ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 2 giugno 2017

Il Vaticano sbuffa per il caldo?

Trump a difesa di economia e posti di lavoro
Ritirata la firma dagli Accordi di Parigi sul clima

«Gli accordi di Parigi non riguardano tanto il clima quanto il vantaggio finanziario che altri paesi guadagnerebbero sugli Stati Uniti». Così il presidente americano Donald Trump ha deciso di sfidare apertamente l'ideologia ecologista e le pretese di Unione Europea, Cina e India. Pronto a nuovi accordi ma che non penalizzino gli Stati Uniti. Infranto il tabù, ora si deve sperare che altri governi prendano l'esempio e abbandonino e abbandonino una politica che non ha basi scientifiche.

Alla balla del clima l'America non ha mai creduto

Se gli Stati Uniti abbandonano l’Accordo di Parigi sul clima (la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, detta “COP 21”, del dicembre 2015), non cambia granché. La linea di Donald J. Trump resta cioè la stessa dei suoi tre predecessori, Barack Obama, George W. Bush jr. e Bill Clinton, governati dai quali gli Stati Uniti non hanno mai ratificato alcun accordo internazionale sui mutamenti ambientali.

Tutto, o gran parte, ha inizio nel 1970 con la creazione, negli Stati Uniti, dell’Environmental Protection Agency (EPA), l’ente governativo fortemente voluto dal presidente Richard M. Nixon (1913-1994), e con la fabbricazione semantica del concetto di “cambiamento climatico” inteso come «qualsiasi cambiamento significativo nelle misurazioni del clima perdurante per un periodo prolungato di tempo» (clicca qui). Il cambiamento climatico, cioè, è il cambiamento climatico. Prima dell’invenzione del concetto, il clima cambiava ? o non cambiava ?, ma nessuno lo chiamava così. Il fatto però è che l’EPA nacque per la preoccupazione inversa a quella di oggi: allora si gridava infatti al “raffreddamento globale”. Invertiti i poli, il “riscaldamento globale” è divenuto una minestra continuamente riscaldata.

L’apice è però del 1997, con la stipula del Protocollo di Kyoto. Kyoto sta in Giappone. È una grande città di 1,5 milioni di abitanti che ovviamente consumano e pertanto inquinano. Una centrale di “peccato”. Qui sorgono gli stabilimenti della Nintendo, regina dei videogiochi (è quella di “Super Mario Bros”), che praticamente è un’«istigazione a delinquere» istituzionalizzata, vista l’energia inquinante che serve a mantenere tutti i suoi posti di lavoro e a ricaricare le consolle dei ragazzetti videodipendenti. Fu così che, durante la Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, detta “COP3”, 180 Paesi s’impegnarono a ridurre nel periodo 2008-2011 le emissioni di agenti inquinanti non meno dell’8,65% dei livelli registrati nel 1985. Perché quell’anno? Perché da qualche parte bisogna pure iniziare. Come si fa con quelle statistiche su terremoti o uragani che servono a distribuire allegramente colpe e assoluzioni ogni qualvolta si verifica un cataclisma, ma che in realtà monitorano lo storico soltanto da quando si è iniziato a misurare il reale con gli strumenti odierni, speculando cioè su archi temporali troppo brevi e sempre aleatori.

A Kyoto la sentenza senz’appello colpì il biossido di carbonio e altri cinque gas responsabili del cosiddetto “effetto-serra”: metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo. Tutte cose, però, che, di per sé, fanno benissimo alla vita sulla Terra. Il biossido di carbonio, infatti, è l’anidride carbonica (il CO2), indispensabile, nella misura corretta, per la fotosintesi delle piante, dunque, per paradossale che possa sembrare, strumento imprescindibile dell’ossigenazione del pianeta. Quanto all’«effetto-serra», quello che trattiene nell’atmosfera una parte del calore irraggiato dal Sole, benedetto il Cielo perché esiste: è infatti il principale termoregolatore della Terra, esempio charmant del fine-tuning che regola il nostro pianeta come un orologino svizzero. Se fosse poco, boccheggeremmo nel deserto come su Marte; se fosse eccessivo, asfissieremmo nell’umido come su Venere.

Il Protocollo di Kyoto è quindi entrato in vigore il 16 febbraio 2005. Nel tempo, ai primi firmatari se ne sono uniti altri. Ma l’obiettivo non è stato raggiunto e così, nel dicembre 2010, la Conferenza di Doha, in Qatar, ha esteso al 2020 il tempo utile per raggiungerne gli obiettivi.

Ora, quando a Kyoto si firmò (1997) alla Casa Bianca sedeva Bill Clinton e al suo fianco sfilava il re di tutti gli ambientalisti politici, il vicepresidente Al Gore. Ciononostante, il Congresso federale non ha mai ratificato l’accordo, che dunque non ha mai vincolato gli Stati Uniti. Anzi, in quello stesso anno il Senato americano votò all’unanimità, quindi Democratici compresi, la Risoluzione Byrd-Hagel, bipartisan, approntata dai senatori Chuck Hagel, Repubblicano, e Robert Byrd, Democratico, stabilendo che gli Stati Uniti non dovevano nemmeno figurare tra i firmatari di Kyoto. Quando invece Kyoto entrò in vigore, alla Casa Bianca era subentrato George W. Bush jr., ma né lui, fiero avversario del Protocollo, né il suo successore Barack Obama, entusiasta del Protocollo, hanno mai pensato di sottoporre il trattato alla ratifica parlamentare necessaria a renderlo cogente.

Tra la firma e l’entrata in vigore di Kyoto, due senatori americani, quel Repubblicano strano che è John McCain e Joseph Lieberman, Democratico indipendente, hanno cercato per ben due volte, nell’ottobre 2003 e nel giugno 2005, di far approvare un pacchetto di tre leggi denominate “Climate Stewardship Acts” miranti a fissare un tetto di sostenibilità alla quantità di “gas serra” emessi nell’aria, da far rispettare attraverso incentivi (il sistema detto “cap and trade”), ma tutte e due le volte la misura è stata bocciata.

Con Obama in sella l’ambientalismo di governo ha certo ripreso fiato, anche attraverso l’istituzione, nel 2009, dell’Ufficio della Casa Bianca per la politica sull’energia e sui cambiamenti climatici; ma, una dopo l’altra, le iniziative di legge caldeggiate (è il caso di dirlo) da Obama si sono tutte arenate al Senato. La retorica certo non è mancata. Le proposte faraoniche nemmeno, per esempio l’impegno assunto al Climate Change Summit svoltosi a Copenaghen nel 2009 di ridurre le emissioni serra del 17% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020, del 42% entro il 2030 e addirittura dell’83% entro il 2050. Ma l’unico elemento che avrebbe davvero fatto svoltare il Paese, la ratifica di Kyoto, è rimasto lettera morta. Ipocrita, quindi, dare per l’ennesima volta a Trump del furfante perché esce da quegli Accordi di Parigi che sono solo una pacca sulle spalle al già vuoto “spirito di Kyoto”.
di Marco Respinti 02-06-2017
Ecco tutti i primi sbuffi vaticani contro le mosse di Trump su clima e ambiente
“Smacco per il Vaticano”“Sgarbo al Papa”. Da uno dei più stretti collaboratori di Jorge Mario Bergoglio al quotidiano della Conferenza episcopale italiana arrivano sacre randellate alle annunciate mosse di Donald Trump che alle 3 di oggi – ora di Washington, le 21 in Italia – annuncerà la sua posizione sugli accordi di Parigi sul clima. Mentre i vescovi Usa si mobilitano contro la possibile smobilitazione citando l’enciclica di Francesco Laudato Si’.
UNO SCHIAFFO SECONDO SORONDO
“Se Donald Trump davvero arriverà a sfilare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sarà un disastro per tutti. C’è poco altro da commentare”. Così Marcelo Sánchez Sorondo (nella foto), cancelliere della Pontificia accademia delle scienze risponde a Repubblica. Il vescovo argentino, molto vicino a Bergoglio, conferma che nell’incontro di una settimana fa con il presidente Usa il Papa non ha parlato direttamente di ambiente – “non credo che l’argomento sia stato effettivamente così dettagliato –, ma di certo è stato al centro del colloquio con il segretario di stato, Pietro Parolin. Per questo, risponde al vaticanista Paolo Rodari, “se davvero Trump darà seguito a quanto trapelato, lo smacco anche per noi sarà grande”. Sorondo tratteggia un inquilino della Casa Bianca “manovrato dalle lobby del petrolio”, sedotto da una visione che “non soltanto è un disastro ma è anche del tutto antiscientifica”. Così parla l’eccellenza argentina, che incalza: “Non ammettere che non è necessario né imprescindibile fare affidamento sul carbone e sul petrolio è come sostenere che la terra non è rotonda”.
PER AVVENIRE TRUMP OFFENDE IL PAPA
Allarmato della possibile marcia indietro di Trump dagli accordi di Parigi è Avvenire in edicola. Il quotidiano della Cei dedica l’apertura in prima pagina dall’assertivo titolo “Trump rovina il clima”. L’editoriale del giorno è durissimo: “Il deliberato errore di Trump. Fuori dal tempo”, firmato da Vittorio Emanuele Parsi. Per il politologo dell’Università della Cattolica di Milano, la mossa di Trump sugli accordi di Parigi è “uno sgarbo al Papa, le cui preoccupazioni per il futuro della casa comune, la nostra Terra, il presidente Usa aveva assicurato di tenere in grande considerazione”. Lo sgarbo, analizza, non è tanto “legato alla differenza delle posizioni tra Francesco e Donald Trump … Lo sgarbo sta invece proprio nelle parole, non richieste e neppure sollecitate dal Vaticano, che Donald Trump volle pronunciare al termine dell’udienza: Sono stato molto colpito dalle riflessioni del Santo Padre, ne terrò conto nelle mie valutazioni”. Secondo Parsi ne esce l’immagine di un Trump “che non prova rispetto per niente e nessuno”, fino al punto di tentare di “piegare a fini strumentali di sostegno della propria traballante immagine persino il carisma di Francesco”.
L’OSSERVATORE NON TACE
L’Osservatore Romano dedica all’imminente dichiarazione ufficiale di Trump un articolo di spalla a pagina 3. Piuttosto ottimista sull’esito. Si ricordano le parole del portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, secondo cui Trump non si oppone all’accordo di Parigi “ma vuole un’intesa equa per il popolo americano”. Il quotidiano della Santa Sede non dimentica che durante la campagna elettorale, Trump aveva negato più volte il riscaldamento globale e promesso il ritiro unilaterale di Washington dall’intesa parigina. Ma aggiunge: “Ora il presidente sembra ripensarci o comunque essere intenzionato ad aggiustare il tiro”.
ALLARME ESAGERATO? 
Monsignor Sorondo è dunque più allarmato del dovuto? Il vescovo argentino non è nuovo a sortite di un certo effetto. È il grande regista di convegni a cui invita personaggi che al mondo cattolico tradizionalista destano stupore per le posizioni su controllo delle nascite, salute riproduttiva, aborto. Così ha recentemente introdotto in Vaticano l’entomologo americano Paul R. Ehrlich che nel 2013 aveva denunciato il cattolicesimo come “pericoloso” per il suo contrasto alla diffusione della contraccezione e attaccato Francesco per non avere affrontato il controllo della crescita demografica. Con lui di casa Oltretevere anche un economista come Jeffrey Sachs, uno dei pionieri della schock therapyapplicata in alcuni paesi dell’Est Europa e dell’America latina per un veloce passaggio alla libera economia di mercato, senza tenere conto dei contraccolpi sociali. Braccio destro sui temi ambientali dell’ex segretario generale Onu, Ban Ki-moon (pure lui accolto con grandi onori in Vaticano), nei suoi scritti si rintracciano spunti favorevoli all’aborto per eliminare i bambini indesiderati quando la contraccezione fallisce, e come “opzione a basso costo e basso rischio” per dare nuova vita al pianeta. Monsignor Sorondo da parte sua nega che la retorica onusiana punti all’aborto. In Vaticano ricevette anche l’allora in corsa alle presidenziali Usa, il “socialista” Bernie Sanders. Che con un blitz mattutino riuscì a incontrare brevemente il Papa a Casa Santa Marta, prima che Francesco partisse per Lesbo. Uno scivolone diplomatico. Negli Usa la vicenda fu letta come endorsement vaticano a discapito di Hillary ClintonFrancesco dovette precisare, piuttosto seccamente, che l’incontro era solo un gesto di educazione, consigliando uno psichiatra a chi ne leggesse significati politici.
COSA SI DICE NEGLI USA
Gli americani guardano alle imminenti decisioni di Trump come a una sorta di referendum interno ai cattolici per capire chi ha davvero accolto l’enciclica sull’ambiente di FrancescoLaudato Si’. Ovvio il responso: chi si schierasse con The Donald si metterebbe contro il Magistero. Ma i vescovi non stanno a guardare e chiedono a Trump di non ritirare l’impegno sul clima. Già nelle scorse settimane la conferenza episcopale si era rivolta direttamente e con tre lettere distinte al segretario di Stato, al ministro del Tesoro e al Consiglio di sicurezza nazionale. A poche ore dell’annunciato pronunciamento del presidente, il vescovo
Oscar Cantú, responsabile dell’episcopato Usa per Giustizia e pace, ha rilasciato un comunicato per sottolineare “l’importanza di onorare l’accordo di Parigi al fine di ridurre i peggiori impatti dei cambiamenti climatici”. E lo ha fatto ricordando le parole del Papa e di Laudato Si’.
LA SCOMUNICA DEI GESUITI
Già in marzo l’influente rivista dei gesuiti America aveva chiarito: “La cura per l’ambiente di Trump è l’opposto della Dottrina sociale della Chiesa”. Un articolo che arrivava dopo la firma del presidente ad un ordine esecutivo per cancellare il Clean Power Plan sulle restrizioni per le centrali a carbone. Ma negli Usa non è detto che un eventuale defilarsi federale dalle politiche sul clima di Parigi venga poi seguito. Cittadini, imprese e Stati si stanno già smarcando. Contrari anche pezzi importanti dell’inner circle trumpiano come il segretario di Stato, Rex Tillerson, e la first daughterIvanka. C’è contrarietà persino nel settore petrolifero. L’amministratore di Exxon Mobile, Daren W. Woods, ha scritto di recente che rimanere nell’accordo sarebbe prudente. Molte aziende hanno acquistato pubblicità a tutta pagina su New York Times e Wall Street Journal per schierarsi con l’accordo di Parigi del 2015.
THE DONALD E LA LAUDATO SI’
La decisione di Trump arriverà non solo dopo l’udienza con Francesco del 24 maggio, ma anche a margine di un convegno organizzato con l’alto patrocinio della Segreteria vaticana per la comunicazione sul progetto di sostenibilità dello Stato Vaticano, come esempio nel mondo di città CO2 free. Un convegno alla luce delle linee guida proprio della Laudato Si’ di Francesco. Testo che il pontefice ha donato a Trump, insieme ad altri documenti del suo pontificato. Come del resto fa con qualsiasi capo di stato in visita. L’ultimoJustin Trudeau, che sul clima la pensa in modo diametralmente opposto al vicino statunitense. E il comunicato della Santa Sede non ha parlato esplicitamente di ambiente e clima come elementi dei colloqui.
L’IMPEGNO DEL VATICANO PER AMBIENTE E CLIMA
Ancora prima che l’accordo di Parigi venisse firmato, il Vaticano si è speso molto per l’ambiente. Tra i giardini si muove in auto elettrica il Papa emerito. Per volere di Benedetto XVI sono stati installati sul tetto dell’aula Paolo VI dei pannelli solari che forniscono energia al piccolo stato. Francesco ha sostenuto apertamente l’accordo di Parigi, assicurandosi che l’uscita della sua enciclica green fosse in stampa in tempo per fornire elementi di riflessione ai capi di stato e di governo riuniti nella capitale francese. Prima del summit, aveva scandito che un eventuale suo fallimento sarebbe stato “catastrofico”. E all’entrata in vigore Bergoglio lo ha elogiato dalla finestra del Palazzo apostolico, definendo l’accordo  “un importante passo avanti” che dimostra “che l’umanità ha la capacità di collaborare per la salvaguardia del creato, per porre l’economia al servizio delle persone e costruire la pace e la giustizia”.



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