Pranzo in San Petronio, è solo la punta dell'iceberg
Mentre la polemica sul pranzo nella Basilica di San Petronio
a Bologna tiene ancora banco, viene documentato un altro clamoroso caso di
profanazione, questa volta in Spagna, nel contesto della battaglia politica per
l’indipendenza della Catalogna da Madrid. Domenica nella chiesa di Vila-rodona,
diocesi di Tarragona, gremita di fedeli, si è svolta una strana liturgia (il
prete è vestito con i paramenti sacri) in cui preghiere e canti hanno
accompagnato lo spoglio delle schede che avveniva proprio davanti all’altare.
Video mostrano anche il grande applauso della folla all’ingresso dell’urna che
conteneva le schede votate.
Scene francamente sconcertanti, ma quel che qui si vuole
sottolineare è che ormai non si tratta più di episodiche trasgressioni compiute
da sacerdoti o vescovi border-line, ma di una chiara linea di tendenza che
investe la Chiesa intera e che, con il pretesto di avvicinare Dio all’uomo,
abolisce il confine tra sacro e profano.
Non è un caso che sempre meno le chiese vengano rispettate
come luogo sacro, inviolabile. Quella del pranzo in chiesa con i poveri è ormai
una tradizione consolidata nelle città italiane dove è presente la Comunità di
Sant’Egidio, vera artefice di questa iniziativa. Ma è diventata routine, in
diversi luoghi, a cominciare da Napoli, l’occupazione delle chiese da parte dei
disoccupati. E se qualche anno fa ancora qualche parroco chiamava le forze
dell’ordine per liberare la chiesa, oggi si abbozza rassegnati quando non
partecipi. Ora poi tocca agli immigrati: a Roma già il portico della Chiesa dei
Santi Apostoli è da tempo trasformato in una tendopoli dove trovano provvisorio
alloggio immigrati e senzacasa sgomberati da un palazzo poco lontano, ma quando
all’inizio di settembre c’è stato il famoso sgombero con la forza di un palazzo
nei pressi della stazione Termini, solo l’intervento degli agenti ha impedito
che un gruppo di immigrati, con la regia dei centri sociali, facesse irruzione
nella vicina chiesa di Santa Maria degli Angeli. E certamente non è finita qui.
Questa è soltanto la punta dell’iceberg, perché in realtà
negli ultimi decenni si è assistito a una progressiva desacralizzazione delle
chiese, che si trasformano via via in teatri, sale per conferenze, concerti e
così via: sostanzialmente un luogo di aggregazione, una sala polivalente. Il
grande antropologo Julien Ries, che fu fatto cardinale all’età di 92 anni da
Benedetto XVI, nel 2012, spiegava che questo processo è figlio della teologia
della secolarizzazione e della teologia della morte di Dio: «A forza di voler
esprimere il messaggio di Cristo in un linguaggio secolare, si svuota questo
messaggio di ogni dimensione verticale. Secolarizzazione diviene sinonimo di
ideologia orizzontalista». Si afferma in pratica una «prassi di dissacrazione»,
di cui una delle conseguenze è il cambiamento della concezione stessa di
chiesa: «Non più uno spazio sacro, ma uno spazio funzionale. Nella stessa
ottica, alcuni sono scesi in campo per la soppressione di ogni segno di sacro
cristiano: abiti liturgici e sacerdotali, statue di santi, decorazioni
religiose di chiese e cappelle» (cfr. Julien Ries, L’uomo religioso e la sua
esperienza del sacro, Jaca Book 2007).
Concetto analogo ha espresso più recentemente il cardinale
Robert Sarah, nel suo libro La forza del silenzio (Cantagalli 2017): «Vi sono
teologi che affermano che Cristo avrebbe messo fine, con l’Incarnazione, alla
distinzione tra sacro e profano. Per altri, Dio si fa così vicino a noi che la
categoria del sacro sarebbe sorpassata. Così alcuni, nella Chiesa, non giungono
mai a distaccarsi da una pastorale tutta orizzontale, centrata sul sociale e la
politica». «La questione è grave – dice il cardinale Sarah – perché ne va del
nostro rapporto con Dio».
La chiesa, come spazio sacro, è il luogo privilegiato
dell’incontro dell’uomo con Dio; questa dissacrazione, che prende a pretesto la
necessità di avvicinare Dio agli uomini, in realtà impedisce che gli uomini
incontrino Dio. Se è vero che «il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio»
(Sant’Atanasio), andiamo in chiesa per poter vivere la dimensione di Dio, per
elevarci a Lui. Certe manifestazioni riducono invece Dio alla nostra misura,
invece di ascoltare Dio siamo costretti ad ascoltare le idee di altri uomini.
Significative al proposito le parole con cui l’arcivescovo
di Bologna, monsignor Matteo Zuppi, ha respinto le critiche per il pranzo in
San Petronio: «Quello che è successo non significa desacralizzare, anzi ci
aiuta a capire ancora meglio e a sentire ancora più umana l’Eucarestia». Cioè,
in chiesa c’è la presenza reale di Cristo, che possiamo adorare in silenzio e
invece, per renderlo più umano lo togliamo dalla chiesa e organizziamo un
pranzo con i poveri? Ad essere buoni, non è esattamente ciò che ci aspetteremmo
di ascoltare dalla bocca di un vescovo.
Certe espressioni però non sono casuali: si sente sempre più
spesso ripetere in modo esclusivo che è nei poveri la presenza di Cristo, quasi
una trasposizione dall’Eucarestia ai poveri, dimenticando ciò che la Santa
Madre Teresa di Calcutta ricordava sempre: soltanto l’Adorazione quotidiana e
la preghiera permettono a Dio di mettere nel nostro cuore il Suo Amore che è
poi possibile portare ai poveri. «Senza Dio siamo troppo poveri per aiutare i
poveri», diceva.
Per questo abbiamo bisogno di difendere lo spazio sacro che
sono le chiese. In questa prospettiva va compresa anche la nostra polemica per
l’uso indebito della Basilica di San Petronio: non è in gioco la reputazione di
una persona o di un movimento, ma la possibilità per noi e per ogni uomo di
incontrare la Salvezza.
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