Pranzo in Basilica, i buchi di Tornielli
Avevo voluto scrivere al Direttore una semplice lettera
(qui), nella quale si chiedeva di rivedere questa prassi di usare le chiese per
finalità diverse da quelle per cui sono state dedicate, e nella quale si
tentava di far riflettere sulle conseguenze nefaste circa l’eliminazione della
distinzione tra sacro e profano, che un atto come quello avvenuto domenica,
nella basilica di san Petronio a Bologna, avrebbe provocato. Ma già porre la
questione ha fatto saltare i nervi a qualcuno, al punto che si è messa in moto
la contraerea, nella persona di Andrea Tornielli su La Stampa (vedi qui).
Intendo sorvolare sui soliti toni usati, che ovviamente cercano di banalizzare
fin dall’inizio la questione, come una cosa di qualche stupido che non conosce
la storia della Chiesa e di squalificare come “tradizionalista” che deve
cercare la sua quotidiana accusa contro il Papa chi ha dissentito
dall’iniziativa di monsignor Matteo Zuppi.
Veniamo però alle argomentazioni, che sono fondamentalmente
racchiuse nell’affermazione di Tornielli di dimenticare e ignorare la storia
della Chiesa.
Gesù ha mangiato con i peccatori, destando scandalo, e san
Giovanni Crisostomo esorta a servire prima Cristo nei bisognosi e poi ad ornare
l’altare. Questa osservazione, riportata da Tornielli, non avrebbe bisogno di
commenti, perché la nostra critica non sta nel fatto di mangiare con i poveri e
neppure nel fatto di soccorrerli nei loro bisogni, quanto piuttosto
nell’opportunità di mangiare dentro la Basilica. Ma mi ci soffermo perché
questa prima argomentazione di Tornielli ricalca la motivazione data da mons.
Zuppi al clero di Bologna, che era in gran parte contrario all’iniziativa. Di
fronte all’opposizione del suo clero, sia in sede di confronto pubblico che
privato, Sua Eccellenza ha motivato l’opportunità di mangiare in Basilica
ricorrendo alla sacramentalità dei poveri; in altre parole, nei poveri è
presente Cristo, quindi i poveri possono stare in Basilica. Ma questa
motivazione, a mio avviso, sposta la questione su un terreno che non è il suo.
Nessuno contesta il fatto che i poveri possano entrare in san Petronio e
nemmeno che servire il nostro prossimo significhi servire Cristo, ma
l’obiezione che continuo a muovere sta nel fatto che si voglia mangiare in
Basilica e non in altre strutture che alla diocesi di Bologna, grazie a Dio,
non mancano.
La parte principale dell’articolo di Tornielli menziona tre
Padri della Chiesa, a sostegno del fatto che sia assolutamente tradizionale che
i poveri mangino dentro una chiesa. I testi sono rispettivamente di San
Giovanni Crisostomo, San Gregorio Magno e San Paolino da Nola. Le citazioni
sono tratte dalla rivista Communio (n.220, anno 2009), che Tornielli ha a cuore
di qualificare come non “eversiva”. In altre parole: cosa volete di più? Questi
testi sono riportati dalla rivista fondata nientepopodimenoché da Joseph
Ratzinger… Però l’autore dell’articolo citato da Tornielli è don Vittorio
Ianari, guarda caso membro della Comunità di Sant’Egidio, come mons. Zuppi; e
sempre guarda a caso i passi citati sono presenti pari pari in un testo di
mons. Vincenzo Paglia, anche lui della Comunità di Sant’Egidio, quando era
ancora vescovo della Diocesi di Terni-Narni-Amelia (scaricabile qui). Mi sembra
quindi che si tratti di una selezione della tradizione della Chiesa un po’ di
parte, made in Sant’Egidio. Ed anche un po’ forzata, come cercherò di spiegare
nei punti successivi.
1. Qual è il contesto remoto dei testi dei Padri citati?
Giovanni Crisostomo è il primo in ordine temporale; stiamo parlando di un Padre
del IV secolo; Paolino è leggermente più tardivo (muore nella prima metà del V
secolo), mentre Gregorio Magno è il più “recente” (540-604). Soprattutto per
quanto riguarda i primi due, siamo nel primo periodo post-costantiniano; il che
significa che la Chiesa sta gradualmente organizzando, tra l’altro, i propri
riti liturgici. Per quanto riguarda il rito di dedicazione delle chiese, le
prime notizie si collocano intorno ai primi decenni del 300 (dedicazione della
cattedrale di Tiro e della basilica del S. Sepolcro a Gerusalemme) e le notizie
storiche sembrano convergere nel sottolineare l’assenza di un rito particolare:
le chiese venivano “inaugurate” semplicemente con la celebrazione solenne dei
Divini Misteri, senza altri riti specifici.
Secondo il Righetti, questa prassi perdura a Roma per tutto
il VI secolo. Questa contestualizzazione è importante per capire che i
riferimenti liturgici relativi a questi primi secoli non devono mai essere
assolutizzati: usanze in uso al tempo sono state poi gradualmente rimosse o
rettificate dallo sviluppo liturgico successivo. «Non sarebbe animato da zelo
retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi
ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza
e per le mutate circostanze»: così Pio XII nella Mediator Dei, condannando
«l’eccessivo e insano archeologismo».
L’archeologismo è una delle più grandi pesti contemporanee e
non solo in ambito liturgico. Si tratta di una moda che tratta la tradizione
della Chiesa come un insieme di oggetti più o meno antichi, collocati in
vetrina senza un ordine logico, dei quali si può fare man bassa per
giustificare qualsiasi cosa, sia in senso progressista che tradizionalista. Non
si coglie che invece la tradizione ha una “direzione”, non presupposta
ideologicamente, ma che emerge chiaramente dal suo effettivo sviluppo. In
soldoni: è insano archeologismo andare a pescare episodi dell’antichità per
ripristinare usi o insegnamenti che la tradizione della Chiesa ha
consapevolmente lasciato cadere, se non apertamente respinto.
2. Da quanto detto consegue che, nella vera ermeneutica
della tradizione, “una rondine non fa primavera”. Non basta citare un Padre qui
e una fonte liturgica là. Non sono le sentenze dei singoli Padri ad indicare la
linea di sviluppo della tradizione, ma l’unanimis consensus patrum, che in
definitiva significa il consensus Ecclesiae. Il 5 novembre 1987, la
Congregazione per il Culto Divino indirizzava ai presidenti delle Conferenze
Episcopali la lettera De concentibus in ecclesiis, dove riprendeva proprio la
tradizione della Chiesa per ricordare che «il principio che l’utilizzazione
della chiesa non deve essere contraria alla santità del luogo determina il
criterio secondo il quale si deve aprire la porta della chiesa a un concerto di
musica sacra o religiosa, e la si deve chiudere ad ogni altra specie di
musica», compresa quella sinfonica.
Sulla base di quale criterio la Congregazione diede questa
disposizione (prontamente disattesa)? Sulla verità secolare che «le chiese… sono
luoghi sacri, cioè “messi a parte” in modo permanente, per il culto a Dio,
dalla dedicazione o dalla benedizione… Quando le chiese si utilizzano per altri
fini diversi dal proprio, si mette in pericolo la loro caratteristica di segno
del mistero cristiano, con danno più o meno grave alla pedagogia della fede e
alla sensibilità del popolo di Dio».
E’ esattamente quello che ho cercato di mettere in rilievo
con la mia lettera; se ho parlato di profanazione, l’ho fatto con il preciso
scopo di far capire che l’atto di mangiare dentro la basilica, pur potendo fare
diversamente, costituisce un “declassamento” di un edificio sacro ad un uso
profano. E dunque un abuso. Non è un attacco personale né all’Arcivescovo né al
Papa.
3. Consideriamo i tre testi ad uno ad uno. Anzitutto il
Crisostomo; è interessante notare che questo Padre già parla al passato: «Nelle
chiese c’era un’usanza ammirevole… i fedeli partecipavano… invitavano i poveri,
etc». Questo dettaglio ci permette di capire che nel quarto secolo si considerava
questo uso come già appartenente al passato. San Giovanni Crisostomo loda ciò
che spingeva i cristiani a queste agapi fraterne, ma non manifesta nessuna
intenzione di ripristinare un uso che evidentemente non era più considerato
opportuno nella Chiesa. Eppure, come Vescovo, avrebbe potuto farlo! Se non l’ha
fatto, evidentemente era consapevole dei “danni più o meno gravi”, secondo
quanto riportato dalla lettera sopra citata, che questa prassi poteva
comportare e che ha incentivato le Chiese locali a trovare altri luoghi più
consoni per tali attività caritative.
La lettera con cui Paolino da Nola elogia il senatore
Pammachio, che diede un banchetto per i poveri in occasione dei riti funebri
della moglie, richiede una breve premessa. Siamo nel IV secolo e l’opera della
Chiesa si innesta all’interno di un contesto pagano. I riti funebri dell’antica
Roma prevedevano, tra l’altro, un banchetto funebre accanto alla tomba del
defunto. L’evangelizzazione di questi secoli richiese una paziente opera di
“bonifica” di diverse usanze pagane, tra cui appunto i riti funebri. Vennero
perciò ammessi banchetti rituali collegati alle feste liturgiche dei martiri o
ai suffragi dei defunti, banchetti che però vennero ben presto celebrati al di
fuori dei luoghi sacri. Avvenne come nell’VIII secolo per le ordalie, importate
dall’ordinamento giuridico longobardo, tollerate in un primo momento dalla
Chiesa e poi gradualmente eliminate.
Ora, il fatto di giustificare il pranzo con i poveri in san
Petronio, ricorrendo a questa lettera di San Paolino (la citazione della
lettera a Pammachio è riportata anche sui volantini distribuiti dalla Diocesi
di Bologna per supportare l’evento) oltre ad essere una forzatura storica,
dovuta alla citazione di un testo fuori contesto, manifesta purtroppo la
paganizzazione operante all’interno della Chiesa: ai tempi di san Paolino,
infatti, la Chiesa stava gradualmente facendo uscire il popolo dal paganesimo,
tant’è vero che l’uso dei banchetti funebri finì per sparire dalle chiese;
mentre oggi si vogliono ripristinare questi usi scomparsi, segno della
secolarizzazione e paganizzazione penetrata nella Chiesa, ad ogni livello.
Anche il riferimento a San Gregorio Magno è
decontestualizzato, sebbene Tornielli non manchi di ricordare che quelli erano
momenti particolarmente difficili per la città di Roma. In verità non si
trattava semplicemente di momenti difficili, ma di un periodo veramente
tragico, che sembrava non finire mai. San Gregorio Magno, nel suo commento a
Ezechiele, tratteggia il dramma che travolgeva Roma e buona parte dell’Italia,
a causa dell’invasione longobarda: «Da ogni parte siamo circondati dalle spade,
da ogni parte temiamo imminente il pericolo di morte. Alcuni ritornano da noi
con le mani troncate, altri sono stati fatti prigionieri, di altri ci giunge
notizia che sono stati uccisi». Saccheggi, deportazioni, morti, carestia,
malattie: era questo lo scenario quotidiano davanti agli occhi di Gregorio; chi
avrebbe qualcosa da obiettare se in situazioni di così grave necessità le
chiese venissero aperte ai miseri, per dar loro di che sopravvivere? Ma come si
fa a paragonare il pranzo di domenica, dove in Basilica, secondo le foto
riportate proprio su La Stampa, c’erano i poveri con il cellulare a fare selfie
con papa Francesco, in una Bologna che ha mense per poveri e centri di
accoglienze sia da parte di associazioni cattoliche che laiche, con il
triclinium pauperum al Celio?
Luisella Scrosati
http://www.lanuovabq.it/it/pranzo-in-basilica-i-buchi-di-tornielli
SAN PETRONIO DOMENICA, POI TARRAGONA, CATALOGNA. L’USO DELLE CHIESE COME SPAZI POLIFUNZIONALI. UN DIBATTITO.
SAN PETRONIO DOMENICA, POI TARRAGONA, CATALOGNA. L’USO DELLE CHIESE COME SPAZI POLIFUNZIONALI. UN DIBATTITO.
MARCO TOSATTI
Mentre in Italia si discute accanitamente sulla tavolata imbandita a San Petronio, in pieno stile Sant’Egidio, per mangiare con il Pontefice, un dibattito certamente serrato, come potete vedere QUI e QUI, in Spagna si ampliava ulteriormente il concetto di chiesa come luogo poli-funzionale, stile sala comunale attrezzata o palestra multiuso.
In una parrocchia dell’arcidiocesi di Tarragona, come ci informa Infovaticana, guidata da mons. Jaime Pujol, si è avuto lo strano matrimonio d liturgia, fede e politica. In una chiesa di Villa-Rodona, a Alt Camp, mentre era in corso una liturgia in contemporanea si svolgeva il conto di conferma delle schede per il referendum (giudicato illegale dal governo centrale).
Mentre i fedeli nei banchi cantavano e pregavano durante l’ufficio si svolgeva lo scrutinio delle schede.
Il sacerdote, in paramenti liturgici, era all’altare; vicino a lui varie persone ordinavano su una tavola le schede di voto.
Non è chiaro di quale cerimonia liturgica si trattasse. Ma è indubbio che c’erano canti e preghiera e il sacerdote era vestito come se dovesse celebrare messa.
Naturalmente è un fatto che ha destato scalpore. E proteste. Jaume Clotet, Direttore generale della comunicazione del governo della Catalogna, ha commentato su Twitter: “Quelli stessi che approvavano quando la Chiesa polacca faceva fronte alla dittatura comunista adesso si irritano se si mettono le urne in una chiesa catalana. Va così”.
Insomma, avrà anche ragione, ma forse sarebbe opportuno mantenere il senso delle proporzioni….
E umilmente chi scrive fa notare che di norma nelle moschee e nelle sinagoghe , davanti al mihrab e ai santi sefarim non si fa altro che pregare. La perdita del sacro di cui tanto ci si lamenta vive anche di questi episodi.
http://www.marcotosatti.com/2017/10/03/san-petronio-domenica-poi-tarragona-catalogna-luso-delle-chiese-come-spazi-polifunzionali-un-dibattito/
Don Camillo e le lasagne
Cerco di restare un po’ defilato. Se qualcuno scoprisse che sono qui potrebbero essere guai. La stampa non è stata invitata.
Mentre mi aggiro furtivo tra le cappelle laterali, scorgo una figura in penombra, robusta. Mi avvicino.
È un uomo piuttosto alto, con dei gran piedoni. E ora si sta inginocchiando. Ma quello… quello è don Camillo! Certo, proprio lui! Indossa la tonaca nera e la solita beretta.
Che sorpresa! Si vede che è venuto fin qui a Bologna, dalla Bassa, per vedere il papa da vicino. Non è invecchiato, è sempre lo stesso.
Tendo l’orecchio. Sta parlando, ma con chi? Vicino a lui non c’è nessuno! Ma certo: sta parlando con il Crocifisso.
Forse se mi avvicino ancora un po’, dietro questa colonna… Ecco, sì. Posso ascoltare il dialogo.
«Gesù, che cosa ne pensate? Io non sono nessuno ma, con tutto il rispetto, a me questa cosa del pranzo non sembra tanto giusta. Tutti questi tavoli, le stoviglie, le pietanze. La gente che chiacchiera. Ma è la casa di vostro padre o una trattoria?».
«Don Camillo, don Camillo! Non fare il difficile! Se la gente è contenta di stare qui in compagnia del papa, davanti a un buon piatto di lasagne, che male c’è? Lo vedi, sono persone sfortunate. Molti non hanno una casa, un parente, un amico, un lavoro. Oggi la casa di mio Padre è la loro casa. Dovresti essere contento».
«Ma Signore! Se prendo il vocabolario, alla voce chiesa c’è scritto “edificio consacrato al culto cristiano”, non edificio da utilizzare per i banchetti. Per quelli ci sono altri posti. Qui ci siete voi appeso alla Croce, c’è vostra Madre. Ci sono le reliquie di san Petronio. C’è la Santissima Eucaristia conservata nel tabernacolo. Non lo so, mi sento a disagio»
«Don Camillo! Non ricordi che cosa ho detto? Ogni volta che avete fatto questo a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. E dimentichi forse le opere di misericordia corporale? Dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati. Ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi…»
«Mo’ sì che me le ricordo, Gesù. Ma voi non avete mica detto di dar da mangiare e da bere nella casa di vostro Padre. Guardate: tutti parlano e mangiano. Niente di male, ma mi sembra che così non si renda il giusto onore a Dio e neanche a voi, che non ci sia quel rispetto che dovrebbe esserci in un posto come questo. Io nella mia chiesa di Brescello non l’avrei fatto, ecco»
«Don Camillo! Mi stai diventando formalista?».
«Signore, sono confuso. Capisco le buone intenzioni, ma mi sembra che davanti al Santissimo Sacramento ci vorrebbe più rispetto. Già normalmente, durante le funzioni, pochi si inginocchiano e sembrano pensare agli affari loro. Adesso poi anche la trattoria!»
«Don Camillo, ora sei tu a mancare di rispetto!»
«Sì Signore, scusatemi. Ma secondo me ci vorrebbe un po’ di deferenza, ecco»
«Deferenza? Che parola, don Camillo! Parli come uno del secolo scorso»
«Ma Signore, io sono uno del secolo scorso!»
«E si vede, don Camillo, lasciatelo dire. Non sai che c’è stato l’aggiornamento pastorale?»
«Guardate, Gesù, a me quelle parolone lì non mi convincono. Aggiornamento. Pastorale. Non capisco. Vedo solo che pochi entrano in chiesa e quei pochi sono distratti e si fanno il segno della Croce come se disegnassero uno sgorbio nell’aria, e…»
«Don Camillo, ma tu guardi alle apparenze o alla sostanza? Magari un segno di Croce fatto in fretta ma con fede vale più di tanti inchini fatti tanto per fare, o per mettersi in mostra. E comunque si stava parlando del pranzo, se non sbaglio»
«Ecco, sì, il pranzo. Gesù, io sono felice per tutte queste persone, davvero. Mi chiedo solo perché sia stata scelta la basilica, e una basilica così antica e preziosa come questa. Guardate, tutti mangiano e chiacchierano, ma nessuno rivolge lo sguardo verso di voi»
«E meno male, don Camillo! Vuol dire che le lasagne sono buone. Se guardassero me sarebbe un brutto segno!»
«Non scherzate, Signore. Io sono veramente a disagio»
«Guarda, don Camillo. Secondo me le intenzioni del signor vescovo e del papa sono buone. Vogliono rendere più umana l’Eucaristia e ricordare che io sono in tutte le persone, ma soprattutto in quelle che soffrono. Che cosa c’è di male?»
«Lo capisco, Gesù. Ma ripeto: perché qui? A dirla tutta, mi viene un sospetto»
«Quale, don Camillo?»
«Ehm, ecco… Che, sotto sotto, il pranzo sia stato organizzato non proprio per i poveri, ma…»
«Ma?…»
«Ma per l’immagine, come si dice oggi»
«Che immagine, don Camillo? Non ti capisco»
«Ma sì, per dare un’immagine di Chiesa buona e brava, misericordiosa. Come si fa con la pubblicità»
«Don Camillo!»
«Scusatemi, Signore. Lo sapete che con voi mi piace parlare apertamente»
«Ma adesso stai esagerando! Tu parli di rispetto, ma coltivare questi sospetti non è certo rispettoso!»
«È vero, Signore, e torno a scusarmi. Comunque dico: era proprio necessario mettere anche i bagni chimici qui vicino? A me sembra troppo, ecco»
«Don Camillo, ho l’impressione che questa conversazione non stia portando da nessuna parte. E quanto ai sospetti…»
«Sì, Signore?»
«Ne ho uno anch’io»
«Davvero, Signore?»
«Sì, che tu invecchiando sia diventato un po’ acido, come certi vini»
«Ma… ecco… io…»
«E che forse tu sia anche un po’ invidioso»
«Invidioso? Io? Ma Gesù!»
«Sì, perché te ne stai qui al lume di candela, tutto in disparte, e non sei là con gli altri, davanti a un bel piatto di lasagne»
«Ma no, Signore…»
«Don Camillo, don Camillo, ti conosco troppo bene»
«Lo so, Signore, e vi ringrazio per la pazienza che avete con me»
«Su, ora va’. Senti che buon profumo. Se chiedi, magari ne è rimasta una porzione per te»
«Ma no, Signore, son sincero. Io sono qui per voi, solo per voi. Avevo tanta voglia si ascoltarvi. Vicino al papa ci sono tanti prelati importanti, e mi son ricordato di quando mi fecero monsignore. Come stavo male lontano da voi! Ma quando tornai a Brescello sentii di nuovo la vostra voce…»
«Sì, perché lì eri più vicino a te stesso»
«Gesù, avevo tanta voglia di parlare con voi. Come ne ho ancora adesso»
«Bene, bene, don Camillo. Ma ora va’. E fa’ come t’ho detto, chiedi un piatto di lasagne, mi raccomando. Se non mangi qualcosa, come fai a tornare a Brescello in bicicletta?»
«Grazie, Signore»
«Grazie a te per la visita. Ah, salutami Peppone! E… tieniti d’occhio, don Camillo!»
Aldo Maria Valli
http://www.aldomariavalli.it/2017/10/02/don-camillo-e-le-lasagne/
Il business dell’accoglienza
Domenica a Bologna, città dei cardinali Gicomo Biffi e Carlo Caffarra, che non sono mai stati neppure nominati, Bergoglio ha messo in scena l’ennnesimo spot pro immigrazione, recandosi dell’hub di via Mattei, dove vengono ospitati circa 1000 profughi. Veniva da qui Abid Jee, il mediatore culturale, stipendiato con i soldi pubblici, secondo il quale le donne stuprate, dopo un po’, godono. Le cooperative che gestiscono la struttura prendono dallo Stato italiano dai 9 ai 12 milioni di euro annui.
Un grande business, dentro il quale stanno migliaia di donne immigrate che finiscono nella prostituzione; bambini che vengono arruolati nella criminalità; adulti che si trovano a vivere senza famiglia, senza lavoro, mantenuti, e che non di rado delinquono (spaccio, violenze..).
Si continua a chiamarla accoglienza, ma come risulta anche da Mafia capitale, si chiama business: perchè la gestione degli immigrati, a cura di ONG, cooperative, politici…, pur presentata come opera di bene, “rende più della droga”.
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2017/10/il-business-dellaccoglienza/
“Lasagnette al ragù di manzo, cotoletta di tacchino con crema di parmigiano accompagnata da patate alla provenzale, centrotavola di uva e prugne settembrine e torta di riso”: così recita il menu del pranzo servito la scorsa domenica nella basilica di San Petronio a Bologna per l’incontro di Bergoglio con “gli ultimi”. I penultimi si sono dovuti accontentare fuori con un panino. Naturalmente, spiega “Repubblica”, “sono state usate stoviglie totalmente biodegradabili”, così la “Green Church” guidata da Omissis I ha rispettato il precetto domenicale. Poi tutti al Dall’Ara con bandiere e striscioni perché, se in basilica si mangia, la messa si fa allo stadio: i canoni della chiesa invertita sono inflessibili.
Il “bravo vaticanista” si è affrettato a spiegare che non è vero che in basilica fossero stati installati i bagni chimici, quindi sia anatema chi parla di profanazione. Però l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi ha spiegato in un’intervista a radio InBlu che “quello che è successo non significa desacralizzare, anzi ci aiuta a capire ancora meglio e a sentire ancora più umana l’eucarestia”. Il che sembrerebbe una profanazione ben peggiore dei cessi chimici in basilica.
Di contorno, ci sono stati gli elogi bergoglieschi al “modello emiliano”, l’invito agli immigrati ad assimilare la cultura di Bologna e non quella cristiana, la foto di Omissis I con tanto di bracciale 3900003 mano nella mano con il profugo. La chiesa che piace è questa, una chiesa tutta nuova che di nostro Signore non sa proprio cosa fare. Anzi lo sa benissimo, ne fa una macchietta. Non a caso Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, ha affidato al vignettista Sergio Staino, presidente dell’Unione Atei e Agnostici Razionalisti, lo spazio domenicale per una striscia a fumetti intitolata “Hello Jesus”. In un’intervista al “Corriere”, Staino spiega l’operazione così: “Gesù ha l’aspetto di mio figlio a 20 anni e l’aria di non sapere cosa fare nella vita. Il babbo Giuseppe è Bobo, preoccupato come tutti i padri per quelle frequentazioni maschili. Gli dice: dammi una mano in bottega, che dobbiamo reggere la concorrenza con l’Ikea”.
In sovrappiù, dice di non rinnegare l’ateismo. Evidentemente, nella neochiesa di Omissis I, che offre le lasagnette invece dell’Eucaristia, e al calduccio del Sol dell’Avvenire un ateo si trova a casa sua.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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