"Nova et vetera". Il
sentiero della buona musica liturgica
Ricevo e pubblico. L'autore è illustre compositore e musicologo, esperto di liturgia, direttore della rivista internazionale "Altare Dei" edita a Macao e Hong Kong, Un brano della sua "Missa Summorum Pontificum" può essere ascoltato qui. Di lui Settimo Cielo ha pubblicato lo scorso marzo una drammatica "dichiarazione" sulla situazione attuale della musica sacra.
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VERI E FALSI AMICI DELLA TRADIZIONE
di Aurelio Porfiri
A metà settembre si è svolto a Roma il pellegrinaggio dei fedeli legati alla forma straordinaria del rito romano per celebrare la loro fedeltà alla Chiesa – una, santa, cattolica, apostolica e romana – e per ricordare il decimo anniversario del motu proprio "Summorum Pontificum" con cui si concedeva un uso più ampio del Messale precedente al Vaticano II.
Per questa occasione mi è stata commissionata una messa, che ho chiamato "Missa Summorum Pontificum" che è stata eseguita nella Basilica di San Pietro il 16 settembre, durante il solenne pontificale celebrato dall'arcivescovo Guido Pozzo.
Questa mia Messa comprendeva le parti del "proprium" e quelle dell'"ordinarium". Ho tentato di innovare nella tradizione, "nova et vetera", tenendo il gregoriano e la polifonia come modello ma componendo musica che risuoni nel 2017, non come una reliquia del passato. Ho pensato prima al rito e poi alla musica, cercando di capire come la mia musica avrebbe servito al meglio quel momento rituale. Ho cercato di fare in modo che i miei brani non appesantissero il rito e che prevedessero dove possibile l'intervento dei fedeli, perché sarebbe un errore lasciare alla riforma postconciliare il primato sulla partecipazione, quando esso fu richiamato anche da tutti i documenti precedenti al Concilio. Certamente quell'idea di partecipazione non significava partecipare alla banalizzazione, alla mediocrità, al cattivo gusto. Purtroppo questo è diventato nella nostra realtà.
Nel pellegrinaggio ho incontrato veri amici della Tradizione. Tanti, una maggioranza che ha riconosciuto come valido lo sforzo fatto nel cercare di mostrare come la Tradizione non è soprattutto guardare al passato, ma guardare all'origine e proiettarci nel futuro. La forma straordinaria è sempre giovane quando si veste di coraggio, non si fa impressionare dalla minoranza (perché è una minoranza, ma rumorosa) che ha paura di ogni cambiamento.
Si può essere d'accordo o meno sul mio stile, questo è legittimo. Ma non si può o si deve pensare che la forma straordinaria sia il culto del passato. Il cattolico (non il tradizionalista, come ha detto correttamente il cardinale Sarah) guarda a Gesù che viene e senza la Tradizione cade nell'abbraccio dello spirito mondano, anche nella liturgia.
Mi è capitato, quest'anno e l'anno precedente, di avere interessanti conversazioni con alte personalità ecclesiastiche del mondo anglosassone, in visita a Roma per il pellegrinaggio. Quando mi rinfacciavano il livello mediocre della musica che si ascolta nelle chiese italiane, cercavo di controbattere che l'influenza cattiva è venuta anche dalle loro parti. Ma che il livello sia mediocre, non bisogna che ce lo vengano a dire da fuori. Il nuovo per se stesso ci porta nel baratro in cui siamo.
Ma io ho tentato di andare per un altro sentiero, il "nova et vetera". Ciò che importa, è che la forma straordinaria non deve divenire il frigorifero dove conservare le cose per non farle ammuffire, ma la serra dove nascono nuovi fiori accanto ai vecchi.
In questo pellegrinaggio ho visto tante persone innamorate della Chiesa, della sua Tradizione, dei suoi riti. Giovani e meno giovani, da ogni angolo del mondo. E questa gente non ha paura del nuovo, non sono quelli che papa Francesco ha detto essere "rigidi". No, sono persone di oggi che non vogliono perdere la bellezza della liturgia, ma vogliono perdersi nella bellezza della liturgia. Io sono con loro.
Ma certamente c'è una parte di questo mondo che viene ben rappresentata dalla definizione di papa Francesco. Sono coloro che vorrebbero vivere nel passato o farlo rivivere come se oggi fossimo nel XVI secolo o giù di lì. Non hanno i volti sereni dei pellegrini che ho visto, ma coltivano rancori e li sfogano nell'ombra. Vorrei veramente aiutarli da fratello in Cristo e dire loro che in ogni secolo la Chiesa è stata all'avanguardia dell'eccellenza artistica perché ha dato campo a nuove creazioni.
Nuove creazioni non basate sul vuoto o su estetiche contrarie od opposte a quella cattolica, ma che prendevano a modello la grande Tradizione, che ben si misuravano con i modelli dei maestri precedenti e con questi modelli ben servivano il culto di Dio.
Io ho fatto del mio meglio. Ho seguito l'insegnamento dei papi, a cominciare da san Pio X. Almeno credo di aver contribuito a violare una sorta di "tabù" che è antitetico a quello che la Chiesa cattolica è sempre stata, una madre sempre feconda di bellezza e non, come forse pensano alcuni, una vecchia e inacidita signora che non esce mai di casa perché sola e impotente.
Settimo Cielo di Sandro Magister 21 set http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/09/21/nova-et-vetera-il-sentiero-della-buona-musica-liturgica/ Il Vaticano II e i suoi giardinieri
Dal 1962 al 1965 una squadra di architetti del paesaggio progettò i piani e i contorni di un nuovo parco della Cristianità. Essi volevano un parco con degli alberi e degli arbusti dalle essenze piuttosto esotiche; e suggerirono degli esemplari di taglia indifferentemente grande o piccola, purché sempre gradevoli al tatto. Immaginarono, naturalmente, un giardino cosparso di prati scintillanti, arricchiti da massicci dalle tinte bizzarre cosparsi di sacche di sabbia dalle forme inedite. In più progettarono uno spazio con tanti ruscelli che partendo dagli stagni illuminassero la notte, abbagliando gli occhi del visitatore.
Paolo VI, secondo i piani predisposti dagli architetti, seminò i primi prati, piantò i primi alberi e scavò i primi bacini. Piantati poi un po’ di arbusti, fece entrare i primi visitatori.
Giovanni Paolo I non ebbe il tempo di proseguire il lavoro del suo predecessore.
Giovanni Paolo II, giovane e aitante, ma fantasioso alla sua maniera, proseguì il lavoro con un vigore incessante. Seguì i percorsi previsti dai piani, ma eresse dei massicci a suo piacimento, moltiplicò i bacini e le passeggiate, piantò alberi ed arbusti ovunque in ogni direzione. Mescolò le specie, introdusse delle voliere per poter ascoltare i canti di piccoli uccelli. Si spese così tanto e così lontano che non ebbe la forza di mantenere compatto tutto l’insieme. Ed esaurì il suo compito.
Benedetto XVI, già avanti negli anni, e che aveva già fatto parte della squadra degli architetti del paesaggio, ebbe difficoltà a muoversi nel groviglio di stagni e massicci predisposti dal giardiniere polacco. Si perse tra le macchie impiantate dal suo predecessore e si limitò a tagliare qualche ramo o a sistemare la forma di qualche arbusto. Penò per diserbare le erbacce cresciute sui sentieri e finì per limitarsi alla manutenzione; tanto che di fronte alla vastità dell’impresa, già affaticato per il lavoro svolto, decise di abbandonare l’incarico.
Francesco, oggi, stanco di seguire e di perfezionare il lavoro elaborato dai suoi predecessori, taglia nel vivo. Certo, egli rende omaggio a questi ultimi, li canonizza anche, cosa più che giusta; ma cercando di muoversi nell’immenso bazar ricevuto in eredità, mette mano all’ascia e taglia tutti i rami, a partire dagli alberi che lo disturbano, e cioè i più meritevoli; procedendo a naso. Egli abbatte, taglia, trancia. Riempie gli stagni di rane, per sentirle cantare al crepuscolo. Si mette a nutrire delle bestie strane, semicarnivore e semivegetariane, tutte derivate da altre bestie strane, mezze maschio e mezze femmine, fatte nascere con degli accoppiamenti impossibili. E si spinge ancora più lontano, oltre il piano iniziale degli architetti del paesaggio, che considera superato. Si sbarazza di tutti i giuochi d’ombra, di tutti i giuochi di luce, di tutto quello che si riteneva potesse fornire prospettiva a questo bizzarro paesaggio… zigzagando come un bambino tra arbusti e cespugli. Giuoca a nascondino nel parco, se la spassa e fa passare i guai ai suoi visitatori. Nessuno riesce a capire cosa verrà dopo. Buio totale. Dopo di lui, forse, il diluvio. E tuttavia, una cosa è certa: ormai niente sarà più come prima e, soprattutto, le cose fatte saranno irreversibili.
Ma, come tutti sappiamo, l’avvenire appartiene a Dio. Non pensiamo allora ai sogni del giardiniere e lasciamo il giardiniere ai suoi sogni.
Paolo VI, secondo i piani predisposti dagli architetti, seminò i primi prati, piantò i primi alberi e scavò i primi bacini. Piantati poi un po’ di arbusti, fece entrare i primi visitatori.
Giovanni Paolo I non ebbe il tempo di proseguire il lavoro del suo predecessore.
Giovanni Paolo II, giovane e aitante, ma fantasioso alla sua maniera, proseguì il lavoro con un vigore incessante. Seguì i percorsi previsti dai piani, ma eresse dei massicci a suo piacimento, moltiplicò i bacini e le passeggiate, piantò alberi ed arbusti ovunque in ogni direzione. Mescolò le specie, introdusse delle voliere per poter ascoltare i canti di piccoli uccelli. Si spese così tanto e così lontano che non ebbe la forza di mantenere compatto tutto l’insieme. Ed esaurì il suo compito.
Benedetto XVI, già avanti negli anni, e che aveva già fatto parte della squadra degli architetti del paesaggio, ebbe difficoltà a muoversi nel groviglio di stagni e massicci predisposti dal giardiniere polacco. Si perse tra le macchie impiantate dal suo predecessore e si limitò a tagliare qualche ramo o a sistemare la forma di qualche arbusto. Penò per diserbare le erbacce cresciute sui sentieri e finì per limitarsi alla manutenzione; tanto che di fronte alla vastità dell’impresa, già affaticato per il lavoro svolto, decise di abbandonare l’incarico.
Francesco, oggi, stanco di seguire e di perfezionare il lavoro elaborato dai suoi predecessori, taglia nel vivo. Certo, egli rende omaggio a questi ultimi, li canonizza anche, cosa più che giusta; ma cercando di muoversi nell’immenso bazar ricevuto in eredità, mette mano all’ascia e taglia tutti i rami, a partire dagli alberi che lo disturbano, e cioè i più meritevoli; procedendo a naso. Egli abbatte, taglia, trancia. Riempie gli stagni di rane, per sentirle cantare al crepuscolo. Si mette a nutrire delle bestie strane, semicarnivore e semivegetariane, tutte derivate da altre bestie strane, mezze maschio e mezze femmine, fatte nascere con degli accoppiamenti impossibili. E si spinge ancora più lontano, oltre il piano iniziale degli architetti del paesaggio, che considera superato. Si sbarazza di tutti i giuochi d’ombra, di tutti i giuochi di luce, di tutto quello che si riteneva potesse fornire prospettiva a questo bizzarro paesaggio… zigzagando come un bambino tra arbusti e cespugli. Giuoca a nascondino nel parco, se la spassa e fa passare i guai ai suoi visitatori. Nessuno riesce a capire cosa verrà dopo. Buio totale. Dopo di lui, forse, il diluvio. E tuttavia, una cosa è certa: ormai niente sarà più come prima e, soprattutto, le cose fatte saranno irreversibili.
Ma, come tutti sappiamo, l’avvenire appartiene a Dio. Non pensiamo allora ai sogni del giardiniere e lasciamo il giardiniere ai suoi sogni.
di Gilles Colroy Pubblicato sul sito francese Media Presse Infohttp://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2134_Colroy_Vaticano-II_e_suoi_giardinieri.html
Eterogenesi dei corvi
Volevano far fuori Ratzinger per far entrare aria fresca, adesso
vogliono chiudere le finestre
Foto Osservatore Romano - LaPresse
"Diciamo che dovrebbero mettersi d’accordo su ’sta storia del corvo", dice il cardinale che mi riceve nella sua magione (che sarà pure grande come gli antikasta vanno da tempo dicendo, ma ha un arredamento talmente vecchio – il pavimento alterna parquet a marmo verdolino anni Venti – che la rende tutto meno che attraente).
Oggetto della conversazione è il dossier che anima l’ennesimo libro di Emiliano Fittipaldi, stavolta sul destino della povera Emanuela Orlandi. Repubblica e Corriere ci hanno fatto paginate: ecco le prove del rapimento e del suo mantenimento all’estero per decenni. Dossier pieno di ridicoli errori che pure un ragazzetto del coro della Sistina avrebbe visto. Cardinali “riveriti” e non “reverendissimi”, saluti in calce mai visti su carte vaticane, eccetera.
Detto questo, bisogna capire chi l’ha messo in giro, e il cardinale che mi ospita ragiona così: “Dunque, prima dicevano che i corvi volevano danneggiare Papa Benedetto. Poi che volevano aiutarlo facendo emergere il marcio che c’è qua. Poi hanno detto che i corvi erano morti, che Francesco aveva sistemato tutto facendo pulizia. Poi hanno detto che i corvi sono tornati, anzi che non se n’erano mai andati. Adesso si aggiunge che i corvi post-lustracija bergogliana vogliono danneggiare Bergoglio. Non le pare che siamo fuori dal mondo?”. “Sì, mi pare che siamo fuori dal mondo”, rispondo. Ma d’altronde, se si arriva a spacciare come vero un dossier che – cito – “potrebbe essere vero o falso” – ci si può aspettare di tutto. Anche che i corvi che volevano far fuori Ratzinger per far entrare aria fresca adesso vogliano chiudere le finestre per viziare quella stessa aria.
Volevano far fuori Ratzinger per far entrare aria fresca, adesso
vogliono chiudere le finestre
Meglio una spadata sulla testa del diavolo che tante parole
A Torino a parlare di spiritualità ci vanno un po' tutti, conviene andare
a Rivarolo Canavese
San Michele, Guido Reni |
San Michele Arcangelo, leggo il programma di Torino Spiritualità e dunque mi precipito da te a Rivarolo Canavese. A Torino parlano ebrei atei, buddisti atei, valdesi, animalisti (di più, antispecisti), sincretisti, psicoanalisti, psicosciamani, psicologi del profondo, psicoterapeuti biosistemici, mediatori, meditatori, camminatori a piedi scalzi, induiste, maomettane progressiste, figli di Alejandro Jorodowsky, figli di Tiziano Terzani, junghiani, funamboli zen, insegnanti di yoga, insegnanti di shiatsu, teologi gnostici, counselor filosofici e psicoenergetici, mai visto un magic shop così fornito, venghino signori venghino, e sicuramente gli spiritualisti andranno. Io invece arrivo in Canavese, entro nella chiesa a te dedicata e ti trovo in forma di statua lignea e ti ammiro mentre stai per assestare una molto materiale spadata sulla testa del diavolo. Sangue, non parole.
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