ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 3 ottobre 2017

L’abito non fa il monaco


TRA "PUBBLICANI E PROSTITUTE"        

Come la "neochiesa" stravolge la parola di Cristo. Riuscendo a capovolgere il senso di una parabola evangelica in 4 mosse, secondo il modello della finestra di Overton, per far dire a Gesù il contrario di quel che Egli ha detto 
di Francesco Lamendola  


Domenica 1° ottobre 2017, sulla frequenza di Rete 2000, don Dino Pirri, classe 1972, parroco a Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno, e conduttore di una serie di commenti televisivi al Vangelo festivo intitolata (ma guarda che originalità…) Sulla strada, tanto per far capire da che parte sta in tempi di preti di strada e di vescovi di strada, ha parlato della pagina evangelica di Matteo, 21, 28-32 (XXVI del Tempo Ordinario, anno A), in cui Gesù racconta la parabola del padre e dei due figli ai quali aveva chiesto di andare a lavorare nella vigna, per poi affermare davanti ai sacerdoti e agli anziani del popolo che i pubblicani e le prostitute passeranno loro avanti nel Regno di Dio. È stata una magnifica occasione per paragonare gli scribi e i farisei ai cattolici, fermo restando il secondo termine di paragone: i peccatori e le prostitute. 

In tal modo, nella versione politicamente corretta dell’esegesi biblica, secondo il nuovo corso bergogliano, progressista e misericordioso, il messaggio della parabola, attualizzato, diventava il seguente: i cattolici sono come il figlio che promette di andare a lavorare nella vigna, ma poi non ci va; si vantano di essere cattolici, pensano di avere il Vangelo dalla loro e la salvezza assicurata, invece sono pieni di  malizia, indolenza e ipocrisia; mentre le prostitute e i peccatori sono molto meglio di loro, benché peccatori, perché sono più disponibili a fare ciò che è giusto, pur senza dirsi e senza essere cattolici. In sintesi: è meglio non esser cattolici che esserlo: ci sono maggiori probabilità di entrare nel Regno dei Cieli. Ancora più in sintesi: che brutta gente, i cattolici; gente da cui è meglio stare alla larga, falsa come la moneta, per giunta superba; molto meglio di loro i peccatori che vengono dalla strada, però, in fondo, sono tutti delle brave persone. Ovvero: come ti capovolgo il senso di una parabola evangelica in quattro mosse, secondo il modello della “finestra di Overton”. Prima mossa: si “forza” l’identificazione dei sacerdoti e degli anziani del popolo con quella dei cattolici d’oggi, troppo orgogliosi di star dentro la Chiesa. Seconda mossa: la Chiesa è fatta di gente insincera, che non fa quel che dovrebbe fare, perché pensa di essere già a posto con Dio. Mossa numero tre: quelli che sono fuori della Chiesa, quelli che non sono cattolici, che non credono né ai Sacramenti, né alla Grazia, né al Giudizio di Dio, verranno prima di loro nel Regno dei Cieli. Quarta mossa: dunque, evviva i non cattolici, evviva la gente che non vuol saperne del Vangelo, perché, tutto sommato, si tratta di una umanità più sana, più “pulita”, non ancora corrotta dalla presunzione della salvezza: è come il buon selvaggio di Rousseau, non ancora corrotto dai cattivi costumi della società; e abbasso, naturalmente, i cattolici, questa razza di vipere che da sempre si vanta di virtù che non possiede, che ha in bocca la parola di Dio, però non la mette in pratica mai.
C’è solo un piccolo dettaglio che non quadra, in tutta questa bella manovra strategica: che Gesù Cristo non intendeva dire affatto una cosa del genere. Tanto per cominciare, Gesù parlava in maniera deliberatamente provocatoria, ma per una ragione tanto precisa quanto contingente: le sue parole non hanno un valore assoluto, ma relativo, perché, in quel momento, il suo scopo era quello di smascherare la malizia degli anziani e degli scribi, i quali, a loro volta, avevano cercato di metterlo con le spalle al muro, sfidandolo e chiedendogli con quale autorità dicesse e operasse quelle cose. Pertanto, non stava affermando una regola di carattere generale: non stava asserendo che i peccatori sono migliori dei non peccatori. In secondo luogo, le prostitute e i pubblicani di cui parla Gesù hanno avuto un profondo e radicale pentimento, si sono ravveduti e hanno deciso di cambiar vita: non entrano nel Regno dei Cieli da peccatori, ovviamente, ma da redenti e riconciliati con Dio; se si omette questo aspetto, è come se si dicesse che Gesù ha rimandato libera la donna adultera, senza farle alcuna esortazione o raccomandazione, mentre invece le ha detto: Vai, e non peccare più. Anche l’affermazione di Gesù, di essere venuto per i peccatori e non per i giusti, viene facilmente distorta e addirittura rovesciata, qualora non la si collochi nella giusta prospettiva: cioè che Gesù è venuto per i peccatori, sì, ma allo scopo di redimerli, non di lasciarli nel peccato; e che i giusti non hanno bisogno di lui, non perché Egli non si cura dei giusti, ma perché essi sono già salvi, come le novantanove pecorelle che sono al sicuro nell’ovile, per cui il Buon Pastore se ne va a cercare quella che s’era smarrita. Se si tace, o si minimizza, questo aspetto, che poi è quello essenziale, della conversione dei peccatori, si stravolge il Vangelo e si manipola la Parola di Gesù; paradossalmente, si compie un’alterazione della verità simile proprio a quella dei farisei e degli scribi, i quali, per il fatto che Gesù non disdegnava la compagnia dei peccatori, lo accusavano di essere simile a loro, un ghiottone e un beone, che mangiava e faceva un mucchio di cose nel giorno di Sabato, non curandosi affatto della Legge di Dio.
Nella loro malizia, i neopreti della neochiesa vorrebbero operare una sottile ma radicale forzatura del senso delle Parole di Cristo e delle sue azioni, per farne una specie di campione dell’umanità peccatrice, e non già il suo Redentore. Non solo: il loro vero intento è soprattutto quello di puntare l’indice contro la Chiesa e contro i cattolici, accusando l’una di non essere rimasta fedele al vangelo (come facevano e fanno i protestanti), gli altri di essere legati in maniera meschina e presuntuosa al loro credo, dal quale si aspettano la salvezza in maniera automatica, mentre è dubbio che essi siano in grazia di Dio ed è più probabile che i peccatori li precedano agli occhi del Signore. Insomma, costoro riescono a  servirsi del Vangelo per pretendere una chiesa che sia sempre meno Chiesa, che sia sempre più una anti-chiesa, una contro-chiesa, e per invitare i cattolici a non essere più tali, perché, fra tutti gli uomini, i cattolici sono, a ben guardare, quelli che hanno meno probabilità di entrare nel Regno di Dio, dato che sono anche i più formalisti e i meno sinceri nel mettere in pratica i comandamenti. In tal modo, i neopreti stanno costruendo, giorno dopo giorno, un  neo-vangelo, o contro-vangelo, o anti-vangelo, nel quale essi riescono a far dire e fare a Gesù Cristo più o meno il contrario di quel che Egli ha detto e fatto. Quando Gesù dice che sono i malati ad avere bisogno del medico, e non i sani, dice una cosa evidente e di puro buon senso; però, nella bocca di codesti preti progressisti e modernisti, la frase di Gesù muta completamente di significato e pare voglia indicare che il medico non si cura dei sani, mentre vuol bene solo ai malati, non al fine di guarirli, ma così come sono. E che altro significa, nel capitolo 303 della esortazione Amoris laetita, affermare - come fa papa Francesco – che Dio, in certe circostanze, non chiede al peccatore di uscire dal suo stato di peccato, ma si accontenta di ciò che egli, “in coscienza” (sic!), può fare, anzi, arriva addirittura ad affermare che Dio, in certi casi, non solo si aspetta dal peccatore che persista nel suo peccato, ossia che il divorziato persista nel legame con un altro uomo o un’altra donna, ma che, forse, questo è esattamente ciò che Dio desidera che egli faccia? Non è questo un esempio chiarissimo dello stravolgimento di senso del Vangelo, operato soprattutto sotto il pontificato di Bergoglio, e volonterosamente portato avanti da migliaia di neopreti, entusiasti di questo papa, proprio perché è un papa secondo i loro desideri, cioè un papa secondo ciò che piace al mondo piuttosto che secondo ciò che piace a Dio?
Prendiamo adesso il caso del vescovo di Bologna Matteo Zuppi, tipico esempio di neovescovo della neochiesa, o di vescovo di strada, come lui e i suoi simili amano definirsi, civettando con l’analogia implicita con le donne di strada; ma, per carità, sempre nel senso “evangelico”, cioè che le donne di strada precederanno gli altri nel Regno dei Cieli. Monsignor Zuppi ha avuto la bella pensata di far allestire un pranzo per oltre mille persone povere (oltre mille, sì, avete capito bene), con il papa Francesco quale ospite d’onore, dentro la basilica di san Petronio: immaginatevi le tavole, il cibo, i bagni chimici per mille persone. Evidentemente, nella diocesi di Bologna non c’era un altro locale da adibire per la bisogna; non c’era un salone parrocchiale, o un asilo, o, in questi tempi di crisi delle vocazioni, la mensa di un seminario semivuoto, o chiuso del tutto. Eh, no: bisognava che fosse proprio una chiesa, anzi, la Chiesa, la basilica principale della sua diocesi, per far vedere da che parte sta lui, il vescovo di strada: dalla parte dei poveri, naturalmente. E subito la stampa filo-bergogliano è scesa in capo per difenderlo dalle basse insinuazioni dei malevoli, e per ricordare che anche in passato i poveri sono stati accolti e sfamati in chiesa, ad esempio (sono citazioni di Vatican Isider) ai tempi di papa Gregorio Magno, che serviva addirittura a tavola, oppure prima ancora nel V secolo, quando Paolino da Nola in persona poté assistere, e lodare, un pranzo per i poveri offerto nella Basilica di san Pietro. C’è un particolare, però, che questi sfegatati tifosi della neochiesa progressista non hanno considerato: che non c’era alcuna necessità impellente, tale da giustificare una simile profanazione: nessuna guerra, nessuna pestilenza, nessun terremoto; sì: profanazione; perché le chiese sono fatte per celebrare la santa Messa, cioè il Sacrificio eucaristico, non per far pranzare le persone, tanto meno per fungere da gabinetto pubblico. Per quelle cose, ci sono le mense dei frati o quelle parrocchiali, che possono svolgere egregiamente la loro funzione, senza sognarsi d’insozzare la chiesa, luogo di culto e di preghiera. Ma il messaggio dei neovescovi è evidente: vogliono desacralizzare il sacro, vogliono far vedere che l’unica cosa che conti è l’amore dei poveri. Inutile dire che non si danno alcun pensiero di domandarsi se Gesù si fosse mai fatto assistente sociale a beneficio dei poveri, e se, quando parlava dei “poveri”, il Signore intendesse sempre e solo quelli che lo sono in senso materiale, o non anche, e magari soprattutto, i poveri in senso morale, cioè coloro che se ne stanno lontani dall’amore di Dio: cosa che può succedere anche ai ricchi, anzi, soprattutto ai ricchi, visto ciò che ha detto sul fatto che è più facile che un cammello passi per la cruna di una ago, che un ricco entri nel Reno dei Cieli. Insomma, Gesù non era né un operatore sociale, né un sindacalista, né un riformatore politico e tanto meno un rivoluzionario: era il Figlio di Dio venuto ad annunciare la Buona Novella dell’amore e del perdono, e soprattutto della confidenza totale nel Padre.
E il papa misericordioso, quello stesso che, con pochissima misericordia, e senza alcuna spiegazione, ha commissariato i Francescani e le Francescane dell’Immacolata, troppo cattolici per i gusti di un papa che si è premutato di farci sapere che “Dio non è cattolico”, è andato a san Petronio all’invito di Matteo Zuppi, il giorno 1° ottobre 2017, e ha consumato, insieme ai poveri, un pranzo a base di lasagne e cotolette, come la stampa servilmente adulatrice si  è affrettata ad informarci.   
Come la neochiesa stravolge la Parola di Cristo

di Francesco Lamendola

Del 03 Ottobre 2017
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