ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 1 aprile 2017

L’importante è non rimanere soli?


La prova soprannaturale a cui siamo chiamati in questi tempi è la solitudine o, se va bene, la compagnia di pochi veri fratelli, magari titubanti e intimiditi dalla constatazione di essere isolati. Non la si affronta nascondendosi nella folla osannante, nelle conventicole cavillose, nelle élites da operetta. Anzi, la si abbraccia perché è la condizione naturale e soprannaturale in cui ogni cristiano ha sempre affrontato l’unica battaglia che conta veramente, quella per la vita eterna. Non si va in Paradiso in comitiva. E per allenarsi a morire da soli bisogna imparare a vivere da soli.

Venerdì 31 marzo 2017
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E’ pervenuta in redazione:
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Caro dottor Gnocchi,
lego spesso i siti e le pubblicazioni legate alla Tradizione. Spesso vado anche ai convegni e ho sempre l’impressione che ci si critichi in casa propria senza costrutto invece che allearsi contro il nemico comune. Insomma, penso che questo sia il momento in cui bisogna unire e non dividere, puntare su ciò che ci accomuna e non su ciò per cui non c’è accordo. So che lei non la pensa così, perché?
Grazie
Francesco Sabelli
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Caro Francesco,
non ho nulla da aggiungere, e soprattutto nulla da togliere, a ciò che ho detto fino a oggi evidentemente senza risultati, almeno per quanto riguarda lei e, devo dire per onestà, altri lettori. Nella sua lettera, garbatissima, evita di qualificarmi come ipertradizionalista, ultracattolico e divisivo. Tutte medaglie di cui fare sfoggio fra i troppi tradizionalisti cattolici timorosi di vedersi appiccicare i prefissi “iper” e “ultra” e, non sia mai, l’infamante timbro “divisivo”.
Glielo dico senza rancore, caro Francesco, non venite più a importunarmi con questa fregnaccia dell’unire invece che dividere. Basta, per favore. Questo è il momento in cui bisogna avere il coraggio di dividere e anche l’ardimento di rimanere soli. Nei momenti di caos, la chiarezza fa tremare e terrorizza quelle anime belle che amano fare l’estremista quando per esserlo basta dire perbacco o accipicchia. E, allora, eccoli lì, tutti insieme appassionatamente anche se pensano, e magari credono, cose diverse. L’importante è non rimanere soli. Pecorelle radunate dal timore del lupo invece che dal richiamo del pastore. Pecorelle che, fatalmente, finiscono sempre per pensare, e persino credere, ciò che non disturba il lupo.
Il Vaticano II? Da leggere in ginocchio, purché sia applicato secondo il suo vero spirito. La messa nuova? Una fonte inesauribile di grazie, purché sia celebrata senza quei tremendi abusi. Il tizzone d’inferno Bergoglio? Non c’è nulla da temere perché sulle sorti della chiesa veglia Benedetto XVI, il vero Papa. La morale ai tempi dell’aborto, dell’omosessualismo e dei figli in provetta? Non deve spaventare, basta andare in piazza per il Family Day e strizzare l’occhio al Fertility Day.
Basta, per favore, caro Francesco. Non mi importuni più. Mi sono stufato di scrivere che il Vaticano II è da buttare nella spazzatura invece che tentare di leggerlo alla luce della Tradizione perché, così facendo, si finisce fatalmente per leggere la Tradizione alla luce del Vaticano II. Che la messa nuova avvelena le anime e appesantisce lo spirito di chiunque voglia guardare veramente verso il cielo e che il biritualismo ha per padre il bipensiero e per madre la schizofrenia spirituale. Che Bergoglio è solo la continuazione con altri mezzi di Ratzinger e di chi lo ha preceduto. Che le piazze, gli stadi e i palazzetti sono i luoghi in cui il potere concede volentieri ai suoi sudditi il permesso di manifestare un dissenso che accontenta i padroni ancora prima dei servi.
La prego, non mi importuni oltre con il fantasma della divisione. Lei è terrorizzato dalla realtà, caro Francesco. Questo è il momento in cui il simile va in cerca del proprio simile e scopre che ve ne sono pochi. Gli altri sono solo facsimili, iatture peggiori dei nemici dichiarati.
La prova soprannaturale a cui siamo chiamati in questi tempi è la solitudine o, se va bene, la compagnia di pochi veri fratelli, magari titubanti e intimiditi dalla constatazione di essere isolati. Non la si affronta nascondendosi nella folla osannante, nelle conventicole cavillose, nelle élites da operetta. Anzi, la si abbraccia perché è la condizione naturale e soprannaturale in cui ogni cristiano ha sempre affrontato l’unica battaglia che conta veramente, quella per la vita eterna. Non si va in Paradiso in comitiva, caro Francesco. E per allenarsi a morire da soli bisogna imparare a vivere da soli.
Per favore, la smetta con il mantra dell’unità. Lo sa che cosa unisce veramente? L’odio. Le folle non sono mai così unite come quando devono abbattere un nemico. M’importa davvero poco che ci si unisca attorno alla contestazione di Bergoglio. Eravamo in due, Mario Palmaro e io, quando ci alzammo in piedi per primi a dire “Questo Papa non ci piace”. E in due siamo rimasti a sopportarne le conseguenze, mentre molti amici ci concedevano qualche sorrisetto di facciata e, alle nostre spalle, spiegavano che non era il tempo, non era il modo e ce l’eravamo andata a cercare. Due, soli e liberi. La folla antibergogliana che si abbevera al Vaticano II e celebra la messa di Bugnini, se mai si formerà, si accomodi in qualche palazzetto o in qualche megabit del web, io me ne sto altrove.
Invece è l’amore, caro Francesco, l’amore per la Verità che divide e separa. Sul Calvario, ai piedi della Croce, stavano la Vergine Maria, Maria di Cleofa, Maria Maddalena e Giovanni. Il Vangelo non dice neppure che fossero in contemplazione, ma solo che “stavano” lì. Separati dal mondo, abbandonati dalla folla che si era unita per uccidere il Figlio di Dio. Divisi per amore da tutti coloro che avevano in cuore l’odio. Quella era la Chiesa, caro Francesco: “Ecco il tuo figlio”, “Ecco tua madre”. Nel Dna spirituale di ogni cristiano è impresso il cromosoma della solitudine e della separazione. Eliminarlo significa assumere il Dna mondano del laico.
Amare, ma non dell’amore del mondo, significa morire per l’amore di chi ci ama. Nei giorni scorsi ho visto il filmato del Triduo pasquale predicato da don Divo Barsotti a Desenzano del Garda nel 1991. Parla della chiamata a farsi consumare per amore di Dio. Il momento più alto è quello in cui Barsotti si rivolge personalmente a chi sta seduto nelle prime file: “Vuoi tu consumarti per il Suo amore? Vuoi? Vuoi?” li interroga uno per uno. Attimi terribili perché, altissimi attimi d’amore eterno, di solitudine rispetto agli uomini che introduce all’intimità con Dio.
Vogliamo noi consumarci per il Suo amore? Questa è la vera domanda che di dobbiamo porre, non quella sull’unità e sulla divisione. Vuole lei, caro Francesco, consumarsi per il Suo amore? Voglio io, Alessandro Gnocchi, consumarmi per il Suo amore? Capisce che, dopo l’unica risposta che può dare il cristiano, tutto il resto non conta nulla?
Certo, poi verrà anche il momento di stare insieme. Ma allora sarà facile, perché i simili si riconosceranno all’istante e non avranno bisogno di trovarsi a convegno per capire quanto si somigliano. Non so dirle se questo corrisponda a un nuovo inizio della civiltà. Certo sarà la fine dell’inciviltà.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo

“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi

Redazione31/3/2017

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