Non solo Miur e Emilia Romagna. A sostenere le
catto-progressista Scuola di Bologna c'è anche la Cei, che ha erogato nel 2016
35mila euro per uno studio sulle Chiese non in comunione con Roma. Soldi dell'8
per mille giustificati con il Progetto culturale, che, nonostante fosse già
chiuso nel 2015, Melloni & co hanno sempre disprezzato sotto Ruini. Infatti
di questo finanziamento non fanno cenno nelle richieste. Perché? Il sospetto di
una gestione opaca e di una mancanza di trasparenza da parte dei ricchi cantori
della Chiesa povera. La nostra inchiesta.
Il finanziamento più eclatante ha destato i sospetti persino delle forze di Sinistra che siedono in Assemblea Regionale Emilia Romagna. 1 milione e 500 mila euro alla Fondazione per le Scienze Religiose, la cosiddetta scuola di Bologna, tempio del catto progressismo italiano e guidata con decisione da Alberto Melloni con la supervisione di un altro cattolico adulto, Enzo Bianchi, che siede nel Cda. La notizia, che anche la Nuova BQ ha seguito, ha riportato l’attenzione sull’ingente mole di finanziamenti pubblici di cui gode la Scuola di Bologna, senza peraltro alcuna motivazione che giustifichi l’intervento. Prima, come ha documentato una lunga inchiesta della Nuova BQ c’era stato il mega bando costruito su misura e molto opaco con il quale la Fondazione di via San Vitale si era assicurata dal Miur la bellezza di un milione di euro.
Ma quei due finanziamenti non sono gli unici. Per una Fondazione come quella di Bologna che ha visto nel corso degli anni assottigliarsi sempre più i contributi del mondo economico e finanziario, quella di ricercare una via di finanziamento pubblica è diventata un’esigenza indispensabile per la prosecuzione delle attività della Scuola di Bologna.
Infatti tra i donors che la Fondazione si vanta di elencare a sostegno della propria attività si scopre che vi è anche la Conferenza Episcopale Italiana, che come noto, vive quasi esclusivamente dei contributi dell’8 per mille dei fedeli. Dunque, anche se non propriamente, questi sono soldi pubblici, se non altro perché sono erogati dai fedeli i quali sperano che vengano utilizzati per attività di sostegno al clero e alle realtà ecclesiali. Ma che cosa succederebbe se si scoprisse che la Cei ha finanziato una realtà accademica che si occupa di studiare la storia della Chiesa da una prospettiva, diciamo così, di parte? Succederebbe che il fedele vorrebbe per lo meno sapere per quale motivo vengono erogati soldi a progetti di carattere culturale che non sembrano essere di stretta necessità per l’andamento di parrocchie e diocesi.
E’ quanto ha cercato di capire la Nuova BQ in questa inchiesta dalla quale emerge ancora una volta che la Fondazione, che difende con animosità l’idea di una chiesa povera per i poveri, si serve di ingenti finanziamenti pubblici per iniziative accademiche quanto meno discutibili, circa la loro urgenza. E soprattutto fatica a mettere in campo quella trasparenza che dovrebbe essere una delle caratteristiche indispensabili per chi, come Melloni & co, è abituato ad alzare il dito impancandosi a giudice spietato verso chi non ha la sua idea di Chiesa.
Insomma, per la serie Chiesa povera, tasche gonfie, ecco che cosa abbiamo scoperto.
La prima tappa della nostra inchiesta è a Bologna dove ha sede la Fondazione. E’ qui che chiediamo alla segreteria di spiegare a fronte di quale progetto la Cei nel 2016 ha erogato un contributo tanto da meritarsi l’appellativo di “donor” nella pagina internet della Fondazione. La risposta della Fondazione è puntuale, ma maliziosa: “Durante l’episcopato del cardinale Caffarra, che con la Fondazione ha sempre avuto rapporti di grande bontà, col suo parere favorevole la Cei ha deliberato di finanziare una borsa di post-dottorato attribuita per concorso; le borse sono quelle che nei bandi ora in corso. La proposta è del 2012. Prima di lui solo la Conferenza episcopale tedesca aveva dato un sostegno alle ricerche della Fondazione su proposta dell'allora card. Joseph Ratzinger”.
La segreteria si riferisce ad una borsa di studio del 2012, quindi antecedente al 2016 e tira in ballo tanto l’allora arcivescovo di Bologna, che oggi Melloni vorrebbe vedere a Castel Sant’Angelo “in ceppi” per la nota vicenda dei dubia, quanto il Papa emerito Joseph Ratzinger, papa mai amato da Melloni, ma che se, evidentemente, quando faceva comodo perché garantiva l’erogazione di fondi, andava comunque bene.
Successivamente la risposta vira su un altro contributo relativo agli studi ebraici: “La Cei ha successivamente accolto la proposta di finanziare, insieme al Miur, il dottorato di studi ebraici dell’Università di Bologna, sede di Ravenna. La Fondazione ne è tramite, stipula gli accordi previsti dalla legge e se ne fa garante scientifico. E’ stata finanziata una borsa nel XXXI, XXXII, XXXIII ciclo”.
Insomma: dalla risposta della Fondazione sembra che gli unici rapporti tra la Conferenza Episcopale e via San Vitale siano relativi a un contributo passato e a un dottorato di studi ebraici. Curioso che la Cei finanzi gli studi sull’ebraismo, ma si vede che in certi ambienti accademici funziona così.
La risposta ci lascia comunque dubbiosi, se non altro perché la Cei viene indicata tra i donatori del 2016. Così decidiamo di scrivere alla Cei e l’ufficio economato, nella persona dell’economo Mauro Salvatore, che dopo alcuni giorni di ricerca ci risponde tramite il portavoce: “Agli inizi di dicembre 2015 la Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna inviava domanda di contributo al Progetto culturale della Chiesa italiana, finalizzato a sostenere la pubblicazione editoriale di una ricerca scientifica su “I Concili delle Chiese Siro-Orientale e Siro-Occidentale”. A fine gennaio 2016 il Comitato fondi della CEI comunicava alla Fondazione, per il tramite dell’allora economo don Rocco Pennacchio, la concessione di un contributo € 35.000 per il sostegno alla pubblicazione anzidetta”.
Ecco qua trovato il finanziamento relativo all’annata 2016. Un contributo per una pubblicazione scientifica su Chiese non in comunione con Roma. La Cei si raccomanda di specificare che “i criteri cui si ispira la CEI per concedere contributi in campo pastorale, caritativo e culturale, sono basati sulla serietà dei numerosi Enti richiedenti, sull’oggettiva bontà di ciascuna specifica richiesta e sul fatto che il contributo concesso non copra l’intero ammontare dei costi esposti, ma vada a sostenerne parzialmente la realizzabilità”.
Prendiamo atto. Qui però sorge il primo problema: per quale motivo Melloni ci ha tenuto nascosto questo finanziamento? Eh sì che la nostra domanda era stata precisa, ma si è preferito glissare su questi 35mila euro concentrandosi su una risposta per “sviare”.
Quindi la Cei ha finanziato l'edizione di concili non solo non cattolici ma di chiese non calcedoniane, ossia che non accettano la cristologia del concilio di Calcedonia, che dunque sono eretiche anche per gli ortodossi. Le attività di studio di concili non cattolici, in tutta la storia della Chiesa, sono per la Scuola di Bologna una spina nel fianco da diverso tempo. Negli anni scorsi per alcuni lavori del corpus sul “Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta” la Scuola di Bologna si era beccata alcune reprimende tanto dal sostituto della segreteria di Stato Angelo Becciu quanto dal cardinale Walter Brandmüller.
Torniamo al contributo della Cei. A detta degli uffici romani i 35mila euro sono stati erogati tramite il progetto culturale, che però, è fermo come tale dall’ottobre del 2015. Ma la richiesta di Melloni è relativa al dicembre 2015 e la decisione di erogare i soldi è del gennaio 2016. Come è possibile che la Cei abbia potuto utilizzare i soldi del progetto culturale se questo era già chiuso come servizio?
La risposta sembra arrivare da un comunicato stampa della Cei risalente proprio al gennaio 2016 in cui si rilancia il progetto culturale orientato in senso cristiano. In particolare si scriveva: “Il Consiglio Permanente ha affrontato le proposte per un rilancio del Progetto culturale orientato in senso cristiano, secondo formule che consentano di evitare ogni autoreferenzialità. Al riguardo, si è sottolineata la necessità di un raccordo tra l’anima accademica e quella pastorale, in modo che i risultati della ricerca intellettuale possano essere condivisi e il dialogo interno ed esterno sia coltivato nell’ottica della missione della Chiesa e della vita credente”.
Raccordo tra l’anima accademica e quella pastorale, nel senso che la seconda, coi soldi dell’8 per mille, eroga per la prima. Infatti proprio contemporaneamente veniva deliberato di stanziare i 35mila euro per la Scuola di Bologna. Insomma: un’iniziativa per super eruditi, di cui il beneficiario però non parla affatto e che è rivolta a favorire lo studio della storia di Chiese non in comunione con Roma. E per giunta giustificandosi dietro un progetto, quello culturale, che la Chiesa italiana aveva già chiuso salvo rilanciarlo per iniziative di questo tenore.
Nel corso di questi ultimi anni tante realtà culturali del panorama cattolico italiano, si sono viste cancellare i pochi, ma utilissimi, contributi che la Cei dava loro per sostenere le proprie attività pastorali e culturali. Ma per certi campioni della Chiesa povera, la scure non è mai arrivata. Miracoli del pauperismo.
Resta la domanda di fondo: perché Melloni ha taciuto il finanziamento che gli derivava dal progetto culturale della Cei, ancorché redivivo proprio per la sua realtà? Questo non si può sapere, però si sa che Melloni & co non hanno mai avuto in simpatia il progetto culturale della Cei che nacque sotto l'egida dell'allora presdiente Camillo Ruini, mai amico della Scuola di Bologna. In un saggio di uno dei bracci destri di Melloni, Enrico Galavotti e pubblicato sull'enciclopedia Treccani, con la quale la Fondazione ha moltro lavoro in comune, c'è una voce significativa chiamata "Il ruinismo".
Vi si dettaglia dell'ascesa del presdiente della Cei nel suo ruolo politico da protagonista nel dialogo con le forze politiche tra gli anni '90 e 2000. Sotto accusa, guarda un po', il Progetto Culturale, visto come un tentativo di incidere del cattolicesimo italiano anche nell'agenda politica in chiave anti ulivo. A Ruini il discepolo di Melloni rimprovera proprio il suo essere stato troppo "intransigente" con la politica di allora, sui temi della difesa della vita e della famiglia. Un intransigentismo frutto del celebre "meglio contestati che irrilevanti" portato avanti dal cardinale sassolese.
E il progetto culturale è stata l'arma utilizzata da Ruini. La stessa che, mutatis mutandis, la Fondazione ha chiesto fino a un anno fa di poter utilizzare per avere qualche denaro da spendere per la propria attività. E' proprio il caso di dire che pecunia non olet.
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