E ora? Dopo la «Correctio», quali sviluppi?
In particolare, dopo la pubblicazione, avvenuta il 24 settembre 2017, della «Correctio filialis de haeresibus propagatis» («Correzione filiale in ragione della propagazione di eresie»), l’idea che il papa stesso, mediante il suo magistero, sia incorso in affermazioni di contenuto eretico è ormai al centro di un vasto e vivace dibattito, che di giorno in giorno si fa sempre più appassionato.
All’origine di tutto, come ben sappiamo, c’è l’esortazione apostolica «Amoris laetitia», nella quale, secondo i quaranta firmatari della «Correctio» (saliti nel frattempo a duecentosedici, senza contare le migliaia di adesioni a raccolte di firme collegate all’iniziativa) sarebbero rintracciabili ben sette proposizioni eretiche riguardanti il matrimonio, la vita morale e la ricezione dei sacramenti.
Parallelamente, il cardinale Brandmüller, uno dei quattro porporati dei «dubia (gli altri sono Burke, Meisner e Caffarra, gli ultimi due nel frattempo scomparsi) in un articolo ha rilanciato l’idea di una professione di fede da parte del papa, idea in precedenza manifestata da don Nicola Bux, liturgista e già consultore delle Congregazioni per le cause dei santi e la dottrina della fede.
Proprio a don Bux abbiamo dunque chiesto: anche alla luce delle recenti dichiarazioni del cardinale Müller sulla necessità di una pubblica «disputatio» su «Amoris laetitia» e delle parole del segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Parolin, secondo il quale «all’interno della Chiesa è importante dialogare», che cosa possiamo aspettarci? È realistico immaginare che dal papa possa arrivare una risposta e che egli possa scegliere la strada di una sua professione di fede per dissipare dubbi e ombre?
«L’unità autentica della Chiesa – risponde don Bux – si fa nella verità. La Chiesa è stata posta dal Fondatore – Colui che ha detto: “Io sono la verità” – come “la colonna e il fondamento della verità” (1 Tim 3: 15). Senza la verità non sussiste l’unità, e la carità sarebbe una finzione. L’idea che la Chiesa sia una federazione di comunità ecclesiali, un po’ come le comunità protestanti, renderebbe difficile al papa fare una professione di fede cattolica. Infatti, dopo i due ultimi sinodi, si sono fatte strada una fede e una morale che potremmo definire, almeno, a due velocità: prova ne sia che in taluni luoghi non è possibile dare la comunione ai divorziati risposati e in altri sì. Non pochi vescovi e parroci, pertanto, si trovano in grande imbarazzo, a causa di una situazione pastorale instabile e confusa. Stando così le cose, mi sembra realistico pensare a un “tavolo”, all’interno della Chiesa, per capire che cosa è cattolico e che cosa non lo è: un confronto dottrinale, dal quale soltanto dipende la pastorale. Lo sviluppo dottrinale trae sempre giovamento dal dibattito: chi ha argomenti convincenti, vince. L’esempio viene da Joseph Ratzinger, che prima da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e poi da papa ha ricevuto vari teologi dissenzienti, confrontandosi con loro. Se il confronto non ci sarà, si approfondirà l’apostasia e si allargherà lo scisma. Proprio il confronto razionale e caritatevole dentro la Chiesa rende necessaria la professione di fede del papa, per riaffermare la fede cattolica quale termine di paragone della fede di ogni cattolico. Per intenderci, una professione simile a quella che Paolo VI fece nel 1968, al fine di riaffermare ciò che è cattolico, di fronte agli errori e alle eresie che si erano diffuse subito dopo il concilio Vaticano II, in specie a causa della pubblicazione del Catechismo olandese».
Qualcuno ha osservato che l’iniziativa della «Correctio», per quanto clamorosa, non è una novità, perché già ai tempi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e ancor prima di Paolo VI, vi furono manifesti e petizioni di teologi, chierici e laici, sia a carattere individuale sia organizzati. Si trattò di prese di posizione di studiosi i quali, ritenendo che il Concilio Vaticano II, attraverso l’anti-dogmatismo o lo sviluppo disomogeneo del dogma, avesse introdotto una rottura con la Chiesa precedente, accusavano quei pontefici di centralismo e di non apertura alle istanze della modernità. Lei trova che si tratti davvero di un’analogia con quanto sta avvenendo oggi?
«No – spiega don Bux – perché quello era un attacco non-cattolico al magistero cattolico. In modo speculare, altri teologi e laici, che nutrivano sospetti sul Concilio, manifestavano la contrarietà ad ogni sana innovazione. In entrambi i casi si trattò di proteste e non di correzione. Ora i primi, collocati nei posti chiave dell’establishment ecclesiastico, tacciono o conducono una difesa d’ufficio, senza mai entrare nel merito delle eresie che vengono contestate, in particolare, all’esortazione apostolica “Amoris laetitia”. Occorre ricordare che San Pio X, nell’enciclica “Pascendi”, avverte che quello di dire eresie sulle verità di fede, ma senza ammetterlo, è il comportamento tipico dei modernisti».
Ma perché secondo lei sarebbe auspicabile una professione di fede? E se il papa, come tutto lascia pensare, non la farà, che cosa potrebbe succedere?
«Nel Decreto di Graziano (pars I, dist. 40, cap.VI) vi è questo canone: “Nessun mortale avrà la presunzione di parlare di colpa del papa, poiché, incaricato di giudicare tutti, egli non dev’essere giudicato da alcuno, a meno che non devii dalla fede”. L’allontanamento e la deviazione dalla fede si chiama eresia, parola che viene dal greco “airesis” e vuol dire scelta e assolutizzazione di una verità, minimizzando o negando le altre che sono nel novero delle verità cattoliche (ricordo a questo proposito che von Balthasar scrisse un saggio intitolato “La verità è sinfonica”). Ovviamente, perché il problema sussista, la deviazione deve essere manifesta e pubblica. E in caso di eresia manifesta, secondo san Roberto Bellarmino, il papa può essere giudicato. Ricordo che Bellarmino fu anche prefetto del sant’Uffizio, figura che ha proprio la funzione di sorvegliare sul rispetto dell’ortodossia della fede da parte di tutti, compreso il papa, il quale peraltro è il primo a dover svolgere tale funzione di controllo. Il papa è chiamato dal Signore a diffondere la fede cattolica, ma per farlo deve dimostrarsi capace di difenderla. Gli ortodossi – i cristiani d’Oriente separati da Roma – si chiamano così proprio perché hanno sottolineato il primato della vera fede quale condizione della vera Chiesa. Altrimenti la Chiesa cessa di essere colonna e fondamento della verità. Di conseguenza, chi non difende la vera fede decade da ogni incarico ecclesiastico, patriarcale, eparchiale eccetera. In caso di eresia, quindi, proprio come un cristiano eretico cessa di essere membro della Chiesa, anche il papa cessa di essere papa e capo del corpo ecclesiale, e perde ogni giurisdizione. L’eresia intacca la fede e la condizione di membro della Chiesa, che sono la radice e il fondamento della giurisdizione. Questo è il pensiero dei padri della Chiesa, in specie di Cipriano, che ebbe a che fare con Novaziano, antipapa durante il pontificato di papa Cornelio(cfr Lib. 4,ep.2). Ogni fedele, compreso il papa, con l’eresia si separa dall’unità della Chiesa. È noto che il papa è nello stesso tempo membro e parte della Chiesa, perché la gerarchia è all’interno e non sopra la Chiesa, come affermato in “Lumen gentium” (n. 18). Di fronte a questa eventualità, così grave per la fede, alcuni cardinali, o anche il clero romano o il sinodo romano, potrebbero ammonire il papa con la correzione fraterna, potrebbero “resistergli in faccia” come fece Paolo con Pietro ad Antiochia; potrebbero confutarlo e, se necessario, interpellarlo al fine di spingerlo a ravvedersi. In caso di pertinacia del papa nell’errore, bisogna prendere le distanze da lui, in conformità con ciò che dice l’Apostolo (cfr Tito 3,10-11). Inoltre la sua eresia e la sua contumacia vanno dichiarate pubblicamente, perché egli non provochi danno agli altri e tutti possano premunirsi. Nel momento in cui l’eresia è notoria e resa pubblica, il papa perde ipso facto il pontificato. In teologia e in diritto canonico, pertinace è l’eretico che mette in dubbio una verità di fede coscientemente e volontariamente, cioè con la piena coscienza che tale verità è un dogma e con la piena adesione della volontà. Ricordo che si può avere ostinazione o pertinacia in un peccato d’eresia commesso anche solo per debolezza. Inoltre, se il papa non volesse mantenere l’unione e la comunione con l’intero corpo della Chiesa, come quando tentasse di scomunicare tutta la Chiesa o di sovvertire i riti liturgici fondati sulla tradizione apostolica, potrebbe essere scismatico. Se il papa non si comporta da papa e capo della Chiesa, né la Chiesa è in lui né lui è nella Chiesa. Disobbedendo alla legge di Cristo, oppure ordinando ciò che è contrario al diritto naturale o divino, ciò che è stato ordinato universalmente dai concili o dalla Sede apostolica, il papa si separa da Cristo, che è il capo principale della Chiesa e in rapporto al quale si costituisce l’unità ecclesiale. Papa Innocenzo III dice che si deve obbedire al papa in tutto, fino a che egli non si rivolti contro l’ordine universale della Chiesa: in tal caso, a meno che non sussista una ragionevole causa, non va seguito, perché, comportandosi così, non è più soggetto a Cristo e quindi si separa dal corpo della Chiesa».
Ammettiamo che si possa arrivare a un tal punto. Quali le conseguenze per la fede e per la Chiesa?
«Chi è papa non può rinnegare la verità cattolica. Vale infatti ciò che Ratzinger scriveva anni fa, sottolineando che il papa non può “imporre una propria opinione”, ma deve “richiamare proprio il fatto che la Chiesa non può fare ciò che vuole e che anch’egli, anzi proprio lui, non ha facoltà di farlo”, perché “in materia di fede e di sacramenti, come circa i problemi fondamentali della morale”, la Chiesa può solo “acconsentire alla volontà di Cristo”. Nel caso di opposizione tra il testo di un documento pontificio e altre testimonianze della Tradizione, è lecito a un fedele istruito, e che abbia accuratamente studiato la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento stesso. Nel caso di “Amoris laetitia” c’è chi ha dimostrato che il documento è farraginoso e contraddittorio in non pochi punti, e le citazioni di san Tommaso sono apposte a proposizioni che sostengono cose contrarie al pensiero dell’Angelico. Si comprende, quindi, quanto ebbe a scrivere Joseph Ratzinger: “Al contrario, sarà possibile e necessaria una critica a pronunciamenti papali, nella misura in cui manca a essi la copertura nella Scrittura e nel Credo, nella fede della Chiesa universale. Dove non esiste né l’unanimità della Chiesa universale né una chiara testimonianza delle fonti, là non è possibile una decisione impegnante e vincolante; se essa avvenisse formalmente, le mancherebbero le condizioni indispensabili e si dovrebbe perciò sollevare il problema circa la sua legittimità” (Joseph Ratzinger, “Fede, ragione, verità e amore”, Lindau, 2009, p. 400). In breve, se il papa non custodisce la dottrina, non può esigere la disciplina; se poi perdesse la fede cattolica, decadrebbe dalla Sede apostolica. “Il potere delle chiavi di Pietro non si estende fino al punto che il Sommo Pontefice possa dichiarare ‘non peccato’ quello che è peccato, oppure ‘peccato’ quello che non è peccato. Ciò sarebbe, infatti, chiamare male il bene, e bene il male, la qualcosa è, sempre è stata e sarà lontanissima da colui che è il Capo della Chiesa, colonna e fondamento della verità” (cfr Roberto Bellarmino, “De Romano Pontifice”, lib.IV cap.VI, p. 214, e anche “Lumen gentium”, n. 25). Di conseguenza il papa che, quale persona privata, si identificasse con l’eresia, non sarebbe più Sommo Pontefice o Vicario di Cristo sulla terra. Bisogna pregare che la Divina Provvidenza intervenga a favore della Chiesa, affinché non accada una simile eventualità, come auspica il padre Gianfranco Ghirlanda al termine di un importante articolo (“La Civiltà Cattolica”, 2 marzo 2013)».
http://www.aldomariavalli.it/2017/10/05/e-ora-dopo-la-correctio-quali-sviluppi/
MARCO TOSATTI
SCANDALOSO ROSARIO POLACCO AI CONFINI. GIÀ, LORO HANNO ANCORA DEI CONFINI. PREGASSIMO ANCHE IN ITALIA….
Che scandalo se un milione di persone si trovano a pregare il rosario ai confini di una nazione, che ha pagato molte volte col sangue la sua fedeltà a una religione e una cultura! Succede sabato in Polonia, dove un’associazione di laici – i laici sono sempre più protagonisti – ha indetto un “Rosario di riparazione” in occasione della festa della Madonna del Rosario. L’iniziativa è della fondazione di fedeli laici “Solo Dio basta”, ma ha, fortunatamente, l’appoggio pieno della Conferenza Episcopale della Polonia che, in un suo comunicato, chiede di partecipare all’evento. L’iniziativa, in “Rozaniec do granic”, che significa “Rosario al confine” è promossa dal sito www.rozaniecdogranic.pl.
In tutta la Polonia saranno coinvolte oltre trecento chiese; ai confini, ma anche in aeroporti e stazioni. L’appuntamento è per le 10 del mattino, il rosario comincerà alle 14, dopo la messa e l’adorazione. Nel comunicato degli organizzatori, fatto proprio dalla Kep (la Conferenza episcopale della Polonia ), si legge : “Crediamo che se il Rosario venisse recitato da un milione di polacchi lungo il confine del Paese potrebbe cambiare non solo il corso degli eventi, ma anche aprire il cuore dei cittadini alla grazia di Dio. Cent’anni fa Maria ha affidato ai tre bambini portoghesi un messaggio di salvezza: pentitevi ed offrite riparazioni per i peccati contro il mio cuore e recitate il Rosario”.
Quindi due punti di riferimento precisi: Fatima (il 13 ottobre cadono i cento anni dall’ultima apparizione) e il 7 ottobre, giorno della Madonna del Rosario, creata per ringraziare dopo la vittoria di Lepanto, la battaglia che ha fermato l’avanzata in mare verso occidente dell’impero ottomano (come è successo a Vienna, per terra, più tardi). Due eventi che hanno salvato la cultura, e la fede religiosa, di molti Paesi, fra cui in primis il nostro.
Sarebbe bello, così crede chi scrive – che anche in Italia gruppi, organizzazioni ecclesiali e singole persone si unissero a questa iniziativa, sabato prossimo. Come ricorda un articolo de La Bussola Quotidiana, “Il giornale Gazeta Wyborcza, la testa polacca di sinistra di proprietà di Soros, ha gettato fango sull’evento, inventandosi fra l’altro che il Rosario è stato pensato in funzione anti-russa. Ma Maciej Bodasiński, uno dei leader dell’iniziativa e fondatore dell’associazione ‘Solo Dio Basta’, ha spiegato a Lifesitenews che ‘desideriamo pregare per la conversione della Polonia, dell’Europa e di tutto il mondo a Cristo, affinché più anime siano salvate dalla dannazione eterna e trovino il loro cammino verso Dio’. Ricordando anche la ‘tensione crescente, la minaccia di una guerra, il terrorismo’, è stato spiegato che il Rosario è anche in riparazione del passato comunista della Polonia e delle bestemmie e delle ferite al Cuore Immacolato di Maria”.
La Polonia ha conosciuto la spartizione, e l’occupazione nazista e comunista. Ha certamente buoni motivi per chiedere aiuto alla Madonna. L’Italia non ne ha, sommersa da un attacco costante e continuo ai valori di base dell’antropologia, della sua cultura e della sua fede, con una Chiesa che pensa ad altro? Che i partiti politici, per interessi di lobby e di economia semplicemente tradiscano quella che una volta si osava chiamare Patria è nell’ordine delle cose: quando mai non è accaduto nel nostro Paese? Che la Chiesa si adegui, beh, appare triste e diverso.
Il tasso di arrivi dei migranti non accenna a diminuire (la TV francese qualche giorno fa mostrava immagini di 5000 sbarchi in due giorni), e il fenomeno naturalmente non è sottolineato dai mass media di regime, per non disturbare i manovratori e chi guadagna da questo fenomeno.
Che ha, e avrà conseguenze imprevedibili. Abbiamo ricevuto da un lettore austriaco una lettera, che riproduciamo:
Viva Cristo Re e Viva Maria. Egregio Sig. Tosatti, leggo tanto volentieri i suoi articoli almeno fin dove le mie poche conoscenze dell’italiano lo permettono.
In riguardo al Suo ultimissimo articolo sull’islamizazzione mi permetto di inviare qualche dato empirico (non proiezioni) sulla situazione in Austria ove si tende a nascondere da parte ufficiale i dati dell’aumento dei musulmani il più possibile. Per Vienna non esistono cifre ufficiali perché il governo socialista-verde di rifiuta a censire i musulmani. Tutti, ma non i musulmani. Perciò esiste come dato più concreto quello del Yearbook of International Religious Demography 2014 (http://www.iiasa.ac.at/web/home/about/news/20140820-Pop-religion.html)
1971: 0,4 % musulmani
2011: 11,6 % musulmani
2017: ? (non si sa, ma si sa che il 28 % dei scolari delle elementari sono di fede musulmana).
Chi scrive non ha nulla di personale contro i musulmani. Ma una crescita del fenomeno di queste proporzioni voi come la chiamate, se non invasione? Checché ne possa dire mons. Galantino.
MARCO TOSATTI
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