ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 4 ottobre 2017

Petronius iceberg

Pranzo in San Petronio, è solo la punta dell'iceberg


Mentre la polemica sul pranzo nella Basilica di San Petronio a Bologna tiene ancora banco, viene documentato un altro clamoroso caso di profanazione, questa volta in Spagna, nel contesto della battaglia politica per l’indipendenza della Catalogna da Madrid. Domenica nella chiesa di Vila-rodona, diocesi di Tarragona, gremita di fedeli, si è svolta una strana liturgia (il prete è vestito con i paramenti sacri) in cui preghiere e canti hanno accompagnato lo spoglio delle schede che avveniva proprio davanti all’altare. Video mostrano anche il grande applauso della folla all’ingresso dell’urna che conteneva le schede votate.

Scene francamente sconcertanti, ma quel che qui si vuole sottolineare è che ormai non si tratta più di episodiche trasgressioni compiute da sacerdoti o vescovi border-line, ma di una chiara linea di tendenza che investe la Chiesa intera e che, con il pretesto di avvicinare Dio all’uomo, abolisce il confine tra sacro e profano.

Non è un caso che sempre meno le chiese vengano rispettate come luogo sacro, inviolabile. Quella del pranzo in chiesa con i poveri è ormai una tradizione consolidata nelle città italiane dove è presente la Comunità di Sant’Egidio, vera artefice di questa iniziativa. Ma è diventata routine, in diversi luoghi, a cominciare da Napoli, l’occupazione delle chiese da parte dei disoccupati. E se qualche anno fa ancora qualche parroco chiamava le forze dell’ordine per liberare la chiesa, oggi si abbozza rassegnati quando non partecipi. Ora poi tocca agli immigrati: a Roma già il portico della Chiesa dei Santi Apostoli è da tempo trasformato in una tendopoli dove trovano provvisorio alloggio immigrati e senzacasa sgomberati da un palazzo poco lontano, ma quando all’inizio di settembre c’è stato il famoso sgombero con la forza di un palazzo nei pressi della stazione Termini, solo l’intervento degli agenti ha impedito che un gruppo di immigrati, con la regia dei centri sociali, facesse irruzione nella vicina chiesa di Santa Maria degli Angeli. E certamente non è finita qui.

Questa è soltanto la punta dell’iceberg, perché in realtà negli ultimi decenni si è assistito a una progressiva desacralizzazione delle chiese, che si trasformano via via in teatri, sale per conferenze, concerti e così via: sostanzialmente un luogo di aggregazione, una sala polivalente. Il grande antropologo Julien Ries, che fu fatto cardinale all’età di 92 anni da Benedetto XVI, nel 2012, spiegava che questo processo è figlio della teologia della secolarizzazione e della teologia della morte di Dio: «A forza di voler esprimere il messaggio di Cristo in un linguaggio secolare, si svuota questo messaggio di ogni dimensione verticale. Secolarizzazione diviene sinonimo di ideologia orizzontalista». Si afferma in pratica una «prassi di dissacrazione», di cui una delle conseguenze è il cambiamento della concezione stessa di chiesa: «Non più uno spazio sacro, ma uno spazio funzionale. Nella stessa ottica, alcuni sono scesi in campo per la soppressione di ogni segno di sacro cristiano: abiti liturgici e sacerdotali, statue di santi, decorazioni religiose di chiese e cappelle» (cfr. Julien Ries, L’uomo religioso e la sua esperienza del sacro, Jaca Book 2007).

Concetto analogo ha espresso più recentemente il cardinale Robert Sarah, nel suo libro La forza del silenzio (Cantagalli 2017): «Vi sono teologi che affermano che Cristo avrebbe messo fine, con l’Incarnazione, alla distinzione tra sacro e profano. Per altri, Dio si fa così vicino a noi che la categoria del sacro sarebbe sorpassata. Così alcuni, nella Chiesa, non giungono mai a distaccarsi da una pastorale tutta orizzontale, centrata sul sociale e la politica». «La questione è grave – dice il cardinale Sarah – perché ne va del nostro rapporto con Dio».

La chiesa, come spazio sacro, è il luogo privilegiato dell’incontro dell’uomo con Dio; questa dissacrazione, che prende a pretesto la necessità di avvicinare Dio agli uomini, in realtà impedisce che gli uomini incontrino Dio. Se è vero che «il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio» (Sant’Atanasio), andiamo in chiesa per poter vivere la dimensione di Dio, per elevarci a Lui. Certe manifestazioni riducono invece Dio alla nostra misura, invece di ascoltare Dio siamo costretti ad ascoltare le idee di altri uomini.

Significative al proposito le parole con cui l’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Zuppi, ha respinto le critiche per il pranzo in San Petronio: «Quello che è successo non significa desacralizzare, anzi ci aiuta a capire ancora meglio e a sentire ancora più umana l’Eucarestia». Cioè, in chiesa c’è la presenza reale di Cristo, che possiamo adorare in silenzio e invece, per renderlo più umano lo togliamo dalla chiesa e organizziamo un pranzo con i poveri? Ad essere buoni, non è esattamente ciò che ci aspetteremmo di ascoltare dalla bocca di un vescovo.
Certe espressioni però non sono casuali: si sente sempre più spesso ripetere in modo esclusivo che è nei poveri la presenza di Cristo, quasi una trasposizione dall’Eucarestia ai poveri, dimenticando ciò che la Santa Madre Teresa di Calcutta ricordava sempre: soltanto l’Adorazione quotidiana e la preghiera permettono a Dio di mettere nel nostro cuore il Suo Amore che è poi possibile portare ai poveri. «Senza Dio siamo troppo poveri per aiutare i poveri», diceva.


Per questo abbiamo bisogno di difendere lo spazio sacro che sono le chiese. In questa prospettiva va compresa anche la nostra polemica per l’uso indebito della Basilica di San Petronio: non è in gioco la reputazione di una persona o di un movimento, ma la possibilità per noi e per ogni uomo di incontrare la Salvezza.
Riccardo Cascioli

http://www.lanuovabq.it/it/pranzo-in-san-petronio-e-solo-la-punta-delliceberg

L'Eucarestia più umana...

































https://gloria.tv/article/CWFujC8cM2sP4rnoGQBh9Hdw3


“Umanizzazione” dell’Eucaristia e la zuppa di mons. Zuppi


La mensa dei poveri nella cattedrale bolognese di San Petronio? Zuppa più succulenta per i nemici della Chiesa, per i nemici della Eucaristia, non poteva farsi, mons. Zuppi vince sicuramente il titolo di miglior Chef dell’anno, soprattutto per aver usato l’ingrediente più prelibato: l’umanizzazione dell’Eucaristia, al demonio non si poteva fare piatto più succulento di questo.
L’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, ha risposto alle polemiche: “Quello che è successo non significa desacralizzare anzi ci aiuta a capire ancora meglio e a sentire ancora più umana l’Eucarestia”, leggere qui la fonte originale.
Zuppa più succulenta per i nemici della Chiesa, per i nemici della Eucaristia, non poteva farsi, mons. Zuppi vince sicuramente il titolo di miglior Chef dell’anno, soprattutto per aver usato l’ingrediente più prelibato: l’umanizzazione dell’Eucaristia, al demonio non si poteva fare piatto più succulento di questo.
Qui non c’è solo lo scandalo al “piccolo gregge”, ma ci troviamo proprio davanti ad una pastura avvelenata con modernismo puro, un cibo assolutamente a-cattolico, basta studiare tutti i riferimenti del Catechismo a riguardo di che cosa è l’Eucaristia: “sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura…. nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua… mediante la celebrazione eucaristica, ci uniamo già alla liturgia del cielo e anticipiamo la vita eterna, quando Dio sarà tutto in tutti…”, per capire che mons. Zuppi l’ha sparata davvero grossa.
Cosa c’è di “umano” infatti nell’Eucaristia? Gesù, semmai, “volle lasciare alla Chiesa, sua amata Sposa, un sacrificio visibile (come esige l’umana natura), con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e applicando la sua efficacia salvifica.. (..) Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio: Si tratta infatti di una sola e identica vittima … E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che “si offrì una sola volta in modo cruento” sull’altare della croce, […] questo sacrificio [è] veramente propiziatorio.. ” (nn.1366 e 1367), non che l’Eucaristia sia perciò “più umana e più da umanizzare”!
Ci viene un tremendo sospetto: ma non sarà che si vuole eliminare il MISTERO EUCARISTICO protestantizzandone la dottrina e renderlo così più umano, più accomodante, più facile da gestire anche per l’ammissione al Sacramento stesso?
«Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo, come dice san Tommaso, “non si può apprendere coi sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all’autorità di Dio. Per questo, commentando il passo di san Luca 22,19: Questo è il mio Corpo che viene dato per voi, san Cirillo dice: Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità, non mentisce”… Adoro te devote, latens Deitas… Ti adoro con devozione, o Dio che ti nascondi…» (n.1381).
Così spiega mons. Inos Biffi: “Non mancano oggi teologi e liturgisti che, per rendere accettabile l’Eucaristia, tendono a mostrarne la “convenienza antropologica“: il rito del banchetto è comune nelle religioni; anzi alla stessa natura umana, strutturalmente simbolica… (…) E concludono: non si fa fatica a riconoscere che l’Eucaristia rappresenta il vertice di queste esperienze e l’espressione più alta di questa simbolicità… (..) I più arditi, poi, tra questi ultimi passano all’applicazione, e, facendo bellamente il contrario di quanto aveva disposto Paolo, proprio per “umanizzare” l’eucaristia, la riconnettono con il “mangiare e bere”..(1Cor.11,22): il risultato abituale è che il “Corpo del Signore” non è più discriminato, e a essere mangiata non è più la “cena del Signore”. Occorre semplicemente rovesciare il metodo: non è la “cena del Signore” che deve essere letta alla luce delle altre cene, ma sono semmai le altre cene che devono essere ultimamente comprese nel riflesso di quella del Signore. Se è vero che il “linguaggio” dell’Eucaristia ha una sua connivenza con la convivialità non originariamente cristiana e che esso non è estraneo alle risorse della simbolicità antropologica conviviale, l’originalità e l’inattendibilità del contenuto sono assolute e totali. E’ fatale che chi lo dimentichi risolva “naturalmente” l’Eucaristia e giunga a un esito obiettivamente gnostico.”(1)
Siamo sempre lì: l’antropologia, l’umanesimo, la nuova gnosi nell’eresia dei gesuiti Pierre Teilhard de Chardin e di Karl Rahner… nell’eresia del capo dei gesuiti di oggi Arturo Sosa, come spiega bene qui mons. Livi, nell’eresia del Modernismo denunciato da San Pio X che sta arrivando laddove la si voleva far giungere, nel cuore della Chiesa, perché è questo il Cuore della Chiesa, l’Eucaristia. Le parole di mons. Zuppi sono gravissime e il “piccolo gregge” farebbe bene ad indignarsi e a scandalizzarsi e a non seguirlo.
Saremo trasformati in Cristo, attraverso alcune condizioni stabilite da Lui stesso.. L’Eucaristia è il mezzo. Che fine farà quel “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me.”(Gal 2:20)? E che fine farà quel  deporre l’uomo vecchio per rivestire l’uomo nuovo, passaggio obbligatorio sancito da Gesù Cristo? La dottrina di Cristo ci spinge semmai alla DIVINIZZAZIONE, a diventare “come lui”, per questo Dio si è fatto Uomo, non è successo il contrario che un uomo o l’umanizzazione, l’essere più umani, ci fa diventare “dio”.
Ad alcuni che continuano a ripetere che Dio si è fatto uomo e per questo “l’uomo è sacro”, ricordiamo che confondono le priorità e che Dio va amato “sopra tutto e sopra tutti, sopra ogni cosa”, l’uomo viene dopo e solo in funzione a questa priorità dalla quale gli viene ogni santo diritto e la sacralità della propria vita. Lo ricorda il primo Comandamento, lo ricorda anche il Comandamento dell’Amore “amare Dio sopra ogni cosa, poi il prossimo tuo come te stesso…”, lo ricorda Gesù – Lc.14,26 – anche qui: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio e figlia più di me, non è degno di me» (Mt.10,37), o: «Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv. 12,25). Gesù insegna la radicalità, Lui si è comportato così con il Padre, umiliandosi ed offrendosi fino alla morte di croce, senza risparmiarsi, non ha vantato ne umanità e neppure divinità, ma solo il suo essere CON DIO in quanto vero uomo, e di esserGli obbediente e fedele fino al martirio.
Nessun povero, perché povero, può vantare diritti verso Dio, nessuno è superiore a Dio! «A uno Gesù disse: Seguimi! E costui rispose: Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre. Gesù gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu, invece, va’ e annuncia il regno di Dio”» (Lc.9,59-60). Possiamo offrire ai poveri tutti pranzi che si vuole, ma nei luoghi opportuni, senza usarli per “umanizzare” Dio e l’Eucaristia.

Note
1) mons. Inos Biffi “Il Corpo dato, il Sangue sparso, profilo di teologia eucaristica
Published on  

https://cronicasdepapafrancisco.wordpress.com/2017/10/04/umanizzazione-delleucaristia-e-la-zuppa-di-mons-zuppi/

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