ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 5 ottobre 2017

Perennemente in retroguardia


 MACCHE' PRETI SCOMODI

I preti scomodi "Nuove star televisive": non più scomodi per nessuno hanno preso il controllo della navicella di San Pietro e continuano ad essere scomodi solo per i veri cattolici questi ultimi più che mai confusi e incomodati 
di Francesco Lamendola   

Si credono perennemente all’avanguardia, fin da prima del Concilio Vaticano II, e non vedono la contraddizion che nol consente: essere perennemente all’avanguardia significa essere perennemente alla retroguardia, perché il loro dio, la modernità, corre comunque più in fretta di loro, e chi è all’avanguardia oggi, sarà un fossile vivente dopodomani. Nel 1965 si credevano e parevano dei rivoluzionari; oggi si credono ancora tali, ma sono semplicemente dei cascami di un passato morto e sepolto in tutto il resto del mondo: solo qui, nella neochiesa catto-progressista di papa Bergoglio, possono illudersi che non sia cambiato niente e che loro siano sempre giovani e ruspanti come lo erano più di cinquant’anni fa. Parliamo dei preti di sinistra, modernisti e “di strada”: gente invecchiata male, come il vino inacidito nelle botti: non hanno capito niente né della Chiesa, né del mondo moderno, tanto è vero che hanno creduto di poter unire e mescolare le due realtà, tranquillamente, come se fosse la cosa più naturale e più giusta, il loro destino e la loro missione storica: ma sono solo dei falliti, sbugiardati dai fatti e così cocciuti e presuntuosi, così malati di superbia e narcisismo, da non voler neppure rendersene conto. 


Piuttosto, si farebbero ammazzare. Mettiamoci nei loro panni: non è facile riconoscere di aver sbagliato tutto, ma proprio tutto, e fin dall’inizio; non è facile ammettere di aver vissuto una vita inutile, o peggio, da pastori infedeli del gregge. Andando dietro a loro, le povere bestie si sono smarrite per la strada: e molte, infatti, sono andate a finire chissà dove. Ma costoro, mai un dubbio, mai una riflessione, mai un ripensamento: eh, no, ci mancherebbe: sono sempre nel giusto, loro, perché sono dalla parte di Gesù Cristo e del “vero” vangelo. O, almeno, così credono e così dicono. Per ammettere un fallimento così clamoroso, così totale, così irrimediabile, ci vuole del fegato; ma non ne hanno. Non ce l’hanno neppure adesso, che giocano sul sicuro perché sono riusciti a impadronirsi, con l’aiuto di questo papa, di tutte le posizioni chiave in seno alla Chiesa, e quindi hanno la possibilità di proclamare per legge le loro personali e discutibilissime opinioni, sino al punto di spacciare l’eresia per vera dottrina, e di pronunciare autentiche bestemmie, convinti di meritare l’applauso dei fedeli. Accecati dall’orgoglio, sono in ritardo di oltre mezzo secolo: un ritardo che è anche di tipo culturale, e che loro soli non riescono a vedere, mentre, dall’esterno, si vede benissimo: come un ragazzo che se ne andasse in giro con il frontino del berretto girato all’indietro, la maglietta della Columbia University e lo skateboard per far vedere e quant’è bravo: evidentemente, costui s’è accorto che questa era “l’uniforme” prescritta dalla moda giovanile di qualche decennio fa. E così loro. Sarebbero patetici, se non fossero responsabili di danni spirituali gravissimi nei confronti del gregge che avrebbero dovuto custodire, accompagnare, guidare. Non l’hanno guidato: l’hanno spinto in pasto ai lupi famelici.
Ne renderanno conto, un giorno. Ma, intanto, si godono il “meritato” trionfo. Come se lo gode la signora Agueda Banon, la portavoce del sindaco di Barcellona, Ada Colau (pardon, volevamo dire della sindaca: quella che preferisce i migranti ai turisti, sono parole sue); la quale si faceva fotografare a gambe larghe mentre urinava da sotto la minigonna in mezzo alla strada, la pozzetta sotto le scarpe, la sigaretta in bocca, per far vedere che non indossava le mutandine e che non solo i maschietti sanno fare la pipì stando in piedi, ai tempi in cui militava nel gruppo Donne che amano il porno. Sono della stessa pasta: amano la strada, nel senso più basso della parola: ciò che desiderano è far parlare di sé, quella signora con la scusa dell’arte (ma quale?), i preti di strada con la scusa del vangelo (il loro). L’importante è esibirsi, far parlare di sé, e, soprattutto, scandalizzare. Vogliono essere delle persone scomode; già, ma scomode per chi? Come mai, se sono davvero scomode, la stampa laicista le corteggia, le televisioni le inseguono, e gl’intellettuali liberal eradical si profondono in elogi e complimenti nei loro confronti? Come mai le banche, i politici di peso, il predente della Repubblica, il presidente del Consiglio, i poteri forti, perfino George Soros, tutti simpatizzano con loro e con le loro “battaglie”? Nel caso dei preti di strada, che gongolano a esser considerati preti “scomodi”, e che, se non ricevono tale appellativo da qualcun altro, se lo appendono sul petto da se stessi, come una medaglia: siamo proprio sicuri che tale appellativo sia un titolo di merito e che stia ad indicare un “vero” uomo di Dio, un autentico discepolo di Gesù Cristo? Vediamo. Costoro risultano scomodi, semmai, alla Chiesa di cui fanno parte, non ai nemici del Vangelo, non a quelle forze, a quei partiti, a quei movimenti, a quelle culture, che vorrebbero estirpare l’influsso del cristianesimo dalla società, e farne sparire anche il ricordo; tutto al contrario: con questi ultimi filano in perfetto amore e accordo, tanto è vero che, per commemorare un libro sul defunto Marco Pannella, i radicali si sono affrettati a chiamare un monsignore, oh, certo, “scomodo”, molto scomodo: difatti gli hanno messo davanti i microfoni di Radio Radicale e gli hanno gentilmente permesso di tessere un superlativo, iperbolico panegirico del defunto Marco, detto Giacinto, Pannella, esaltandone fino alle stelle le preclare virtù morali, definendolo uomo di moralità altissima ed esortando tutti quanti a prenderlo come modello di vita e d’impegno sociale. Perfetto. Dunque, ripetiamo la domanda: per chi e a chi sono scomodi, costoro, ammesso che lo siano? Non per i nemici della Chiesa; non per i nemici del Vangelo; al contrario, per i cattolici che restano radicato nel Vangelo autentico, e per la Chiesa, prima che questa cadesse in mano ai modernisti e ai progressisti, diciamo pure ai massoni che facciamo prima, cioè a partire dal Concilio Vaticano II (compresi i loro amici internazionali, come i massoni ebrei del B’Nai B’rith). Ah, questo sì: scomodi per il Vangelo, non scomodi per il mondo; per il mondo, anzi, comodissimi, addirittura provvidenziali: se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. E chi inviterebbe nei suoi melensi e subdoli salotti televisivi, Corrado Augias, se non avesse il prete o, meglio ancora, il vescovo “scomodo” di turno, per esempio l’arcivescovo di Udine, Mazzocato, debitamente “francescano”, nel senso bergogliano della parola, e progressista, e inclusivo, e immigrazionista, e, se possibile, omosessualista, e misericordioso, ci mancherebbe.  E chi andrebbe da David Parenzo, sui suoi salotti televisivi, se non ci fosse il Mosè di turno, che salva il suo popolo dalle acque, scaricandolo in massa sulle nostre sponde, il prete eritreo Mussie Zerai?
Strano: questi personaggi, una volta che hanno a disposizione il microfono e la visibilità che radio e televisione garantiscono a chiunque, si guardano bene dal servirsene per parlare di temi veramente scomodi, ma scomodi per il mondo: il divorzio, l’aborto, il materialismo, il consumismo, l’eutanasia, le unioni di fatto, l’utero in affitto, i cosiddetto matrimoni omosessuali. Giammai: parlare di queste cose sarebbe divisivo, e la parola d’ordine della neochiesa è: essere inclusivi, unire, unire, unire tutti, cani e porci. Dunque, ciò di cui essi parlano è sempre e solo quel che piace al mondo: parlano delle cose che mandano in brodo di giuggiole gli Augias e i Parenzo; e la prima delle cose che essi dicono, e per la quale ricevono applausi e complimenti, era parlar male della Chiesa, quanto ancora la Chiesa tentava di resistere alla bufera della massoneria e del modernismo; e parlar male, malissimo, dei pochi preti e vescovi che a quella bufera si oppongono, oggi, e quindi hanno delle riserve, o delle critiche, all’operato di papa Francesco, il “misericordioso”. Inoltre, si guardano bene dal parlare di Gesù Cristo: parlano di problemi sociali, di accoglienza, d’integrazione, di solidarietà; parlano di farsi carico dei bisogni dei migranti, dei profughi, dei diversi: ma di Gesù, niente. Se proprio son costretti a nominarlo, il Gesù di cui parlano è l’uomo vissuto in Palestina duemila anni fa, morto e forse, chi lo sa, anche risorto, almeno così dicono i suoi discepoli (ma, come osserva finemente papa Francesco, che sia morto è storia, cioè un fatto, che sia risorto è fede, cioè opinione), non il Figlio di Dio, non il Verbo incarnato; novelli ariani, alla divinità di Gesù, da come parlano, non si direbbe proprio che ci credano molto. E nemmeno all’immortalità dell’anima. Quando mai parlano della morte, del giudizio, dell’inferno e del paradiso? Eh, no: questa non è musica per i sensibili orecchi degli Augias e dei Parenzo; questa, per loro, sarebbe una musica terribilmente stonata. Meglio, quindi, molto meglio, sorvolare su tutto ciò che potrebbe infastidirli; meglio far finta che il soprannaturale, nella religione cristiana, sia una sorta di opzione facoltativa; meglio lasciare i Santi, Gli Angeli e Maria Vergine alle vecchiette e ai frequentatori di santuari e pellegrinaggi, a quelli che vanno a recitar Rosari: hanno cose ben più importanti da fare, loro; e, soprattutto, ben più costruttive. Stanno lavorando per costruire una nuova chiesa e un mondo migliore per tutti: non è meraviglioso? Non ci si sente rimescolar le viscere dalla commozione, al solo pensiero?
C’era un prete veramente scomodo, ma nel senso giusto della parola, il quale, fin dagli ani Settanta del ‘900, aveva perfettamente capito quel che stava succedendo dentro la Chiesa, da parte della fazione progressista e modernista, e aveva individuato con matematica esattezza la strategia della “scomodità” quale via privilegiata di tutti i narcisisti e progressisti in tonaca e stola; e che, mentre il partito dei preti di sinistra – i David Maria Turoldo, gli Ernesto Balducci e tutti gli altri, con don Lorenzo Milani quale nume tutelare – si organizzava e tramava il colpo che poi è riuscito a mettere a segno, cioè la conquista dei vertici eccelsiastici, lui, con vero coraggio intellettuale, denunciava la demagogia e l’ipocrisia di tutte queste manovre e metteva a nudo la palese artificiosità di quei personaggi. Si chiamava Francesco Fuschini e non ha fatto carriera; era parroco di un paese qualsiasi, a Porto Fuori, periferia industriale di Ravenna, e scriveva sul Resto del Carlino, oltre che su l’Osservatore Romano. Oggi, però, l’Osservatore Romano - ne siamo certissimi - non gli pubblicherebbe un bel nulla, perché son cambiati i chiari di luna e mentre lui continuerebbe a dire, oggi, quel che diceva allora, la neochiesa ha fatto una inversione a “U” e sta dicendo e facendo tutto il contrario di ciò che la vera Chiesa diceva e faceva sino a qualche anno fa, e che sempre ha detto e fatto. In altre parole, don Fuschini era un prete coerente: merce umana assai rara, sul mercato delle vacche pronte a cambiar bandiera e a marciare secondo la direzione del vento. E si noti bene che don Fuschini non era affatto un prete “conservatore”, se, con questo termine, di solito usato spregiativamente, si intende un prete che critica i suoi confratelli di sinistra, standosene comodo e ben caldo nel suo ufficio parrocchiale, vicino alla stufa, mentre quelli si prodigano nell’azione sciale; no: don Fuschini è stato quasi il creatore del quartiere di cui era parroco, e, quando non c’era proprio nulla, per prima cosa mise su, da zero, un asilo e un cinema-teatro. Insomma,era uno che si rimboccava le maniche e lavorava sodo per i suoi parrocchiani, per i bisognosi: ma senza lasciarsi incantare e strumentalizzare dalle sirene neomarxiste e guardando, anzi, con sconcerto e  disapprovazione il proliferare di gruppi che si autodefinivano cattolici e anche, nello stesso tempo, comunisti o socialisti. Era uno che sapeva vedere lontano, molto più lontano di certi falsi profeti i quali raccoglievano consensi a più non posso, scimmiottando la retorica delle sinistre e che oggi, da parte della neochiesa, ricevono riabilitazioni e riconoscimenti a non finire. Don Fuschini, al contrario di quelli, dei don Milan e dei don Mazzolari, è stato pressoché dimenticato: logico, lui era scomodo per davvero, e non per finta.
Per farsi un’idea della sua lucidità e della sua schiettezza, ecco, per esempio, quel che scriveva del gran poeta della sinistra ecclesiastica, David Maria Turoldo, quando costui andava già per la maggiore e i mass media si contendevano, quasi azzuffandosi, le sue preziose interviste e le sue impagabili perle di saggezza (da: F. Fuschini, Preti scomodi, articolo del 17/04/1974; ripubblicato in:Parole poverette. Prediche tra religione e politica, Milano, Rusconi Editore, 1981, pp. 39-42):

San Giovanni Battista mangiava locuste e predicava nel deserto: ora, in tempo di vacche grasse e di esibizionismi ecumenici, abati, frati, preti e cattolici di nuova osservanza predicano sulle colonne dei giornali.. […]
Allorquando il referendum sul divorzio marciava alla sua scadenza, è entrata in agitazione tutta la confraternita degli “scomodi”. Sono come i soldati di Gedeone: pochi ma chiassosi. Lascio da un canto gli uomini di truppa e chiamo fuori dai ranghi i due sergenti: l’abate Franzoni e il padre Davide Maria Turoldo. L’abate Franzoni batte la provincia lavorando i “lotta continua” alla maggior gloria degli onorevoli Fortuna e Baslini e alla maggior confusione del comunicato dei vescovi sul divorzi. Il padre Davide Maria Turoldo “ ha sostenuto la sua posizione a favore del divorzio davanti a duemila persone”.
Padre Davide Maria Turoldo coltiva il campicello delle muse. Componeva verso dolcemente malati di ermetismo. Ora che non canta più i mandorli in fiore ma setaccia problematica cattolica, la fama gli è entrata in convento dalla finestra. “Gli vengono chiesti interventi, conferenze, partecipazioni a dibattiti”. Il padre David Maria Turoldo si tormenta d’angoscia. “Non ho tempo”, risponde al telefono. “Sono come un cavallo da tiro al quale non staccano i finimento neppure la notte”. Però (dice) “su queste cose di Dio andrei a parlare anche all’inferno”. Che è indizio di virtù eroiche. Veramente, ci sarebbe piaciuto che il poeta Turoldo avesse composto almeno un sonetto per Solzenityn che è esule dalla patria come Dante; ma comprendiamo che c’’è scomodità e scomodità.
Il “Corriere della Sera” è il conte zio, cioè il natural protettore dei padri divorzisti. Sono a pupilla delle sue pagine. Trattandosi pi di uno “scomodo” del valore i Turoldo, ha aperto l’ombrello di un tutolo su cinque colonne: “Il prete scomodo che si batte per il divorzio” tra una pioggia di annotazioni agiografiche. Vediamo il padre “in un gelido studio dell’abbazia di Sant’Egidio a pochi chilometri da Sotto il Monte, il paese di papa Giovanni. La pioggia batte sui vetri dello studio. Padre Turoldo tiene in testa il colbacco per proteggersi dal freddo, alza due mani enormi, sfoglia fasci di lettere; dice: “Non c’è pace per i preti scomodi”.

Macché preti scomodi, sono comodissimi e graditi

di Francesco Lamendola Del 05 Ottobre 2017
continua su:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/la-contro-chiesa/1005-macche-preti-scomodi

Sull’Avvenire della Chiesa Cattolica, risate laiche per tutti

È bello guardare le piroette della Chiesa Cattolica del XXI secolo: ogni giorno ce n’è una nuova, e di sicuro non ci si annoia mai. E se temevate di intristirvi leggendo come le magnifiche sorti e progressive stanno facendo a fettine la Chiesa Cattolica Romana, potete stare tranquilli: ora su Avvenire, il giornale dei vescovi, potrete divertirvi un po’ con le amene vignette di Sergio Staino. Proprio lui, l’ex direttore de L’Unità, presidente onorario dell’Uaar.
Una collaborazione davvero buffa: è un po’ come se Peppone si mettesse a lavorare con don Camillo per maggior gloria della causa clericale, se non fosse che la causa clericale, quella vera, è da tempo una causa persa.
Oggi, i vescovi e i sacerdoti sono cambiati; sono alla moda. E i più alla moda si preoccupano di organizzare veglie contro l’omofobia e portano i migranti a sollazzarsi in piscina; si comportano come i comunisti più alla moda, che hanno fatto della causa omosex e dell’immigrazione incontrollata il loro nuovo mantra. Con buona pace di Carlo Marx e degli altri vecchi tromboni della sinistra d’antan.
È dunque sbocciato l’amore tra comunisti e cattolici; un amore talvolta ancora osteggiato dalle rispettive famiglie, ma, forse per la novità, pieno di entusiasmo e di voglia di farlo sapere al mondo. È per questo che ormai non c’è più pudore: a commentare il Vangelo vengono chiamati tutti (ma proprio tutti, eh, come insegna il recente caso di Vasco). Le interviste papali sono poi concesse copiosamente all’organo di informazione ufficiale del mondo progressista italiano, quella Repubblica di Scalfari che ai bei vecchi tempi amava andar giù pesante contro il mondo cattolico.
Mettendo da parte l’ironia, ci domandiamo quale misterioso fine abbia la gerarchia cattolica italiana, che tanto smania di apparire alla moda. Che senso avrà insistere con interviste che si rivelano, puntualmente, deformate o approssimative? Che senso avrà elogiare il pensiero di politici quali la premiata ditta Pannella&Bonino, sempre in prima fila là dove c’era da scardinare l’ordine sociale? Che senso avrà, adesso, la preziosa collaborazione con un vignettista ateo – come orgogliosamente precisato da Avvenire – su un giornale che era, un tempo, orgoglioso di essere cattolico? Mistero. Qualche anima bella dirà che serve ad avvicinare i non credenti; la Chiesa in uscita, la Chiesa delle periferie, la Chiesa-ospedale-da-campo. Mah. Staino, che ci tiene alla sua onestà intellettuale, ha subito messo le mani avanti: «Ero ateo e rimango ateo». Noi, che siamo maliziosi e tendiamo a pensar male, crediamo che questo sia stato un elemento di merito sul suo curriculum.  «Formuliamo nostri migliori auguri a Staino per il suo lavoro, e perché no, aspettiamo di farci qualche sana risata laica», chiosano dall’Uaar. Ci uniamo anche noi nel laico, laicissimo augurio: risate laiche per tutti. Tanto, ormai…
di Giorgio Enrico Cavallo
http://www.campariedemaistre.com/2017/10/sullavvenire-della-chiesa-cattolica.html

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