BIFFI: «PROFETI DI SVENTURA»? A PROCLAMARE ORE SERENE E TRANQUILLE, NELLA BIBBIA SONO SEMMAI I FALSI PROFETI
[...] Papa Roncalli morì nella solennità di Pentecoste, il 3 giugno 1963. Anch’io lo rimpiangevo, perché avevo un’invincibile simpatia per lui. M’incantavano i suoi gesti “irrituali”, ed ero rallegrato dalle sue parole spesso sorprendenti e dalle sue uscite estemporanee.
Solo la valutazione di alcune frasi mi lasciava esitante. Ed erano proprio quelle che più facilmente di altre conquistavano gli animi, perché apparivano conformi alle istintive aspirazioni degli uomini.
Solo la valutazione di alcune frasi mi lasciava esitante. Ed erano proprio quelle che più facilmente di altre conquistavano gli animi, perché apparivano conformi alle istintive aspirazioni degli uomini.
C’era, per esempio, il giudizio di riprovazione sui “profeti di sventura”.
L’espressione divenne e rimase popolarissima ed è naturale: la gente non ama i guastafeste; preferisce chi promette tempi felici a chi avanza timori e riserve. E anch’io ammiravo qui il coraggio e lo slancio, negli ultimi anni della sua vita, di questo “giovane” successore di Pietro.
Ma ricordo che una perplessità mi prese però quasi sùbito. Nella storia della Rivelazione, annunziatori anche di castighi e calamità furono solitamente i veri profeti, quali adesempio Isaia (capitolo 24), Geremia (capitolo 4), Ezechiele (capitoli 4-11).
Gesù stesso, a leggere il capitolo 24 del Vangelo di Matteo, andrebbe annoverato tra i “profeti di sventura”: le notizie di futuri successi e di prossime gioie non riguardano di norma l’esistenza di quaggiù, bensì la “vita eterna” e il “Regno dei Cieli”.
A proclamare di solito l’imminenza di ore tranquille e rasserenate, nella Bibbia sono piuttosto i falsi profeti (si veda il capitolo 13 del Libro di Ezechiele).
La frase di Giovanni XXIII si spiega col suo stato d’animo del momento, ma non va assolutizzata. Al contrario, sarà bene ascoltare anche quelli che hanno qualche ragione di mettere all’erta i fratelli, preparandoli alle possibili prove, e coloro che ritengono opportuni gli inviti alla prudenza e alla vigilanza.
“Bisogna guardare più a ciò che ci unisce che non a ciò che ci divide”. Anche questa sentenza – oggi molto ripetuta e apprezzata, quasi come la regola aurea del “dialogo” – ci viene dall’epoca giovannea e ce ne trasmette l’atmosfera.
È un principio comportamentale di evidente assennatezza, che va tenuto presente quando si tratta di semplice convivenza e di decisioni da prendere nella spicciola quotidianità.
Ma diventa assurdo e disastroso nelle sue conseguenze, se lo si applica nei grandi temi dell’esistenza e particolarmente nella problematica religiosa.
È opportuno, per esempio, che si usi di questo aforisma per salvaguardare i rapporti di buon vicinato in un condominio o la rapida efficienza di un consiglio comunale.
Ma guai se ce ne lasciamo ispirare nella testimonianza evangelica di fronte al mondo, nel nostro impegno ecumenico, nelle discussioni coi non credenti. In virtù di questo principio, Cristo potrebbe diventare la prima e più illustre vittima del dialogo con le religioni non cristiane. Il Signore Gesù ha detto di sé, ma è una delle sue parole che siamo inclini a censurare: "Io sono venuto a portare la divisione" (Luca 12,51).
Nelle questioni che contano la regola non può essere che questa: noi dobbiamo guardare soprattutto a ciò che è decisivo, sostanziale, vero, ci divida o non ci divida.
“Bisogna distinguere tra l’errore e l’errante”. È un’altra massima che fa parte dell’eredità morale di Giovanni XXIII e ha anch’essa influenzato il cattolicesimo successivo.
Il principio è giustissimo e attinge la sua forza dallo stesso insegnamento evangelico: l’errore non può che essere deprecato, odiato, combattuto dai discepoli di colui che è la Verità; mentre l’errante – nella sua inalienabile umanità – è sempre un’immagine viva, pur se incoativa, del Figlio di Dio incarnato; e pertanto va rispettato, amato, aiutato per quel che è possibile.
Io però non potevo dimenticare, riflettendo su questa sentenza, che la storica saggezza della Chiesa non ha mai ridotto la condanna dell’errore a una pura e inefficace astrazione.
Il popolo cristiano va messo in guardia e difeso da colui che di fatto semina l’errore, senza che per questo si cessi di cercare il suo vero bene e pur senza giudicare la responsabilità soggettiva di nessuno, che è nota solo a Dio.
Gesù a questo proposito ha dato ai capi della Chiesa una direttiva precisa: colui che scandalizza col suo comportamento e con la sua dottrina, e non si lascia persuadere né dalle ammonizioni personali, né dalla più solenne riprovazione della ecclesìa, “sia per te come un pagano e un pubblicano” (cfr. Matteo 18,17); prevedendo e prescrivendo così l’istituto della scomunica. [...]
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“Nuova profanazione a Bose – questa volta promossa dalla Cei”
Anche quest’anno, ci ha fatto sapere il delegato nazionale Cei per l’ecumenismo, don Cristiano Bettega, si è tenuto nella comunità di Bose il consueto convegno ecumenico dal 6 al 9 Settembre. Indovinate quale è stato il tema di quest’anno? L’ospitalità eucaristica. La geniale trovata diabolica per far passare l’intercomunione e la cosiddetta messa ecumenica. A questo convegno hanno partecipato oltre che sacerdoti e laici cattolici, anche ortodossi e pur se in minor numero gli immancabili luterani.
Chissà che festino hanno organizzato. Il Bettega ha dichiarato con tanta leggerezza che l’ospitalità eucaristica o messa ecumenica è “un cammino impegnativo, e la vivacità dei dibattiti lo ha testimoniato, ma non è un cammino impossibile: e soprattutto è un cammino da fare, urgente, determinante per il futuro delle Chiese e per la credibilità della nostra testimonianza cristiana” (http://www.settimananews.it/ecumenismo-dialogo/lecumenismo-dellospitalita/). La messa ecumenica dunque nell’agenda Cei, è cosa molto urgente. E sembra che si siano trovati tutti d’accordo, cattolici, ortodossi e protestanti.
Per non parlare dell’immancabile Enzo Bianchi, che ha sproloquiato dicendo che ancora siamo indietro su questo punto rispetto ai “richiami dello spirito del momento”. Di quale spirito poi è facilmente intuibile. Di certo non lo Spirito Santo.
La notizia mi è sembrata interessante perché comunque comincia a circolare ormai anche nei diversi ambienti, comunità, parrocchie, la mentalità di un ecumenismo “eucaristico”. Sicuramente il dettame di Bergoglio è stato quello di iniziare ad inquinare, attraverso stampa e convegni vari in giro, la mentalità e le coscienze di questa immondezza.
Al tempo di Giovanni Paolo II o Benedetto XVI queste cose erano impensabili. O venivano comunque considerate per quello che sono: rifiuti tossici. Oggi invece sono caldamente sponsorizzate.
La Cei ha dunque fretta, affinché i lavori per questa messa ecumenica finiscano presto e si dia finalmente il via alla grande ammucchiata.
Un particolare degno di nota. Durante il convegno, vi è stato un momento di concelebrazione comune: cattolici, ortodossi e protestanti. E insieme si sono comunicati. Forse una sorta di prova generale.
Si salvi chi può.
Fra Cristoforo
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