’esaltazione del modernismo e alla denigrazione sistematica e implacabile di ciò che egli chiama “antimodernismo”, mentre è stato, puramente e semplicemente, il vero e solo cattolicesimo, quello che la Chiesa ha sempre praticato e che il Magistero ha sempre tramandato. Autore di oltre 80 libri, molti dei quali dedicati al suo argomento preferito, Bedeschi è stato, per cominciare, un prete fieramente antifascista e un partigiano, che, quando l’Italia era sprofondata nel vortice della guerra civile, non si è certo tirato indietro dal bagno di sangue fraterno, ma si è arruolato nel Corpo Italiano di Liberazione e poi, a guerra finita, è stato tra i fondatori della sezione di Ravenna dell’Istituto Storico per la Resistenza. Come abbia potuto, un sacerdote cattolico, aderire con tanta convinzione alla carneficina della guerra civile, senza vedervi la minima contraddizione con il primo dovere di pastore del gregge (gregge che comprendeva i fascisti, gli antifascisti e quelli che non amavano né gli uni né gli altri, e che poi erano la stragrande maggioranza degli italiani), è cosa che riguarda la sua coscienza. I cattolici di sinistra non hanno mai avuto molti scrupoli in questo senso: per loro, il Vangelo è una cosa di sinistra, e chi non la pensa come loro non è un vero cattolico, né merita la benché minima indulgenza, la benché minima apertura di credito; quanto al sangue versato, è il prezzo da pagare per affermare, nella storia, i valori evangelici: e pazienza se tutto questo, con le parole e con le azioni di Gesù Cristo, non c’entra assolutamente nulla. Sta di fatto che dalla “fucina di Bologna”, dalla centrale di Dossetti e Lazzati, è venuta fuori tutta una generazioni di cattolici progressisti e modernisti, i quali, dismessi i panni partigiani di Bedeschi, vestono ora, come Alberto Melloni, il severo abito accademico degli storici blasonati e “ufficiali”, regolarmente invitati in televisione (di preferenza su Rai tre, la rete neocomunista) a rievocare le loro glorie passate e recenti, e ad esaltare la “svolta” del Concilio, preannunciata da uomini come don Primo Mazzolari, maestro ideale di Bedeschi e molti altri.
Una deduzione sulla obiettività di Lorenzo Bedeschi storico del modernismo si può ricavare dal fatto che la figlia del noto storico e pastore calvinista Paul Sabatier, amico di cattolici italiani di tendenza modernista come Antonietta Giacomelli, ha voluto donare l’archivio paterno al Centro studi fondato a Urbino, per la storia del modernismo, proprio da Lorenzo Bedeschi. Se la fanno e se la godono: e il segno di stima e amicizia che traspare da quell’atto non è che il riconoscimento alla diuturna, instancabile battaglia condotta da Bedeschi per “sdoganare” il modernismo, non solo nelle sue idee e nella sua prassi, ormai del resto largamente penetrate nella neochiesa o contro-chiesa progressista di papa Francesco, ma proprio nelle figure dei suoi “padri nobili”: i Buonaiuti, i Murri, i Semeria, i Lepri. Sarebbe come se, mutatis mutandis, uno storico italiano dello stalinismo avesse ricevuto un’altissima onorificenza dall’Accademia delle Scienze dell’URSS: e il fatto che nessuno, né fra i cattolici, né fra gli esponenti della cultura laica, abbia fatto una piega o abbia manifestato la minima perplessità, evidenzia che, da decenni, vige una strana prassi fra gli intellettuali politicamente corretti. Essi non si preoccupano nemmeno di fingere una qualche obiettività davanti all’oggetto dei loro studi, ma, nel caso specifico, gli storici alla Bedeschi  si presentano apertamente come i vindici dell’idea modernista e come i restauratori del buon nome e della rispettabilità (teologica, s’intende) dei suoi esponenti. Ciò la dice lunga sul grado di conformismo, appiattimento, omologazione culturale, imperanti nella cultura italiana di questo settantennio “democratico” e “antifascista”, nel quale gl’intellettuali progressisti delle varie correnti e tendenze non han fatto altro che complimentarsi e pavoneggiarsi a vicenda (per quanto, privatamente, si siano logorati nei rancori e nelle invidie di carriera e di bottega: ma questo è un altro discorso, non ideologico, attinente alle miserie dell’animo umano, e specialmente di quello stranissimo tipo umano che è il cosiddetto intellettuale).
Vogliamo offrire al lettore un esempio del “metodo storico” di Bedeschi, che corrisponde, in tutto e per tutto, a quello degli storici partigiani degli Istituti Storici della resistenza (e il cosiddetto Centro studi di Urbino risponde alla stessa, identica logica: io fondo un istituto culturale per magnificare la mia parte ideologica, e spaccio la mia propaganda per verità storica), trascegliendo, quasi a caso, una pagina dal suo saggio Il modernismo italiano. Voci e volti (pubblicato nel 1995, significativamente non da una casa editrice laica, ma proprio dalle storiche Edizioni San Paolo: a conferma dell’avvenuto trionfo della neochiesa modernista; pp. 14-16):
Lo stesso Fogazzaro, in una lettera confidenziale a monsignor Bonomelli, parlava di “un certo occulto spirito di inquisizione segreta” disposto a servirsi – come avrebbe  aggiunto l’agiografo faentino Francesco Lanzoni – anche di “rapporti di qualche secolare”. E lo zelante vescovo antimodernista di Piacenza, monsignor Pellizzari, nel regolamento compilato per i candidati al sacerdozio invitava a riferire su certi “disordini” ai superiori. L’articolo 176 recitava: “Chi fa ciò non esercita l’ufficio del delatore, ma zela il bene comune e la carità verso il prossimo”. Naturalmente chi si ispira ad una siffatta pedagogia, orientata più al governo del “Principe” che al senso evangelico, era portato ad ammettere che il fine giustifica i mezzi.
In tal prospettiva rientra anche l’uso della calunnia, che diventava doverosa trovando piena legittimazione al pari della violazione del segreto confessionale, e dell’amicizia. Il gesuita padre Chiaudano, direttore dell’ufficiosa “Civiltà Cattolica”, consigliava padre Rosa, specialista nella polemica antimodernista, a ricorrere alla calunnia nei riguardi del modernista Buonaiuti. Precisava: “Mi sembra proprio di quelli dei quali san Francesco di Sales sentenziava che ‘sunt diffamandi’ e che è un’opera di grande zelo toglierli ogni autorità”. Il padre Giulio Sabaut poi, l’alter ego di monsignor Benigni (organizzatore del “Sodalizio piano” istituto per scoprire e segnalare i modernisti), non aveva dubbi ad ammettere che “ad estremi mali vanno applicato estremi rimedi. Scoprire e denunciare certe forme subdole di errore non è far la spia”.
Si può allora capire come il carismatico don Brizio Cadciola, il prete umbro a cui Fogazzaro s’era ispirato nel delineare la figura del protagonista del romanzo “Il Santo”, inviasse un messaggio ai cardinali riuniti in conclave per eleggere il successore di Pio X nel giugno 1914 (alla guisa di Dante Alighieri) perché scegliessero un pontefice “che rispetti l’azione misteriosa della Grazia entro le anime, le coadiuvi, le guidi; che guardi ai dissidenti con la simpatia che guadagna i cuori; che sia persuaso del’opera incessante e progressiva di Dio nella storia; che anteponga la persuasione alla coercizione […] che preferisca la giustizia e la carità alle virtù passive, le grandi devozioni atiche alle nuove pratiche minute e restituisca i chiostri ai pensieri solenni; che soffochi la delazione, peste del clero; che ami il popolo e si volga a lui non per organizzarlo in partito,l ma per comunicargli la luce, la gioia, la libertà di Dio; che dica ai potenti parole inflessibili di giustizia”.
Così si può capire come l’arcivescovo francese di Albi, monsignor Mignot, interpretando il pensiero di molti, inviasse al neoeletto Benedetto XV – a suo tempo accusato pure lui di modernismo – un memoriale che suonava denuncia: “Dietro un’intransigente e feroce ortodossia – si leggeva fra l’altro – certi personaggi soddisfacevano normalmente i loro rancori personali. Che anzi sembravano essersi assunti il compito di gettare il discredito sui più seri e attivi apostoli”.
E dopo mezzo secolo un altro arcivescovo, monsignor Pellegrini di Torino, parlando in San Pietro a Roma durante il concilio Vaticano II, alla fine della IV Sessione sulla formazione scientifica dei fedeli, chiedeva che non tornassero più gli orrori dell’antimodernismo e invocava il rispetto della libertà. Esclamava a un certo punto: “Tutti siamo assai riconoscenti alla suprema autorità della Chiesa che ha sbaragliato a suo tempo l’errore esiziale del modernismo. Ma chi oserebbe affermare che in questa necessaria repressione siano stati sempre religiosamente rispettati i diritti e la dignità della persona dei sacerdoti, sia che si trattasse di sacerdoti esuberanti di zelo giovanile, sia che si trattasse di vescovi o anche di cardinali di Santa Romana Chiesa?” Con tono sofferto aggiungeva: “Affinché nessuno creda che queste e simili cose riguardino i vecchi temi, ritengo che sia sufficiente ricordare che, pochi anni fa, ho conosciuto un religioso che viveva in un esilio non certo volontario, perché aveva espresso opinioni che oggi ritroviamo con gioia in documenti pontifici conciliari. E non è un caso unico. Tutti lo sanno”.
Gli orrori dell’antimodernismo (niente di meno!), dunque, erano ancor vivi al tempo del Concilio: ecco il vero intento di costoro: ristabilire il modernismo, fingendo di condividerne la condanna ”storica” di san Pio X (Tutti siamo assai riconoscenti alla suprema autorità della Chiesa che ha sbaragliato a suo tempo l’errore esiziale del modernismo; ma via, il gioco è fin troppo scoperto: costoro pensano che gli altri siano tutti stupidi?) e chiedendo “solo” di restituire l’onore alle persone ingiustamente e iniquamente perseguitate. Insomma: il modernismo era un errore esiziale, ma i modernisti erano tutti belli e bravi, gente onesta e rispettabile, ottimamente intenzionata, meritevoli della massima stima: un po’ strano questo modo di ragionare, vero? Se non altro, è molto italiano: come quando si denuncia la corruzione, o il malgoverno, o la cattiva sanità, o il degrado della scuola; ma se poi si passa a parlare  delle persone in carne e ossa, degli uomini politici, dei medici, degli insegnanti, ecco che sono tutti eccellenti professionisti, senza macchia e senza paura. Comunque, per Bedeschi e i cattolici come lui, la cosa importante è che ora i vescovi che la pensano come l’arcivescovo Pellegrini, possano “ritrovare con gioia”, nei documenti pontifici, le opinioni dei precursori del modernismo!
Dalla citazione dell’intervento di monsignor Pellegrini, se non altro, appare evidente il “metodo Bedeschi”: il legame fra modernismo “storico” e neomodernismo conciliare, ieri “perseguitato” da san Pio X (con gli orrori dell’antimodernismo; quasi che, orrori a parte, l’antimodernismo fosse una particolare setta o deviazione dottrinale, e non il vero e solo cattolicesimo, di ieri e di sempre), ora pienamente riabilitato dal Vaticano II, è dichiarato apertamente, senza alcuna remora. Del resto, che cosa direbbe oggi il buon Bedeschi, morto nel 2006, se potesse assistere alla piena instaurazione del modernismo nella neochiesa di papa Francesco? Vedrebbe finalmente coronati i suoi voti e ripagati gli sforzi di tutta una vita.
Come volevasi dimostrare: se la dicono e se la godono fra di loro; e tanto peggio per tutto il resto, Verità compresa, che non cambia al mutare delle umane opinioni, per moderne che siano: Stat Veritas, perenne e incrollabile.
Ineffabili modernisti: se la dicono e se la godono
di
Francesco Lamendola

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.