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Bisogna aver rinunciato a ogni pietà se non si vuole almeno morire cristianamente (Pascal). Le lacrime di gioia di Emma Bonino e il padre nobile dell’eutanasia dell’irreligiosità e di ogni forma di edonismo: Michel De Montaigne
di Francesco Lamendola
Dietro le lacrime di gioia di Emma Bonino per l’approvazione, in Parlamento, dell’ennesima legge di morte, c’è un padre nobile, si fa per dire, che da quattro secoli e mezzo stende la sua ala malefica su tutti i seguaci dell’eutanasia, dell’irreligiosità e di ogni forma di edonismo: Michel De Montaigne (1533-1592), uno dei fondatori della modernità, i cui Saggi sono fra le opere meno lette e conosciute dal grande pubblico, e tuttavia più radicate e più vive che mai nella coscienza e nella mentalità degli uomini d’oggi.
Dietro un velo di stoicismo paganeggiante e di falsa filosofia umanista, Montaigne ha gettato le basi, forse più di chiunque altro, dell’atteggiamento egoistico, sdegnoso, superbo, che caratterizza gli uomini contemporanei, specialmente per quanto attiene alla sfera dei loro insindacabili “diritti” personali, primo fra tutti quello di morire come e quando si vuole, senza doverne render conto ad alcuno e tanto meno a Dio. Più scettico, a ben guardare, che stoico, e più brillante che profondo, più polemista che pensatore; più philosphe, insomma, ossia pretenzioso venditore di fumo, di tutti i piholosphes dell’illuminismo; petulante, ma con aria di finta modestia, e saccente, ma con l’apparenza di una certa qual moderazione, narcisista e ipocrita alla Petrarca, ma senza gli scrupoli del nostro; anzi, così francamente egoista e opportunista da scappare da Bordeaux, della quale era stato a lungo sindaco, all’avvicinarsi di un’epidemia di peste, per ritirarsi a fare lo splendido pensatore nella torre piena di massime greche e latine; e così cattivo maestro da adottare come “figlia” l’antesignana delle femministe odierne, Marie de Gournay: ebbene, l’eredità che Montaigne ha lasciato all’Europa è molto più “pesante” e molto più negativa di quanto si potrebbe a prima vista immaginare. Tanto più che l’uomo era indubbiamente intelligente e che alcune sue intuizioni sono valide, originali, illuminanti; ma quel che gli manca, per essere un vero filosofo, è la visione d’insieme, nonché la profondità nell’affrontare le questioni speculative; e quel che gli manca semplicemente come uomo virtuoso, è il senso di responsabilità verso i lettori e gli ammiratori, ai quali ha trasmesso una visione della vita cinica, edonista, materialista, chiusa a ogni trascendenza, refrattaria a ogni luce proveniente dall’alto, esasperatamente immanentista, e radicalmente indifferente rispetto alla decisiva questione della morale universale. Oggi quasi tutti gli intellettuali occidentali, e anche parecchi teologi e sacerdoti nominalmente cattolici, papa Francesco compreso, sono convinti che, per distinguere il bene dal male, è più che sufficiente fare appello alla coscienza individuale: un’idea che è tipica di Montaigne e che proprio lui ha verniciato e nobilitato così da farla apparire non solo perfettamente logica e naturale, ma anche rispettabile e ammirevole, mentre, prima di lui, la grande maggioranza dei filosofi europei era d’accordo sul fatto che solo una morale universale, e dunque la morale cristiana, potesse garantire equilibrio agli esseri umani, e stabilità al corpo sociale. La sua attenuante, in teoria, è quella d’essere vissuto al tempo delle feroci guerre di religione che sconvolsero la Francia nella seconda metà del XVI secolo; ma è un’attenuante generica e poco persuasiva, perché nessuno si sognerebbe di “giustificare” certi cattivi maestri del XX secolo per il fatto che ebbero la sfortuna di vivere al tempo delle due guerre mondiali, del comunismo, del nazismo e della bomba atomica.