Dopo i quattro cardinali, parlano
sei laici. Chissà che il papa ascolti almeno loro
I quattro cardinali non sono mai stati da soli con i loro "dubia". Ne è prova ciò che è accaduto a Roma sabato 22 aprile in una sala dell'Hotel Columbus, a pochi passi da piazza San Pietro, dove sei rinomati studiosi laici sono convenuti da altrettanti paesi del mondo per dare voce all'appello che si leva da larga parte del "popolo di Dio" perché sia fatta chiarezza nella confusione suscitata da "Amoris laetitia".
Settimo Cielo offre ai suoi lettori i testi integrali dei sei interventi, nelle lingue in cui sono stati pronunciati. Ma richiama una speciale attenzione su quello di Claudio Pierantoni, studioso di patrologia e docente di filosofia medievale alla Universidad de Chile, a Santiago, di cui fornisce qui sotto una sintesi.
Pierantoni ripropone i casi di due papi caduti in errore nei primi secoli cristiani, nel pieno delle controversie trinitarie e cristologiche, l'uno condannato "post mortem" da un concilio ecumenico e l'altro indotto a correggersi in vita.
Ma anche oggi – argomenta – c'è un papa che è "vittima", sia pure "poco consapevole", di una diffusa tendenza all'errore che mina i fondamenti della fede della Chiesa. E anche lui è bisognoso di una correzione caritatevole che ridia splendore alla verità.
Pierantoni non è il solo, dei sei, ad aver richiamato le lezioni del passato, antico e recente.
Thibaud Collin, docente di filosofia morale e politica al Collège Stanislas di Parigi, ha ricordato ad esempio l'opposizione di numerosi teologi e interi episcopati all'enciclica di Paolo VI "Humanae vitae", declassata a puro "ideale" e con ciò resa inoperante. E ha mostrato come questa deleteria logica "pastorale" sia tornata oggi in auge con "Amoris laetitia", riguardo al matrimonio indissolubile e presto anche riguardo agli amori omosessuali.
Anna M. Silvas, australiana di rito orientale, studiosa dei Padri della Chiesa e docente alla University of New England, ha invece sottolineato il pericolo che la Chiesa cattolica si inoltri anch'essa sulla strada già percorsa secoli fa dai protestanti e dagli ortodossi verso il divorzio e le seconde nozze: proprio ora – ha aggiunto a sorpresa – che la Chiesa copta sta tornando all'indissolubilità senza eccezioni del matrimonio cristiano.
Su una risposta di papa Francesco ai "dubia", come pure su una sua eventuale "correzione", Anna M. Silvas si è mostrata scettica. Propone piuttosto una "opzione Benedetto" per l'attuale era post-cristiana, ispirata al monachesimo nel crollo dell'età antica, un umile e comunitario "dimorare" presso Gesù e il Padre (Gv 14, 23) nella fiduciosa attesa, fatta di preghiera e lavoro, che cessi la tempesta che sconvolge oggi il mondo e la Chiesa.
Sei voci, sei letture diverse. Tutte profonde e nutrite di "caritas in veritate". Chissà che papa Francesco, almeno, le ascolti.
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LA NECESSARIA COERENZA DEL MAGISTERO CON LA TRADIZIONE. GLI ESEMPI DELLA STORIA
di Claudio Pierantoni
In questo intervento esamineremo prima brevemente la vicenda di due papi dell’antichità, Liberio e Onorio, i quali, per diversi motivi, furono accusati di deviare dalla Tradizione della Chiesa, durante la lunga controversia trinitaria e cristologica che impegnò la Chiesa dal IV fino al VII secolo.
Alla luce delle reazioni del corpo ecclesiale di fronte a queste deviazioni dottrinali, esamineremo poi il dibattito attuale che si è sviluppato intorno alle proposte di papa Francesco nell’esortazione apostolica "Amoris laetitia" e ai cinque "dubia" sollevati dai quattro cardinali.
1. Il caso di Onorio
Onorio I fu l’unico papa ad essere stato formalmente condannato per eresia. Siamo nei primi decenni del secolo VII, nel contesto della controversia sulle due volontà di Cristo. Onorio sostenne la dottrina dell’unica volontà in Cristo, o "monotelismo", che fu però poi dichiarata in contrasto col dogma delle due nature, la divina e l’umana, dottrina solidamente fondata sulla rivelazione biblica e solennemente sancita dal Concilio di Calcedonia del 451.
Ecco il testo con cui, nel 681, dopo la sua morte, il terzo Concilio di Costantinopoli, sesto concilio ecumenico, lo condannò assieme al patriarca Sergio:
"Esaminate le lettere dogmatiche scritte da Sergio, a suo tempo patriarca di questa città imperiale,… e la lettera con cui Onorio rispose a Sergio, e constatato che non sono conformi agli insegnamenti apostolici e alle definizioni dei santi concili e di tutti gli illustri santi Padri, e che viceversa seguono le false dottrine degli eretici, le rifiutiamo e le esecriamo come corruttrici".
2. Il caso di Liberio
Liberio fu invece papa in uno dei momenti più delicati della controversia ariana, alla metà del IV secolo. Il suo predecessore, Giulio I, aveva tenacemente difeso la fede stabilita dal Concilio di Nicea del 325, che dichiarava il Figlio consostanziale al Padre. Ma Costanzo, imperatore d’Oriente, appoggiava la posizione maggioritaria dei vescovi orientali, contrari a Nicea, che secondo loro non lasciava spazio alla differenza personale fra il Padre e il Figlio. Fece rapire, depose e spedì in esilio in Tracia il papa, che, dopo circa un anno, finì per cedere.
Liberio rinnegò così la fede di Nicea e giunse a scomunicare Atanasio, che ne era il più significativo difensore. Ormai docile all’imperatore, Liberio ottenne il permesso di rientrare a Roma, dove fu reinsediato come vescovo. Nei mesi che seguirono, tutti i presuli filoariani che avevano fatto carriera grazie al favore di Costanzo consolidarono il loro potere nelle principali sedi episcopali. È questo il momento in cui, secondo la famosa frase di san Girolamo, "il mondo si lamentò di essere diventato ariano". Dei più di mille vescovi che contava la cristianità rimanevano a resistere, in esilio, solo tre irriducibili: Atanasio di Alessandria, Ilario di Poitiers e Lucifero di Cagliari.
Costanzo morì però all'improvviso, nel 361, e salì al trono imperiale Giuliano, poi detto l’Apostata, che impose il ritorno dello Stato romano al paganesimo, cancellò d'un colpo tutta la politica ecclesiastica di Costanzo e permise ai vescovi esiliati di ritornare in patria. Libero da minacce, papa Liberio inviò un’enciclica che dichiarava invalida la formula da lui approvata in precedenza ed esigeva dai vescovi d’Italia l’accettazione del credo di Nicea. Nel 366, in un sinodo celebrato a Roma poco prima di morire, ebbe perfino la gioia di ottenere la firma del credo di Nicea da una delegazione di vescovi orientali. Appena morto fu venerato come confessore della fede, ma presto il suo culto venne interrotto, per il ricordo del suo cedimento.
Nonostante le loro differenze, i due casi di Liberio e di Onorio hanno in comune un'attenuante, ed è il fatto che le rispettive deviazioni dottrinali ebbero luogo quando ancora era in corso il processo di fissazione dei rispettivi dogmi, quello trinitario nel caso di Liberio e quello cristologico nel caso di Onorio.
3. Il caso di Francesco
Invece, la deviazione dottrinale che si sta verificando durante il pontificato attuale ha un'aggravante, perché si contrappone non a dottrine ancora poco chiare, o in via di fissazione, ma a dottrine che, oltre ad essere solidamente ancorate nella Tradizione, sono anche state già esaustivamente dibattute negli scorsi decenni e dettagliatamente chiarite dal magistero recente.
Certo, la deviazione dottrinale in oggetto era già presente negli scorsi decenni e con essa, quindi, anche lo scisma sotterraneo che questa significava. Ma quando si passa da un abuso al livello pratico alla sua giustificazione al livello dottrinale attraverso un testo del magistero pontificio come "Amoris laetitia" e attraverso dichiarazioni e azioni positive dello stesso pontefice, la situazione cambia radicalmente.
Vediamo, in quattro punti, il progresso di questa distruzione del deposito della fede.
Primo
Primo
Se il matrimonio è indissolubile, ma pure in alcuni casi si può dare la comunione ai divorziati risposati, sembra evidente che questa indissolubilità non è più considerata assoluta, ma solo una regola generale che può soffrire eccezioni.
Ora questo, come ha ben spiegato il cardinale Carlo Caffarra, contraddice la natura del sacramento del matrimonio, che non è una semplice promessa, sia pure solenne, fatta davanti a Dio, ma un’azione della grazia che agisce al livello propriamente ontologico. Quindi, quando si dice che il matrimonio è indissolubile, non si enuncia semplicemente una regola generale, ma si dice che il matrimonio ontologicamente non può sciogliersi, poiché in esso è contenuto il segno e la realtà del matrimonio indissolubile fra Dio e il suo Popolo, tra Cristo e la sua Chiesa. E questo mistico matrimonio è proprio il fine dell’intero piano divino della creazione e della redenzione.
Secondo
Secondo
L'autore di "Amoris laetitia" ha scelto di insistere, nella sua argomentazione, piuttosto sul lato soggettivo dell’azione morale. Il soggetto, dice, potrebbe non essere in peccato mortale perché, per diversi fattori, non è ben consapevole che la sua situazione è un adulterio.
Ora questo, che in linea generale può senz’altro accadere, nell’utilizzazione che ne fa "Amoris laetitia" comporta invece un’evidente contraddizione. Infatti, è chiaro che i tanto raccomandati discernimento e accompagnamento delle singole situazioni contrastano direttamente con la supposizione che il soggetto rimanga, a tempo indefinito, inconsapevole della sua situazione.
Ma l'autore di "Amoris laetitia", lungi dal percepire tale contraddizione, la spinge fino all’ulteriore assurdo di affermare che un approfondito discernimento può portare il soggetto ad avere la sicurezza che la sua situazione, oggettivamente contraria alla legge divina, sia proprio ciò che Dio vuole da lui.
Terzo
Il ricorso al precedente argomento, a sua volta, tradisce una pericolosa confusione che, oltre alla dottrina dei sacramenti, arriva ad intaccare la nozione stessa di legge divina, intesa come fonte della legge naturale, rispecchiata nei Dieci Comandamenti: legge data all’uomo perché atta a regolare i suoi comportamenti fondamentali, non limitati a particolari circostanze storiche, ma fondati sulla sua stessa natura, il cui autore è appunto Dio.
Quindi, il supporre che la legge naturale possa soffrire delle eccezioni è una vera e propria contraddizione, è una supposizione che non comprende la sua vera essenza e perciò la confonde con la legge positiva. La presenza di questa grave confusione è confermata dal ripetuto attacco, presente in "Amoris laetitia", contro i legulei, i presunti “farisei” ipocriti e duri di cuore. Questo attacco, infatti, tradisce un completo fraintendimento della posizione di Gesù verso la legge divina, poiché la sua critica al comportamento farisaico si fonda proprio su una chiara distinzione fra legge positiva – i “precetti di uomini” – cui sono tanto attaccati i farisei, e i Comandamenti fondamentali, che sono invece il primo requisito, irrinunciabile, che Lui stesso chiede all’aspirante discepolo. In base a questo equivoco si comprende il vero motivo per cui, dopo aver tanto insultato i farisei, il papa finisce per allinearsi di fatto con la loro stessa posizione a favore del divorzio, contro quella di Gesù.
Ma, ancora più a fondo, è importante osservare che questa confusione snatura profondamente l’essenza stessa del Vangelo e il suo necessario radicamento nella persona di Cristo.
Quarto
Cristo infatti, secondo il Vangelo, non è semplicemente un uomo buono, venuto al mondo a predicare un messaggio di pace e giustizia. Egli è, innanzitutto, il Logos, il Verbo che era nel principio e che, nella pienezza dei tempi, si incarna. È significativo che Benedetto XVI, fin dal suo discorso "Pro eligendo romano pontifice", abbia fatto proprio del Logos il cardine del suo insegnamento, non a caso combattuto a morte dal soggettivismo delle moderne teorie.
Ora, nell’ambito di questa filosofia soggettivista si giustifica uno dei postulati più cari a papa Francesco, secondo il quale “la realtà è superiore all’idea”. Una massima come questa, infatti, ha senso solamente in una visione in cui non possono esistere idee vere, che non solo rispecchino fedelmente la realtà, ma possano anche giudicarla e dirigerla. Il Vangelo, preso nella sua integrità, suppone questa struttura metafisica e gnoseologica, dove la verità è in primo luogo adeguazione delle cose all’intelletto, e l’intelletto è in primo luogo quello divino: appunto, il Verbo divino.
In questa atmosfera si comprende come sia possibile che il direttore del "La Civiltà Cattolica" affermi che è la pastorale, la prassi, che deve guidare la dottrina e non viceversa, e che in teologia “due più due possono fare cinque”. Si spiega perché una signora luterana possa fare la comunione insieme al marito cattolico: la prassi infatti, l’azione, è quella della Cena del Signore, che essi hanno in comune, mentre quello in cui differiscono sono solo “le interpretazioni, le spiegazioni”, meri concetti insomma. Ma si spiega anche come, secondo il superiore generale della Compagnia di Gesù, il Verbo incarnato non sarebbe in grado di mettersi in contatto con le sue creature attraverso il mezzo da lui stesso scelto, la Tradizione apostolica: infatti, bisognerebbe sapere cos’ha veramente detto Gesù, ma non possiamo, dice, “dal momento che non c’era un registratore”.
Ancora più a fondo, in questa atmosfera, si spiega infine come il papa non possa rispondere "sì" o "no" ai "dubia". Se infatti “la realtà è superiore all’idea”, allora l’uomo non ha neanche bisogno di pensare con il principio di non-contraddizione, non ha bisogno di principi che dicano “questo sì e questo no” e neppure deve obbedire a una legge naturale trascendente, che non si identifichi con la stessa realtà. Insomma, l’uomo non ha bisogno di una dottrina, perché la realtà storica basta a se stessa. È il "Weltgeist", lo Spirito del Mondo.
4. Conclusione
Quello che salta all’occhio nella situazione attuale è proprio la deformazione dottrinale di fondo che, pur abile nello schivare formulazioni direttamente eterodosse, manovra tuttavia in modo coerente per portare avanti un attacco non solo contro dogmi particolari come l’indissolubilità del matrimonio e l’oggettività della legge morale, ma addirittura contro il concetto stesso della retta dottrina e, con esso, della persona stessa di Cristo come Logos. Di questa deformazione dottrinale la prima vittima è proprio il papa, che di essa, mi azzardo a ipotizzare, è assai poco consapevole, vittima di un’alienazione generalizzata ed epocale dalla Tradizione, in ampi strati dell’insegnamento teologico.
In questa situazione, i "dubia", queste cinque domande presentate dai quattro cardinali, hanno messo il papa in una situazione di stallo. Se rispondesse rinnegando la Tradizione e il magistero dei suoi predecessori, passerebbe ad essere eretico anche formalmente, quindi non può farlo. Se invece rispondesse in armonia con il magistero precedente, contraddirebbe gran parte delle azioni dottrinalmente rilevanti compiute durante il suo pontificato, quindi sarebbe una scelta molto difficile. Ha scelto quindi il silenzio perché, umanamente, la situazione può apparire senza uscita. Ma intanto, la confusione e lo scisma "de facto" si estendono nella Chiesa.
Alla luce di tutto ciò, si rende quindi più che mai necessario un ulteriore atto di coraggio, di verità e di carità, da parte dei cardinali, ma anche dei vescovi e poi di tutti i laici qualificati che volessero aderirvi. In una situazione così grave di pericolo per la fede e di scandalo generalizzato, è non solo lecita, ma addirittura doverosa una correzione fraterna francamente rivolta a Pietro, per il suo bene e quello di tutta la Chiesa.
Una correzione fraterna non è né un atto di ostilità, né una mancanza di rispetto, né una disobbedienza. Non è altro che una dichiarazione di verità: "caritas in veritate". Il papa, ancor prima di essere papa, è nostro fratello.
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Il testo integrale dell'intervento di Claudio Pierantoni:
E quello di Anna M. Silvas:
Di Douglas Farrow:
Di Thibaud Collin:
Di Jürgen Liminski:
Di Jean Paul Messina:
E perché cotanto papa dovrebbe ascoltare i laici, tutto proteso verso il gradimento dei massoni?
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