ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 30 agosto 2017

Siamo noi quelli strani?

Chiesa belga: dopo l'islam dilaga l'omosessualismo
L'organizzazione dei genitori dell'insegnamento cattolico, partner del Segretariato generale dell'Insegnamento Cattolico, è (forse) un ex gesuita che parla della sodomia come un dono, contrastando le direttive di Ratzinger e di Bergoglio. Come può un eretico rappresentare le istanze delle famiglie credenti?

Dal Belgio, Paese che in attesa di essere definitivamente assoggettato a quella forma primitiva di cristianesimo ereticale che va sotto il nome di islam, sta attraversando un momento di grande sbandamento: giungono sempre notizie sorprendenti e vi rendiamo partecipi dell’ultima che abbiamo ricevuto. Non è freschissima e se l’avessimo saputo prima ne avremmo scritto, ma tant’è, l’abbiamo saputo solo ora. 



In Belgio c’è un’organizzazione che si chama UFAPEC:Unione francofona delle associazioni di genitori dell’insegnamento cattolico. È un’organizzazione rappresentativa dei genitori e delle associazioni dell’insegnamento libero a carattere confessionale e la sua missione prioritaria è di favorire le buone relazioni fra la famiglia e la scuola. È anche il “partner genitoriale” del Segretariato generale dell’Insegnamento Cattolico (SeGEC) da 60 anni.

La sua più recente battaglia è quella in difesa di un decreto che riguarda le iscrizioni al prossimo anno scolastico, decreto che a quanto pare rendeva più trasparenti e meno opache le procedure di iscrizione, e rendeva evidenti i dati sui posti a disposizione. “Fermiamo i mercanteggiamenti sulla schiena de nostri bambini”, ha dichiarato il Segretario generale dell’UFAPEC, Bernard Hubien, che ha aggiunto che la procedura attuale suscita “l’esasperazione” di un numero crescente di genitori. “Provoca uno stress sempre più invivibile per loro…dei genitori sono sull'orlo dell’esplosione”.

Il fatto che ai nostri occhi appare singolare, anche se forse siamo un po’ rigidi noi, è che Bernard Hubien Segretario generale dell’Ufapec, ha anche – ho ha comunque avuto – altri interessi. Era almeno fino al 2001 un gesuita che collaborava alla rivista “Scambi”. Non sappiamo se, come e quando sia uscito dalla Compagnia. Ma lo troviamo, dal 2009, Segretario generale di un’altra associazione, che è appunto stata fondata (con il suo nome in calce) nel 2009 e che si chiama Communauté Christ Liberateur (CCL). Sarebbe "un gruppo di cristiani e cristiane omosessuali che hanno voluto creare uno spazio conviviale e accogliente per tutti coloro desiderino che la loro omosessualità sia un ‘più’ nella loro vita…perché crediamo che Dio ci ama così come siamo, ci raggiunge nelle nostre vite come esse sono, che ‘ci ama gay’. L’omosessualità è ancor troppo sovente vissuta da troppi come una malattia da cui bisogna guarire, un fardello o una stigmate; noi la viviamo come un'opportunità, una possibilità di creare legami e solidarietà profonde”. Fra l’altro il sito CCL critica le norme stabilite da Joseph Ratzinger e confermate da Jorge Mario Bergoglio sulle limitazioni ad entrare nei seminari per persone con tendenze omosessuali. Oltre a mostrare una ricca galleria di dipinti relativi a San Sebastiano, uno dei soggetti preferiti nell’ambiente omosessuale. 

Ecco, siamo certamente un po’ arretrati, ma ci siamo stupiti di vedere parlare a nome delle famiglie cattoliche un (forse) ex gesuita, e allo stesso tempo fondatore di un’associazione di orgoglio gay cristiano. Siamo noi quelli strani?
di Marco Tosatti30-08-2017http://www.lanuovabq.it/it/articoli-chiesa-belga-dopo-l-islam-dilaga-l-omosessualismo-20880.htmGB, bambina cristiana affidata a famiglie islamiche E "La Repubblica" si scopre clericalista musulmana
Sebbene non siano chiari dettagli e motivazioni che hanno spinto un municipio londinese a dare in affido una bambina cristiana a due famiglie che la stanno "rieducando" islamicamente, è molto chiara l'assurdità di una decisione che aumenta il disagio di minore temporaneamente allontanato dalla propria famiglia. Ma i commentatori di Repubblica si scandalizzano delle polemiche, invocando la reciprocità. Un appunto completamente fuori luogo...
C’è qualcosa che avvicina la vicenda di Tower Hamlets (la bambina cristiana data in affido a coppie musulmane radicali) a quella di Charlie Gard. Entrambe sono accadute in quella Londra che dalla Magna Carta in poi è additata come il luogo storico della tutela dei diritti e della difesa da ingerenze dispotiche dei poteri sovraordinati.

Nel giro di poche settimane uno dei più importanti e stimati nosocomi della Capitale inglese, il Great Ormond Street Hospital, e uno dei municipi londinesi, Tower Hamlets, hanno assunto decisioni di peso su diritti fondamentali, con controverse implicazioni di ordine etico, e in entrambi i casi non hanno fornito informazioni, e ancora meno illustrazione delle ragioni che hanno determinato quelle scelte. Anche a tutela di entrambe le autorità sarebbe stato utile, nel rispetto della delicatezza dell’uno e dell’altro caso, capire perché; invece ci si trova di fronte a passi che hanno dell’apodittico, per Charlie con l’avallo dell’autorità giudiziaria nazionale e della Cedu, per la bambina data in affido a due famiglie musulmane con la sola difesa del silenzio. E’ inevitabile che la gravità del fatto provochi le reazioni più varie, pur se l’incompletezza di dettagli rischia di far sfuggire qualcosa.  
Avendo ben chiara l’esistenza di questo handicap conoscitivo, la questione si liquida in breve: pare di trovarsi di fronte a un affido, e non a un’adozione; questo spiega perché non se ne occupi un giudice, ma i servizi sociali del municipio londinese. L’affido, come l’analogo istituto presente nell’ordinamento italiano, è una misura temporanea di allontanamento del minore dalla propria famiglia, in presenza di problemi gravi ma non irreversibili, che si presume possano essere superati nel tempo.

Se effettivamente è un affido, la decisione di collocare la bimba in un contesto religioso e in senso lato culturale così diverso rispetto a quello originario, è ancora più incomprensibile che se si fosse disposta una adozione (che pure avrebbe incontrato forti riserve); quale prospettiva eventuale di rientro nel contesto della nascita garantisce l’attuale così radicale cambiamento di vita quotidiana subito dalla bambina? E comunque, in un ordinamento civile il faro di ogni opzione in materia è quello che in Italia si chiama “il superiore interesse del minore”: evidentemente non rispettato se a cinque anni le donne con le quali la piccola ha a che fare circolano in burka, se le si vietano cibi fino a quel momento a lei graditi, e se le si impone di abbandonare i segni della fede cristiana, indossati o praticati.
Sorprende che il coro di dissenso dalla decisione di Tower Hamlets non sia così unanime. La Repubblica, quotidiano militante nella promozione di quelli che identifica come diritti di libertà, ha affidato ieri il commento alla vicenda alla penna di Alberto Melloni e a un’intervista a Melita Cavallo, che da presidente del Tribunale dei minori di Roma aveva legittimato l’adozione da parte di persone dello stesso sesso. Né l’uno né l’altra dichiarano di condividere quanto deciso per la bimba inglese. Ci sono però dei distinguo.

Il prof. Melloni si avventura in un’analogia con le storie di bambini ebrei salvati dai campi di sterminio ma poi convertiti al cristianesimo - tra i tanti elementi di differenza, per essi mancò qualsiasi decisione pubblica di affido del minore -, e poi ricorda che bimbi slavi o asiatici sono stati dati in adozione a genitori italiani: i quali però non hanno rispettato la confessione religiosa della famiglia di origine. Sulla stessa lunghezza d’onda la dottoressa Cavallo che, richiamando la sua lunga esperienza di giudice minorile, ha spiegato come i genitori italiani adottivi non si pongano scrupoli nel mandare in chiesa o al catechismo i bambini ricevuti da contesti disomogenei. Vi è il rischio, ammonisce Melloni, di precostituire “gabbie etniche” per l’adozione.
E’ sempre difficile riaffermare l’ovvio, ma ci provo. Il bene del bambino che viene da una situazione di estrema difficoltà - altrimenti non andrebbe in affido o in adozione - non consiste nell’incrementare il disagio, come pare stia avvenendo per la piccola londinese. La religione c’entra ben poco, nel momento in cui per chi ha appena cinque anni vengono meno poche certezze - la pasta alla carbonara che tanto le piace, e che adesso le è preclusa perché contiene carne di maiale, e il crocifisso che portava al collo e che le è stato tolto - e aumenta la difficoltà di correlarsi: come è possibile se in pubblico non vede il volto della nuova mamma?

Non si tratta quindi di teorizzare l’adozione o l’affido per confessione religiosa - le “gabbie etniche” -, ma di perseguire laicamente il miglior interesse del minore. Se quest’ultimo collide con la pratica di una determinata fede, nella specie l’islam, e/o di una applicazione integrale dei suoi precetti, è esattamente tale ricaduta che preclude l’adozione o l’affido, non già una pregiudiziale di principio confessionale.

Rileggiamo Benedetto XVI a proposito del rispetto contestuale per la libertà religiosa e per i diritti fondamentali: la prima è inclusa nei secondi, non è a essi contrapposta. Melloni e Melito paiono evocare una sorta di reciprocità fra cristianesimo e islam: come nessuno controlla se un neonato proveniente da una famiglia musulmana bosniaca sia educato all’islam da genitori cattolici - questo essi dicono -, così la drammaticità del caso londinese non è qualcosa da rifuggire, ma una scelta dei servizi sociali sulla cui opportunità è necessario confrontarsi.
Domanda: per Melloni e Melito la reciprocità vale sempre? La domanda è retorica perché dubito che Melloni e Melito desiderino vietare l’esercizio della preghiera e del culto islamico in Italia a causa del fatto che negli Emirati arabi il culto cristiano non è permesso. La libertà religiosa, caposaldo della civiltà occidentale, va garantita senza condizioni. Ha allora ancora meno senso parlare di reciprocità quando sono in gioco diritti fondamentali della persona, in quanto tali non passibili di contrattazione.

E’ però singolare che chi opera per estromettere il dato religioso dalla vita comune e dalle scelte civili poi lo recuperi quando c’è di mezzo l’islam. Nella vasta gamma del politically correct mancava il clericalismo musulmano da parte di soggetti ordinariamente laicisti. La Repubblica ha colmato la lacuna.

di Alfredo Mantovano 30-08-2017
Il vescovo duro con "Forza Nuova" tenero con l'omoeresia
La vicenda di Vicofaro e del prete scontratosi con Forza Nuova fa riemergere le contraddizioni di un episcopato pronto ad alzare la voce per difendere i propri preti solo se c'è da difendere l'immigrazionismo. Invece per le derive omoeretiche degli stessi pastori, si fa finta di niente. Eppure il Magistero è chiaro sulle incursioni Lgbt nelle parrocchie. Però si fa finta di niente.
Con gli immigrati ha avuto gioco facile. Don Massimo Biancalani, il parroco di Vicofaro di Pistoia finito sui giornali per lo scontro con Forza Nuova aveva incassato il sostegno del suo vescovo in occasione della sortita dei militanti di estrema destra in chiesa. Una vicinanza, quella del pastore toscano, certificata dalla presenza a messa del vicario della diocesi di Pistoia che ha di fatto messo il prete pro immigrati in una botte di ferro.
Tutto facile insomma. Peccato che la solerzia del vescovo nel difendere un suo sacerdote non ci sia stata in altri casi, come accaduto ad esempio a don Massimiliano Pusceddu, umiliato per aver citato San Paolo dall’ambone circa i comportamenti omosessuali. Perché se si parla di immigrazionismo il buonismo e il conformismo prendono il sopravvento, ma se l’argomento sono i cosiddetti rapporti contro natura, ecco che la solerzia di certi vescovi nel ribadire quel che è loro compito, cioè la dottrina, si fa di nebbia.
Don Massimo Biancalani infatti non ha mai nascosto non solo un tifo da ultras per l’immigrazionismo fino a spingersi a dare del fascista a chiunque non la pensi come lui, ma è particolarmente attivo anche nel seguire i cristiani Lgbt secondo logiche e metodologie di accettazione dell’omosessualità che sono in netto contrasto con la dottrina della Chiesa.
Il sacerdote infatti negli anni scorsi era finito sui giornali proprio per un percorso di accompagnamento pastorale per persone omosessuali. Tutto bene, d’altra parte lo dice il Catechismo. Ma in che modo? Ovviamente utilizzando il manifesto dello sdoganamento dell’ideologia omosessualista nella Chiesa. Si tratta de “L’amore omosessuale interroga la Chiesa”, scritto da Damiano Migliorini e Beatrice Brogliato, che si propone una riflessione teologica e morale e visione nuova sulla persona omosessuale.
“Riteniamo doveroso – aveva detto - chiedere che le nostre comunità si aprano a una pastorale rivolta agli omosessuali e ai transessuali: ciò aiuterebbe molte persone a sentirsi finalmente accolte, per quello che sono, nella chiesa, abbattendo quel muro di diffidenza e incomprensione”.
Insomma, come è stato già dettouno sdoganamento tout court dell’omoeresia, cioè quella corrente lobbistica infiltratasi nella Chiesa che sostiene l’omosessualità come variante normale della sessualità umana. Solo che la Chiesa contrasta questa visione e lo fa nei suoi atti più impegnativi. Il Catechismo della Chiesa cattolica è uno di questi. “Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. In nessun caso possono essere approvati”. (2357). Insomma: accettarli tout court e promuoverli come è stato fatto in questi anni in molte parrocchie è contrario al Magistero.
C’è poi un altro documento imprescindibile per la cura pastorale delle persone omosessuali, che tra le altre cose è l’atto principale su cui si fonda l’esperienza di Courage. E’ la Nota della Congregazione per la Dottrina della fede che nel 1986 pubblicò un documento rivolto ai vescovi. Fra le altre cose vi si legge: “Questa Congregazione desidera chiedere ai Vescovi di essere particolarmente vigilanti nei confronti di quei programmi che di fatto tentano di esercitare una pressione sulla Chiesa perché essa cambi la sua dottrina, anche se a parole talvolta si nega che sia così. Un attento studio delle dichiarazioni pubbliche in essi contenute e delle attività che promuovono rivela una calcolata ambiguità, attraverso cui cercano di fuorviare i pastori e i fedeli. Per esempio, essi presentano talvolta l'insegnamento del Magistero, ma solo come una fonte facoltativa in ordine alla formazione della coscienza. La sua autorità peculiare non è riconosciuta. Alcuni gruppi usano perfino qualificare come «cattoliche» le loro organizzazioni o le persone a cui intendono rivolgersi, ma in realtà essi non difendono e non promuovono l'insegnamento del Magistero, anzi talvolta lo attaccano apertamente. Per quanto i loro membri rivendichino di voler conformare la loro vita all'insegnamento di Gesù, di fatto essi abbandonano l'insegnamento della sua Chiesa. Questo comportamento contraddittorio non può avere in nessun modo l'appoggio dei Vescovi”.
Più chiaro di così. Eppure molti vescovi e il pastore di Pistoia sembra tra questi, in questi anni hanno fatto come se questo documento non fosse mai esistito. Per comodità forse, ma anche per paura, perché il solo azzardarsi a proporre la visione cristiana della sessualità umana, è ormai diventato uno sport estremo, gravido tra l’altro di rogne incalcolabili. Meglio fare finta di niente e lasciare che i parroci si organizzino con adeguato coinvolgimento di associazioni Lgbt.
Eppure il documento parlava chiaro: “Questa Congregazione incoraggia pertanto i Vescovi a promuovere, nella loro diocesi, una pastorale verso le persone omosessuali in pieno accordo con l'insegnamento della Chiesa. Nessun programma pastorale autentico potrà includere organizzazioni, nelle quali persone omosessuali si associno tra loro, senza che sia chiaramente stabilito che l'attività omosessuale è immorale. Un atteggiamento veramente pastorale comprenderà la necessità di evitare alle persone omosessuali le occasioni prossime di peccato” e “dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l'insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti, o che lo trascuri completamente. Un tale appoggio, o anche l'apparenza di esso, può dare origine a gravi fraintendimenti. Speciale attenzione dovrebbe essere rivolta alla pratica della programmazione di celebrazioni religiose e all'uso di edifici appartenenti alla Chiesa da parte di questi gruppi, compresa la possibilità di disporre delle scuole e degli istituti cattolici di studi superiori. A qualcuno tale permesso di far uso di una proprietà della Chiesa può sembrare solo un gesto di giustizia e di carità, ma in realtà esso è in contraddizione con gli scopi stessi per i quali queste istituzioni sono state fondate, e può essere fonte di malintesi e di scandalo”.
Don Biancalani è in buona compagnia con altri parroci che ormai prestano le parrocchie per questi incontri in aperto contrasto col Magistero. Ma in questi casi, chissà perché le puntualizzazioni dei vescovi non avvengono mai. 
di Andrea Zambrano 30-08-2017

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