Le opportunità delle Visite ad Limina del Papa con i Vescovi
Facendo riferimento alle profonde riflessioni di Sandro Magister a riguardo delle Visite ad Limina dei Vescovi dal Pontefice, vedi qui, riteniamo opportuno fare alcuni distinguo.
E’ fondamentale partire da questo appunto indiscutibile: noi, laici, non abbiamo alcun diritto a che TUTTI i Discorsi del Pontefice, soprattutto quelli rivolti ai Vescovi, debbano essere da noi conosciuti. E’ meglio perciò parlare di “opportunità” che ci viene data, quando ci si rende noto ciò che un Papa dice direttamente ai Vescovi e che è sempre rivolto al bene di una chiesa particolare, la diocesi, la vita delle parrocchie, la vita dei fedeli.
Con il termine Visita ad limina (Ad limina apostolorum) si intende indicare la “visita” che, ogni cinque anni, i vescovi di tutto il mondo fanno in Vaticano per illustrare al Pontefice quali siano le particolarità che contraddistinguono la loro Regione ecclesiastica (diocesi) dal punto di vista religioso, sociale e culturale, quali siano i nodi maggiormente problematici dal punto di vista pastorale e culturale e come interviene la Chiesa “particolare” su questi problemi…..
I Vescovi, dunque, si “recano da Cefa per consultarlo” e ricevere da lui consigli pastorali ed indicazioni dottrinali laddove si rendesse necessario. Durante questa visita, dunque, Paolo ebbe modo di illustrare a Pietro (e a Giacomo) le difficoltà incontrate nell’evangelizzazione in alcune zone della Giudea. Questo può essere considerato il primo incontro di aiuto reciproco e di confronto su tematiche particolari.
Per quanto riguarda il termine visite ad limina apostolorum, risale ai primi secoli della storia della Chiesa; infatti, nel linguaggio canonico, con limina apostolorum erano indicate le tombe degli apostoli Pietro e Paolo e quindi le visite ad limina erano tutti quei pellegrinaggi compiuti dai fedeli che avevano come meta quelle stesse tombe. Lo stesso termine indicò la visita che tutti i vescovi dovevano fare a Roma, secondo quanto stabilito nel Concilio di Roma, nel 743, sotto papa Zaccaria.
Nel corso dei secoli tale pratica si andò affievolendo, ritrovando vigore solo nel 1585, sotto papa Sisto V che, con la costituzione Romanus Pontifex del 20 dicembre, ripristinò l’obbligo di tali visite dandogli cadenza triennale; le “visite” vennero riconfermato successivamente da papa Benedetto XIV con la costituzione Quod sancta del 23 novembre 1740.
Con San Pio X, nel 1909, il decreto della Congregazione concistoriale A remotissima (31 dicembre), la cadenza delle visite ad limina apostolorum fu portata a 5 anni (10 per gli Ordinari delle sedi extraeuropee), e fu stabilito che vi erano tenuti non solo i vescovi diocesani, ma anche tutti i soggetti ad essi equiparati (prelati e abati territoriali, amministratori e vicari apostolici).
Nel 1975 con Paolo VI, la Congregazione per i vescovi riordinò ulteriormente le “visite” con il decreto Ad Romanam Ecclesiam del 29 giugno, ridistribuendo le zone per i quinquenni. Nel Codice di diritto canonico del 1983 le visite ad limina apostolorum sono prescritte da due canoni (399 e 400): «Il Vescovo diocesano è tenuto a presentare ogni cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi affidatagli, secondo la forma e il tempo stabiliti dalla Sede Apostolica. (…) Il Vescovo diocesano nell’anno in cui è tenuto a presentare la relazione al Sommo Pontefice, se non è stato stabilito diversamente dalla Sede Apostolica, si rechi nell’Urbe per venerare le tombe dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e si presenti al Romano Pontefice.»
Il senso delle visite ad limina è trattato nel Direttorio della Congregazione dei vescovi, pubblicato nel 1988 e voluto specificare da Giovanni Paolo II, e afferma che queste non sono un “semplice atto giuridico-amministrativo consistente nell’assolvimento di un obbligo rituale, protocollare e giuridico”. Esse portano un “arricchimento di esperienze” al ministero del Papa e al suo “servizio di illuminare i gravi problemi della Chiesa e del mondo”, diversi a seconda dei “luoghi, dei tempi e delle culture”.
Giovanni Paolo II, parlando all’assemblea straordinaria dei vescovi italiani il 26 febbraio 1986, disse di “annettere grande importanza” alle visite ad limina: “Esse costituiscono un’occasione privilegiata di comunione pastorale: il dialogo pastorale con ciascuno di voi mi consente di partecipare alle ansie e alle speranze che si vivono nelle Chiese da voi guidate in atteggiamento di ascolto per i suggerimenti dello Spirito”.
Tali affermazioni sono state ribadite poi anche da Benedetto XVI, nell’intervista concessa in lingua tedesca, il 5 agosto 2006, a tre testate televisive tedesche e alla Radio Vaticana, in preparazione al viaggio apostolico in Germania: “Le visite ad limina, che ci sono sempre state, vengono ora valorizzate molto di più, per parlare veramente con tutte le istanze della Santa Sede e anche con me. Io parlo personalmente con ogni singolo vescovo. (…) In questi incontri, in cui appunto centro e periferia si incontrano in uno scambio franco, cresce il corretto rapporto reciproco in una tensione equilibrata“.
Or bene, cosa cambia oggi? In sostanza nulla perché anche Papa Francesco mantiene inalterata la necessità di questo incontro attraverso il quale può essere messo al corrente, direttamente e senza filtri, della situazione delle diocesi sparse nel mondo. Ciò che cambia è che a noi laici nulla verrà detto di ciò che vescovi e Papa si diranno a porte chiuse.
Qualcuno non è d’accordo su questa “censura”, ma è bene precisare, come abbiamo rilevato all’inizio, che in tal senso – noi laici – non abbiamo affatto alcun diritto di dover sapere tutto quanto si sono detti in privato. Ci sono questioni spinose e delicate che è meglio rimangano riservate. L’esplosione di una certa prepotenza mediatica, atta ad arricchire quel marketing abominevole attraverso il quale l’immagine del Pontefice è diventata una caricatura quotidiana, ha spesso deflagrato anche a riguardo delle parole che il Papa rivolge ai Vescovi, spesse volte storpiandole, altre volte dando un senso ed una interpretazione diversa.
Non dimentichiamo che se ne lamentava già Giovanni Paolo II nel 2004: “il magistero del Pontefice, i suoi discorsi ai vescovi, non può essere usato come uno slogan dalle telecomunicazioni. E’ fondamentale che tutti i Media, nel citare ciò che il Papa dice, portino i lettori alle fonti originali ed integrali evitando, come purtroppo avviene, di interpretare con il solo arbitrio, ciò che loro vogliono intendere, o ciò che loro vogliono far giungere ai fedeli…” (da Avvenire 2004)
Il problema, alla fine, non è se noi laici veniamo a conoscenza o meno di ciò che i vescovi e il Papa si dicono, ma che il Papa dica loro quanto di più sano è necessario dire in difesa della dottrina cattolica, in difesa della Tradizione viva della Chiesa, in difesa del “piccolo gregge” perchè, come insegna il Vangelo: quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». (Lc.19,39-40)
Dal canto nostro è assai più opportuno ed efficace che intensifichiamo la nostra Preghiera per i Pastori e il Papa, affinché non tacciano sulla difesa dottrina, non alterino la dottrina dei Comandamenti e della legge di Dio, non tacciano sulla autentica Tradizione della Chiesa, non tacciano sulla verità… In fondo, non è forse meglio non venire a sapere di certi discorsi, ultimamente frequenti, nei quali si fa pensare ai vescovi che “la prassi domina sulla dottrina” e che chi pratica la dottrina è “un rigido”, gettando ancora più confusione nel popolo di Dio? Gesù infatti sostiene che dai tetti viene gridata la verità e non il politicamente corretto, non l’ambiguità.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.