Scusi, lei che ne pensa del caso Mortara?
In questi tempi di somma confusione teologica e morale, dove pare che a un cattolico sia lecito dire tutto e il contrario di tutto, e dove, in nome del “discernimento”, dell’”accompagnamento” e della “misericordia”, si è indotti a pensare che bazzecole come la Verità, la Giustizia e la Dottrina, per non parlare dell’Amore stesso, dell’Amore vero, quello cristiano, che è cosa divina e ben diversa dall’amore puramente umano (e, talvolta, in se stesso perverso), passino in seconda linea e diventino delle entità trascurabili, qualcosa di negoziabile, proponiamo un test facilissimo per capire chi abbiamo di fronte e se sia un cattolico serio oppure un cattolico progressista, cioè da operetta, o addirittura un modernista, cioè un eretico travestito da cattolico e segretamente nemico implacabile sia del cattolicesimo, sia della Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Il test consisterebbe in questa breve, lapidaria domanda: Scusi, lei che ne pensa del caso Mortara?
Ricordiamo, in due parole – ma esiste una vasta letteratura sul tema – che Edgardo Mortara era un bambino di pochi mesi, figlio di ebrei residenti a Bologna nel 1858; che, in punto di morte, venne battezzato segretamente da una domestica cristiana di quattordici anni, ma poi, inspiegabilmente, si riprese; che, sei anni dopo, la domestica fu invitata dai suoi conoscenti a fare la stessa cosa con un altro fratellino di Edgardo, parimenti malato (che poi, di fatti, morì), ma lei si rifiutò, per non trovarsi per la seconda volta in quella incresciosa situazione; ma che appunto allora altre persone vennero a sapere del fatto, e che le autorità dello Stato Pontificio (della cui giurisdizione Bologna faceva parte), a loro volta informate, tentarono di convincere i genitori del bambino a lasciarlo studiare in un collegio cattolico di quella città – dove avrebbero potuto continuare a vederlo – perché le leggi vigenti stabilivano che un bambino battezzato non poteva essere cresciuto in un’altra religione; ma che quei tentativi fallirono e, allora, il piccolo venne prelevato a forza e condotto a Roma, dove fu messo in collegio, dietro interessamento personale del papa Pio IX; che in seguito il ragazzo, cresciuto, non volle avere altri contatti con la sua famiglia, si fece prete e svolse una intensa opera per la conversione degli ebrei in vari Paesi d’Europa, resa peraltro difficilissima dal fatto che il suo caso era diventato un affaire internazionale, con l’intervento di numerosi governi che avevano chiesto la sua “liberazione”, benché egli dichiarasse sempre di ritenere opera della Provvidenza la sua separazione dalla famiglia; che egli ebbe poi un incontro rasserenante con sua madre, con la quale si riconciliò; ma che, da allora, il suo caso divenne l’emblema, da un lato, dell’oscurantismo e della “inciviltà” del potere temporale della Chiesa, dall’altro delle ingiuste “persecuzioni” e “discriminazioni” che gli ebrei continuavano a subire da parte dei cattolici e specie da quel papa, Pio IX, che, pubblicando il Sillabo, si era già qualificato come nemico irriducibile del mondo moderno, e, in particolare, del principio della libertà religiosa.
Riteniamo che quella semplice domandina, Scusi, lei che ne pensa del caso Mortara?, la più politicamente scorretta che sia dato immaginare, specialmente oggi, ai tempi di papa Francesco – sarebbe carino farla a lui in persona, oltre che ai vari Paglia, Galantino, Perego, Bassetti, Lorefice, Cipolla, Ravasi, Sosa Abascal, Marx, Kasper, Danneels, per non parlare dei teologi come Andrea Grillo o Enzo Bianchi, e degli storici come Alberto Melloni e Franco Cardini – sia la più idonea a fare un po’ di chiarezza, all’interno del cattolicesimo, visto che perfino a metà ‘800, quando ancora non esisteva, o non si era manifestato, il movimento modernista, e quando le tendenze filo-protestanti in seno alla Chiesa, se pur esistevano, si tenevano molto ben nascoste, per non dire delle simpatie nei confronti della massoneria – fu causa di violente polemiche e di profonde divisioni, dissensi e recriminazioni. Basti dire che l’arcivescovo di New York, a distanza di molti anni dal “fatto”, non volle che Edgardo Mortara predicasse nella sua diocesi agli ebrei, cosa che già aveva fatto in Germania e Austria-Ungheria, perché gli pareva “inopportuno”; e che il caso Mortara è stato il maggiore ostacolo alla beatificazione di Pio IX, comunque avvenuta nel 2000.
Riteniamo che quella semplice domandina, Scusi, lei che ne pensa del caso Mortara?, la più politicamente scorretta che sia dato immaginare, specialmente oggi, ai tempi di papa Francesco – sarebbe carino farla a lui in persona, oltre che ai vari Paglia, Galantino, Perego, Bassetti, Lorefice, Cipolla, Ravasi, Sosa Abascal, Marx, Kasper, Danneels, per non parlare dei teologi come Andrea Grillo o Enzo Bianchi, e degli storici come Alberto Melloni e Franco Cardini – sia la più idonea a fare un po’ di chiarezza, all’interno del cattolicesimo, visto che perfino a metà ‘800, quando ancora non esisteva, o non si era manifestato, il movimento modernista, e quando le tendenze filo-protestanti in seno alla Chiesa, se pur esistevano, si tenevano molto ben nascoste, per non dire delle simpatie nei confronti della massoneria – fu causa di violente polemiche e di profonde divisioni, dissensi e recriminazioni. Basti dire che l’arcivescovo di New York, a distanza di molti anni dal “fatto”, non volle che Edgardo Mortara predicasse nella sua diocesi agli ebrei, cosa che già aveva fatto in Germania e Austria-Ungheria, perché gli pareva “inopportuno”; e che il caso Mortara è stato il maggiore ostacolo alla beatificazione di Pio IX, comunque avvenuta nel 2000.
Ci par di sentire gli starnazzi dei cattolici “liberali e “progressisti”: Ma come! Sottrarre un bambino ai suoi genitori: che crudeltà! E quale mancanza di rispetto verso i diritti di quella famiglia, quale insulto al concetto della libertà religiosa! Ma ben difficilmente la nostra curiosità verrà mai soddisfatta, perché, del caso Mortara, nessuno vuol più parlare: per gli uni e per gli altri, esso è solo un episodio imbarazzante, perfino vergognoso, che deve essere dimenticato, e, se possibile, addirittura rimosso dalla memoria storica. Per i cattolici progressisti e per i nemici esterni della Chiesa, atei militanti, radicali, massoni, è una brutta pagina sulla quale non c’è altro da dire; per la Chiesa odierna, è un terreno minato, sul quale è meglio tacere, perché qualsiasi parola sposterebbe i delicatissimi equilibri esistenti e metterebbe a nudo una penosa verità, che tutti conoscono ma che nessuno vuol dire: che la Chiesa, oggi, ha paura di annunciare la Verità, ha paura di dirsi cattolica, ha paura di sembrare oscurantista, retrograda, clericale, antimoderna e troppo “spirituale”, poco interessata ai problemi di questo mondo e specialmente alla giustizia (con la lettera minuscola, perché puramente secolare), intesa più che altro in senso demagogico e come sfogo del rancore sociale. La Chiesa, cioè, ha paura di essere se stessa.
Tornando al caso Mortara, tutto nasce dall’ignoranza di che cosa è il Battesimo. Che i non cattolici e gli anticattolici pensino che esso sia una cerimonia puramente esteriore, e, quindi, che il battesimo somministrato a un bambino in punto di morte, da una persona qualsiasi, da un laico, da una adolescente, come in quel caso (una cameriera cristiana; e ciò in contrasto con la legge che proibiva agli ebrei di assumere domestici cristiani) sia una specie di formalità, rispetto alla quale deve prevalere il diritto dei genitori di decidere quale educazione religiosa impartire al proprio figlio, lo si può anche comprendere. Del resto, è tipico di chi odia la Chiesa e il cattolicesimo combatterli senza conoscerli, senza prendersi il disturbo di studiarli per capire cosa realmente sono, ma così, mossi unicamente da furore ideologico, come il toro che parte alla carica non appena qualcuno gli mostra un panno rosso. Che tale ignoranza sia condivisa dai cattolici stessi, invece, lascia particolarmente impressionati e pensierosi. Ci si chiede se davvero esistono dei cattolici i quali pensano una cosa che del genere: cioè che il Sacramento del Battesimo sia un atto puramente umano, e non un’azione che Dio esercita sull’anima, aprendola alla sua grazia e facendo di quella persona un figlio elettivo del Padre, destinato alla beatitudine celeste. E siccome ci sembra difficile, per non dire impossibile, che un qualunque cattolico, per quanto ignorante circa la sua stessa dottrina, davvero non sappia quale sia il vero significato del Battesimo, resta una sola spiegazione davanti a quanti si sono stracciati le vesti per la decisione di Pio IX di non “restituire” Edgardo Mortara ai suoi genitori, e di crescerlo nella religione cattolica, e a quanti, ancora oggi, seguitano a dir male di quelle decisione e a considerarla un tipico esempio di arroganza clericale e di fanatismo religioso (proprio loro, i cattolici liberali e progressisti che non spendono una parola di biasimo per il terrorismo islamico che falcia la vita di migliaia di cristiani in tutto il mondo, anzi, che non vogliono neanche sentirlo nominare!): che essi non credono al Battesimo, non credono ai Sacramenti, non credono al Vangelo, non amano la Chiesa, anzi, vorrebbero vederla distrutta. Oh, ma per un nobile scopo, si capisce: far emergere dalle sue macerie il “vero” messaggio di Gesù Cristo, che essi soli conoscono – vedi padre Sosa Abascal – mentre gli altri, le persone comuni, lo ignorano e l’hanno deformato, probabilmente con perfide intenzioni, oppure inconsapevolmente manipolati dai soliti preti astuti e bugiardi. A tutti costoro, così silenziosi e “bravi cittadini” allorché si parla dell’aborto, cioè non della separazione dalla famiglia, o dell’educazione da impartire a un singolo bambino, ma del diritto a nascere di milioni e milioni di futuri bambini, si può rispondere ancora oggi con le mirabili parole del giornalista francese Louis Veuillot (1813-1883), oppositore del liberale cattolico di turno, che allora era Charles de Montalembert; il quale, a proposito del “caso Mortara”, disse semplicemente: Avete dimenticato ciò che è il Battesimo e ignorate la dottrina cristiana.
di Francesco Lamendola del 01-07-2017
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Che cosa ci può insegnare la storia di Charlie
Dicono così le agenzie di stampa che sto consultando oggi, 30 giugno 2017.
Charlie Gard è un bambino che muore perché qualcuno ha deciso che deve morire.
Chi lo ha deciso e perché?
A Charlie Gard è stata diagnosticata una sindrome rarissima. Si chiama sindrome da deplezione del DNA mitocondriale. Provoca un progressivo indebolimento muscolare e finora ha colpito solamente, a quanto risulta, sedici bambini in tutto il mondo.
Di fronte a un caso così difficile, i medici del Great Ormond Street Hospital for Children di Londra, dove Charlie è stato ricoverato, in un primo tempo hanno pensato di applicare una cura sperimentale, ma le condizioni del bambino sono peggiorate a causa di un’encefalopatia. Il vostro bambino, hanno quindi detto i medici ai genitori, Connie Yates e Chris Gard, non potrà più mangiare né parlare autonomamente, ci sarà solo un doloroso peggioramento. Di conseguenza non resta che interrompere l’attività dei macchinari che finora hanno aiutato Charlie a respirare e ad assorbire le sostanze nutritive.
Per nulla disposti ad arrendersi, la mamma e il papà di Charlie hanno raccolto una somma di denaro per poter portare il bambino negli Stati Uniti e sottoporlo a un trattamento sperimentale, ma davanti a questa prospettiva l’ospedale di Londra si è rivolto alla Corte suprema del Regno Unito, che si è opposta al viaggio perché, ha sostenuto, il trasferimento negli Usa e il prolungarsi del trattamento con supporti artificiali avrebbero soltanto causato altre sofferenze al bambino, senza realistiche possibilità di miglioramento.
Di qui la decisione dei genitori di Charlie di presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ultima speranza per loro. Ma la Corte di Strasburgo ha confermato quanto stabilito dal tribunale inglese, ovvero la sospensione delle cure, dal momento che, ha spiegato, non ha il potere di prendere una decisione su un simile tema al posto di un’autorità nazionale.
«Non ci è permesso di scegliere se nostro figlio debba vivere e non ci è nemmeno permesso di decidere quando e dove Charlie dovrà morire», hanno scritto i genitori su Facebook dopo aver chiesto inutilmente di poter almeno portare il piccolo a casa, per fargli trascorrere lì le ultime ore di vita. In ospedale, hanno infatti spiegato i medici, ci sono più strumenti e risorse per assistere il bambino e ridurre al minimo le sue sofferenze.
Perché la decisione sul destino di Charlie non è stata lasciata ai suoi genitori?
La risposta dei giudici inglesi è che «sebbene ai genitori spetti la responsabilità genitoriale, il controllo prioritario è affidato, per legge, al giudice che esercita il suo giudizio oggettivo e indipendente nel migliore interesse del bambino».
Pur cercando di capire le ragioni dei giudici, sono parole che sgomentano. Specie quelle espressioni: «controllo prioritario», «giudizio oggettivo». Sanno tanto di Stato totalitario. Ed è paradossale che a una simile conclusione si sia arrivati in un paese come l’Inghilterra, culla delle libertà individuali.
Un altro paradosso: nel nostro mondo occidentale, nel quale l’autodeterminazione dell’individuo è considerato ormai il principio-cardine della vita sotto ogni aspetto, e nel quale si chiede che gli ordinamenti giuridici e gli apparati statali siano messi sempre di più al servizio di tale autodeterminazione, ecco che una sentenza di tribunale priva di fatto sia Charlie sia i suoi genitori di ogni possibilità di scelta su loro stessi. Ecco così che un sistema come quello liberale costituzionale, nato per garantire i diritti dell’individuo rispetto allo Stato, tradisce se stesso e trasforma lo Stato nell’unica entità in grado di giudicare chi sia degno di vivere e chi non lo sia.
È, inoltre, il trionfo del positivismo: l’unica parola che conta è lasciata alla legge e alla scienza. E anche qui c’è un paradosso. Perché sia la legge sia la scienza parlano in nome della dignità umana, ma, pretendendo di valutare solo sulla base di freddi dati oggettivi (niente amore, niente speranza, niente miracoli), trasformano l’idea di dignità in uno strumento di discriminazione.
La vicenda di Charlie è straziante. Formulare giudizi e valutazioni, in questi casi, è davvero difficile. Eppure è necessario.
Tra i tanti commenti ecco, su «Vita», una sintesi dei problemi emersi: «Il primo è l’impossibilità di demandare alla giurisprudenza questo tipo di decisioni. L’onere della decisione e della responsabilità devono essere a carico dei clinici. Non può essere la legge a decidere se Charlie, o chiunque altro, debba vivere o morire. Il secondo è il rapporto medico-paziente. È del tutto evidente come in questo caso sia totalmente saltato e, anzi, sia arrivato ad un vero e proprio conflitto. Il terzo, e ultimo, che è bene distinguere tra incurabile e inguaribile. Charlie è inguaribile, ma questo non significa che sia incurabile. Le cure palliative e l’accompagnamento alla morte fanno parte integrante di ciò che intendiamo con cura».
Sempre su «Vita» un medico palliativista dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, Luca Manfredini, spiega (mi sembra con molto buon senso): «Charlie non è l’unico, bambini con patologie inguaribili e necessità di una assistenza complessa ce ne sono molti, anche in Italia. Il nostro compito, nei loro confronti, è garantire loro la migliore qualità di vita possibile e poi il migliore accompagnamento alla morte». In ciascun caso «si tratta di aiutare i genitori a fare la scelta migliore per il paziente, cercando di non condizionarli. Io come medico posso avere delle opinioni, ritenere che per un bambino valga la pena la ventilazione e per un altro meno, e posso concepire anche che alcuni tecnici – nel caso di Charlie come in altri che vediamo spesso nel nostro lavoro – possano sostenere che si tratta di accanimento. Noi che ci occupiamo di cure palliative abbiamo il compito di trovare un equilibrio, di bilanciare queste due posizioni». Aiutare i genitori a scegliere «significa prospettare con chiarezza i benefici degli interventi ipotizzati e il loro peso, la loro gravosità sul bambino e sulla vita della famiglia, dove con gravosità non intendo quella economica, quella non deve essere mai fatta pesare».
Quanto all’ultimo desiderio dei genitori di Charlie, cioè di lasciar morire il loro bambino a casa, Manfredini spiega: «L’Organizzazione mondiale della sanità dice che, dove possibile, le cure palliative devono essere gestite a domicilio e la prospettiva italiana va molto in questa direzione, anche l’hospice è per favorire la gestione a domicilio. Non so quali siano state le motivazioni per cui la richiesta dei genitori di Charlie non sia stata assecondata. Noi dove è possibile favoriamo la possibilità che l’ultimo momento sia il più intimo possibile».
«Con Charlie – dice Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita italiano – muoiono la speranza e il diritto, muoiono la pietà e l’umanità. Siamo ben oltre l’eutanasia. Con la condanna a morte di Charlie si gettano le premesse perché ad altre vite, considerate inutili e senza prospettive di guarigione, possa essere imposto il dovere di morire, nel loro “best interest”».
Ed ora il commento di Simona Marrazzo, mamma di Mattia, morto nel 2015 dopo aver lottato per anni contro il morbo di Sandhoff, rara malattia degenerativa del sistema nervoso: «Giudici e medici avrebbero dovuto dare un’altra opportunità a questo bambino. Noi non abbiamo mai pensato di staccare il respiratore di Mattia, ed è difficile spiegare a chi vede le cose in modo superficiale quanto arricchisca lottare per la vita di chi si ama».
Magari sto sbagliando, ma oggi, a caldo, mi viene da dire che in tutta la vicenda di Charlie ci sono stati troppi tribunali e c’è stata poca libertà per i genitori. Se Connie e Chris sono riusciti a raccogliere un’ingente somma di denaro per portare Charlie negli Stati Uniti, perché impedire questo viaggio della speranza? I medici inglesi hanno detto: sarà tutto inutile e il bambino soffrirà ancora di più. Ma l’ultima parola, in questi casi, a chi deve spettare? Non esiste un diritto alla speranza? Che tipo di società e di umanità stiamo costruendo se lasciamo che siano i tribunali a decidere in ultima istanza?
Nella vicenda di Charlie ciò che inquieta di più è il fatto che, alla fin fine, la sorte di un bambino, di una persona, è stata affidata a entità impersonali. A decidere non è stata mamma Connie, non è stato papà Chris, non è stato nemmeno il dottor X o il dottor Y dopo aver parlato con i genitori, ma è stato un alto tribunale, una corte suprema.
In questo giorno tristissimo è difficile non pensare al «Brave New World» di Aldous Huxley, dove la gente è convinta di vivere nel migliore dei mondi possibili, ma non ha alcuna libertà ed è sotto il dominio di misteriosi coordinatori che decidono il destino di tutti.
Aldo Maria Valli
http://www.aldomariavalli.it/2017/06/30/che-cosa-ci-puo-insegnare-la-storia-di-charlie/
Infame sentenza emessa dalla corte europea dei diritti dell'uomo Procurare la 'dolce morte' al piccolo Charlie Gard
«L’uomo non può vivere senza amore. Rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso. Questa è la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l’uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l’uomo diviene nuovamente “espresso” e, in qualche modo, è nuovamente creato. Egli è nuovamente creato! Non c'è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,28). L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve “appropriarsi” ed assimilare tutta la realtà dell’Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso». L’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal magistero ordinario e universale. Una tale pratica comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell’omicidio».L'eutanasia anche se spesso viene giustificata da scelte di pietà, oltre a negare il principio dell’uguaglianza tra gli esseri umani, impoveriscono i rapporti interpersonali, minano la convivenza civile e sono la negazione fattuale della carità che sa farsi dono all’altro.
IL QUINTO COMANDAMENTO
« Non uccidere » (Es 20,13).
« Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio". Ma io vi dico: Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio » (Mt 5,21-22).
« La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente ».
La Scrittura precisa la proibizione del quinto comandamento: « Non far morire l'innocente e il giusto » (Es 23,7). L'uccisione volontaria di un innocente è gravemente contraria alla dignità dell'essere umano, alla « regola d'oro » e alla santità del Creatore. La legge che vieta questo omicidio ha una validità universale: obbliga tutti e ciascuno, sempre e dappertutto.
L'uccisione di un neonato, crimine tremendo non può essere in alcun modo giustificato, fosse anche comandata dai pubblici poteri.Il piccolo Charlie Gard assassinato, dalla infame sentenza emessa dalla corte europea dei diritti dell'uomo. " Pensate la chiamano dei diritti dell'uomo non voglio pensare se si fosse chiamata in altro modo".
Dopo il pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo il triste finale e ormai scritto e definitivo: la legge inglese, più che accurata, anche secondo la Corte Europea, ha deciso che il piccolo Charlie Gard non deve continuare a vivere. Anche se i suoi genitori erano pronti a curarlo nel migliore dei modi, fino alla fine dei suoi giorni, anche se la generosità popolare ha raccolto fondi più che sufficienti per tentare una cura sperimentale in America, la giustizia inglese, prevaricando la libertà di scelta dei genitori, ha deciso che è giusto sospendere le cure, e lasciarlo quindi morire. Anzi, lo ha imposto. Perché il piccolo Charlie non può guarire dalla sua malattia, e perché per questa sua malattia sta soffrendo.
Qui viene fuori la prima grande menzogna in questa vicenda, cioè la sovrapposizione tra incurabile e inguaribile, confusione figlia anche del tentativo di onnipotenza di troppa (cattiva) medicina contemporanea. Che sanità e che giustizia sono quelle che riducono la persona di Charlie solo alla sua malattia, e proprio per quella gli negano qualsiasi altro diritto, e in primis il diritto a vivere e sperare.
E chi ha dato l’autorità a un collegio sanitario e allo Stato per decidere quando staccare la spina a un paziente e a un cittadino? Charlie, è stato assassinato dal pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo, nulli sono state le proteste dei suoi genitori hanno avuto solo qualche ora per stare con Charlie.
Ferisce e commuove il nostro cuore di figli, di madri e di padri, la drammatica vicenda umana del piccolo Charlie Gard. La sua vita stroncata, da una sentenza gelida e strumentale di giudici,in nome di una ragione calcolatrice, che tutto misura e non lascia spazio alla categoria suprema della possibilità, all’imprevisto e all’imprevedibile. L'anima di Charlie, è custodita ora nelle mani di Dio sin da quando lo ha chiamato all’esistenza, i suoi giorni sulla terra sono finiti, tra l’amore tenace dei suoi genitori. Riposa in pace piccolo Charlie.
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