ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 2 agosto 2017

Dalla vocazione alla vaccazione

Se anche il divorzio diventa una vocazione 

Anche una assurda proposta che arriva dalla diocesi di San Miniato va purtroppo presa sul serio se da Roma si propone come modello il vescovo che dà il via libera all'educatore gay e civilunito, mentre si tiene in punizione un sacerdote che ha avuto il solo torto di difendere la famiglia e ricordare l'insegnamento di san Paolo sull'omosessualità.

Prendendo atto che separazioni e divorzi riguardano un numero sempre crescente di persone che pure frequentano la chiesa, «non si potrebbe pensare all’esistenza di una nuova “vocazione” allo stato di “separato”? (…) La croce, come redime e sublima l’amore umano fino a portarlo alla dignità di segno sacramentale dell’Amore del Padre, non può dare dignità e valore redentivo all’amore ferito, tradito, ucciso?».

A questa proposta, scaturita da una riflessione – dice lui – sulla Amoris Laetitia, è arrivato un anziano prete della diocesi di San Miniato, don Angiolo Falchi, che ha pensato bene di ricordare i suoi 50 anni di sacerdozio con questa bella trovata. «Lo stato di separato/a e divorziato/a considerato una vera e propria nuova vocazione nella Chiesa, da curare con tanto amore e dedizione come si fa con le altre vocazioni»: ve l’immaginate la prossima Giornata di preghiera per le vocazioni chiedere a Dio che mandi più separati e divorziati “santi” per testimoniare il Vangelo? In altri tempi ce la saremmo cavata con un sorriso e un invito a togliere il fiasco al reverendo. 

Ma oggi uscite di questo genere vanno purtroppo prese molto sul serio. Non solo perché nel caso specifico si tratta dell’editoriale dell’ultimo numero del settimanale della diocesi di San Miniato (La Domenica, allegato a Toscana Oggi), quindi si può pensare che quanto meno non dispiaccia al suo vescovo. Ma soprattutto perché teorizzazioni di questo genere sono ormai all’ordine del giorno, e a promuoverle sono anche ambienti autorevoli vicini a Santa Marta.

Ieri, ad esempio, il sito para-vaticano Il Sismografo pubblicava un editoriale dal titolo “Discernimento e vita pastorale del popolo di Dio”. Una lunga disquisizione - che vi risparmiamo -per poi arrivare a proporre come modello di discernimento il vescovo di Gorizia, monsignor Radaelli, per la nota vicenda del paesino di Staranzano. Come si ricorderà un capo scout che ha un ruolo di educatore in parrocchia è omosessuale “praticante” e tutti lo sanno da tempo: il parroco aveva segnalato diverse volte la questione al vescovo, che non ha mai risposto. Poi con l’approvazione della legge Cirinnà, ecco che il capo scout decide di convolare a unione civile con il suo compagno: cerimonia in municipio a cui partecipa anche il vice-parroco, assistente dell’Agesci e grande sostenitore della nuova unione. Il parroco a questo punto scrive pubblicamente che è il caso almeno che il capo scout si ritiri dal ruolo di educatore. Silenzio del vescovo. Nel frattempo, come testimonia una nostra lettrice scandalizzata, grande festa per la nuova coppia civilunita e comunione alla prima messa. Passano ancora diversi giorni e finalmente il vescovo decide di farsi vivo con una «illuminante, pacata e riflessiva lettera» in cui sostiene che «di fronte a simili vicende il discernimento comunitario deve prevalere senza cedere alle tentazioni del giudizio o della superficialità». Parroco smentito, la sua richiesta respinta con perdite. Applausi dal Sismografo, che seguono quelli già tributati da Avvenire.

È la nuova Chiesa, che pensa così di attuare il Concilio Vaticano II. Stesso ragionamento del vescovo di Biella a proposito del parroco che ha pensato bene di far parlare in chiesa Emma Bonino. Magari non sarà stata la cosa più opportuna, ha ragionato il vescovo, ma non va bene intervenire di forza, invocando delle regole. 

“Discernimento” è la parolina magica che mette a posto tutto. Discernimento è ciò che chiede la Amoris Laetitia e i vescovi pensano di ubbidire non giudicando più nulla. Il bene e il male svaniscono; un’azione, uno stato di vita è un male, ma qualche volta anche un bene. In ogni caso bisogna parlarne, dialogare senza rifugiarsi in regole già scritte (come se le regole cui si fa riferimento non fossero in realtà Parola di Dio), far maturare convinzioni. 

Peccato che questa sia una caricatura del discernimento, concetto la cui paternità viene fatta risalire a Sant’Ignazio di Loyola. Come ricordava tempo fa su queste colonne il gesuita padre Enrico Cattaneo, per Sant’Ignazio il discernimento è solo fra due beni possibili, non certo fra un bene e un male: «Per Ignazio – scriveva padre Cattaneo -  il discernimento va fatto su cose “indifferenti o buone in sé”, cioè “in tutto quello che è permesso al nostro libero arbitrio e non gli è proibito”. Così non ha senso fare discernimento sui dieci comandamenti. Non posso fare discernimento se mi conviene o no abortire, se mi conviene o no intraprendere una nuova relazione coniugale, se mi conviene o no assecondare un impulso omosessuale, e via dicendo. Discernimento è invece vedere se devo seguire la vita religiosa oppure la via del matrimonio, se devo (anzi “dobbiamo” in questo caso) avere uno, due, tre o più figli; se devo condividere maggiormente le mie risorse economiche, se devo regolarmi nel cibo, nei divertimenti, ecc., facendo però in modo che l’amore che mi nuove e mi fa scegliere tale cosa “discenda dall’alto, dall’amore di Dio”, “mirando unicamente al fine per cui sono stato creato, cioè per la lode di Dio nostro Signore e per la salvezza dell’anima mia”. Solo così le mie scelte saranno “pure, limpide” e non “disordinate e oblique”».

Quel concetto di discernimento che oggi va di moda è dunque falso, un alibi per fare ognuno quel che vuole. Eppure da Roma nessuno interviene per chiarire, anzi Avvenire e Osservatore Romano fanno a gara a chi spinge di più nella direzione della menzogna e della dottrina fai da te.

E ad essere puniti sono i preti e i vescovi che non si rassegnano, che pongono domande, che restano fedeli al Catechismo. Sono troppo rigidi, i preti oggi «devono essere flessibili», ci spiegava ieri Avvenire. Si può facilmente capire come andrà a finire a Staranzano, come la misericordia si abbatterà sul parroco che non si rassegna a un educatore orgogliosamente gay e civilunito.

Abbiamo già visto come è finita con don Massimiliano Pusceddu, a Cagliari: in una omelia aveva difeso e invitato a difendere la famiglia secondo il disegno creatore di Dio, aveva citato un passo di san Paolo molto duro nei confronti degli omosessuali. Era stato sospeso seduta stante da tutti gli incarichi diocesani: è passato più di un anno e don Massimiliano è ancora nella stessa situazione, senza parrocchia e senza poter tenere incontri pubblici. Chissà perché, su chi è fedele alla tradizione della Chiesa non c’è alcun problema a intervenire con il pugno di ferro. Invece il capo scout militante gay e il vice parroco che benedice le unioni civili sono al loro posto, difesi dall’establishment ecclesiastico. Così anche la “vocazione al divorzio”, da idiozia quale è si trasforma in una proposta seria. E magari tra un po’ di tempo la vedremo spuntare sui giornali di regime.
di Riccardo Cascioli02-08-2017http://www.lanuovabq.it/it/articoli-se-anche-il-divorzio-diventa-una-vocazione-20651.htmLe suore Usa che difendono l'Obamacare (e l'aborto)
di Tommaso Scandroglio25-07-2017
Suor Campbell alla marcia femminista contro Trump
Come di recente è stato commentato da queste colonne, settimana scorsa la riforma sanitaria negli Usa ha subito una battuta d’arresto per mancanza di consenso interno al fronte repubblicano. 
Nel frattempo 7.000 suore hanno firmato un appello ai senatori repubblicani affinchè non tocchino l’Obamacare perché “sarebbe immorale e contrario agli insegnamenti della nostra fede cattolica". La raccolta firme è stata organizzata da Network, un’organizzazione composta da suore impegnata nei temi di giustizia sociale. Network ha anche dato il via all’iniziativa Nus on the bus (“Suore sul bus”) per diffondere tramite un tour in autobus le loro idee.
Come è stato spiegato dalla Bussola più volte la riforma voluta da Obama non ha riconosciuto una copertura dei costi sanitari ai poveri – perché questo accadeva anche prima di Obama – bensì ha aumentato le spese sanitarie, ha reso più vincolante il legame tra privato cittadino e compagnie assicurative, ha fatto perdere molti posti di lavoro e, per quello che sta a più a cuore alle 7.000 sorelle di cui sopra, ha imposto condotte contrarie alla morale naturale e agli insegnamenti del Magistero. Infatti l’Obamacare prevede che i datori di lavoro coprano alcune spese sanitarie dei loro dipendenti, comprese quelle che servono per acquistare contraccettivi e quelle per praticare aborti. Una imposizione che riguarda anche gli enti cattolici. Che le 7.000 sorelle vadano a parlare con le loro colleghe, le Piccole Sorelle dei Poveri che qualche anno fa hanno fatto ricorso contro l’Obamacare proprio perché si erano consacrate al Verbo incarnato non al verbo abortista. Una chiacchierata con loro potrebbe essere utile per rinfrescare la memoria delle 7.000, non solo sulle priorità del cristiano e del consacrato, ma anche su ciò che è cattolico e su quello che non lo è.
Le Sisters Act statunitensi – appellativo quanto mai appropriato dato che “act” in inglese può significare anche “legge” – appoggiano quindi una riforma che obbliga a cooperare con l’aborto. Le 7.000 di cui sopra lo sanno di certo, ma per loro – come per tutti i cattolici adulti e quindi adulterati – l’aborto non è un problema morale, ma un problema sociale. La cosificazione della donna, la povertà, l’emarginazione sociale ed economica, la poca cultura portano ad abortire. Impegniamoci nella giustizia sociale e l’aborto sparirà. Nell’aborto in breve chi commette il male morale non è la madre o il medico – costoro sono solo vittime al pari del bambino – bensì la società, tutti noi, compresi io e te. Non prendiamocela con Obama se c’è un provvedimento che aiuta le donne a far fronte ad un drammatico problema sociale – pare quindi voler dire il catto-prog – prendiamocela con chi non si fa carico degli ultimi.
Non entriamo nel merito di questa tesi che imbarca sui gommoni per Lampedusa i principi non negoziabili – espressione propria del cretaceo cattolico ma ancor valida -  e fa sbarcare a riva preservativi e pillole abortive, bensì sovrapponiamo in controluce – come quando si vuole verificare l’autenticità di una banconota – i principi per cui lottano le femministe travestite da suore (si fa per dire dato che tutte costoro non portano il velo) e quelli della Chiesa cattolica, a cui dicono di voler rifarsi le stesse. Ecco che questi principi non combaciano per nulla. Non siamo noi a dirlo, bensì la Congregazione per la Dottrina della fede che nel 2012 investigò le attività della  Leadership Conference of Women Religious,  un’organizzazione che raggruppa l’80% delle suore americane e che è forse il paradigma di tutte le associazioni made in Usa impegnate nel sociale. La Congregazione prese per il bavero la LCWR ammonendola di cambiare rotta: interesse esclusivo per i poveri, nessuna attenzione per la lotta contro contraccezione, aborto e omosessualità, queste le loro colpe. Un’organizzazione definita dalla Congregazione per la dottrina della fede vicina al femminismo radicale. “La situazione dottrinale e pastorale attuale della Lcwr è grave", era stata la conclusione dell’indagine, "ed è un argomento di seria preoccupazione". La Chiesa ha cura dell’uomo in ogni sua dimensione, ma ricorda che l’anima vale più del corpo e quindi ci sono delle priorità da rispettare.
All’opposto il cattolico progressista, anche quello con il velo, ha lo sguardo puntato a terra, non in Cielo, uno sguardo fisso ai problemi di ordine economico dell’uomo e alle sue diseguaglianze sociali. La carità si scolora in un servizio sociale, la salvezza si valuta sul conto corrente e la Chiesa si è degradata in un centro di accoglienza. E’ per questo che 7.000 suore sono pronte a sostenere la legge di Obama, ma forse sono un poco più restie  a sottoscrivere la Legge di Dio.

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