Da Lovanio a Roma, l'eutanasia dei "principi non
negoziabili"
Ha fatto rumore la vicenda dell'Università Cattolica di Lovanio, che ha sospeso e infine licenziato un proprio professore di filosofia, Stéphane Mercier, per aver scritto in una nota per i suoi studenti che "l’aborto è l’omicidio di una persona innocente".
La cosa non ha sorpreso, visti i precedenti di questa università pur insignita della qualifica di "cattolica", nella cui clinica si praticano da tempo alla luce del sole anche interventi di eutanasia, "dai 12 ai 15 all'anno" a detta del rettore della gemella università fiamminga di Lovanio, il canonista Rik Torfs.
Ma ciò che più colpisce è la sostanziale approvazione che i vescovi del Belgio hanno dato alla cacciata del professor Mercier.
Così come impressiona la reticenza del giornale della conferenza episcopale italiana "Avvenire", che nel dare uno stringato resoconto della vicenda – la cui documentazione più completa è apparsa finora nel blog Rossoporpora – ha evitato di prendere posizione, limitandosi a un: "Rimane da comprendere il significato di ciò che è stato dichiarato dal portavoce della conferenza episcopale belga".
Per non dire del silenzio di papa Francesco, che pure non ha mancato in altre occasioni di definire l'aborto "crimine orrendo".
C'è in effetti un notevole stacco tra come il papato e gran parte della gerarchia cattolica intervengono oggi su aborto ed eutanasia e come invece intervenivano ieri.
Quelli che durante i precedenti pontificati erano "principi non negoziabili" oggi sono diventate realtà da "discernere" e "mediare" sia in politica che nella pratica pastorale.
La conferenza episcopale italiana e il suo giornale "Avvenire" sono esempi perfetti di questa mutazione.
Nel febbraio del 2009, quando l'Italia fu scossa dal caso di Eluana Englaro, la giovane in stato vegetativo a cui fu tolta la vita troncandole l'alimentazione e l'idratazione, l'attuale direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio scrisse un editoriale di fuoco, definendo quell'atto una "uccisione".
Mentre oggi c'è un altro clima. Basti vedere il garbato distacco con cui "Avvenire" riferisce e commenta la legge attualmente in discussione in Italia sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, in sigla DAT, cioè le indicazioni date previamente ai medici sulle cure per essere tenuti o no in vita in caso di perdita di conoscenza.
Un esempio lampante di questo cambiamento di rotta è dato dal professor Francesco D'Agostino, docente di filosofia del diritto all'Università di Roma Tor Vergata e alla Pontificia Università Lateranense, presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, presidente onorario del comitato nazionale italiano per la bioetica, membro della pontificia accademia per la vita, editorialista di "Avvenire", insomma, storico punto di riferimento della Chiesa italiana per quanto riguarda le questioni bioetiche.
La lettera riprodotta qui sotto mette appunto in luce il contrasto tra ciò che scrive oggi il professor D'Agostino sulle dichiarazioni anticipate di trattamento e ciò che scriveva sulla stessa materia dieci anni fa.
Autore della lettera è l'avvocato Antonio Caragliu, del foro di Trieste, anche lui membro dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani.
Due notazioni per la migliore comprensione del suo scritto:
– l'onorevole Mario Marazziti, deputato dal 2013 e presidente della commissione per gli affari sociali che si occupa della legge sulle DAT, è membro di primissimo piano della Comunità di Sant'Egidio, di cui è stato per molti anni portavoce;
– monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della conferenza episcopale italiana e con un legame diretto con papa Francesco che l'ha personalmente insediato in questa carica nel 2013 e confermato fino al 2019, è di fatto l'editore unico di "Avvenire", su cui ha pieno e pressante controllo.
Ecco dunque la lettera.
*
Caro Magister,
trovo interessante confrontare l'editoriale del professor Francesco D'Agostino, pubblicato su "Avvenire" del 30 marzo 2017, intitolato "Sulle DAT necessaria una buona legge. Non tutto è eutanasia. La storia chiede coraggio", con un suo altro editoriale, pubblicato dieci anni prima sempre su "Avvenire", il 6 aprile 2007, eloquentemente intitolato "Come uno scivolo mascherato verso l'eutanasia".
Nel 2007 D'Agostino sosteneva che le dichiarazioni anticipate di trattamento possono considerarsi giuste e valide a determinate condizioni, tra le quali contemplava le seguenti:
1. che il medico, destinatario delle dichiarazioni anticipate, pur avendo il dovere di tenerle in adeguata e seria considerazione, non venga mai dalla legge vincolato alla loro osservanza (esattamente come il medico di un paziente "competente" non può mai trasformarsi in un esecutore cieco e passivo delle richieste di questo);
2. che il rifiuto delle terapie non comprenda l'idratazione e l'alimentazione artificiale, dovendosi queste considerare "forme pre-mediche di sostentamento vitale, dotate di un altissimo valore etico e simbolico e la cui sospensione realizzerebbe di fatto una forma, particolarmente insidiosa, perché indiretta, di eutanasia". Nel sostenere ciò D'Agostino si richiamava al documento del comitato nazionale per la bioetica del 18 dicembre 2003 sulle "Dichiarazioni anticipate di trattamento".
Ora, l'art. 3 del disegno di legge attualmente all'esame della commissione per gli affari sociali, presieduta dall'onorevole Mario Marazziti, non rispetta né l'una né l'altra di queste due condizioni.
Ma nonostante ciò il professor D'Agostino scrive che "il disegno di legge non è in alcun modo finalizzato a introdurre in Italia una normativa che legalizzi l'eutanasia". Anzi, solo "un interprete subdolo e malevolo" potrebbe giungere a una simile conclusione, attraverso un'"interpretazione forzata".
Non c'è da stupirsi che molti giuristi cattolici siano rimasti sorpresi dalla svolta del professor D'Agostino, che presiede la loro associazione.
È una svolta che, a mio parere, può trovare spiegazione nella posizione di sostanziale apprezzamento del disegno di legge oggi in esame espressa dal segretario generale della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino nella conferenza stampa conclusiva del consiglio permanente della CEI del 26 gennaio 2017.
Ha detto in quell'occasione Galantino:
"Nella commissione per gli affari sociali, presieduta dall'onorevole Mario Marazziti, stanno preparando un testo al quale guardare con interesse. È venuto fuori con chiarezza che non si deve attribuire tutto il potere alla persona, perché l'autodeterminazione smonta l'alleanza tra paziente, medico e familiari e finisce per essere solo il trionfo dell'individualismo".
Insomma, per Galantino il testo in esame rappresenta un buon compromesso. Il tutto in linea con la ormai nota politica del segretario generale della CEI, attento ad evitare qualsiasi contrapposizione dei cattolici nei confronti del governo di centro-sinistra in carica. Come a dire che l'azione dei cattolici in politica deve essere dettata dagli orientamenti dell'alto ecclesiastico di turno, in questo caso lui, in una ennesima forma di clericalismo.
Ovviamente la situazione è spiacevole, sotto diversi punti di vista.
Sarebbe augurabile che il professor D'Agostino, quello del 2007, che è persona di provata intelligenza e competenza, si chiarisca con il professor D'Agostino del 2017. E poi, magari, si confronti con monsignor Galantino. Senza assecondarlo.
Un caro saluto,
Antonio Caragliu
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/04/10/da-lovanio-a-roma-leutanasia-dei-principi-non-negoziabili/
Il Prof. D’Agostino si pone dalla parte dei fautori dell'eutanasia, con argomentazioni farlocche
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/04/10/da-lovanio-a-roma-leutanasia-dei-principi-non-negoziabili/
"La chiamano Dat" ma è eutanasia per il Prof. Ferraresi (Giuristi cattolici)
07 aprile 2017 ore 14:00, Marta Moriconi
La
chiamano Dat, ma è eutanasia. E' questa in sostanza l'opinione di molti
giuristi cattolici, anche se non tutti sono d'accordo. Lo dimostra il
confronto che si è aperto, anche con toni piuttosto accesi, sull'ultimo
intervento del Presidente dell’Unione giuristi cattolici (e presidente
emerito del Comitato nazionale per la bioetica) Francesco D'Agostino
pubblicato da Avvenire dal titolo: “Sulle Dat necessaria una buona legge. Non tutto è eutanasia. La storia chiede coraggio”. All'interno scrive: "La
storia ci impone di avere coraggio, di abbandonare in parte (solo in
piccola parte!) il vecchio paradigma della medicina ippocratica e di
contribuire alla costruzione di un paradigma nuovo e molto più
complesso. E chi perde gli appuntamenti con la storia sarà costretto,
prima o poi, a pentirsene amaramente. Adesso serve il dibattito in
merito alla legge sul consenso informato, sulle dichiarazioni anticipate
di trattamento e, più in generale, sul fine vita".
IntelligoNews ha deciso di aprire proprio una discussione sull'argomento, ospitando le opinioni di esperti e politici.
Oggi presentiamo il punto di vista di Marco Ferraresi,
membro del Consiglio centrale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani e
Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Pavia: "Con la legge sul
fine vita - spiega - si consentirebbe la perdita definitiva della
libertà”.
Professore, nella discussione della legge sul fine vita pare sia scoppiato il putiferio tra i Giuristi cattolici. E’ vero?
"Il
Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, Francesco
D’Agostino, ha commentato su Avvenire in maniera essenzialmente positiva
la proposta di legge sul fine vita. Ha affermato che essa non
introdurrebbe alcuna forma di eutanasia e che, anzi, chi sostiene questa
tesi forzerebbe l’interpretazione del testo. Io dissento".
La sua opinione dunque qual è?
"A
mio avviso hanno ragione gli oltre 250 giuristi che hanno firmato
l’appello del Centro Studi Livatino. La proposta di legge contiene
evidenti disposizioni eutanasiche".
E quali sarebbero queste disposizioni?
"L’articolo
1 prevede il diritto del paziente di rifiutare o interrompere le
terapie. E sono chiamate terapie anche l’idratazione e l’alimentazione
artificiali. Il medico sarebbe obbligato ad eseguire la volontà del
paziente o astenendosi dal salvarlo (eutanasia omissiva) o compiendo
atti esecutivi, ad es. intervenendo per togliere una flebo alla persona
in cura (eutanasia commissiva). L’articolo 2 prevede che, per i minori e
gli incapaci, rifiuto e interruzione siano decisi dai genitori o
tutori. Infine, l’articolo 3 obbligherebbe il medico ad attenersi al
rifiuto o alla interruzione anche se espressi mediante le DAT, cioè
“disposizioni” anticipate (e vincolanti) di trattamento. Disposizioni
redatte in previsione di una eventuale futura malattia, magari a molti
anni di distanza".
Ma queste norme non tutelerebbero meglio la libertà della persona?
"Direi
piuttosto che queste norme consentirebbero di perdere definitivamente
la libertà, insieme alla vita. Mentre il diritto italiano attuale
protegge inderogabilmente la vita di un malato – anche con la punizione
di reati come l’omicidio del consenziente o l’istigazione al suicidio –
con questa legge la vita diventerebbe un bene relativo, rinunciabile. E
il medico potrebbe essere obbligato a operare il contrario di quanto la
sua professione esige, cioè salvare la vita del paziente, prendersi cura
del malato. Si osservi a tal proposito che non è prevista l’obiezione
di coscienza. Quanto ai minori e agli incapaci, la loro vita sarebbe
nelle mani dei rappresentanti legali. Ben oltre, dunque, la stessa
sbandierata “autodeterminazione”.
Secondo lei c’è contraddizione tra le parole di D’Agostino e quelle del Presidente della CEI, Angelo Bagnasco?
"D’Agostino
parla da giurista, Mons. Bagnasco come Pastore della Chiesa. Hanno
dunque un approccio diverso. Però mi pare che le rispettive valutazioni
della proposta di legge siano di segno diverso. Al di là di ciò – questo
soprattutto mi preme – ritengo che i giuristi cattolici debbano opporsi
senza ambiguità a leggi che introducano il “diritto” di darsi e di dare
la morte e di pretendere, in ciò, l’altrui collaborazione. Il quinto
comandamento, “non uccidere”, non può essere abrogato da nessuna
autorità umana".
http://www.culturacattolica.it/?id=17&id_n=39923
http://www.culturacattolica.it/?id=17&id_n=39923
“Subdolo o malevolo”: caro D’Agostino, non le sembra un tantino esagerato?
martedì 4 aprile 2017
Il Prof. D’Agostino si pone dalla parte dei fautori dell'eutanasia, con argomentazioni farlocche
Il 30 marzo scorso sul giornale dei Vescovi italiani, Avvenire, è apparso un articolo a firma del prof. Francesco D’Agostino,
presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, che ha fatto molto
discutere, tanto che Marco Ferraresi, Consigliere centrale dell’Unione
Giuristi Cattolici Italiani, nonché Presidente dell’Unione Giuristi
Cattolici di Pavia, ha pubblicamente preso le distanze dal suo
Presidente con un articolo pubblicato sulla Nuova Bussola Quotidiana.
Ed in effetti, le sue affermazioni appaiono dal tenore apodittico, ma sicuramente opinabili. Infatti, D’Agostino afferma: “Sulle Dat è necessaria una buona legge. (...) Il disegno di legge non è in alcun modo finalizzato a introdurre in Italia una normativa che legalizzi l’eutanasia. Questo è ciò che invece sostengono alcuni tra i suoi avversari, ma per farlo devono interpretarlo in modo forzato. Onestà vuole che una legge vada valutata per ciò che dice e non per ciò che potrebbe farle dire un interprete SUBDOLO O MALEVOLO”. [maiuscolo mio]
E’ curioso l’atteggiamento del prof. D’Agostino quando attribuisce a chiunque la pensi diversamente da lui sul ddl delle DAT un atteggiamento “subdolo o malevolo”.
Questa affermazione, per altro, è ancor più strana perché è lui stesso che nel suo articolo afferma: “Non c’è dubbio che la possibilità di una simile interpretazione [cioè in senso eutanasico], una volta approvata la legge, esista e che esistono alcuni rumorosi parlamentari che sostengono che nella prossima legislatura si dovrà passare ad approvare un’altra legge che esplicitamente riconosca l’eutanasia. Ma se ci lasciamo condizionare da questi timori, finiamo per pietrificare il nostro ordinamento”. Quindi, con questa sua affermazione, il prof. D’Agostino ammette che si corre un grande rischio. Ma il punto non è che ci possa essere un grande rischio DOPO l’approvazione della legge, ma che è la stessa attuale proposta di legge a portare già ORA nella sua sostanza, anche se non nella forma, un contenuto eutanasico. La forma della legge è stata abilmente costruita per nascondere quello che non deve essere immediatamente visto: una larvata forma di eutanasia.
Risulta chiaro, dunque, che quello che il prof. D’Agostino ipotizza essere un rischio, non è affatto un rischio, ma è semplicemente un dato di fatto, un primo passo verso un pendio molto scivoloso. E’ questa una storia che abbiamo già visto verificarsi in altri Paesi occidentali. Infatti, approvata questa legge, la fase successiva sarà quella di approvare un’altra che manifesti palesemente, cioè anche nella forma, il diritto all’eutanasia.
Ci domandiamo, avverrà anche per l’eutanasia quello che è già avvenuto nella storia per il divorzio, l’aborto e il matrimonio gay, e cioè che saremo proprio noi cattolici a far da sponda all’introduzione nell’ordinamento giuridico di quanto in sé è un male, come la dottrina cattolica ci insegna? Con addirittura la convinzione di aver fatto pure una cosa opportuna? Infatti, il prof. D’Agostino scrive: “un intervento legislativo in tema di fine vita, intelligente e consapevole dello spessore dei problemi, è opportuno, anzi necessario, se non vogliamo chiudere gli occhi, pigramente e colpevolmente, davanti a una realtà che sta mutando a velocità vorticosa.”
E’ curiosa quest’altra affermazione del prof. D’Agostino: “Estremamente opportuna, in tal senso, mi sembra l’indicazione, entrata nel disegno di legge, secondo la quale il paziente non può esigere trattamenti sanitari che vadano contro la legge, le buone pratiche cliniche o la deontologia professionale degli operatori sanitari. Una simile norma dovrebbe tranquillizzare molti critici della nuova normativa”. Stare tranquilli? Al contrario, ci domandiamo come faccia il prof. D’Agostino a sentirsi tranquillizzato da quella inconsistente “difesa” da lui menzionata, visto che nell’attuale proposta di legge sono del tutto scomparsi, rispetto alla precedente versione, il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto di qualunque forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio. Come fa il prof. D’Agostino a sentirsi tranquillo se la nutrizione e l’idratazione artificiali sono qualificati come trattamenti sanitari, e come tali essere interrotti come si farebbe con qualunque farmaco? Occorre capire che se dall’inizio non si mettono dei punti fermi, dei paletti vincolanti, escludenti in maniera chiara e definitiva l’eutanasia e quant’altro ad essa conforme, velleitario risulterà qualsiasi desiderio che l’irreparabile non accada, perché qualsiasi “diga” posta a difesa della vita risulterà come fosse costruita con la cartapesta, destinata immediatamente a sbriciolarsi.
Inoltre, come fa il prof. D’Agostino a dichiarare la sua tranquillità di fronte ad una proposta di legge che impone al medico di assecondare la volontà di suicidio del paziente, stravolgendone così il suo ruolo, la sua funzione e, possiamo tranquillamente dire, la sua MISSIONE? Come si fa a stare tranquilli dinanzi ad una legge che abolisce la obiezione di coscienza del medico? Come si fa a star tranquilli davanti ad uno Stato che ti impone di partecipare, anche se in forma omissiva, ad un suicidio che la tua coscienza rifiuta recisamente? La coscienza può essere tranquillizzata dal fatto che lo Stato depenalizzerebbe il reato?
Eppure il card. Bagnasco, nella sua ultima prolusione, ha sottolineato la gravità della proposta di legge con queste parole: «Si rimane sconcertati anche vedendo il medico ridotto a un funzionario notarile, che prende atto ed esegue, prescindendo dal suo giudizio in scienza e coscienza; così pure, sul versante del paziente, suscita forti perplessità il valore praticamente definitivo delle dichiarazioni, senza tener conto delle età della vita, della situazione, del momento di chi le redige: l’esperienza insegna che questi sono elementi che incidono non poco sul giudizio. La morte non deve essere dilazionata tramite l’accanimento, ma neppure anticipata con l’eutanasia: il malato deve essere accompagnato con le cure, la costante vicinanza e l’amore. Ne è parte integrante la qualità delle relazioni tra paziente, medico e familiari».
Ma nonostante questi accorati ed autorevoli avvertimenti, quello che più colpisce è che dinanzi ad una legge inemendabile, perché affetta da gravi deficienze che sono figlie di una cultura ideologica che sminuisce o disprezza la sacralità della vita, vi siano cattolici che sono presi dalla frenesia di essere al passo con i tempi. Cattolici come il prof. D’Agostino che affermano: “La storia ci impone di avere coraggio, di abbandonare in parte (solo in piccola parte!) il vecchio paradigma della medicina ippocratica e di contribuire alla costruzione di un paradigma nuovo e molto più complesso. E chi perde gli appuntamenti con la storia sarà costretto, prima o poi, a pentirsene amaramente.”
Caro professore D’Agostino, siamo proprio sicuri che quello che serve in questo momento sia il coraggio e non la ragionevolezza?http://www.culturacattolica.it/?id=17&id_n=39923
Ed in effetti, le sue affermazioni appaiono dal tenore apodittico, ma sicuramente opinabili. Infatti, D’Agostino afferma: “Sulle Dat è necessaria una buona legge. (...) Il disegno di legge non è in alcun modo finalizzato a introdurre in Italia una normativa che legalizzi l’eutanasia. Questo è ciò che invece sostengono alcuni tra i suoi avversari, ma per farlo devono interpretarlo in modo forzato. Onestà vuole che una legge vada valutata per ciò che dice e non per ciò che potrebbe farle dire un interprete SUBDOLO O MALEVOLO”. [maiuscolo mio]
E’ curioso l’atteggiamento del prof. D’Agostino quando attribuisce a chiunque la pensi diversamente da lui sul ddl delle DAT un atteggiamento “subdolo o malevolo”.
Questa affermazione, per altro, è ancor più strana perché è lui stesso che nel suo articolo afferma: “Non c’è dubbio che la possibilità di una simile interpretazione [cioè in senso eutanasico], una volta approvata la legge, esista e che esistono alcuni rumorosi parlamentari che sostengono che nella prossima legislatura si dovrà passare ad approvare un’altra legge che esplicitamente riconosca l’eutanasia. Ma se ci lasciamo condizionare da questi timori, finiamo per pietrificare il nostro ordinamento”. Quindi, con questa sua affermazione, il prof. D’Agostino ammette che si corre un grande rischio. Ma il punto non è che ci possa essere un grande rischio DOPO l’approvazione della legge, ma che è la stessa attuale proposta di legge a portare già ORA nella sua sostanza, anche se non nella forma, un contenuto eutanasico. La forma della legge è stata abilmente costruita per nascondere quello che non deve essere immediatamente visto: una larvata forma di eutanasia.
Risulta chiaro, dunque, che quello che il prof. D’Agostino ipotizza essere un rischio, non è affatto un rischio, ma è semplicemente un dato di fatto, un primo passo verso un pendio molto scivoloso. E’ questa una storia che abbiamo già visto verificarsi in altri Paesi occidentali. Infatti, approvata questa legge, la fase successiva sarà quella di approvare un’altra che manifesti palesemente, cioè anche nella forma, il diritto all’eutanasia.
Ci domandiamo, avverrà anche per l’eutanasia quello che è già avvenuto nella storia per il divorzio, l’aborto e il matrimonio gay, e cioè che saremo proprio noi cattolici a far da sponda all’introduzione nell’ordinamento giuridico di quanto in sé è un male, come la dottrina cattolica ci insegna? Con addirittura la convinzione di aver fatto pure una cosa opportuna? Infatti, il prof. D’Agostino scrive: “un intervento legislativo in tema di fine vita, intelligente e consapevole dello spessore dei problemi, è opportuno, anzi necessario, se non vogliamo chiudere gli occhi, pigramente e colpevolmente, davanti a una realtà che sta mutando a velocità vorticosa.”
E’ curiosa quest’altra affermazione del prof. D’Agostino: “Estremamente opportuna, in tal senso, mi sembra l’indicazione, entrata nel disegno di legge, secondo la quale il paziente non può esigere trattamenti sanitari che vadano contro la legge, le buone pratiche cliniche o la deontologia professionale degli operatori sanitari. Una simile norma dovrebbe tranquillizzare molti critici della nuova normativa”. Stare tranquilli? Al contrario, ci domandiamo come faccia il prof. D’Agostino a sentirsi tranquillizzato da quella inconsistente “difesa” da lui menzionata, visto che nell’attuale proposta di legge sono del tutto scomparsi, rispetto alla precedente versione, il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto di qualunque forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio. Come fa il prof. D’Agostino a sentirsi tranquillo se la nutrizione e l’idratazione artificiali sono qualificati come trattamenti sanitari, e come tali essere interrotti come si farebbe con qualunque farmaco? Occorre capire che se dall’inizio non si mettono dei punti fermi, dei paletti vincolanti, escludenti in maniera chiara e definitiva l’eutanasia e quant’altro ad essa conforme, velleitario risulterà qualsiasi desiderio che l’irreparabile non accada, perché qualsiasi “diga” posta a difesa della vita risulterà come fosse costruita con la cartapesta, destinata immediatamente a sbriciolarsi.
Inoltre, come fa il prof. D’Agostino a dichiarare la sua tranquillità di fronte ad una proposta di legge che impone al medico di assecondare la volontà di suicidio del paziente, stravolgendone così il suo ruolo, la sua funzione e, possiamo tranquillamente dire, la sua MISSIONE? Come si fa a stare tranquilli dinanzi ad una legge che abolisce la obiezione di coscienza del medico? Come si fa a star tranquilli davanti ad uno Stato che ti impone di partecipare, anche se in forma omissiva, ad un suicidio che la tua coscienza rifiuta recisamente? La coscienza può essere tranquillizzata dal fatto che lo Stato depenalizzerebbe il reato?
Eppure il card. Bagnasco, nella sua ultima prolusione, ha sottolineato la gravità della proposta di legge con queste parole: «Si rimane sconcertati anche vedendo il medico ridotto a un funzionario notarile, che prende atto ed esegue, prescindendo dal suo giudizio in scienza e coscienza; così pure, sul versante del paziente, suscita forti perplessità il valore praticamente definitivo delle dichiarazioni, senza tener conto delle età della vita, della situazione, del momento di chi le redige: l’esperienza insegna che questi sono elementi che incidono non poco sul giudizio. La morte non deve essere dilazionata tramite l’accanimento, ma neppure anticipata con l’eutanasia: il malato deve essere accompagnato con le cure, la costante vicinanza e l’amore. Ne è parte integrante la qualità delle relazioni tra paziente, medico e familiari».
Ma nonostante questi accorati ed autorevoli avvertimenti, quello che più colpisce è che dinanzi ad una legge inemendabile, perché affetta da gravi deficienze che sono figlie di una cultura ideologica che sminuisce o disprezza la sacralità della vita, vi siano cattolici che sono presi dalla frenesia di essere al passo con i tempi. Cattolici come il prof. D’Agostino che affermano: “La storia ci impone di avere coraggio, di abbandonare in parte (solo in piccola parte!) il vecchio paradigma della medicina ippocratica e di contribuire alla costruzione di un paradigma nuovo e molto più complesso. E chi perde gli appuntamenti con la storia sarà costretto, prima o poi, a pentirsene amaramente.”
Caro professore D’Agostino, siamo proprio sicuri che quello che serve in questo momento sia il coraggio e non la ragionevolezza?http://www.culturacattolica.it/?id=17&id_n=39923
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