I Novissimi, più nuovi del nuovo
Un’amica mi sconsiglia, m’invita a lasciar perdere. «Che t’importa, dai…». Aggiunge, non senza un po’ di logica: «Con il vento che tira, se qualcuno ti definisce cattolico va a finire che lo quereli per diffamazione, no?». Tuttavia, nel marasma generale, sento necessario ogni contributo alla chiarezza. E siccome gira voce (infondata e smentita, anche da molte visioni) che l’Inferno sia vuoto, che il Purgatorio attenda soltanto il direttore Deotto e me, che il Paradiso sia più affollato delle spiagge a Ferragosto e ci si possa imbattere in Martini (il quasipapa) che sbevazza aperitivi con Nietzsche e Freud, che il Limbo non esista, che l’Estrema Unzione non valga più come estrema, che le Messe di suffragio risuonino superflue e infatti sono diventate un’ammucchiata nominativa, che… che… che… Insomma, il pezzo è facile, esplicativo; non ho che da copiare da un foglio ingiallito addormentato qui sullo scrittoio. Attenzione: contiene materiale scottante, attualmente classificato “Top Secret”.
Il popolo non deve sapere! Datato 1957, quando ancora la dottrina era maneggiata con serietà, reca la firma di Dom Gregorio Manise, OSB, professore di Teologia dogmatica nell’Abbazia di Affligen, Hekelgem, Belgio. Il titolo è una parola: Novissimi. Il vaticanosecondo deve averla cancellata, in qualche comma che non trovo, perché non si usa più. Eppure questi Novissimi appaiono sempre più nuovi del nuovo, riguardando quello «che tocca all’uomo, in fine di vita: cioè la morte, il giudizio, e il Paradiso o l’Inferno».
La Sacra Scrittura, è l’autorevole benedettino a parlare, «ammonisce di tenere sempre presenti alla mente i Novissimi, perché ciò facendo non si peccherà mai; il pensiero ai Novissimi sprona anche alla perfezione». Dunque, si sa, «dallo stato dell’anima nostra, al momento della morte, dipende la nostra sorte eterna. Alla morte segue immediatamente il giudizio particolare, col quale verrà irrevocabilmente determinata la nostra sorte per tutta l’eternità. Non vi è pensiero, parola, azione o omissione che rimarrà nascosta al Giudice Divino. Il giudizio particolare verrà pubblicamente confermato nel giudizio universale». Nel dettaglio: «L’anima che passa all’altra vita in stato di grazia, se non è gravata da nessun peccato veniale e se non ha più da espiare alcuna pena per i peccati rimessi, va direttamente in cielo, dove vede per sempre Dio, uno in natura e trino nelle persone, faccia a faccia, ossia senza che vi sia tra Dio e l’intelletto umano la minima ombra di un’idea creata, e dove ama Dio con un amore perfettissimo. Il possesso di Dio, sommamente amato, con la contemplazione delle sue infinite perfezioni, appaga pienamente ogni indigenza dell’uomo, e produce nell’anima una intensissima gioia. Il grado della visione di Dio e del gaudio che ne segue è proporzionato al grado di grazia dell’anima: tutti però sono pienamente felici, perché tutti sono per sempre in possesso del Sommo Bene, e non hanno da temere nessun male. Le anime beate fruiscono anche dell’amabile compagnia dell’umanità santissima di Cristo, di Maria Santissima, degli Angeli e dei Santi. Dopo il giudizio finale, il corpo, di nuovo unito all’anima e dotato di qualità speciali, parteciperà alla beatitudine dell’anima. La felicità dei Santi oltrepassa di gran lunga tutto ciò che possiamo figurarci».
Diversamente, illustra Dom Manise, «se l’anima, separatasi dal corpo in stato di grazia, è ancor gravata da qualche peccato veniale, o ha ancor da espiare qualche pena per i peccati già rimessi, prima di poter andare in Paradiso deve sostare nel Purgatorio, dove è priva della visione beatifica, e deve sostenere alcune gravi pene. La durata e la gravità delle pene del Purgatorio dipendono dallo stato dell’anima. Questa durata può essere abbreviata, e le pene mitigate, dai suffragi dei vivi. Il Purgatorio è uno stato transitorio».
Terzo caso: «Colui che muore in stato di peccato mortale scende subito nell’Inferno, dove avrà da patire nell’anima e, dopo il giudizio universale, anche nel corpo. Il dannato rimane per sempre privo della visione di Dio e di tutti i beni congiunti con questa visione. Lo stato di privazione, per propria colpa, del Sommo Bene, e di avversione dal suo vero fine, in cui per sempre si trova il dannato, gli causano un acerrimo tormento. A questo patimento si aggiungono altre sofferenze: il tormento di un fuoco reale che non consuma, le tenebre, la compagnia dei demoni e degli altri dannati. La privazione del Sommo Bene è necessariamente la medesima per tutti i dannati; le pene positive però differiscono a seconda del numero e della gravità delle colpe».
Infine, «coloro che muoiono col solo peccato originale (bambini morti senza Battesimo, prima dell’uso della ragione) rimangono per sempre privati della visione di Dio, ma non provano dolore per questa privazione, né soffrono alcun’altra pena positiva; godono di una conoscenza naturale di Dio, che amano sopra ogni altra cosa, con amore naturale, e godono anche di altri beni naturali, cioè stanno nel Limbo».
Questa era la Fede prima del capovolgimento.
Il popolo non deve sapere! Datato 1957, quando ancora la dottrina era maneggiata con serietà, reca la firma di Dom Gregorio Manise, OSB, professore di Teologia dogmatica nell’Abbazia di Affligen, Hekelgem, Belgio. Il titolo è una parola: Novissimi. Il vaticanosecondo deve averla cancellata, in qualche comma che non trovo, perché non si usa più. Eppure questi Novissimi appaiono sempre più nuovi del nuovo, riguardando quello «che tocca all’uomo, in fine di vita: cioè la morte, il giudizio, e il Paradiso o l’Inferno».
La Sacra Scrittura, è l’autorevole benedettino a parlare, «ammonisce di tenere sempre presenti alla mente i Novissimi, perché ciò facendo non si peccherà mai; il pensiero ai Novissimi sprona anche alla perfezione». Dunque, si sa, «dallo stato dell’anima nostra, al momento della morte, dipende la nostra sorte eterna. Alla morte segue immediatamente il giudizio particolare, col quale verrà irrevocabilmente determinata la nostra sorte per tutta l’eternità. Non vi è pensiero, parola, azione o omissione che rimarrà nascosta al Giudice Divino. Il giudizio particolare verrà pubblicamente confermato nel giudizio universale». Nel dettaglio: «L’anima che passa all’altra vita in stato di grazia, se non è gravata da nessun peccato veniale e se non ha più da espiare alcuna pena per i peccati rimessi, va direttamente in cielo, dove vede per sempre Dio, uno in natura e trino nelle persone, faccia a faccia, ossia senza che vi sia tra Dio e l’intelletto umano la minima ombra di un’idea creata, e dove ama Dio con un amore perfettissimo. Il possesso di Dio, sommamente amato, con la contemplazione delle sue infinite perfezioni, appaga pienamente ogni indigenza dell’uomo, e produce nell’anima una intensissima gioia. Il grado della visione di Dio e del gaudio che ne segue è proporzionato al grado di grazia dell’anima: tutti però sono pienamente felici, perché tutti sono per sempre in possesso del Sommo Bene, e non hanno da temere nessun male. Le anime beate fruiscono anche dell’amabile compagnia dell’umanità santissima di Cristo, di Maria Santissima, degli Angeli e dei Santi. Dopo il giudizio finale, il corpo, di nuovo unito all’anima e dotato di qualità speciali, parteciperà alla beatitudine dell’anima. La felicità dei Santi oltrepassa di gran lunga tutto ciò che possiamo figurarci».
Diversamente, illustra Dom Manise, «se l’anima, separatasi dal corpo in stato di grazia, è ancor gravata da qualche peccato veniale, o ha ancor da espiare qualche pena per i peccati già rimessi, prima di poter andare in Paradiso deve sostare nel Purgatorio, dove è priva della visione beatifica, e deve sostenere alcune gravi pene. La durata e la gravità delle pene del Purgatorio dipendono dallo stato dell’anima. Questa durata può essere abbreviata, e le pene mitigate, dai suffragi dei vivi. Il Purgatorio è uno stato transitorio».
Terzo caso: «Colui che muore in stato di peccato mortale scende subito nell’Inferno, dove avrà da patire nell’anima e, dopo il giudizio universale, anche nel corpo. Il dannato rimane per sempre privo della visione di Dio e di tutti i beni congiunti con questa visione. Lo stato di privazione, per propria colpa, del Sommo Bene, e di avversione dal suo vero fine, in cui per sempre si trova il dannato, gli causano un acerrimo tormento. A questo patimento si aggiungono altre sofferenze: il tormento di un fuoco reale che non consuma, le tenebre, la compagnia dei demoni e degli altri dannati. La privazione del Sommo Bene è necessariamente la medesima per tutti i dannati; le pene positive però differiscono a seconda del numero e della gravità delle colpe».
Infine, «coloro che muoiono col solo peccato originale (bambini morti senza Battesimo, prima dell’uso della ragione) rimangono per sempre privati della visione di Dio, ma non provano dolore per questa privazione, né soffrono alcun’altra pena positiva; godono di una conoscenza naturale di Dio, che amano sopra ogni altra cosa, con amore naturale, e godono anche di altri beni naturali, cioè stanno nel Limbo».
Questa era la Fede prima del capovolgimento.
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