ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 3 settembre 2017

Il vangelo secondo Freud?


PSICANALIZZATO O POSSEDUTO?           
          
Al Vangelo secondo Bergoglio bisognerà aggiungere il vangelo secondo Freud?
Il messaggio papale è chiaro: se un cattolico è in difficoltà vada con fiducia dallo psicanalista piuttosto che rivolgersi a un sacerdote e a Cristo 
di Francesco Lamendola  


 

"Non esiste distinzione tra magia bianca e magia nera.
Quando la magia funziona, è sempre opera del demonio". 
                                                         Padre Gabriele Amorth

Da quando è sorta fino agli anni ’70 del Novecento, la psicanalisi è sempre stata giudicata negativamente dalla Chiesa cattolica, e per una ragione ben precisa: ignorando l’esistenza dell’anima, essa muove da una concezione del tutto immanentistica dei fatti della mente e concepisce lo “scavo interiore” non come una tappa nel cammino verso la chiarificazione spirituale, di cui non le importa nulla, ma come una operazione puramente intellettuale, nella quale i fattori morali non contano affatto e il cui unico scopo è arrivare alla “verità” dell’inconscio, come se in questo vi fosse la parola definitiva a proposito di ciascuno. La condanna, perché di una condanna si è trattato, con la proibizione per sacerdoti e seminaristi di rivolgersi alle sue tenere cure, riguardava dunque sia questioni di merito che di metodo: la sopravvalutazione e quasi l’assolutizzazione dell’inconscio, da un lato, e, nell’inconscio, della sfera degli istinti sessuali; e la “discesa agli inferi”, dall’altro, condotta con la spregiudicatezza e con la superbia intellettuale di chi ritiene di poter padroneggiare tutte le forze in gioco, senza alcuna percezione dei rischi e senza la minima traccia di umiltà e di deferenza, non diciamo di devozione, verso le dimensioni superiori e le forze in esse operanti, qualificano la psicanalisi come una concezione ed una pratica (pseudo) scientifica fondamentalmente non cristiana, se non proprio anti-cristiana; se è vero, come è vero, che al nocciolo della concezione cristiana dell’uomo vi è la consapevolezza della sua natura spirituale e della sua vocazione soprannaturale. È chiaro che la psicanalisi giudicata più negativamente era quella freudiana, apertamente materialista, razionalista e pansessualista, apertamente atea e a-morale; più possibilista era l’atteggiamento nei confronti di quella adleriana e soprattutto di quella junghiana, non però del tutto positivo, anzi, carico di riserve e di cautele, per la loro comune origine immanentista e per la somiglianza di molti loro procedimenti.

Tale è stato il modo di porsi verso la psicanalisi da parte della Chiesa, fino a che questa ha conservato la sua identità, anche sotto il profilo culturale, la sua fierezza e la sua alterità rispetto al “mondo”: cioè fino all’epoca del Concilio Vaticano II.  Il cattolico che sentiva il bisogno di una chiarificazione interiore, di un sollievo dai suoi tormenti, scrupoli e complessi e anche, in una certa misura, dai suoi disturbi mentali, non andava dallo psicanalista, ma dal sacerdote: dal direttore spirituale e dal confessore. Era lì, in un contesto religioso, e sotto l’azione soprannaturale dei Sacramenti, primo fra tutti quello della penitenza, che egli si rivolgeva, con fiducia, per trovare l’aiuto necessario, ben sapendo che i mali della mente sono inseparabili da quelli dell’anima, e che nessun giovamento può venire ad essi se si finge di non sapere che è la vita dell’anima quella a cui ogni fenomeno interiore fa riferimento, e non una “coscienza” concepita come autonoma e autosufficiente, giudice unico e insindacabile di sé e dei propri atti. Per la psicanalisi, e specialmente per quella freudiana, non esistono né istinti, né azioni intrinsecamente cattivi (e quindi neanche buoni): sono cattivi quelli che danneggiano l’equilibrio psicologico, buoni quello che lo favoriscono. Il paziente è sollecitato a fare luce in se stesso non per assumere decisione di tipo morale, ma per prendere coscienza di chi egli realmente sia; e se scopre, poniamo il caso, di essere un deviato, di accettarsi, nei limiti del possibile, senza correggersi, perché correggersi vorrebbe dire reprimersi, e gli istinti repressi generano nevrosi e infelicità. Abbiamo semplificato il discorso, naturalmente, ma questa è la sostanza delle cose; e queste sono le ragioni della diffidenza  della condanna della psicanalisi da parte della Chiesa. Da parte sua, fino agli anni ’70 la cultura cattolica ha espresso, grazie anche alla ricchissima e secolare esperienza maturata dai sacerdoti nella cura d’anime e nello stesso Sacramento della penitenza, una propria concezione psicologica, che, unendosi alle teorie e alla prassi di quegli psicologi, d’ispirazione cattolica o comunque spirituale, che hanno offerto il supporto delle loro conoscenze scientifiche, le ha permesso di offrire una valida alternativa alla dilagante psicanalisi-mania, ponendosi su un piano di assoluta dignità e propositività culturale. Le Edizioni Paoline, ad esempio, negli anni ’50 e ’60, avevano pubblicato una bellissima collana di testi di psicologia, Psychologica, diretta da Valentino Gambi e Licinio Galati, ricca di decine e decine di titoli, che hanno fornito una vera e propria bevanda spirituale e intellettuale alle anime che si aggiravano assetate nel paesaggio desolato della psicologia moderna, dominata dal genio malefico del freudismo; collana poi confluita in una più vasta impresa editoriale, laBiblioteca di psicologia e pedagogia, edita in collaborazione con la SAIE, i cui libri erano un balsamo per l’anima già fin dal titolo (un esempio per tutti: Alla ricerca dell’uomo, di André Missenard, docente al politecnico di Parigi). Una intera generazione di persone ha potuto abbeverarsi a quegli ottimi libri di autori soprattutto francesi e tedeschi, e farsi una idea chiara e precisa delle dinamiche della vita della mente all’interno della vita dell’anima, acquisendo consapevolezza delle problematiche relative alla crescita, alla sessualità, alla vita coniugale, all’educazione dei figli, ai conflitti familiari, ai sentimenti e alle caratteristiche del carattere come l’invidia, il complesso di colpa, il rimorso, la timidezza, e così via. Anche noi siamo stati fra quei fortunati lettori, abbiamo largamente attinto a quei testi e ne riserbiamo un grato ricordo.
Poi, con Paolo VI, è arrivato lo sdoganamento della psicanalisi, compresa quella freudiana, sia pure con qualche timido distinguo e con qualche ipocrita, e inutile, raccomandazione, insieme al riconoscimento del suo alto valore scientifico (?), che è risuonato anche come una impropria legittimazione sul piano intellettuale (e si noti che la Chiesa, qualche anno dopo, con Giovanni Paolo II, avrebbe compiuto la stessa fuga in avanti a proposito dell’evoluzionismo biologico, assumendo un ruolo di giudice su di un terreno, quello della scienza, che non è di sua stretta competenza). Il fatto è che la psicoanalisi, e specialmente la sua parte pratica, la psicoterapia, è un padrone geloso, che non ammette altra verità o altro maestro al di fuori di se stessa: vuole il paziente tutto per lei, senza riserve, in quella che, a suo tempo non abbiamo esitato a definire una vera e propri forma di magia nera (cfr. il nostro vecchio articolo: Una forma di magia nera: la psicanalisi, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 10/05/2007 e ripreso su parecchi altri siti; e, sullo stesso tema, Non abbiamo bisogno di psicanalisti, ma di medici dell’anima, il 30/05/2012). Si può quindi capire con quanto sconcerto, pur nella mutate condizioni della Chiesa odierna, molti cattolici hanno appreso che il papa Francesco, per sua spontanea dichiarazione, si è sottoposto a un periodo di terapia psicanalitica quando aveva 42 anni, affidandosi alle “cure” di una psicanalista ebrea, esperienza di cui parla senza il minimo imbarazzo in un libro-intervista di prossima uscita, ma già annunciato; anzi, ne parla con compiacimento e con gratitudine, come se fosse stata una esperienza che lo ha molto aiutato sul piano esistenziale.
Un amico ci ha fatto venire in mente di confrontare l’opinione di Réné Guénon sulla psicanalisi, el suo celebre libro Il regno della quantità e i segni dei tempi; titolo originale, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Paris, Gallimard, 1945; tradizione dal francese di Pietro Nutrizio e Tullio Masera, Milano, Adelphi, 1982):

… Questo carattere “satanico” appare nettamente ed in modo del tutto particolare nelle interpretazioni psicanalitiche del simbolismo, o di quanto, a torto o a ragione, viene considerato tale; ed è una restrizione necessaria perché, su questi punto come su tanti altri, vi sarebbero molte distinzioni da fare e numerose confusioni da dissipare: ad esempio, tanto per fare un caso tipico, un sogno nel quale si esprime una ispirazione “sopraumana” è veramente simbolico, mentre un sogno ordinario non lo è affatto, e ciò a prescindere dalle apparenze esteriori. Naturalmente, gli psicologi delle  scuole anteriori avevano anch’essi tentato di spiegare a modo loro il simbolismo, e di ricondurlo alla misura delle proprie concezioni; nel caso di un effettivo simbolismo, queste spiegazioni di ordine puramente umano, come sempre avviene quando sono in gioco cose di carattere tradizionale, disconoscono ciò che costituisce l’essenziale; nel caso, invece, di cose semplicemente umane, si tratta evidentemente di un falso simbolismo, ma il fatto stesso di designarlo con questo nome comporta pur sempre lo stesso errore circa la natura del vero simbolismo. Ciò vale anche per le concezioni degli psicanalisti, con la differenza che allora non si è più soltanto di fronte a qualcosa di umano, ma inoltre, in gran parte, di “infraumano”; si è dunque qui alla presenza non più di un semplice abbassamento, ma di una sovversione totale; ed ogni sovversione, anche se ha la sua causa immediata nell’incomprensione e nell’ignoranza (le quali sono quanto di meglio si presta ad essere sfruttato per un tal uso), è pur sempre, in se stesso, essenzialmente qualcosa di “satanico”. Del resto, il carattere generalmente ignobile e ripugnante delle interpretazioni psicanalitiche costituisce, a questo proposito, un “marchio” che non lascia dubbi. Particolarmente significativo è il fatto che […] questo “marchio” si ritrovi proprio in certe manifestazioni dello spiritismo; ed occorrerebbe una buona dose di buona volontà, se non addirittura una completa cecità, per non vedervi nient’altro che una semplice “coincidenza”. Gli psicanalisti, non meno degli spiritisti, possono essere, nella maggioranza dei casi, del tutto inconsapevoli di quel che sta sotto a tutto ciò; sia gli uni che gli altri appaiono ugualmente “diretti” da una volontà sovvertitrice che utilizza, in entrambi i casi, elementi dello stesso ordine per non dire identici; e questa volontà è comunque sempre ben cosciente negli esseri in cui si incarna, e corrisponde ad intenzioni senza dubbio molto diverse da quelle che suppongono coloro che sono solamente gli strumenti incoscienti della loro azione.
In queste condizioni, è più che evidente come l’utilizzo  principale della psicanalisi, ossia la sua applicazione a scopo terapeutico, non possa che essere estremamente pericolosa sia per chi vi si sottopone, sia per chi la esercita, poiché con queste cose non si viene a contatto impunemente. Senza nessuna esagerazione, possiamo dire che si tratta di uno degli speciali mezzi per accrescere il più possibile lo squilibrio del mondo moderno e condurlo verso la dissoluzione finale. Coloro che praticano questi metodi di terapia sono invece persuasi - e non dubitiamo della loro sincerità – della validità dei loro risultati; sennonché è proprio grazie a questa illusione che si rende possibile la diffusione di tali metodi, ed è così che si può cogliere tutta la differenza esistente tra le intenzioni di questi “praticoni” e la volontà che presiede all’opera di cui essi sono i ciechi collaboratori. In realtà la psicanalisi non può avere se non l’effetto di portare alla superficie, rendendolo chiaramente cosciente, tutto il contenuto di quei “bassifondi” dell’essere che costituiscono ciò che viene propriamente chiamato il “subconscio”; inoltre, questo essere è già, per ipotesi, psichicamente debole, poiché, se fosse altrimenti, non proverebbe certo il bisogno di ricorrere ad una terapia di tal sorta, ed è quindi ancor più incapace di resistere ad una simile “sovversione”, sicché rischia di affondare irrimediabilmente nel caos delle forze tenebrose imprudentemente scatenate; e se riuscisse nonostante tutto a sfuggirvi, ne conserverà tuttavia, per tutta la vita, un’impronta che sarà per lui una “macchia” incancellabile.

Dunque, secondo questa interpretazione, che ci sembra sostanzialmente condivisibile, chi si è sottoposto a una cosiddetta “terapia” psicanalitica, anche se poi non ha rinnovato l’esperienza, e perfino se l’ha parzialmente dimenticata, resta sotto un influsso maligno, perché ha contratto una malattia dalla quale non si guarisce: ha aperto una porta che avrebbe dovuto rimanere chiusa, ha giocato all’apprendista stregone con delle forze estremamente potenti e negative, e ha permesso loro di entrare nella propria sfera più intima, esercitandovi il proprio influsso e, forse, il proprio dominio definitivo. Guénon parla e ragiona da esoterista e da gnostico; in termini cristiani, tutto ciò ha un altro nome, pur se non cambia la sostanza delle cose: si chiama possessione, e le forze “infraumane” delle quali parla il pesatore francese sono, puramente e semplicemente, quelle diaboliche. Appunto per questo abbiamo paragonato la psicanalisi a una forma di magia nera, come già aveva fatto lo scrittore e filosofo Jean Osipovici nel suo bel libro La scienza oscurantista: la magia nera è la magia diabolica e il suo scopo è di evocare il diavolo, per ottenere il suo aiuto nel compiere le sue nefande imprese. Queste sono cose che un cattolico di una certa cultura e di una certa età non può non sapere, almeno prima che avvenisse lo scongelamento dei rapporti fra la Chiesa e la psicanalisi. Bergoglio, nato nel 1936, non può non sapere queste cose. 

Psicanalizzato o posseduto?

di Francesco Lamendola

 


 Del 04 Settembre 2017
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