"Avvenire", ormai è solo ideologia
Avvenire di domenica scorsa ha stupito i lettori con una
copertina apposita per spingere politicamente per l’approvazione della legge
sullo ius soli. Una copertina che avvolgeva il giornale come si fa per i grandi
eventi o per le grandi battaglie. Completava il quadro un editorialone del
direttore. Qualsiasi cattolico che avesse delle perplessità di qualsiasi genere
su questo disegno di legge è stato così indotto o a temere di non essere
cattolico oppure a non rinnovare l’abbonamento ad Avvenire. In ogni caso la
copertina divideva i cattolici, sia tra di loro che rispetto ad Avvenire. Ne
valeva la pena?
Appena aperto il giornale, il lettore si sarà chiesto: ma
perché ad Avvenire non hanno fatto una copertina simile quando il Parlamento,
sopportando per due volte la fiducia di questo governo che ora vuole lo ius
soli, e quindi senza esame e senza discussione, ha approvato la legge Cirinnà che
di principi assoluti della morale naturale e della Dottrina sociale della
Chiesa ne negava almeno un centinaio? Perché Avvenire non ha fatto una
copertina del genere quando è stata staccata la spina del ventilatore al
piccolo Charlie Gard, che era innocente e che in quel modo veniva ucciso (non
“moriva”, veniva ucciso), aprendo così un possibile abisso di malvagità
legalizzata? Perché Avvenire non fa una copertina di questo genere ogni anno,
nella ricorrenza dell’approvazione della legge 194 sull’aborto legale, in virtù
della quale sono stati uccisi in Italia sei milioni di bambini nel seno delle
loro madri? Non sarebbero anche questi degli atti di fiducia verso il carattere
“contagioso” della nostra civiltà, cui Tarquinio si è appellato per lo ius soli?
L’ideologia consiste nel proporre una parte come il tutto.
Un suo caso particolare consiste nel proporre ciò che è relativo alle
situazioni e al giudizio prudenziale come assoluto e vincolante. Spingere al
rompete le righe sulle questioni morali assolutamente negative e, al contrario,
imporre di serrare i ranghi su questioni che possono stare anche altrimenti è
ideologia. Ciò che non si dovrebbe mai fare, oggi si può fare; ciò che si può
fare, oggi non si può più fare? Il cattolico che contrasta le pretese ciniche e
narcisistiche dei “nuovi diritti” deve sentirsi in colpa, come il cattolico che
nella legge sullo ius soli vede troppe carenze e soprattutto una accoglienza
priva di identità. Si vuole che chiudiamo gli occhi, sia sulle conseguenze
disastrose delle nuove leggi della neo borghesia “illuminata”, sia sul fatto
che la legge sullo ius soli non regge ad un esame veramente realistico.
Viviamo in un tempo in cui la cosa peggiore sembra quella di
essere “divisivi”. Nelle parrocchie non si può parlare di aborto o di gender,
di ideologia omosessualista o di perversioni insegnate a scuola. Non se ne può
parlare perché – si dice – sono temi che dividono la comunità. Nelle diocesi
non si apprezzano le prese di posizioni pubbliche dei cattolici e le loro iniziative
contro il nuovo umanesimo disumano perché sarebbero divisive. Per non produrre
divisione ci si imbavaglia spesso, al punto che chi dovrebbe insegnare non
insegna. Perché allora Avvenire può dividere la comunità e per di più su un
tema di per sé non divisivo? Dei termini su cui dovremmo essere tutti d’accordo
non si può parlare perché sono divisivi, sui temi per i quali possiamo
legittimamente avere pareri diversi, se ne parla come se fosse obbligatorio
l’accordo. Per evitare la divisione si finisce per farla sul nulla. Usare il
tema del pericolo della divisione quando si vuole è pure ideologico.
Davanti a casi di distruzione della famiglia e di bambini
resi oggetto di desideri e vizi si dice che bisogna adoperare il discernimento,
non giudicare ma accompagnare. Per la questione dello ius soli, invece, il
discernimento non è ammesso. Spesso i fedeli sono lasciati soli su questioni
fondamentali di morale e di fede e si chiedono tra sé perché mai chi di dovere
nella Chiesa non li confermi e non li sostenga in battaglie che fino a ieri
erano considerate assolutamente doverose e meritorie. Poi, invece, si sentono
spinti e confermati su questioni politiche, importanti sì ma non fondamentali
ed esenti da valutazioni a carattere assoluto, anzi di stretta attualità
politica.
Davanti a operazioni di questo tipo, da un lato viene da
pensare che ci sia qualche “calcolo politicante”, per riprendere una
espressione del direttore di Avvenire, dall’altro che siamo davanti a
cambiamenti di prospettiva portati avanti senza spiegarli ai fedeli. Quando
l’assoluto diventa relativo e il relativo assoluto, quando il fondamentale
diventa marginale e il marginale fondamentale, quando si chiama alle armi non
per il vero nemico … significa che è in atto un forte cambiamento del quadro
generale.
Stefano Fontana
I veri razzisti sono i fondamentalisti dello "ius
soli"
Aprire le pagine di un quotidiano nazionale e scoprire che
chi non sostiene lo ius soli e lo ius culturae è gretto, xenofobo e imbevuto di
«pregiudizi colmi di vergognoso razzismo». Scoprire in altre parole che, salvo
le Americhe, e anche lì neanche tutti i paesi, in pratica tutto il mondo è
vergognosamente razzista perché invece applica lo ius sanguinis, cioè
attribuisce ai bambini la cittadinanza dei loro genitori.
L’articolo spiega che se non passasse l’attuale legge in
discussione, già approvata dalla Camera ma ferma al Senato, nessuno
«diventerebbe mai italiano per il solo fatto di nascere nel Bel Paese». Sarebbe
– commenta l’autore – un gravissimo atto di cecità e di ingiustizia «mantenere
nel limbo di una non riconosciuta cittadinanza» i bambini e i ragazzi stranieri
che vanno a scuola in Italia e i figli nati in Italia di stranieri che «qui
lavorano, pagano tasse e contributi e non hanno guai con la giustizia», bambini
e ragazzi respinti e marginalizzati, di cui oggi si «umiliano l’italianità e il
legittimo sentimento di appartenenza che ne discende» generando in loro
«sofferenza e ostilità», sentimenti che «picconano ogni patto civile, minano la
solidarietà. Una imprevidenza incredibile, un’imprudenza grave».
A quei bambini, a quei giovani Avvenire – questo è il
giornale – per mesi ha dato un volto, spiega l’autore dell’articolo, il
direttore Marco Tarquinio, pubblicando ogni giorno le loro storie fatte di
«attese e speranze, fatiche e impacci», raccontate con «parole di carne e
sangue, di anima e di cuore, di sudore e di intelligenza».
Di che Italia, di che Italiani e di quali bambini parli
Tarquinio, è il primo pensiero che viene in mente, perché i bambini stranieri
in Italia non sono respinti né marginalizzati. Godono degli stessi diritti,
delle stesse libertà e usufruiscono degli stessi servizi dei bambini italiani.
L’unico diritto negato agli stranieri è il voto, diritto che anche gli italiani
maturano solo al compimento dei 18 anni. Ma, raggiunta quell’età, i figli di
stranieri nati in Italia e residenti stabilmente in Italia hanno facoltà di
scegliere se mantenere la cittadinanza dei loro genitori oppure diventare
cittadini italiani.
Se poi di razzismo si vuole parlare, il momento in cui il
dibattito sullo ius soli e la proposta di introdurlo in Italia sono nati deve
far pensare. Gli stranieri di cui si calpesterebbero i diritti sono infatti
quasi tutti originari di paesi africani e asiatici. Dice bene allora il
giornalista Rodolfo Casadei quando scrive che le preoccupazioni dei sostenitori
dello ius soli hanno «il sapore del disprezzo per la cultura e la nazionalità
altrui. È come se dicessero: “Poverini, gli tocca restare marocchini, gli tocca
restare albanesi, è intollerabile!”. Ma chi ha stabilito che la nazionalità
italiana è così superiore a quella egiziana, o peruviana, o filippina, che
negarla troppo a lungo a qualcuno diventa un delitto di lesa civiltà? Dopo
tante prediche multiculturaliste, il velo del politically correct cade e si
vede quello che i progressisti pensano veramente: le altre nazionalità sono
talmente inferiori alla nostra che prima ne liberiamo gli stranieri e meglio
sarà per tutti».
Merita sottolineare che non «le altre nazionalità» bensì
«certe» altre nazionalità sono evidentemente giudicate inferiori. Mai, infatti,
si è sentito descrivere con i toni usati da Avvenire – italianità umiliata,
parole di carne e sangue, sudore e intelligenza, esistenze costrette in una
sorta di limbo… – la condizione e il destino dei bambini stranieri residenti in
Italia figli di genitori canadesi, neozelandesi o australiani. Né d’altra parte
si è mai temuto che, rimandando la scelta, affidando a loro, una volta
raggiunta la maggiore età, la decisione se diventare italiani o conservare la
nazionalità dei genitori, si suscitino nei giovani stranieri pericolosi
sentimenti di estraneità e ostilità. Detto in altre parole, a nessuno è mai
venuto in mente che dei bambini canadesi, neozelandesi o australiani possano
sviluppare tale e tanta ostilità nei confronti degli Italiani da costituire un
problema, magari persino scegliere di diventare terroristi.
«Sguardi cattivi e atti di respingimento e marginalizzazione
non generano altro che sofferenza e ostilità» scrive Tarquinio. Per sua pace,
dovrebbe andare davanti a qualche scuola ogni tanto, quando sta per suonare la
campanella o alla fine delle lezioni. Vedrebbe allora bambini e ragazzi
stranieri festanti, che chiacchierano e scherzano con i loro compagni italiani,
vestiti più o meno allo stesso modo, inconsapevoli, si direbbe, delle
preoccupazioni di chi li immagina tristemente rassegnati a essere «diversi»,
«marginalizzati» e «respinti», rosi dall’ansia del domani, sempre temendo che
da un giorno all’altro possano essere mandati via.
Anna Bono
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