ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 24 gennaio 2018

Amoris bononiensis ragù

  • AMORIS LAETITIA

I vescovi dell'Emilia Romagna sdoganano l'adulterio

Amoris Laetitia
Da qualche giorno erano attese, ieri sono state pubblicate sul sito della diocesi di Imola le linee guida dei vescovi dell’Emilia-Romagna contenenti “indicazioni sul capitolo VIII di Amoris laetitia”. Il documento si inserisce nel controverso dibattito che da circa tre anni attraversa la Chiesa cattolica a proposito dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati e, più in generale, sull’impianto della teologia e della dottrina morale.
Dopo la pubblicazione negli Acta apostolica sedis (una sorta di Gazzetta ufficiale della Santa Sede) della lettera di Papa Francesco ai vescovi argentini della regione di Buenos Aires, l’interpretazione del capitolo VIII di Amoris laetitia sembra incanalarsi verso una chiara direzione. Il 5 settembre 2016 Francesco indicava che «non sono possibili altre interpretazioni» rispetto a quella fornita dai vescovi argentini, e cioè che sarebbe possibile, in certi casi, accedere ai sacramenti anche convivendo more uxorio tra due persone che non sono marito e moglie.
I vescovi dell’Emilia-Romagna, se possibile, lo scrivono ancora più chiaramente al numero 9 delle loro linee guida:
«La possibilità di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica è contemplata dall’Amoris laetitia alla nota 329. Questo insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio 84, deve essere presentata con prudenza, nel contesto di un cammino educativo finalizzato al riconoscimento della vocazione del corpo e del valore della castità nei diversi stati di vita. Questa scelta non è considerata l'unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali. È delicata materia di quel discernimento in “foro interno” di cui AL tratta al n. 300».
Questo passo ha una certa coerenza con la famigerata nota 329 di Amoris laetitia, anche se i vescovi dell’Emilia-Romagna lo esplicitano in modo ancor più evidente. Si possono compiere, in certi casi, atti coniugali che tali non sono e accedere ai sacramenti. La nota 329, in effetti, cita fuori contesto la Gaudium et spes del Vaticano II. Fuori contesto perché in modo chiaro la costituzione pastorale del Concilio al numero 51 si riferisce agli sposi e non a coloro che sposi non sono: «Là dove - si legge in Gaudium et spes - è interrotta l'intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche l'educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri». Secondo la nota 329 di Amoris laetitia, invece, sembra che gli atti coniugali tra divorziati risposati civilmente (e quindi non c’è nessuna intimità coniugale interrotta perché non c’è nessun matrimonio sacramentale) potrebbero, in certi casi, rappresentare una sorta di bene possibile. I vescovi dell’Emilia-Romagna lo hanno messo nero su bianco in modo anche più esplicito.
Il cardinale Gerhard Muller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, che ha recentemente prefato un libro del professore Rocco Buttiglione proprio su questo dibattito, ha scritto un interessante saggio per la rivista statunitense First things. A proposito della condizione di vivere come “fratello e sorella” per accedere ai sacramenti, scrive Muller,  «indipendentemente dalla questione del soggettivo stato di grazia di una persona – del quale, in ultimo, solo Dio è giudice – è necessario che quanti vivono in contraddizione oggettiva con i comandamenti di Dio e l’ordine sacramentale della Chiesa prendano la risoluzione di cambiare il proprio modo di vivere per poter essere riconciliati con Dio e con la Chiesa nel sacramento della Penitenza. (…) Nei casi in cui vi siano gravi ragioni per non sciogliere la nuova unione e dove una dichiarazione di nullità della prima unione non possa essere ottenuta, l’obiettivo di questo cammino spesso difficoltoso e lungo è di vivere insieme come fratello e sorella e poter così accedere alla Santa Comunione».
Il punto è chiaro e riguarda la liceità degli atti extraconiugali, per un discorso che si potrebbe allargare anche ai semplici conviventi. Ma al di là delle questioni teologiche e sacramentali, strettamente connesse anche con quelle di uno sviluppo omogeneo della dottrina e della prassi ecclesiale, c’è anche una domanda che riguarda il valore attribuito alla castità e alla “vocazione del corpo”. Nelle linee guida dei vescovi emiliano romagnoli non si comprende bene quale valore dare all’amore umano: è definito in modo decisivo solo dai rapporti sessuali? Secondo Giovanni Paolo II e la sua teologia del corpo, peraltro ampiamente citata anche in Amoris laetitia, la continenza (anche per i coniugi, che non possono essere considerati animali in preda agli istinti), non comporta l’impoverimento delle «manifestazioni affettive», anzi le rende più intense spiritualmente, e quindi ne comporta l’arricchimento. E’ chiaro che queste vette richiedono un cammino, ma con la grazia di Dio tutto diventa possibile.
Sembra che queste linee guida emiliano romagnole siano state fortemente volute soprattutto da tre vescovi - Zuppi di Bologna; Castellucci di Modena e Perego di Ferrara - che hanno dovuto superare le resistenze di altri confratelli. Del resto, in un movimento che appare partito dall'alto, ci sono diversi vescovi che stanno spingendo le rispettive conferenze epicopali regionali ad approvare analoghe linee guida. Anche la Conferenza episcopale lombarda, nonostante il cardinale Angelo Scola avesse già pubblicato delle linee guida, ha recentemente dichiarato di lavorare a un documento analogo. Questo attivismo delle conferenze episcopali sembra animato da un certo zelo, come a coprire quei dubbi già sollevati da quattro cardinali e che, invece, sono più diffusi di quanto si vorrebbe far credere.
Lorenzo Bertocchi

 Inaccettabile il documento su Amoris laetitia dei Vescovi dell'Emilia Romagna.

di Don Alfredo Morselli


Lo sentivo, era nell'aria… "dopo Palermo, Modena…" mi dicevo "adesso arriva il documento dei Vescovi dell'Emilia Romagna". Ahimè… quello che temevo è successo: Dopo il tango argentino sulla tomba di San Giovanni Paolo II, è venuto il turno del liscio emiliano romagnolo sul sepolcro di Caffarra. Si tratta delle Indicazioni sul capitolo VIII dell'Amoris Laetitia, a firma de I Vescovi dell'Emilia Romagna, pubblicato il 15-1-2018.
Il documento è reperibile qui.
Entro subito in medias res: è inaccettabile quanto affermato a conclusione del § 9 del documento, che riporto per esteso:
"9. Il discernimento sui rapporti coniugali. La possibilità di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica è contemplata dall’AL alla nota 329. Questo insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio 84, deve essere presentata con prudenza, nel contesto di un cammino educativo finalizzato al riconoscimento della vocazione del corpo e del valore della castità nei diversi stati di vita. Questa scelta non è considerata l'unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali. È delicata materia di quel discernimento in “foro interno” di cui AL tratta al n. 300."
L'affermazione secondo la quale la scelta "di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica […] non è considerata l'unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali", è incompatibile con la nostra santa fede cattolica.
Essa va contro la verità perché chiama atti coniugali (atti propri degli sposi) atti di persone che in realtà non sono sposate tra loro.
La stessa affermazione va contro il principio fondamentale della morale - naturale ancor prima che cattolica - secondo cui il fine non giustifica i mezzi. Mi piange il cuore a dover citare una frase del magistero per provare ciò che dovrebbe essere scontato e irrinunciabile non dico per dei Vescovi, persino per dei semplici fedeli un minimo istruiti nel catechismo:
“[…] non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell'intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali” (Paolo VI, Lettera enciclica Humanae Vitae, 25 luglio 1968, § 14.).
La stessa affermazione inoltre contraddice la verità de fide catholica secondo cui esistono degli atti che sono intrinsecamente cattivi e che quindi in qualunque circostanza, se compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, sono sempre peccato.
“ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e l'adulterio. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene” (CCC 1756).
“le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva” (CCC. 1754).
È “sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto l'intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione sociale, costrizione o necessità di agire, etc. che ne costituiscono la cornice)” (CCC. 1756).
La stessa affermazione inoltre almeno insinua che esisterebbero delle situazioni per cui non c'è altra possibilità che peccare e dimentica la promessa divina secondo la quale abbiamo sempre tutti gli aiuti per non commettere alcun peccato.
Infatti “Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio” (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547, Sessio VI, cap. 11). 
Inoltre “Dio non comanda cose impossibili ordinando di resistere a qualunque tentazione, ma ordinando “ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché tu possa” (Concilio di Trento, Ibidem). 
“Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere” (1 Cor 10,13).
Inoltre appare fuorviante anche il modo in cui viene presentata la "possibilità di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica": questa scelta coraggiosa viene presentata come una possibilità, quando invece è l'unica scelta da compiere per potersi accostare ai Sacramenti. E allora, in questo contesto, la pur giusta frase "Questo insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio 84, deve essere presentato con prudenza", sembra una resa al mondo, l'ammissione della paura di annunciare la Croce di Cristo.
A conclusione di questo riassunto di tutte le aberrazioni dottrinali contenute esplicitamente e virtualmente nell'asserto preso in esame, non si vede come esso non sia inficiato dall'etica della situazione o, come la chiamava Pio XII, la nuova morale. E mi chiedo come sia possibile che l'enciclica Veritatis splendor non sia più tenuta in alcun conto.
Il Papa scrive al § 131 di Evangelii Gaudium:
"131. Le differenze tra le persone e le comunità a volte sono fastidiose, ma lo Spirito Santo, che suscita questa diversità, può trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione. La diversità dev’essere sempre riconciliata con l’aiuto dello Spirito Santo; solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, al tempo stesso, realizzare l’unità. Invece, quando siamo noi che pretendiamo la diversità e ci rinchiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, provochiamo la divisione e, d’altra parte, quando siamo noi che vogliamo costruire l’unità con i nostri piani umani, finiamo per imporre l’uniformità, l’omologazione. Questo non aiuta la missione della Chiesa".
Per riconciliare la diversità nello Spirito Santo non si possono nascondere le questioni dottrinali sotto il tappeto, ma bisogna che elidiamo e non eludiamo i nodi che inevitabilmente vengono al pettine.
Auguro che si compia, per tutti i Vescovi dell'Emilia Romagna, quanto Dio ha giurato al santo profeta Isaia: 
"«Quanto a me — dice il Signore — ecco la mia alleanza con loro: il mio spirito che è sopra di te e le parole che ho posto nella tua bocca non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca dei tuoi discendenti né dalla bocca dei discendenti dei tuoi discendenti — dice il Signore — ora e sempre»" (Is 59,21).
http://blog.messainlatino.it/2018/01/inaccettabile-il-documento-su-amoris.html

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