PRENDERSI GIOCO DI DIO
La "Neochiesa" e la combriccola buonista di preti e teologi dove Dio diventa lo specchio della loro vanità e superbia, del loro infinito narcisismo: non credono in un Dio trascendente, ma in un dio che coincide con il loro ego di Francesco Lamendola
La neochiesa ha smesso di parlare dell’Inferno. Niente di strano: ha smesso di parlare della vita eterna, quindi anche del Paradiso; e, soprattutto, del Giudizio. C’è una ragione per ciascuna di queste omissioni. Parlare dell’Inferno significa parlare del peccato; e il peccato è l’allontanamento dell’uomo da Dio. Ma la neochiesa parte dall’assunto che il “popolo di Dio” è in marcia; verso dove? Verso il Regno di Dio, ovviamente; e già qui, in questa vita terrena. Il concetto non sarebbe del tutto sbagliato, se non muovesse da un sottinteso che non è cattolico: che il Regno di Dio sia di questo mondo. Di fatto, esso incomincia, come pallida prefigurazione, in questo mondo, ogni volta che si compie il miracolo della grazia di Dio; ogni volta che un’anima ne è toccata; ogni volta che si rinnova il Sacrificio eucaristico e che un povero, fragile, misero essere umano, sprofondato nella palude dell’egoismo, delle passioni e della inconsapevolezza, infiammato e vivificato dallo Spirito di Dio, si erge in piedi, guarda in alto e si trasforma in un operaio del Signore. Ma il suo compimento non avviene quaggiù: il mio Regno non è di questo mondo, ha detto Gesù, rispondendo a una precisa domanda del procuratore romano, Ponzio Pilato. Stava per morire. Di lì a poche ore, sarebbe spirato sulla croce; e diceva: Il mio Regno non è di questo mondo. Ma i teologi progressisti e i preti di sinistra, i Dossetti, i Turoldo, i Gallo, curiosamente in sintonia con i cardinali e i vescovi massoni, come i Martini, non se ne son dati per intesi; per loro, il Regno di Dio deve realizzarsi in questo mondo; e ciò che essi hanno in mente, quando si parla del Regno di Dio, è, a tutti gli effetti, il regno degli uomini: il paradiso in terra realizzato dall’uomo per se stesso.
Non c’è niente di spirituale, niente di sacro, niente di cristiano nella loro idea del progresso, della giustizia e del bene comune; semmai, ci sono le pessime idee dell’illuminismo, della rivoluzione francese e del moderno radicalismo. Tanto è vero che, su divorzio e aborto, costoro – prendiamo il caso di Turodo, ad esempio – hanno detto chiaro e tondo che erano contrari ad opporvisi negli appositi referendum, con la motivazione che nulla si deve imporre all’uomo, perché l’uomo, con la sua coscienza, è il solo giudice di se stesso. Questa è un’idea non cattolica; è un’idea massonica, illuminista e radicale. E, dal punto di vista cattolico, è un’idea non solo eretica, ma blasfema: perché divinizza l’uomo, lo pone su un piedistallo, lo proclama il solo giudice delle proprie azioni. Non avrai altro Dio fuori di me, dice il Signore; ma costoro, con tutto il loro progressismo e il loro modernismo, si sono ben che dimenticati dei Dieci Comandamenti. Cosa sono i Dieci Comandamenti? Roba superata, roba per le vecchiette. Non uccidere. Ma l’aborto consiste nel togliere la vita al nascituro. Niente paura: non è così grave; l’uomo, anzi la donna, in questo caso, ha il diritto di decidere di sé, in piena autonomia. Ecco, questa è l’idolatria dell’uomo, che si traduce nel disprezzo di Dio e della sua legge. Strano che non l’abbiano visto, costoro, e non lo vedano: erano, e sono, quasi sempre persone colte e intelligenti. Si vede che le molte letture hanno dato loro alla testa. Altrimenti, resta solo l’altra possibilità: che vedano e capiscano, e nondimeno ritengano giusto andare nella direzione che hanno imboccato. Nel qual caso, non sono solo dei presuntuosi e degli eretici; sono dei nemici dichiarati della Chiesa e del Signore, votati alla diabolica missione di confondere le anime e spingerle fuori dalla retta via. Non solo dei cattivi, o dei pessimi, maestri, ma dei contro-maestri: dei maestri di menzogna, dei maestri dell’inganno.
Dunque, non si parla dell’Inferno, perché non si vuol parlare del peccato; e non si vuol parlare del peccato, perché ciò equivarrebbe, da un lato, ad ammettere che il Regno di Dio non è di questo mondo, stante la natura peccatrice dell’uomo, e, dall’altro, che esiste il Giudizio, e quindi l’uomo non è il giudice di se stesso, ma è la creatura che verrà giudicata dal suo Creatore: cosa che dà molto fastidio ai seguaci della neochiesa. Ma nemmeno del Paradiso si deve parlare, perché, se lo si facesse, apparirebbe chiaro che il Regno di Dio non è di questo mondo, e che le cose più belle che qui possiamo fare, compresa la giustizia, sono talmente imperfette rispetto alla gloria del Paradiso, da apparire quasi grottesche. Dunque, niente Inferno, niente Paradiso, niente Giudizio; di conseguenza, niente vita eterna. I preti e i teologi della neochiesa non parlano quasi più della vita eterna; o, se ne parlano, lo fanno per accenni vaghi, di sfuggita, e con un misto d’imbarazzo e di leggero fastidio. A loro sembra che parlare della vita eterna possa distogliere gli uomini da questa vita; sembra loro un tradimento verso ciò che si deve fare qui, adesso; quasi un sabotaggio dell’impegno che il “vero” cristiano, secondo loro, deve profondere nelle cose di quaggiù, per rifare tutte le righe storte e renderle dritte. L’uomo, con le sue forze, con il suo coraggio, con la sua intrepidezza: senza la preghiera, o riducendo la preghiera a un esercizio di narcisismo. Quando pregano – il nostro pensiero va ancora a Turoldo - non dicono: Tu, o Signore, illuminami e guidami; ma dicono: Io, signore, sono qui davanti a te: io voglio fare questo, io voglio fare quello; e tu dammi la tua benedizione, tanto, anche se non me la dai,- e come potrebbe benedire, per esempio, il Signore, una guerra civile, come quella del 1943-45? eppure, costoro si vantano di aver fatto la Resistenza – faccio finta che tu me l’abbia data ugualmente, e vado avanti per la mia strada. La mia strada, non la tua. La tua strada è troppo complicata, non la capisco; preferisco fidarmi del mio giudizio. Non c’è umiltà, non c’è timor di Dio, né vera confidenza in Lui. Dio diventa lo specchio della loro vanità, della loro superbia, del loro infinito narcisismo: dicendo dio, pensano a se stessi. Si sentono di essere dio: come padre Sosa che va a meditare fra i buddisti e se ne vanta, si lascia fotografare. Per il buddismo, l’uomo già dio: è di natura divina; deve solo rendersene conto. O è l’equivalente di Dio, il Grande Tutto: perché il buddismo, a rigore, è un sistema di pensiero ateo. Ed entrambe le cose esprimono perfettamente la “teologia” di costoro: da un lato si sentono il Grande Tutto – non una sua parte, ma una cosa sola con esso -, dall’altro non credono in un dio trascendente, ma in un dio che coincide con il loro ego: che li benedice perché essi si benedicono, che li assolve perché essi si assolvono, che li elogia perché essi si elogiano. Se la fanno e se la godono; dio serve solo come menestrello.
E invece no. La vita eterna è una realtà: una realtà precisa, una verità di fede, non un simbolo, un mito o una fiaba. E così il Giudizio, l’Infermo e il Paradiso. Son tutte cose reali; qualcuno le ha viste. Vi sono dei santi che hanno avuto la visione delle realtà ultraterrene le lo hanno raccontato; ma i teologi modernisti e i preti progressisti non se ne danno per intesi. Anche se si tratta di figure gigantesche, una santa Teresa d’Avila, un san Giovanni Bosco, san Pio da Pietrelcina. Figuriamoci; l’Inferno: roba per spaventare le vecchiette. Roba da pedagogia della paura, come dice Ermes Ronchi, il fedele seguace di Turoldo. Nel loro buonismo, pensano che l’Inferno non esista, o che, tutt’al più, sia vuoto: se Dio è amore, come è possibile che qualche anima vada all’Inferno? Vogliono arruolare anche Dio nella loro combriccola: la combriccola dei buonisti. Vogliono farne un signore un po’ rimbambito, molto indulgente, che non vede o finge di non vedere la gravità di certi peccati, la diabolica ostinazione nel male di certi peccatori. Ecco perché padre Sosa arriva a dire che il diavolo non esiste, è solo un simbolo: è il primo passo per arrivare alle negazione dell’Inferno: niente diavolo, niente anime dannate, niente Inferno. Troppo comodo. Si sono fabbricato una chiesa tutta loro – la neochiesa, appunto - dove non c’è più nulla che li disturbi. Il mistero li disturba: dover ammettere che l’intelligenza umana può comprendere molte cose, ma non tutte. Che se le comprendesse tutte, l’uomo sarebbe dio. Ma siccome l’uomo, per loro, di fatto, è dio – non lo diranno mai apertamente, e, probabilmente, s’indignerebbero, se un tale pensiero venisse loro attribuito; ma è proprio così – non c’è bisogno di Giudizio, né di vita eterna; chi è dio non aspetta il premio e non teme il castigo.
I tre segreti di Fatima - lasciamo da parte il discorso sul quarto, che è controverso – vertono sulla realtà del male, del peccato, del Giudizio e dell’Inferno; e sulla estrema necessità del ravvedimento, della conversione e della penitenza. Tutto questo ha un suono assai sgradito ai sensibili orecchi dei teologi modernisti e dei preti e vescovi della neochiesa; ma è così. Tali segreti sono stati così riassunti da mons. Vittorio Dalla Torre, della diocesi di Belluno-Feltre (su La Martinella, bimensile della Parrocchia di Farra di Feltre, n. 3, giugno-luglio 2017, pp. 14-15):
La veggente Lucia parla di un segreto, diviso in tre parti.
La visione dell’Inferno. Dice la veggente Lucia: “La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel mare i demoni e le anime come se fossero braci, trasparenti e nere o bronzee,, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille dei grandi incendi, senza peso, né equilibri. Questa visione durò un momento. Saremmo morti di spavento se la Madre del Cielo non ci avesse sostenuto.
La seconda parte del segreto. “Avete visto l’Inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle Dio vuole stabilire nel mondo la devozione e la Consacrazione al mio Cuore Immacolato. Se faranno quello che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta per finire; ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il pontificato di Pio IX ne comincerà un’altra, ancora peggiore.
Quando vedrete una notte luminosa di luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno di Dio. Per impedire questa guerra verrò a chiedere la consacrazione della Russia al mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice. I buoni saranno perseguitati e martirizzati; il Santo Padre avrà molto da soffrire. Finalmente il mio Cuore Immacolato trionferà.
Nella terza parte del segreto apparve un angelo con la spada in mano che ripeteva: “Penitenza, penitenza, penitenza!”.
In effetti, nel terzo segreto i tre pastorelli hanno visto molto di più. Solo nel 2000, la Chiesa ha deciso di rendere pubblica questa testimonianza di suor Lucia, che ella aveva scritto il 3 gennaio 1944, su ordine del vescovo di Leiria e chiuso in una busta che, per ordine della Madonna, non avrebbe dovuto essere aperta fino al 1960:
Credete di prendervi gioco di Dio?
di Francesco Lamendola
continua su:
Del 27 Agosto 2017
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