ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 10 novembre 2017

Cari ragazzi:non lasciatevi ingannare!


UNA SOSTITUZIONE DI CIVILTA'


I giovani e il diritto di sapere:cosa ne sanno della società prima del diluvio e Grande Mutazione? Questa non è la Chiesa di Gesù Cristo e il destino del maschio non è di farsi sodomizzare da un altro maschio ma amare una donna 
di Francesco Lamendola  

  

Viviamo nella cultura dei diritti: tutti sventolano, rivendicano, pretendono il riconoscimento di una serie infinita di diritti; nessuno parla mai dei doveri, meno ancora dei sacrifici, delle rinunce, della conquista lenta, paziente e meritata di ciò cui onestamente e legittimamente si aspira; tutti si aspettano il successo dietro l’angolo, insieme ai soldi, al sesso, alla gloria e al potere, ma non per una qualche abilità, coltivata con serietà e diligenza, bensì sulla base del nulla, del narcisismo più sfrontato e della pura e semplice faccia tosta.
In questa ubriacatura, in quest’orgia dei diritti e delle rivendicazioni, in questo parossismo di sedicente impegno civile, di sacrosante “lotte”, “battaglie” e “campagne” per la giustizia, la libertà e la pace, nonché di militanza ideologica (altro che tramonto delle ideologie: ma se tutto, ormai, è diventato ideologico, anche andare al cesso!), quel che più colpisce le persone che hanno passato gli anta è la sistematica, furbesca, pianificata rimozione del passato, affinché i giovani non solo non possano fare confronti, ma non sappiano affatto che cos’era la nostra società, che cos’era la famiglia, che cos’era la scuola, che cos’era la Chiesa, che cos’era l’esercito, che cos’era la Patria, che cos’erano il lavoro, il risparmio, e quindi anche le banche, e cos’erano la televisione e lo sport, prima del diluvio: prima della Grande Mutazione che, a partire dalla seconda metà del Novecento, e oggi con ritmo sempre più serrato, addirittura frenetico, ha letteralmente cambiato il volto del mondo in cui viviamo, dai particolari più secondari fino alle cose più importanti, e ciò tanto nell’ambito della vita privata (o di quel che ne rimane), quanto in quello della vita pubblica. Infatti, se il mondo ha totalmente cambiato aspetto, ma i giovani non lo sanno, né lo devono sapere; se questa sostituzione di civiltà, da una civiltà dei valori a una civiltà dei diritti unilaterali (e quindi del nulla), da una civiltà della vita, con tante nascite e fiducia nel domani, a una civiltà della morte, ricca solo di contraccezione, aborti, eutanasia, droga libera e matrimonio omosessuale, avviene senza che i giovani sappiano che è avvenuta, e si riesce a far loro credere che tale è la civiltà, che qualunque vera civiltà è simile a questa in cui ora stiamo vivendo, cioè che in qualunque vera civiltà dominano i diritti a senso unico, l’aborto (diritto di sopprimere il nascituro), l’eutanasia (diritto di sopprimere gli anziani e i malati, o di auto-sopprimersi), la droga libera (diritto di autodistruggersi più o meno lentamente, e di distruggere i propri familiari), il matrimonio omosessuale (diritto, da parte del maschio, di farsi femmina per un altro maschio; e, per la femmina, di farsi maschio per un’altra femmina), allora il gioco è fatto. 


Quale gioco? Quello di creare una situazione distruttiva che sia anche senza possibilità di ritorno; un inferno dal quale non vi sia alcuna possibilità di redenzione. E perché lo stanno facendo? Questo lo sapranno loro, o almeno le teste pensanti del progetto mondiale ora descritto, e ignorando la massa degli utili idioti, i cavalieri del nulla, i quali pensano di star combattendo la “buona battaglia” per le libertà e i diritti, magari unendo l’utile al dovere e conquistando, nel frattempo, o rafforzando, le loro poltrone, le loro cattedre, le loro posizioni di potere, e garantendosi un conto in banca con qualche zero in più; il che, dal punto di vista della loro filosofia cinica e spregiudicata, non guasta mai: pecunia non olet). Noi prendiamo atto che questo, e non altro, è ciò che sta accadendo.
E allora, giunti a questo punto, quelli, come noi, che sono negli anta, hanno un chiaro dovere da adempiere: impedire che questa sporca manovra possa realizzarsi incontrastata. Come? Dicendo ai giovani che la civiltà non è questa cosa qui, nella quale sono nati e cresciuti, ma un’altra cosa; e che noi, pur non avendo ancora raggiunto l’età di Matusalemme, nondimeno abbiamo visto abbastanza primavere da sapere, per averlo visto, e da testimoniare, che la famiglia, la scuola, la Chiesa, la televisione, lo sport, l’esercito, il lavoro, il risparmio, perfino le banche, sino a qualche decennio fa, erano un’altra cosa: e che i nostri genitori e i nostri nonni, le nostre maestre e i nostri preti ci hanno dato una testimonianza di vita ben diversa da quella che loro, i giovani, stanno ricevendo al presente. Il guaio è che la stanno ricevendo proprio da noi, da quelli della nostra generazione: e non è, generalmente parlando, una testimonianza sublime, anzi, spesso è a malapena accettabile: fatta di troppi compromessi, di troppe piccole furberie, di troppi mezzucci, di troppe compiaciute debolezze, di troppa mancanza di responsabilità. Ecco, allora, che testimoniare cosa sia, e cosa sia stata, una vera civiltà, diventa, per quelli della nostra generazione, un dovere e una riparazione: siamo stati noi a dare il cattivo esempio, ad essere dei modelli non troppo positivi per i giovani di oggi; dobbiamo pertanto cercar di riparare al guaio che noi stessi abbiamo provocato. Prima di andarcene, abbiamo il dovere di far sapere ai giovani che si può vivere in un altro modo; che c’è un altro modo di essere genitori, di essere insegnanti, professionisti, lavoratori, artigiani, commercianti; che c’è un altro modo di essere cittadini, di essere sportivi, di fare televisione, o cinema, o spettacolo; che c’è un altro modo di essere cristiani e cattolici, ben diverso da quelli che al presente vanno decisamente per la maggiore, ma che hanno il difetto di essere accomunati dalla stessa tendenza a cercare il massimo risultato con il minimo sforzo, a voler apparire più e meglio di quel che realmente si è, e d’infiorettare, adornare e infiocchettare anche le cose più turpi, dando a intendere che non sono quelle brutture che, in realtà, sono, ma delle cose bellissime, poetiche, o, quanto meno, delle cose “genuine” ed “autentiche”, come se ciò autorizzasse qualsiasi eccesso, qualsiasi licenza, qualsiasi orrore.
Quando abbiamo incominciati a deragliare? Oh, molto, molo tempo fa; e quella non è responsabilità nostra, né dei nostri genitori, ma dei nostri antenati, di parecchie generazioni addietro. Ma di ciò non si parla, non lo si crede neanche possibile, perché in una società, come la nostra, fondata sul dogma del Progresso, è chiaro che gli uomini stanno evolvendo, per cui ci sono ben pochi disposti a credere che, forse, è vero il contrario: che la storia dell’Occidente moderno è quella di una lenta (ora, però, sempre meno lenta), inesorabile, e, per molti aspetti, scientemente voluta e perseguita, involuzione. Comunque, se dovessimo indicare una data approssimativa a partire dalla quale tale involuzione ha assunto un ritmo più deciso, ed ha cominciato a manifestarsi visibilmente, ossia a non temere di cominciare  a farsi vedere per quel che realmente è (tanto, i cervelli addormentati e condizionati non registrano le cose, anche se levedono), diremmo senz’altro: l’ottobre del 1962 per la Chiesa cattolica, con l’apertura del Concilio Vaticano II; e il maggio del 1968 (ma, in Italia, soprattutto l’autunno del 1969) per la società civile. Naturalmente, la reale natura di quei due eventi, il Concilio e la Contestazione, è apparsa e si è pienamente manifestata solo più tardi; sul momento, complice l’atteggiamento dei mass media e dell’intellighenzia, nessuno, o ben pochi, avevano dei dubbi sulla loro bontà; e, se è per questo, ancora oggi non sono poche le persone che seguitano a dare un giudizio positivo di entrambi, anzi, a rimpiangere che quella “stagione” appartenga al passato. Anzi, specialmente nel mondo cattolico, ve ne sono parecchie che vorrebbero rinverdirla, o addirittura spingerla ancora più avanti, “realizzarla pienamente”, com’esse dicono, alludendo continuamente a un non meglio definito “spirito” del Concilio che non è, per fortuna, quello che si dovrebbe scrivere con la lettera maiuscola, ma che esse prendono altrettanto sul serio di quello, se non perfino di più. Ed è proprio a causa della incerta o nessuna consapevolezza di ciò che la stagione del Concilio nella Chiesa, e la stagione della Contestazione nella società civile, hanno significato per la storia dell’Occidente contemporaneo, ossia per la nostra stessa civiltà, che si potrebbe disegnare una nitida mappa intellettuale degli uomini d’oggi: da una parte coloro i quali non hanno capito e non hanno imparato niente, vale a dire i cretini, gli illusi e i pazzoidi, che seguitano a dare un giudizio lusinghiero di quei due eventi; dall’altra, quelli che qualcosa hanno compreso, o almeno intuito, o sospettato, e si sono liberati, se pure l’hanno mai avuta, da tale fascinazione assurda e inspiegabile. Inspiegabile, beninteso, se non in termini psicopatologici, o, peggio, in termini di cinico opportunismo carrierista. E Dio sa se ce ne son pochi, di ex sessantottini impenitenti, che occupano oggi prestigiose poltrone, molto ben remunerate, e le occupano con la stesa disinvoltura con cui agitavano il pugno sinistro chiuso e sfilavano per le piazze scandendo i loro slogan demenziali, nei quali inneggiavano alla fine dello sfruttamento di classe e al felice avvento della società comunista e libertaria (un ossimoro, quest’ultimo, così stridente, che di per sé avrebbe dovuto rendere chiara ed evidente la loro pochezza intellettuale).

I giovani hanno il diritto di sapere

di Francesco Lamendola
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