C’era una volta un bastimento…
C’era una volta un bastimento, una valorosa nave a vela
adibita al trasporto delle merci più varie, in mezzo alle ormai dilaganti navi
a vapore: quando la vedevi, in porto, faceva uno strano effetto, era
praticamente l’ultima della sua categoria, l’ultima di un’epoca ormai
tramontata, quella della navigazione a vela, quando il mestiere del marinaio
era proprio quello di un tempo, quello di sempre, e non, come a bordo delle
superpetroliere, quello di un tecnico o un impiegato trasferito su una
gigantesca tinozza galleggiante, dove fanno tutto gli strumenti elettronici e
dove il pilota automatico ti porta sicuro a destinazione con qualsiasi tempo,
burrasca o bonaccia, estate e inverno, sole o nebbia, iceberg o mare sgombro.
Eppure, nonostante tutto, quella vecchia nave fuori moda, incongrua in mezzo a
tutti quegli scafi di ferro e a quelle ciminiere, che aveva affrontato e
superato mille tempeste, e che aveva doppiato Capo Horn almeno una dozzina di
volte, pur se guardata con alterigia dai giovani capitani degli altri
bastimenti, godeva di una segreta ammirazione presso i capitani più anziani; i
quali, nelle taverne dei porti, dopo qualche sigaro e qualche boccale di birra,
finivano per confessare, magari a denti stretti, che quella vecchia signora di
un’altra epoca sapeva tenere il mare meglio di tante navi moderne e
super-accessoriate, e che, quanto a loro, avrebbero scommesso ad occhi chiusi
sulla sua efficienza e sulla sua puntualità, cosa che non avrebbero fatto con
tantissimi altri bastimenti, anche se dotati del radiogoniometro, dei
riflettori antinebbia, delle doppie o triple paratie stagne, e di cento
altre meraviglie della tecnologia moderna.
Così pure, dopo qualche altra birra
o qualche altro bicchiere di liquore, finivano per ammettere, fra irritati e
ammirati, che nessuno come quel vecchio capitano era capace di portare la sua
nave verso qualsiasi porto e in qualunque destinazione, fosse pure nel bel
mezzo di una guerra mondiale, non solo sfidando gli elementi della natura, ma anche
sgusciando, con inarrivabile perizia, in mezzo ad un blocco marittimo, e
schivando con un fiuto infallibile i campi di mine e beffando persino la
sorveglianza area.
Poi, cominciarono a verificarsi dei cambiamenti. La
compagnia armatrice del vecchio veliero decise di sottoporlo ad una serie di
ammodernamenti: lo fece entrare in bacino e per prima cosa ne fece ridipingere
lo scafo, con colori sgargianti, secondo la moda più recente, allo scopo di
levargli quella patina di antichità che si portava addosso; poi vi fece
installare un motore ausiliario con relativa elica e, ovviamente, con il suo
bravo fumaiolo; sostituì le vecchie infrastrutture in legno con delle opere in
ferro, e ribattezzò la nave con un nome nuovo; infine, licenziò il vecchio
capitano e ne assunse uno nuovo, che veniva da una scuola nautica moderna, e
aveva delle idee assai più innovative in fatto di navigazione, anche se aveva
poca esperienza di mare, dato che veniva fresco, fresco, dall’istituto nautico.
Ora, non si sa com’è, e come non è, quel capitano rimase per qualche anno, poi
se ne andò e ne venne un altro; quindi un terzo, e un quarto, e un quinto: nel
giro di nemmeno due lustri, ne aveva già cambiati sei o sette. Ciascuno di essi
aveva le sue idee e volle imporle a bordo, ogni volta asserendo che ciò era
necessario per il bene dell’equipaggio e della nave, nonché per una maggiore
produttività dei viaggi commerciali. E, ogni volta, gli armatori davano fiducia
all’ultimo arrivato; e ogni volta si susseguivano ordini e contrordini, e tutta
una serie di disposizioni nuove, al punto che si sparsero delle voci non troppo
benevole sulla vita che si faceva a bordo, e incominciò ad essere difficile
mettere insieme un equipaggio completo, perché, non appena la nave entrava in
un porto, almeno un paio di marinai chiedevamo di essere sbarcati, e non sempre
era possibile trovare i necessari sostituti, sicché divenne cos quasi normale
che il vecchio veliero navigasse con un equipaggio dimezzato, o quasi, con
rischio evidente per la sicurezza della nave stessa, qualora si fossero
presentate delle situazioni di emergenza, o anche solo se tre o quattro uomini
si ammalavano contemporaneamente.
Ma tutto questo non fu che il preambolo di ulteriori,
sconcertanti novità, che si sarebbero ben presto presentate. Il penultimo
capitano era un uomo all’antica, tutto d’un pezzo, innamoratissimo della nave e
con un forte senso del dovere e della propria responsabilità. Per prima cosa
impose una severa disciplina all’equipaggio, cercando di rimediare alla
rilassatezza che, negli ultimi tempi, si era diffusa nella vita di bordo; poi,
cercò di richiamare ai loro doveri anche il secondo e il terzo ufficiale, il
timoniere e il direttore di macchina, insomma gli uomini-chiave per il buon
andamento dell’insieme: ma ebbe poco successo, anzi, si attirò critiche
velenose ed implacabili. I marinai facevano il confronto con la vita che si
faceva a bordo delle altre navi; gli ufficiali, dal canto loro, si lamentavano
di non avere abbastanza voce in capitolo, e che le loro idee innovative non
venissero prese in considerazione dal vecchio lupo di mare. Così, un giorno,
dalla mattina alla sera, il capitano venne licenziato, fece i bagagli e sparì,
senza neanche un saluto, e, del resto, rimpianto da pochissimi; e giunse a
sostituirlo un nuovo comandante, l’ennesimo, non giovane di età, ma animato da
idee modernissime, addirittura rivoluzionarie, il quale fin dal primo istante
volle instaurare a bordo un clima totalmente diverso.
Egli, per prima cosa, volle rendersi popolare presso l’equipaggio,
trattando tutti con la massima familiarità e benevolenza; poi mise gli
ufficiali davanti alle radicali novità che intendeva realizzare, e, dopo aver
ottenuto il consenso di molti, mise in un disparte, senza più degnarli della
minima attenzione, quei due – il terzo ufficiale e il fuochista – che parevano
più lontani dai suoi metodi e dai suoi progetti. Ogni giorno questo nuovo
capitano iniziava la giornata radunando tutti sul ponte e tenendo loro un
discorso che voleva essere paterno, ma che divenne ben presto una ripetizione
quasi invariata degli stessi concetti: che l’era della navigazione a vela era
finita, che bisognava modernizzarsi o perire, che il vecchio modo d’essere
marinai non aveva più senso, e che, nel mondo d’oggi, non servono l’amore e la
passione per il proprio lavoro, quanto una illimitata capacità di adattarsi ai
cambiamenti e una costante apertura alle nuove idee e ai nuovi orizzonti del
pensiero. Non di rado faceva battute e prendeva in giro la figura del vecchio
marinaio, solitario e brontolone, contrapponendola a quella del giovane
professionista del mare, sempre calmo e padrone di sé, che trasferisce sul mare
le sue competenze, ma che potrebbe lavorare altrettanto bene da casa, dirigendo
la nave per mezzo di un computer; inoltre, faceva delle scoperte simpatie, e
trattava con ogni riguardo i suoi fedelissimi, premiandoli con elogi e
affidando loro incarichi di grande responsabilità, mentre adibiva ai lavori più
bassi, come la pulizia del ponte o il servizio in cucina, quelli che non lo
seguivano ciecamente o che si erano permessi di avanzare qualche sia pur debole
riserva sulla nuova maniera di governare la nave. Tutto ciò creava divisioni e
sottili veleni, ma egli non se ne curava: tutto il suo modo di agire e di
parlare dava l’impressione che non gliene importasse nulla di quel che
pensavano gli altri, perché lui riteneva di essere nel giusto, e ciò gli
bastava: intorno a sé non voleva amici o collaboratori, ma soltanto passivi
esecutori della sua dispotica volontà. Di certo non pareva un despota, al
contrario: la sua abitudine d’intrattenersi con tutto l’equipaggio, di
mostrarsi interessato e sollecito ai problemi di ciascuno, tutto ciò gli era
valso una vasta popolarità presso la maggior parte dei marinai; e, quanto a
quei pochi che lo biasimavano, o che non capivano dove volesse andare a parare,
egli non se ne dava il benché minimo pensiero, anzi, cercava ogni occasione per
sbarazzarsi di loro, qualche volta allontanandoli con il primo pretesto, e
sostituendoli con uomini di sua assoluta fiducia. Gli armatori, dal canto loro,
guardavano la partita doppia delle uscite e delle entrate, ed erano soddisfatti
perché, sotto la guida di costui, la loro compagnia di navigazione aveva
cominciato a rifiorire; perciò gli davano carta bianca in tutte le decisioni
pratiche da prendere, e si limitavano a seguire da lontano, e con sempre
maggior fiducia, tutto ciò che riguardava il suo modo di operare.
Un poco alla volta, però, i marinai e gli stessi ufficiali
cominciarono a notare che quel capitano dava segno di crescenti stranezze. Fin
dall’inizio avevano notato qualcosa d’insolito, di poco chiaro; per esempio, si
erano accorti, da come parlava, che sembrava avere pochissima conoscenza
pratica del mare e delle navi a vela; e poi, vedendolo all’opera, queste prime
impressioni non fecero che ricevere ulteriori conferme. Inoltre, si erano
accorti che quell’uomo era un temerario; che non teneva nel debito conto le
difficoltà, che non valutava a pieno il pericolo delle tempeste, o quello di
navigare, di notte, in un tratto di mare con le scogliere a fior d’acqua;
oppure ancora, che non si preoccupava di vigilare affinché le misure di
sicurezza non venissero eluse, al punto che, perfino quando la nave viaggiava
con un carico di legname nella stiva, o addirittura di combustibile, i marinai
erano lasciati liberi di fumare pipe, sigari e sigarette anche in quel locale,
in barba all’evidente pericolo che le scintille provocassero un incendio. A ciò
si aggiunga il fatto che egli parlava continuamente con una libertà insolente,
che metteva molti a disagio, ora criticando gli armatori, ora denigrando e
calunniando questo o quel marinaio, ed esponendolo, in un certo senso, al
disprezzo generale: sicché l’atmosfera a bordo si faceva ogni giorno più tesa e
più pesante. Infine, il comandante aveva l’abitudine di elogiare sempre,
perfino in modo esagerato, i marinai e i capitani delle altre navi, ma di
criticare implacabilmente proprio i suoi uomini, beninteso quelli che non gli
erano simpatici, o che lui giudicava poco malleabili ai suoi voleri; e che tale
vezzo era talmente noto nei pori dove la nave faceva scalo, che era divenuta
motivo di battute e di scherzi. Essere trattati peggio dei turchi,
con riferimento agli uomini del suo equipaggio, era divenuta un’espressione
assai nota presso una vasta cerchia di naviganti; al punto che, se un marinaio
di una nave qualsiasi commetteva un grossolano errore, di quelli che potrebbero
compromettere la sicurezza di tutti quanti, c’era sempre qualcuno che si
affrettava a celiare: Hai forse voglia di farti licenziare, tu, che non
sei nemmeno un beniamino o un parente del capitano ***? A tal segno
erano conosciuti i suoi favoritismi e i suoi capricci nel trattare con gli
uomini del suo equipaggio; sicché alcuni degli elementi più validi e più
esperti finirono per stancarsi di quelle angherie quotidiane, e preferirono
licenziarsi e cercare un altro imbarco.
Ad ogni modo, le sue stranezze si fecero sempre più
frequenti. Dopo appena due o tre viaggi, tutti ormai si erano accorti che quell’uomo
era un pessimo uomo di mare; che avrebbe esposto il bastimento a dei rischi
molto gravi, non appena si fossero presentate condizioni un po’ difficili; e
che c’era motivo di sospettare che fosse mentalmente disturbato, o che
soffrisse di una qualche forma di esaurimento nervoso, oppure, ancora, che
fosse stato imbarcato con il segreto incarico di sabotare la nave, o
addirittura, di farla naufragare, forse per rendere un servizio alla
concorrenza. Più di una volta lo si vide smarrito e farneticante in circostanze
che avrebbero richiesto tutta la sua lucidità; più di una volta gli uomini
tremarono nel sentirlo dare gli ordini, e chiedergli che fossero ripetuti,
perché pensavano di non aver capito bene. Una volta, nel mezzo di una violenta
burrasca, egli si presentò con gli occhi stralunati, impartendo ordini senza
senso, che, se fossero stati presi sul serio ed eseguiti, avrebbero portato ad
un sicuro naufragio: da quella volta, si sparse la voce che bisognava esser
proprio disperati per accettare un imbarco sul veliero, e reclutare nuovi
marinai divenne un’impresa ancor più difficile, benché le gigionerie, le
buffonate e i gesti di pura demagogia del comandante non accennassero a
diminuire, anzi, aumentavano sempre di più. Il terzo ufficiale, che aveva
resistito al suo posto per amore della nave, sulla quale aveva fedelmente
servito per molti anni, e per rispetto di se stesso, giunse alla
conclusione che quell’uomo era stato mandato da un nemico occulto per provocare
un irreparabile disastro, e che, a lasciarlo fare, prima o poi ci sarebbe
sicuramente riuscito. Le cose stavano a questo punto, allorché, trovandosi il
veliero sulla temuta rotta dei “cinquanta ruggenti”, con un mare grosso e un
vento furioso da occidente che rinforzava sempre più, e con un pesante carico
di salnitro mal sistemato nella stiva, che lo faceva rollare sui cavalloni e
piegarsi su di un lato, pericolosamente instabile…
Ecco, a questo punto ci fermiamo e lasciamo che ciascuno
completi la storia come gli sembra più giusto. Non crediamo ci sia bisogno di
spiegare nei dettagli che si è trattato di una metafora: che quel veliero è la
Chiesa cattolica, e che quel capitano velleitario ed imprudente, se non peggio,
è l’attuale pontefice, Francesco. L’equipaggio è formato da tutti i cattolici
sparsi nel mondo; gli ufficiali, sono i cardinali e i vescovi. Le idee
innovative e alquanto temerarie, se non aberranti ed auto-distruttive, di papa
Francesco, sono quelle che stanno seminando tanto disagio, sofferenza e
scoraggiamento in un numero crescente di fedeli, anche se moltissimi non si
sono accorti di nulla, abbagliati dai suoi modi spigliati e anticonvenzionali.
Come un malefico capitano Achab, dominato dalla sua oscura ossessione, egli sta
trascinando tutti quanti verso la rovina, avendo avuto l’astuzia di rendersi
popolare e di sedurre gli animi a buon mercato. Sorge perciò la domanda: che
cosa fare?
di Francesco Lamendola del 27-05-2017
Gentile dottor Lamendola, ritengo che - prima di rispondere alla domanda che chiude la sua coraggiosa metafora - si debba visionare il filmato di cui al link che accludo, anche se ritengo che lei lo abbia già fatto:
RispondiEliminahttps://youtu.be/Hwv63UTdndE
Io, al termine del filmato, mi sono chiesta con INQUIETUDINE: cos'era quel ruggito e quella voce subumana?
Un 'effetto speciale' del regista in vena di scherzi idioti?
O cos'altro???
Cara Marisa, purtroppo devo confessare di aver avuto anch’io lo stesso atroce dubbio, anche senza aver udito la voce cavernosa di quel video in cui Bergoglio si scaglia, come suo solito, contro i difensori della vera fede cattolica, e ciò per un duplice motivo :
RispondiElimina- in primis, poiché ho letto che nel 3° segreto di Fatima (manipolato e falsificato) si parlerebbe anche di un futuro papa sotto il controllo di satana; da una diretta testimonianza si è appreso che quando Roncalli lesse il testo ebbe un malore, pensando di essere lui quel papa posseduto (ma così non era, evidentemente);
- in secondis, poiché ho appena letto il 1° volume dell’opera di Miles Christi “L’impostura Bergogliana – Cronache di un empio”, in cui, a pag. 124, si legge testualmente: “Ciò che sto per dire non è gradevole da sentire né piacevole a dirsi, ve lo assicuro, ma non serve affatto velarsi gli occhi di fronte alle realtà che sconvolgono. E quindi sono obbligato in coscienza a dire senza ezzi termini, mettendolo nero su bianco: nella persona di Jorge Bergoglio noi abbiamo a che fare con un posseduto. Sì, avete letto bene: un posseduto dal demonio. Noi ci troviamo esattamente di fronte ad uno strumento di satana, ad un vero agente del’Inferno e ad un precursore dell’Anticristo, e cioè, molto verosimilmente, al falso profeta annunciato da San Giovanni nella sua visione escatologica (Ap. 13,11).”
Caro Catholicus,
Eliminaquel libro l'ho letto anch'io ed è molto circostanziato e documentato.
Ritengo comunque che per dichiarare 'in coscienza, nero su bianco' che si ha a che fare con un posseduto ci vogliano:
1) precise competenze, spirituali e non solo;
2) prove concrete.
Quanto al 3^ segreto di Fatima che lei cita, come possiamo dargli peso se, come lei stesso dice, è stato manipolato e falsificato? (detto da parte mia senza polemica e senza alcuna competenza sulle vicende legate a Fatima).
Mi sono dimenticato di citare un'ultima prova a carico :tempo fa Bergoglio ricevette una delegazione di FF I (in corso di persecuzione) e disse loro in faccia che si assumeva la piena responsabilità delle misure repressive adottate nei loro confronti (senza scaricare la colpa su Padre Fidenzio Volpi o sul suo successore); inoltre aggiunse che il diavolo si accaniva contro di loro a motivo della loro consacrazione alla Madonna e dell'inserimento del termine "Immacolata" nel titolo del loro ordine monastico (sembra quasi che volesse prender le difese di Satana, o comunque lo volesse giustificare!); infine chiuse dicendo che se pensavano che le misure adottate nei loro confronti fossero "diaboliche" erano liberi di pensarlo. Che sia stata una specie di confessione subliminale ? o che fosse stato costretto a rivelarsi per un qualche esorcismo (a distanza) che si stava compiendo su di lui? Si è trattato di un fatto molto più concreto e tangibile della voce cavernosa di quel video, tale da suscitare forti perplessità su quest'uomo, non solo sulla sua cattolicità, ormai esclusa, ma sul fatto che goda di "appoggi preternaturali" e che quindi non stia dalla parte di Cristo, ma del Suo (e nostro) nemico di sempre.
EliminaLa mia risposta alla domanda: che cosa fare? é solo quella che insegna Maria a Fatima: preghiera e penitenza per le anime che finiscono all'inferno perché non c'é nessuno che si sacrifichi per loro
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