Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
8 dicembre 2017
Il fedele che, come noi, non potendo godere di una santa Messa V. O., è costretto ad assistere all’edizione paolosesta, avrà avuto modo di notare che, nella prima pagina così come nella quarta, non vien fatto minimo cenno al grande Papa Pio IX, colui che ebbe, l’8 dicembre del 1854, il privilegio di proclamare il dogma mariano confermato, addirittura, dalla stessa Madre di Dio a un’umile pastorella di Lourdes, l’11 febbraio 1858. Niente di tutto questo perché agli esegeti, che stilano le varie rubrichette del foglio, premono maggiormente: un commento ‘pastorale’ alla nefasta Esortazione “Amoris laetitia”; un soffietto al pari nefasto don Milani; un minisaggio su come pregare cantando; una brevissima e calibrata memoria su G. XXIII.
Vediamo, allora, “la lega e il peso” (Par. XXIV, 84) di queste perle.
1 – Il primato della coscienza: una schematica chiosa all’Esortazione ‘Amoris laetitia’. L’autore, nell’enfasi turiferaria con cui dispiega alcuni passi dell’Esortazione, inciampa in una contraddizione che la dice lunga sulla sua capacità esegetica. In primis, affermando essere il tema collegato al CV2, cita il paragrafo 37 di AL che così recita: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”, dove si palesa la missione della Chiesa a plasmarle, secondo l’insegnamento evangelico, con le norme e le regole che Gesù e gli Apostoli hanno fissato come inderogabili, e ciò è corretto; ma in secundis, con l’escussione del 304, rinnega quanto sopra asserito col dire che: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio”.
Come si evince dal confronto tra i due paragrafi, stride la contraddizione laddove emerge, dal 37, la necessità ad amministrare una catechesi che assicuri il senso esatto della professione di fede, del che il CCC, con i suoi 2865 articoli, fa notarile certificazione di ortodossìa a cui dovrà darsi la sequela del fedele, mentre il 304 cancella tale indicazione col dire che l’obbedienza alla legge non è garanzìa di fedeltà a Dio. Sarà pur vero che, come dice Gesù rivolgendosi ai farisei, che non sono l’obolo versato, la preghiera e il digiuno rituale ad esser segni di salvezza ipso facto perché, come è scritto, ladri e prostitute li precederanno nel regno di Dio (Mt. 21, 31), ladri, però, che, come quello sulla croce, si pentono ed espiano, prostitute che, pentite otterranno il perdono ma solo non peccando più.
Sarà dunque vero, è vero, ma qui, in simile contesto, l’osservazione di Cristo viene aggiogata alla tesi del paragrafo 305 secondo cui anche in una situazione di peccato – si noti: situazione di peccato - come nel caso di una seconda unione non sacramentale “si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità”. Un aggiogamento che si rivela per essere colpa più grave – eresìa - in quanto considera un’unione non benedetta dal sacramento sorgente di grazia. Insomma, anche in patente condizione di peccato grave, di scandalo pubblico, lo Spirito Santo, secondo Bergoglio, aleggia sulla coppia adultera.
Che Cristo abbia ammonito: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei: se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio“ (Mc. 10, 11), non significa granché:
a) perché, stando al Preposito dei Gesuiti, Arturo Sosa Abascal, le parole di Cristo vanno contestualizzate, soprattutto perché non c’erano, all’epoca, i registratori;
b) perché, stando alla dottrina di un altro gesuita, di grado più elevato, Mario Jorge Bergoglio nel ruolo di Papa Francesco I, la coscienza individuale è giudice unico e ciò che per lei è bene, è bene, e viceversa, alla faccia del sacro Decalogo. Così confessò al suo omologo, il Papa laico Eugenio Scalfari, con che si concede al peccatore licenza di vivere nel peccato e, senza troppi scrupoli, percepire i sacramenti.
Ecco, pertanto, come la esortazione AL forma le coscienze, lasciandole marcire nel peccato e tuttavìa ‘accompagnate, accolte con discernimento e carità’: le parole totem dell’attuale regime pontificale con cui, purtroppo, le coscienze sono perversamente indotte e condotte a peccare.
2 – Don Milani: “servitore esemplare della Chiesa e dei poveri”, un pastore scomodo, ma rimasto sempre prete autentico, che ha vissuto – scrive la catechista de La Domenica – la passione educativa sempre come un modo concreto con cui svolgere la sua missione sacerdotale.
Certamente, un prete esemplare che svolse la propria missione evangelica predicando la necessità di togliere il Crocifisso dalle scuole, così come l’attuale suo celebrante, Papa Bergoglio il quale, davanti al rabbinato di Gerusalemme, si vergognò del Signore Gesù, nascondendo il Crocifisso pettorale nella fascia (26 maggio 2014). Come dire: “Similes cum similibus”.
Non poteva sfuggire all’acuta redattrice un richiamo all’impianto ideologico “della scuola classista e settaria dell’epoca” – id est: fascista. Ah, sì, quella dei Pirandello, delle Deledda, dei Marconi, dei Gentile che riconobbe, la preminenza della religione cattolica rimettendo il Crocifisso nelle scuole, negli ospedali, negli ufficî ma che sfigura davanti a questa moderna, democratica – targata Fedeli/Fo/Benigni – il cui unico scopo è quello di cancellare, nella società, ogni segno di cristianesimo imponendo la ‘incultura’ del genere sessuale, dell’aborto, dell’ateismo, della sodomia. Una ‘buona scuola’ che si colloca 25sima dopo paesi del terzo mondo (Huffington Post – maggio 2014).
3 – A Messa pregare cantando: secondo le indicazioni contenute nel cap. VI di Sacrosanctum Concilium che prescrive – così dice l’autore del brano – testi e musiche, espressione di vera arte. Per verificare quanto ciò venga disatteso è sufficiente ascoltare uno dei numerosi cori e coretti che, domenicalmente, si affacciano dallo schermo tv: melodìe scialbe, esecuzioni prive di nobiltà, ritmo sincopato e rumoroso, testi - fatti salvi quelli della grande tradizione che talora vengon proposti – di insulso e di spocchioso contenuto come quello che viene eseguito nei riti funebri col quale si mettono in bocca al morto “parole di esaltazione di sé stesso: davanti al Padre Eterno snocciola infatti tutto il bene che ha fatto in vita, ma non mostra alcun pentimento per i suoi peccati, che non menziona né tanto né poco. Quindi reclama il paradiso come diritto e non sente alcun bisogno di chiedere perdono a Dio. Eccolo: ‘Quando busserò alla tua porta/avrò fatto tanta strada/avrò piedi stanchi e nudi/avrò mani bianche e pure/o mio Signore. – Quando busserò alla tua porta/avrò frutti da portare/avrò ceste di dolore/avrò grappoli d’amore/o mio Signore. – Quando busserò alla tua porta/avrò amato tanta gente/avrò amici da ritrovare/ e nemici per cui pregare/o mio Signore, o mio Signore’.
Un canto intriso di superficialità, di superbia e di presunzione di aver già la salvezza in mano, un canto che dovrebbe essere eliminato e sparire per sempre” (Don Enzo Boninsegna: Combatti la buona battaglia – 2017, n. 10 pag. 37/38).
L’apocrifo detto agostiniano “chi canta prega due volte” mal si addice al contesto attuale in cui il cantante in oggetto non solo non prega per sé ma non fa pregare gli altri.
4 – I Papi di Fatima: Giovanni XXIII. “Fu il primo Papa che lesse il terzo segreto, ma non lo rese pubblico perché la Chiesa e i tempi non erano ancora pronti per comprenderne i contenuti”. Così chiosa l’estensore del soffietto, tralasciando di dire come G XXIII avesse definito le rivelazioni mariane delle astruse cose di dubbia origine, prive del marchio del soprannaturale, il cui nucleo centrale, il terzo segreto, fu letto e messo sotto silenzio. Ma non perché i tempi, come afferma l’estensore del trafiletto, non erano ancora pronti – naturalmente i tempi dell’uomo che non sono quelli di Dio – ma perché, rivelandolo, G XXIII avrebbe dovuto procedere alla consacrazione della Russia comunista e, siccome si era alla vigilia del Concilio, a cui erano invitati i rappresentanti della Chiesa Ortodossa russa, fu sua la volontà di non pubblicare il testo integrale e solo per non disturbare i buoni rapporti Vaticano/Mosca cosa che, si rese manifesta col divieto di formulare il benché minimo ed allusivo cenno di condanna del marxismo. Eppure, la Vergine aveva ordinato di svelare il tutto entro l’anno 1960, un ordine non eseguito per preciso ordine di Papa Roncalli.
“Giovanni XXIII inaugurò il Concilio, nell’ottobre 1962, con un discorso rimasto celebre per le sue infelici ironìe sui bambini di Fatima: ‘A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunciano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo’. Evidentemente G XXIII riteneva che il suo spirito profetico fosse ben più arguto di quello della Regina dei Profeti. Infatti, annunciò una splendida primavera per la Chiesa e abbiamo visto che gelido e buio inverno è arrivato” (Antonio Socci: Il quarto segreto di Fatima – Ed. Rizzoli 2008, pag.207/208).
G XXIII, primo papa a leggere il testo del ‘terzo segreto’ di Fatima e il primo a soffocarlo. Perché? Per i tempi non pronti? La verità è in questa riflessione:
“ Se la Santa Vergine ha chiesto a Lucia che il suo terzo segreto fosse rivelato a partire dal 1960, ciò non era senza ragione. È perché sapeva che dopo il 1960 avvenimenti gravissimi dovevano attraversarla storia della Chiesa. Ella voleva mettere in guardia le autorità della Chiesa per evitare che la fede e le anime si perdessero. Questi avvenimenti erano diretti particolarmente ai responsabili della Chiesa. E probabilmente e disgraziatamente per questo che costoro non hanno voluto divulgare il segreto. In questo c’è un grande mistero!”. (+ Marcel Lefèbvre – cit. in: Don Enzo Boninsegna: Pensieri di autori vari n. 2 – Verona).
Giovanni XXIII: il Papa di Fatima!!
Commento finale: ma non era la festa di Maria Immacolata?
di L. P.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2256_L-P_Perle_de_La-Domenica_8.12.17.html
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