ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 8 ottobre 2017

‘La mia dottrina non è mia’!”


Un’intervista-catechismo sulla confusione creata da Amoris Laetitia


Non c’è niente di meglio di una sana lezione di catechismo per affrontare le derive dottrinali che stanno regnando nella Chiesa di oggi. Perciò abbiamo cercato di immaginare una intervista attraverso la quale offrire a tutti noi delle risposte catechetiche per affrontare, dottrinalmente, questi argomenti. 
Cominciamo subito con la domanda più “scottante”. Ci sono vere e proprie eresie nell’Amoris Laetitia?
«Vedo che entriamo subito in un campo minato e nessuno fra noi qui è la persona più adatta per entrare nei dettagli del contenuto del testo. Tuttavia essendo questo incontro immaginario, rivolto al Catechismo, possiamo spiegare che dopo aver letto più volte il Documento dobbiamo essere d’accordo con le richieste di chiarimento offerte al Papa dai quattro cardinali, i Dubia. In fin dei conti anche il Catechismo, e il Catechista, non è affatto “autoreferenziale” (così come non lo è neppure un Pontefice) e chiunque lo usa ha bisogno di ascoltare altri sacerdoti e vescovi, magari anche qualche cardinale, che possa aiutarci alla comprensione del magistero. Così, una  opinione personale che si riscontra però in altri interventi molto più autorevoli, ci dice che il testo non contiene delle “vere e proprie” eresie. Non si tratta di eresie formulate, il problema del Documento è nei contenuti a tratti non esplicitati, lasciati piuttosto al libero pensiero, all’ambiguità. Ci sono passaggi che possono essere interpretati pro o contro il contenuto magisteriale bimillenario della Chiesa, e chi dovrebbe dire come questo va interpretato è proprio il Pontefice stesso il quale, però, si è rifiutato di rispondere ai cardinali richiedenti, salvo poi concedere risposte – non ufficiali – ad altri gruppi di persone altamente progressiste, con risoluzioni che, purtroppo, contraddicono il Catechismo. Questo Documento ha generato una vera spaccatura all’interno della Chiesa, il popolo di Dio è confuso, e si sono venute a creare delle vere tifoserie che non fanno bene a nessuno. Si legga qui l’intervento di mons. Livi sull’argomento, che naturalmente condivido totalmente così come condivido anche i consigli di Padre Riccardo Barile OP sul vero e sano discernimento, si veda qui». Ora però, prima di continuare, sarebbe utile fermarsi a riflettere i diversi problemi che affliggono la Chiesa oggi. Quante volte ci siamo chiesti quando una notizia è vera e quando è una “bufala”? Il punto è che almeno il 90% della gente, fedeli e non, non vanno mai alla fonte diretta e neppure leggono i testi pontifici integralmente, ma si fermano sulle notizie mediatiche, quelle che definiamo essere “pruriginose”, che magari attirano la curiosità, la morbosità, in questo link vienespiegato bene, magari attribuendo al Pontefice ciò che non dice e ciò che non ha detto. E’ vero che il caso di Amoris Laetitia (AL) è diverso, è tutto nero su bianco, è confrontabile, ma facciamo attenzione a non fermarci sulle notizie mediatiche, andiamo alle fonti ufficiali, e partiamo da queste (e dal Catechismo) attraverso quei pochi pastori  (ma anche professori cattolici, laici) che si assumono la  responsabilità per aiutarci nella comprensione e nella verità.
Quali sono i punti che contrastano con la Tradizione e il magistero precedente?
«Non c’è solo la questione della Comunione ai “divorziati-risposati” della quale, come denunciava il compianto cardinale Caffarra, si è insistito troppo e fuori luogo. Sono molte le parti del testo che parlano dell’amore coniugale in termini che fuoriescono dalla missione del Pontefice, a volte si “entra” nel talamo con molta passione paterna è vero, ma rischiando di volgere lo sguardo ad un forte senso romantico, al romanticismo, ad un senso soddisfattorio orizzontale del rapportare e poco a quell’amore coniugale trinitario descritto in verticale nei Vangeli e nel magistero ecclesiale di ogni tempo. Disse il cardinale Caffarra: “Il cap. VIII non è chiaro. Se il Papa avesse voluto mutare il magistero avrebbe avuto il dovere grave di dirlo chiaramente”. E ricorda di quando Lucia di Fatima gli disse che “lo scontro sarebbe stato sul matrimonio…”vedi qui.  E suggeriva: “Leggi e rifletti sul Catechismo della dottrina cattolica, ai numeri 1601-1666. E quando senti dei discorsi sul matrimonio – anche da parte di preti, vescovi, cardinali – e tu verifichi che non sono in conformità con il Catechismo, non dare ascolto ad essi. Sono dei ciechi che guidano dei ciechi… (…) Non si deve solo leggere il precedente magistero sul matrimonio alla luce di “Amoris laetitia”, ma si deve leggere anche “Amoris laetitia” alla luce del magistero precedente. La logica della vivente tradizione della Chiesa è bipolare. Ha due direzioni, non una…..“, clicca qui. Consiglio anche alcuni recenti interventi di Aldo Maria Valli, che condivido ragionevolmente: vedi quiqui e quiCosì come i tanti approfondimenti che ci stanno offrendo Padre Giovanni Scalese dal suo Blog, clicca qui, o riflessioni anche laiche (cattoliche e non laiciste), dalla tastiera del dott. Marco Tosatti, vedi qui,  o se volete dalla tastiera pungente quanto si vuole, del dott. Antonio Socci, vedi qui, si legga anche il prof. Roberto de Mattei, qui, così come anche la Cristina Siccardi qui, insomma la lista di quanti, nel clero e non, si sforzano di avanzare con la dottrina è lunga e merita l’ascolto, non la denigrazione. Il fatto è che il Documento, molto lungo e che pochi hanno letto integralmente, contiene effettivamente delle pagine molto belle, ma inutili all’insegnamento nei confronti della grave crisi coniugale delle coppie che hanno ben altri problemi da affrontare, e purtroppo ambigue laddove la Chiesa aveva già dato le risposte necessarie e laddove si tenta di capovolgere, stravolgere l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino. Alla luce del Vangelo, e del Catechismo, possiamo dire che il punto di ampio contrasto, dal quale poi ne derivano altri è che la Chiesa ha sempre insegnato, ragionevolmente, che cosa è l’Amore, non come farlo!».
Ma qual è la missione del Papa, Successore di Pietro?
«È la stessa missione di Pietro, per questo “noi amiamo il Papa”, a prescindere da chi viene eletto, basta che sia legittimo, e per questo amiamo parlare di “successore di Pietro”. Pietro non è più Simone (Mt 16, 13-20) ma “roccia” per una fede granitica che deve durare fino al ritorno trionfante di Cristo, per questo abbiamo la Sua parola del non praevalebunt (Mt 16, 13-20). Le porte degli inferi non proteggono l’esclusività di un pontefice, ma LA CHIESA il cui Capo, Sposo è Cristo, e Pietro il Vicario. La missione del Papa è perciò preservare questa Fede e tramandarla (tradere) con tutto ciò che comporta e con tutto ciò che contiene (la Tradizione, la Dottrina, i costumi, l’etica e la morale, quel che era peccato ieri è peccato anche oggi, e ciò che era vietato ieri è vietato anche oggi), confermando i Battezzati (vero popolo di Dio) in questa Fede, preservandoli dall’errore delle mode dei tempi (2Tim 4, 1-5), è la potestas docendi“. La missione di Pietro è sempre una, è sempre la stessa (Cristo è ieri, oggi, sempre), è quella contenuta nei Vangeli, non cambia ma progredisce, va avanti e non indietro, è sempre quella associata e legata al triplice incarico simbolicamente espresso dalla tiara, anche se oggi l’hanno voluta nascondere spingendo i fedeli, purtroppo, ad una falsa immagine del Pontificato moderno e di livello mediatico, distorcendone spesso la missione. Nel triregno, tanto per fare un esempio, era indicata la missione di Pietro: “Accipe Tiaram tribus coronis ornatam, et scias Te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris N. J. C. cui est honor et gloria in saecula saeculorum./ Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvator Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli”. Non stiamo qui ora a polemizzare ma la verità, che finalmente si comincia ad ammettere, è che la vicenda postconciliare fu un cavallo di Troia che sfondò gli argini del buonsenso ecclesiale. Il gesto di Paolo VI nel deporre la tiara fu pertanto prevalentemente un gesto umano e romantico, ma che si trasformò subito in un fenomeno politico e ideologico, che costrinse altre, e magari nobili, idealità teologiche a precipitare e fossilizzarsi nella sociologia umanistica del nostro tempo, arrivando a modificare la missione di Pietro che da quella di “salvatore delle Anime” sta diventando una missione sociologica ed antropologica, una missione umanistica, per un paradiso in terra»
Può un papa insegnare contro o al ribasso dei suoi predecessori?
«Ovvio che No! Per quanto il Papa è un “uomo come gli altri”, con il suo proprio carattere – basta leggere la storia dei Papi – anche se in termini di rapporti umani può risultare simpatico o meno, può piacere o meno, quando parliamo di magistero non può sbagliare, non può insegnare a ribasso o contro un’altro predecessore. Se lo facesse è evidente che gravi ripercussioni ricadrebbero sul governo stesso della Chiesa, alimentando inimicizie e divisioni che in fin dei conti, e purtroppo, non sono mai mancate internamente nella Chiesa. Non è un caso se, fra tutti i 266 Pontefici ad oggi, noi parliamo del “Successore di Pietro” e non giammai del successore di un solo pontefice preso a caso dalla storia, o per qualche interesse personale o affiancandolo, addirittura, a qualche personaggio storico.
Ma per rispondere correttamente alla domanda è molto interessante un commento del cardinale Caffarra, ascoltiamo bene le sue parole: ” Vescovi e molti teologi fedeli alla Chiesa e al magistero sostengono che su un punto specifico ma molto importante non esiste continuità, ma contrarietà tra “Amoris laetitia” e il precedente magistero. Questi teologi e filosofi non dicono questo con spirito di contestazione al Santo Padre. Ed il punto è questo: “Amoris laetitia” dice che, date alcune circostanze, il rapporto sessuale fra divorziati-risposati è lecito. Anzi applica a questi, a riguardo delle intimità sessuali, ciò che il Concilio Vaticano II dice degli sposi [cfr. nota 329]. Pertanto o è lecito un rapporto sessuale fuori del matrimonio: affermazione contraria alla dottrina della Chiesa sulla sessualità; o l’adulterio non è un atto intrinsecamente disonesto, e quindi possono darsi delle circostanze a causa delle quali esso non è disonesto: affermazione contraria alla tradizione e dottrina della Chiesa. E quindi in una situazione come questa il Santo Padre, come già scrissi, deve secondo me chiarire. Se dico “S è P” e poi dico “S non è P”, la seconda proposizione non è uno sviluppo della prima, ma la sua negazione. Nè si risponda: la dottrina resta, si tratta di prendersi cura di alcuni casi. Rispondo: la norma morale “non commettere adulterio” è una norma negativa assoluta, che non ammette eccezioni. Ci sono molti modi fare il bene, ma c’è un solo modo di non fare il male: non fare il male…” clicca qui».
Sono giuste le accuse di fariseismo, di voler caricare pesanti fardelli sulle spalle dei fedeli, a coloro che ricordano che non ci possono essere eccezioni nel rispettare la Legge di Dio?
«Diciamo che usare certe espressioni forti del Papa, come strumento per un primo e proprio esame della coscienza, male non fa, non dobbiamo offenderci subito, ma cercare di capire come siamo messi noi per primi, per evitare di pretendere di poter togliere la pagliuzza quando la trave, magari, sovrasta il nostro occhio (Lc 6,41) impedendoci di vedere cosa Dio vuole e il come lo vuole! Così come non può essere usato però, questo monito del Vangelo, per ingannare i divorziati-risposati e i conviventi sul loro stato.  Non nascondiamoci che oggi si eccede su diversi estremismi dolorosi  che stanno ferendo la Chiesa, e spesso rischiamo di trovarci nel mezzo, accusati da una parte e dall’altra, perché cerchiamo di aiutare la gente a comprendere la Legge di Dio servita dalla Chiesa attraverso le sue dottrine e quindi attraverso la legge ecclesiastica.. e dall’altra parte ci sentiamo dire che facciamo poco, oppure che siamo eretici anche noi perché pretendiamo di dare consigli al Papa! Ci sono tifoserie che non fanno bene a nessuno e, per parlare a queste persone, ci vuole sia l’amore quanto la verità, perché questi due elementi, se autentici, non possono essere separati.Gesù non ci ha detto “io vi ho detto la verità… adattatela, accomodatela a seconda dei problemi storici o delle difficoltà umane… Non ha detto io vi faccio vedere la via… ma voi cercatene delle altre più comode…” ma ha detto: “Io sono la Via, la Verità, la Vita…”, questo è l’Amore. Amore che si fonda anche sulla Legge divina del matrimonio (Mt 19), come negli altri Sacramenti, e che la Chiesa ha nelle sue leggi, perché questa è la sua missione, e non altro. Oggi va tanto di moda questa accusa di fariseimo dimenticando però, che  “quei” farisei contro i quali Gesù si scagliava, erano proprio coloro che giocavano con la Legge di Dio e la usavano per schiacciare il popolo, si legga qui la toccante riflessione di Don Alfredo M. Morselli, un po’ datata per la tempistica mediatica, ma ciò che è vero non diventa mai vecchio! Questo schiacciare (le donne venivano lapidate anche solo per il sospetto di adulterio, mentre gli uomini potevano fare quello che volevano) faceva parte di quel peso, quel fardello che veniva imposto sulle spalle degli uomini che non comprendevano la Legge di Dio, e non avevano alcuna possibilità di replicare o difendersi. Erano “quei” farisei ad infrangere la Legge di Dio, usandola a proprio piacimento e per questo Gesù li definisce “ipocriti”. Gesù si scaglia perciò non “contro i farisei” in quanto tali, ma contro i farisei ipocriti, E NON CONTRO LA LEGGE (Mt 5, 17-20) che essi conservavano, si scaglia contro chi impone la Legge senza aiutare l’uomo, senza consolazione, senza sostegno, ma solo con la pretesa del ciò che deve essere fatto, privato della forma di carità. In questo fariseismo non c’era posto per il “perdono”, ciò non voleva dire che bisognasse infrangere la Legge divina. I nuovi farisei del dopo-Cristo sono i Manichei, sono i Puritani provenienti dal protestantesimo… (che sostengono infatti il divorzio ed oggi i matrimoni omosessuali), sono gli spiritualisti ed oggi i Modernisti… Per rispondere alla domanda dobbiamo allora chiederci in quale rapporto siamo noi con chi sbaglia. Un conto è la correzione fraterna (Mt 18) altra cosa è l’accanimento, una sorta di lapidazione che magari non uccide il corpo ma lo spirito! In quale modo diciamo la verità, quale atteggiamento assumiamo di fronte a queste persone? Chi vuole predicare la Verità, è egli stesso per primo autentico testimone coerente di quanto Gesù chiede di fare? Una onesta risposta e tanta umiltà ci farà comprendere se siamo dei farisei o veri discepoli del Cristo, pronti alle accuse ingiuste, e perciò perseguitati e votati al martirio o all’accusa di ipocrisia da parte del Cristo. Quel: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc.6,36) non pregiudica il dovere di dire la verità, i Santi ci insegnano questo con il loro esempio, essi dicevano la Verità con misericordia, la verità con l’Amore, non per nulla venivano perseguitati!»
Dove sta scritto il divieto per i divorziati-risposati ad accedere alla Comunione?
«Nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1650 e seguenti e nella Sacramentum Caritatis, n.29, di Benedetto XVI dove in entrambi si specifica che la scelta della Chiesa di “non dare la comunione ai divorziati-risposati“, con in piedi il matrimonio sacramentale precedente, non viene da una scelta soggettiva dei Padri sinodali, ma dalla Parola di Cristo, è Cristo che vuole questo, ma bisogna capire il perché. Ma anche in altri Documenti quali la Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II, che si pretenderebbe re-interpretare a vantaggio dell’errore.
N.1650: ” La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione…”.
N.29: ” Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia.”
Compito della Chiesa è quello di accompagnare e guidare queste persone alla comprensione della Parola e della volontà di Dio, non cambiarla. Non si deve stare lì a divulgare o strombazzare “il divieto”, come ragionevolmente spiegava Caffarra, ma aiutare la gente a capire che se Cristo insegna questo, lo fa perché ci ama. Il divieto di ricevere l’Eucaristia, del resto, non è ascritto solo ad una categoria di persone o di peccatori, ma ci riguarda tutti, tutti i battezzati che non sono in grazia di Dio non possono ricevere l’Eucaristia. Purtroppo si è circoscritta la dottrina dando origine ad una categoria, facendone però il pilastro e il fondamento di una errata comprensione e di una falsa battaglia, trasformandola in una vera ideologia. Nessuno può vantare diritti verso Dio e l’Eucaristia non è un diritto per nessuno. Il divieto è valido per tutti noi quando ci troviamo in uno stato di illegalità nei confronti dei Comandamenti e della Legge divina, così come è DONO per chiunque che, sforzandosi di compiacere a Dio, confessato e sulla via della riconciliazione vera, cioè avendo abbandonato il proprio peccare, può accostarsi al Divino Sacramento».
 Tale divieto è una legge puramente ecclesiastica oppure è una Legge di Dio?
«L’abbiamo specificato sopra, ma qui rischiamo di fare il gioco della lana caprina, direi che la domanda è tendenzialmente impostata male! Non esiste una “legge ecclesiastica” che non si fondi sulla Legge di Dio. Non è che in un dato momento un papa, un vescovo, o un pinco pallino qualsiasi si è alzato ed ha deciso di aggiornare le leggi ecclesiastiche, magari mossi da chissà quale “moda moderna”, mossi dalla “cultura del tempo”, e quant’altro. Tutta la dottrina della Chiesa ha mosso i suoi passi fondandosi sempre sulla Legge di Dio, poi ci sono stati degli sviluppi, certamente, ma in avanti, mai indietro, in progresso, non in regresso. Un esempio lo troviamo proprio a riguardo della Famiglia. Il primo a parlarne in termini “moderni”, aggiornati dal magistero precedente, fu Papa Leone XIII che non per nulla invocò ed indisse la Festa della Divina Famiglia portandola quale modello alle Famiglie cattoliche già messe in pericolo e sotto pressione dai risvolti (pseudo) culturali della Rivoluzione Francese prima e dalla prepotenza della Massoneria, che si scatenò contro la Chiesa in tutto l’Ottocento. Poi altri Papi ne riparlarono sempre con voce più calzante come Pio XI, Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel mirabile magistero, specialmente nel testo durante la visita a Milano nel 2012, proprio per la Famiglia. Tutto questo magistero non si impone come legge ecclesiastica, ma offre la Legge di Dio attraverso delle leggi ecclesiastiche, per amore all’uomo. E’ importante che si aiuti la gente a comprendere che non è una questione di “imposizione”, ma di Amore, amore a Dio e alla Sua Legge e amore di Dio per l’uomo, che la Chiesa disciplina attraverso le proprie leggi in questa ed altre materie. La legge ecclesiastica ci aiuta a difenderci proprio dalle leggi ingiuste degli uomini, specialmente oggi, e dalle mode dei tempi, come esprimeva chiaramente Benedetto XV quando promulgò la prima composizione aggiornata del Nuovo Diritto Canonico, il 4 dicembre 1916. Per rispondere dettagliatamente alla domanda, facciamoci ora aiutare da Benedetto XVI, che così si espresse il 25 gennaio 2008 mettendo “in rilievo lo stretto legame che c’è tra la legge canonica e la vita della Chiesa secondo il volere di Gesù Cristo… Lo ius ecclesiae non è solo un insieme di norme prodotte dal Legislatore ecclesiale per questo speciale popolo che è la Chiesa di Cristo. Esso è, in primo luogo, la dichiarazione autorevole, da parte del Legislatore ecclesiale, dei doveri e dei diritti, che si fondano nei sacramenti e che sono quindi nati dall’istituzione di Cristo stesso. Questo insieme di realtà giuridiche, indicato dal Codice, compone un mirabile mosaico nel quale sono raffigurati i volti di tutti i fedeli, laici e Pastori, e di tutte le comunità, dalla Chiesa universale alle Chiese particolari… (…) Perciò, occorre saper presentare al Popolo di Dio, alle nuove generazioni, e a quanti sono chiamati a far rispettare la legge canonica, il concreto legame che essa ha con la vita della Chiesa, a tutela dei delicati interessi delle cose di Dio, e a protezione dei diritti dei più deboli, di coloro che non hanno altre forze per farsi valere, ma anche a difesa di quei delicati ‘beni’ che ogni fedele ha gratuitamente ricevuto – il dono della fede, della grazia di Dio, anzitutto – che nella Chiesa non possono rimanere senza adeguata protezione da parte del Diritto”».
Astenersi dagli atti coniugali è davvero l’unica soluzione per i divorziati-risposati civilmente che non possono tornare indietro?
«Certo che sì! Ma questo concetto di “castità” è molto più ampio e vale per tutti, anche per gli sposati e per i single.  Se una persona si è gravemente ammalata e chiede il parere al proprio medico, questi confermandogli la diagnosi gli offre anche i rimedi. Poi sta al paziente vedere come procedere per guarire. La castità non è affatto una punizione, ma la cura! Dice infatti il Catechismo n. 2339: “La castità richiede l’acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L’alternativa è evidente: o l’uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice…. 2345 La castità è una virtù morale. Essa è anche un dono di Dio, una grazia, un frutto dello Spirito. Lo Spirito Santo dona di imitare la purezza di Cristo  a colui che è stato rigenerato dall’acqua del Battesimo….”. Il Catechismo riporta poi anche sant’Ambrogio:  “Ci sono tre forme della virtù di castità: quella degli sposi, quella della vedovanza, infine quella della verginità. Non lodiamo l’una escludendo le altre. […] Sotto questo aspetto, la disciplina della Chiesa è ricca…”.  In tanti rimanemmo stupiti e addolorati quando ci si rese conto che, in tutti e due i Sinodi sulla Famiglia, nessun prelato ha mai parlato del valore della castità (così come neppure in AL vi sono riferimenti al valore della castità), nessuno! Tutti dicevano la propria su come ingannare la Legge di Dio e giustificare le nuove presunte posizioni pastorali, ma la maggior parte – a parte alcuni pilastri come Caffarra, Burke, De Paolis, e qualcun altro – non parlò mai della bellezza della castità della quale, in fin dei conti, essi stessi dovrebbero essere i felici testimoni! La castità del Vangelo ha una sola radice e diverse applicazioni: essa coinvolge TUTTI nei “pensieri, parole, opere ed omissioni”. Senza questo elemento che ci viene dalla testimonianza di Gesù,  saremmo tutti sopraffatti da un umanesimo romantico, sentimentale, soggetto alle proprie voglie. Nel Matrimonio lo fa capire bene Gesù, in Matteo 19,10 e gli Apostoli rispondono quasi con una battuta: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”, e già, avevano capito la radicalità che Gesù stava chiedendo loto! Non c’è una imposizione, ma di certo è l’unica soluzione che Gesù propone per mettere in pratica la legge di Dio, la Sua volontà. La soluzione che Gesù offre deve essere accompagnata dalla catechesi dell’Amore di Dio verso noi peccatori, questo è il punto che non si è affrontato, ma tutto si sta svolgendo in un dannoso ping-pong del fare o non fare; Dio vuole, Dio non vuole, l’uomo lo vuole e allora cambiamo…. nero o bianco, mettiamoci un poco di grigio e così via… mandando in pensione il più semplice: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37, ma si legga tutto il paragrafo 21-37), perché la Parola di Dio è semplice, è chiara e si sta rischiando di confonderla e di complicarla».
La correctio filialis è un atto legittimo o illegittimo? La Chiesa ammette che i sudditi correggano i superiori per difendere la Fede?
«Legittimo! C’è una frase di San Paolo che ci aiuta a capire: “Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla… (1Cor 6,12-13). Paolo si riferiva ai cibi, ma possiamo essere aiutati anche in queste circostanze perché, in definitiva, importante è quel “non lasciarsi dominare da nulla”… che non sia la Legge divina… Lo prevede il Codice di Diritto Canonico Can. 212 – §1. “I fedeli, consapevoli della propria responsabilità (…) §3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona”. Possiamo perciò dire, senza essere smentiti, che la “correzione filiale” è legittima, lecita e un dovere previsto dal Diritto Canonico. Ciò che invece “non giova” è il modo attraverso il quale si sono scatenate le frange in difesa (e alcune anche eccessivamente contro, va detto per onor del vero) non della Veritas, ma dell’immagine e della persona di Bergoglio! Queste tifoserie “pro-contro” Bergoglio, sono quelle reazioni che non giovano alla causa e non giovano alla Verità, ledono il diritto e il dovere di denunciare ciò che nella Chiesa non va, apportando un oscuramento sul vero e libero dibattito (leggasi i confronti infuocati ai tempi di San Bonaventura, di San Bernardo, San Tommaso d’Aquino, ed altri Grandi) in quei luoghi e atenei che la Chiesa non ha mai vietato in tutta la sua storia ecclesiale».  “Le nostre città, la nostra nazione, la nostra Europa stanno attraversando una crisi mortale. La cifra della loro agonia è il freddo inverno demografico che stiamo attraversando. La parola che Dio rivolge a noi pastori ci costringe ad alcune domande: stiamo compiendo l’opera di annunciare il Vangelo o ci accontentiamo di esortare le persone a buoni sentimenti morali, quali per esempio tolleranza, apertura, accoglienza?” (cardinale Caffarra – omelia Festa di sant’Agostino 28.8.2016)
In conclusione, quale consiglio, o suggerimento, possiamo offrire  a quanti svolgono la missione del Catechista, o a quanti — confusi e disorientati — cercano la Verità e al tempo stesso non vogliono sentirsi “contrari” al Papa?
«Specifichiamo subito che chiunque insegna la Verità (e la vive coerentemente nella pratica) non ha affatto un “nemico” sul quale scaricare le proprie emozioni, sentimenti o contrarietà. Il Papa non è affatto “il nemico”, ben altri sono i veri nemici del Papa e del papato! Il Catechista ha la missione e la vocazione di evangelizzare in un modo più specifico (non per nulla riceve un mandato dal vescovo o dal parroco)  “tutte le genti”, in particolare il gruppo di persone che gli viene affidato in ambito parrocchiale. Chi cerca la Verità non combatte contro qualcuno in particolare, ma semplicemente contro la “non verità” (Ef.6,10-20), contro l’ambiguità, contro le idee, progetti e programmi, chiamiamoli anche progetti pastorali se volete, che tendono a modificare la Verità, la dottrina, il Catechismo stesso, il magistero bimillenario della Chiesa. Vorrei concludere facendo mie le parole di sant’Agostino nella sua preziosa – ed attualissima – Lettera ad un Catechista, come consiglio che vorrei lasciare e su cui riflettere. Scrive il Santo al Catechista:
“Non devi quindi considerarti inutile per il fatto che non ti riesce di spiegare come desideri ciò che sai; a parte il fatto che neppure riesci a capire le cose come vorresti.
Fintanto che siamo in questo mondo, infatti, non vediamo se non «in enigma, come nello specchio» (1Cor.13,12). Neppure l’amore è tanto potente da infrangere il velo opaco della carne per penetrare nel sereno del cielo, da dove prendono luce anche queste cose che passano. Ma siccome chi vive di fede si avvicina ogni giorno di più alla visione di una luce che non conosce l’alterno ritmo del giorno e della notte, e che «occhio non vide, né orecchio udì, né entrò in mente umana» (ivi 2,9), il vero motivo che ci fa percepire come noioso il nostro discorso di iniziazione è proprio il desiderio di veder sempre cose nuove e il tedio di dir quelle vecchie. L’esperienza dice però che ci facciamo ascoltare molto più volentieri, quando facciamo con gioia quel che facciamo: se la trama del nostro discorso è pervasa dalla nostra gioia, essa riesce più spedita e accetta.
Di conseguenza, il problema maggiore non è di saper di dove cominciare o fin dove condurre il discorso su quel che si insegna, né quello di saper se  prolungarlo o abbreviarlo senza comprometterne la completezza, e tanto meno di vedere quando abbreviarlo o prolungarlo. La preoccupazione più grande deve essere quella di trovar il modo di catechizzare gioiosamente: e quanto più ci riusciremo, tanto più piacevole sarà il nostro discorso.
L’esigenza è lampante: «Dio ama chi dà con gioia»; e se ciò è vero riguardo all’elemosina, lo è tanto più riguardo ai doni dello Spirito….(…) il Cristo, per i superbi che non vollero la sua giustizia ma pretendevano di stabilire la propria, non aprì la mano benedicente, ma la tenne chiusa e stretta, per cui quelli, trattenuti ai piedi, inciamparono e caddero, mentre noi ci siamo alzati e stiamo in piedi (Sal. 19). Pur avendo quindi mandato avanti a sé quei santi a preparare la sua venuta, il capo del corpo della chiesa è lui, il Cristo”.
Se neppure questo fosse sufficiente, invitiamo a riscoprire Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II: “La catechesi è stata sempre considerata dalla chiesa come uno dei suoi fondamentali doveri, poiché prima di risalire al Padre, il Signore risorto diede agli apostoli un’ultima consegna: quella di render discepole tutte le genti ed insegnar loro ad osservare tutto ciò che egli aveva prescritto”. E ancora dice: “I papi più recenti hanno riservato alla catechesi un posto eminente nella loro sollecitudine pastorale. (…)  Catechizzare è, in un certo modo, condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni: ‘Mettere in piena luce l’economia del mistero…Comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.. (…)  il cristocentrismo, in catechesi, significa pure che mediante essa non si vuole che ciascuno trasmetta la propria dottrina o quella di un altro maestro, ma l’insegnamento di Gesù Cristo, la verità che egli comunica o, più esattamente, la verità che egli è. Bisogna dire dunque che nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui; e che solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo al Cristo di insegnare per bocca sua.
La costante preoccupazione di ogni catechista — quale che sia il livello delle sue responsabilità nella Chiesa — dev’essere quella di far passare, attraverso il proprio insegnamento ed il proprio comportamento, la dottrina e la vita di Gesù. Egli non cercherà di fermare su se stesso, sulle sue opinioni ed attitudini personali l’attenzione e l’adesione dell’intelligenza e del cuore di colui che sta catechizzando; e, soprattutto, non cercherà di inculcare le sue opinioni ed opzioni personali, come se queste esprimessero la dottrina e le lezioni di vita del Cristo. Ogni catechista dovrebbe poter applicare a se stesso la misteriosa parola di Gesù: ‘La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato’. E’ questo che fa s. Paolo trattando una questione di primaria importanza: ‘Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso’. Quale frequentazione assidua della parola di Dio trasmessa dal magistero della chiesa, quale profonda familiarità col Cristo e col Padre, quale spirito di preghiera, quale distacco da sé deve avere un catechista per poter dire: ‘La mia dottrina non è mia’!”».

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