ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 30 gennaio 2018

La pietra d’angolo del relativismo e dell' indifferentismo

TEOLOGIA "PARACONCILIARE"


È sorta una teologia «paraconciliare» che vorrebbe cancellare l’idea stessa del sacro. La svolta antropologica nella cultura della Chiesa e nell’attegiamento dei vescovi e dei sacerdoti in cui ogni cosa, anche i sacramenti 
di Francesco Lamendola  



Non è successo molte volte, nella storia, che di un nome, di una espressione oggettiva, mirante a indicare un fatto preciso, si sia fatto un simbolo, un’astrazione, un programma per il futuro: e che quel programma non avesse niente a che vedere con il nome, anzi, che si sia creata una sfasatura abissale, una discontinuità incolmabile, fra il significato ed il significante – come direbbe un esperto di semiotica.
Stiamo parlando del Concilio Vaticano II: di un evento ben definito, che ha una storia ed una storiografia; che ha avuto un principio ed una fine: che ha fatto discutere, ma, soprattutto, che ha prodotto una serie di testi, di documenti, di indicazioni abbastanza precise: ma che, fin dall’inizio, prima ancora che fosse chiuso – anzi, per dirla tutta, prima ancora che fosse aperto – già aveva subito, nel racconto deformante dei media e nelle manipolazioni dell’immaginario collettivo, un significato, una portata, una direzione ed un’interpretazione univoci, discutibili, parziali, tali da forzarne la realtà e la verità, per proiettarlo in un mondo mitico, in una dimensione utopistica, in uno spazio magico sottratto alla vera e razionale discussione, tutto rivolto alla palingenesi dell’umanità, a una sorta di messianismo secolare, a una paradossale escatologia del finito, a una sconcertante metafisica dell’immanenza.

Fin da subito, insomma fin dal 1962, e poi, naturalmente, a partire dal 1965, quando ormai i suoi documenti ufficiali erano stati consegnati alla storia, nel bene e nel male, affinché gli storici – e, naturalmente, i fedeli – li valutassero e li giudicassero, al fattostorico del Concilio si era sostituita e sovrapposta una entità nuova e inafferrabile, onnipresente e insindacabile: una particolare lettura di quei documenti e di quell’evento che, immediatamente, assurse alla auto-proclamata esclusività di quanto era avvenuto, sotto l’espressione, tanto suggestiva e poetica, quanto vaga e indefinita sul piano concreto, di “spirito del Concilio”.
Per i sostenitori delle novità ad ogni costo; per gli alfieri di un dialogo col mondo che si traduceva in una adozione delle prospettive del mondo; per gli abili e infaticabili sostenitori di una rivincita modernista, dopo gli scacchi sofferti durante quattro successivi pontificati – di Pio X, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII – l’espressione “spirito del Concilio” diveniva, nello stesso tempo, la clavis universalis per aprire tutte le porte – teologiche, liturgiche, pastorali – e la clava per fracassare tutte le opposizioni, implicitamente o esplicitamente tacciate di opporsi alla “attuazione” del Concilio, nello “spirito” (appunto) del Concilio: un sofisma neanche troppo mascherato, una tautologia alquanto prepotente, che però hanno funzionato benissimo, dal momento che qualunque voce di dissenso è stata sottoposta ad una sorta di ricatto permanente, con la minaccia di presentarla come “nemica del nuovo spirito conciliare” e, quindi, non fedele, anzi, gravemente disobbediente – scismatica? - rispetto alle magnifiche sorti e progressive che il nuovo spirito dei padri conciliari aveva introdotto nella vita della Chiesa cattolica.
Del resto, avanzare dubbi o perplessità, anche sommessi, anche limitati, a codesto nuovo spirito conciliare, equivaleva ad opporsi alle grandi e coraggiose riforme volute da Giovanni XXIII e non ostacolate da Paolo VI; laddove si presentavano la generosità, l’apertura, l’attualità del messaggio di questi due ultimi pontefici, e specialmente del primo, come la manifestazione evidente della direzione che il cammino della Chiesa avrebbe dovuto proseguire, se essa non voleva “tradire” quanto voluto, quanto fatto e quanto auspicato dal “papa buono”.
Non tutti erano convinti, non tutti erano persuasi; e tuttavia, da quel momento in poi, costoro – indipendentemente dal loro numero – divennero, o apparvero, come la minoranza: la minoranza degli irriducibili, dei conservatori, degli oscurantisti, che, evidentemente, aveva torto, perché non era in linea con lo “spirito” del Concilio. Tanto per dare voce ad uno di codesti perplessi, citiamo quanto scriveva Ernesto Zanin nel lontano 1981 («Per una Chiesa che non scenda a patti con il mondo», su «La vita cattolica», Udine, 30 maggio 1981; in: E. Zanin, «Un assenso ragionevole»
Udine, La Nuova Base Editrice, 2006, pp. 17-20):

«.-.. Il Papa [Giovanni Paolo II], osservando quanto è avvenuto dal 1965 in poi, dice: “Purtroppo, dopo il Concilio Vaticano II, si è fatta avanti una nuova ecclesiologia…che ha preteso di indicare alla Chiesa  vie che non sono quelle del Concilio Ecumenico Vaticano II.”.Questa, a mio parere, è una analisi realistica della situazione. Moltissimi guai sono sorti all’interno della Chiesa, come il crollo delle vocazioni sacerdotale religiose, la perdita del concetto di peccato, la perdita assoluta dell’idea di grazia santificante…, a causa non dei nemici esterni, non dello spirito del mondo, ma in conseguenza del venir meno della sana dottrina nell’ambito  di coloro che, per missione, avrebbero dovuto  predicare la verità di sempre. [Henri de Lubac] dice chiaramente che i documenti conciliari sono stati monopolizzati  da teologi il cui teologare partiva dal preconcetto  di aggiornare la fede alle esigenze del mondo, allo scopo di emancipare la Chiesa da un presunto stato di inferiorità rispetto alla società moderna. Ne è nata così una scissione   tra teologia ed esperienza cristiana, una separazione tra teologia e santità.  In questo senso, il post-Vaticano II ha rappresentato  la vittoria del protestantesimo all’interno del cattolicesimo. È sorto […] un paraconcilio che ha dato costantemente interpretazioni completamente diverse da quella che è la lettera e da quello che è lo spirito  del Concilio, e queste interpretazioni – come si può bene osservare – sono entrate, mediante i mezzi di comunicazione sociale, un po’ dappertutto, nei seminari, nelle scuole di teologia, nei catechismi, nei tanti movimenti, nelle comunità nelle parrocchie… Così si parla di rivoluzione copernicana della Chiesa; si esalta il nuovo solo perché nuovo; si dice che bisogna reinterpretare il contenuto della fede in funzione  dei problemi nuovi che il mondo pone, si afferma che la comunità deve essere il luogo della creatività, dell’invenzione; si vuole distruggere il “sacro” come residuo di un tempo passato, e si crede  che, sotto il preteso impulso dello spirito, ogni cosa che si fa o si farà, ogni atteggiamento o comportamento anche nel campo morale, non solo non sia condannabile, ma semplicemente sia il risultato auspicato e auspicabile di questa nuova realtà, verso cui bisogna tendere con tutta tranquillità  e senza alcuna preoccupazione, a dispetto di un mondo di fede che se era valido ieri,  oggi non ha più né senso, né significato. Ci sono anche nella nostra diocesi dei periodici che anche recentemente, hanno ospitato articoli in cui si nega la distinzione essenziale tra sacerdozio  comune e sacerdozio ministeriale; in cui si deride la vita interiore come un ritorno nel privato; in cui si dà per scontata la scomparsa di principi assoluti sui quali basarsi, per indicare invece il sorgere di modelli d’azione dalla stessa comunità, volta per volta. A seconda delle circostanze, in cui perfino la violenza, qualora sia indirizzata al cambiamento di questa iniqua società, trova la sua giustificazione. Il male che si è ridotto dal 1965 in poi è incalcolabile. Si è voluto ridurre la Chiesa, che è madre e maestra di verità,  a povera “sguattera”, incerta e titubante, sempre ansiosa e complessata, desiderosa di apprendere dagli altri, in continua ricerca della verità, pronta a battere le mani al mondo dei potenti, ai partiti e a certi movimenti che vanno per la maggiore… Lo sconcerto che si è creato nei buoni è indescrivibile, lo smarrimento che si è diffuso ovunque è  inimmaginabile, il calo della pratica  della vita cristiana è visibile  tutti i giorni sotto i nostri occhi. Nonostante questo discorso, io non sono pessimista, perché so che il Cristo  ha vinto il mondo… Il Concilio vero ha fatto tanto bene e il Signore, mediante lo Spirito Santo, ha effuso, dopo il Concilio, attraverso l’opera del Concilio, una grande quantità di doni. […]
Ma ci vuole, nella sfera individuale e in quella ecclesiale, lo spirito di discernimento per scegliere le strade giuste e abbandonare quelle sbagliate; non bisogna assolutamente allontanarsi dalla tradizione, anzi è necessario farla crescere perché essa possa  presentarsi, in tutta la sua validità,  per la gente di oggi; occorre far rivivere tutti i principi del cristianesimo, come il  principio ascetico, il principio sacramentale,  il senso mistico della Scrittura, il principio della Grazia. La Chiesa deve qualificarsi specificandosi, non venendo a patti con il mondo; essa proclami, senza mezzi termini, la verità che possiede allontanando ogni timore di essere incompresa o di scandalizzare; proponga con energia, come faceva Gesù Cristo, il messaggio  divino, nella certezza che è proprio quello che gli uomini, stanchi e avviliti per le troppe cose materiali, domandano ardentemente, perché assetati di infinito.»

E questo, di fatto, è avvenuto: è sorto, non si sa bene da dove, né come, un nuovo indirizzo teologico, o meglio, per dirla tutta, è sorta una nuova teologia, talmente lontana da quella preconciliare, quanto la Terra lo è dal Sole. Di più: si può dire che è sorta una teologia paraconciliare, parallela al Concilio, e che, del Concilio, si proclamava la fedele interprete e la legittima prosecutrice, ma che, al contrario, si discostava alquanto, e su punti sostanziali, dall’autentica teologia conciliare, così come si evince dai documenti. Forzando sistematicamente il significato delle espressioni, il valore delle parole, perfino le intenzioni dei Padri, si faceva passare per coerente con il Concilio una visione teologica inedita e discutibile, fonte d’infinite perplessità e, sovente, di autentico scandalo nel popolo dei fedeli, attraverso una operazione alquanto spregiudicata, che consentiva ad alcuni “nuovi” teologi di accreditarsi come i registi, i depositari, i custodi e gli esegeti più attendibili e disinteressati di ciò che il Concilio era stato e di quel che aveva discusso, deciso, pubblicato.

È sorta una teologia «paraconciliare» che vorrebbe cancellare l’idea stessa del sacro

di Francesco Lamendola
Articolo d'Archivio  
Già pubblicato il 18 Settembre 2015 
Del 29 Gennaio 2018
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INQUINAMENTO TEOLOGICO ?
Protestantesimo liberale e scientismo hanno profondamente inquinato la teologia cattolica. Possibile che la Chiesa si sia ingannata per quasi due millenni? e solo con il Vaticano II abbia imboccato la strada giusta? 
di Francesco Lamendola  


Si nota una differenza evidente, confrontando un testo di teologia cattolica anteriore agli anni ’60 del Novecento con uno posteriore al Concilio Vaticano II: una differenza non solo e non tanto di contenuti, ma di stile, di atmosfera, di impostazione generale, quasi come se appartenessero a due sistemi di pensiero differenti.
La cosa che balza più all’occhio è, nel secondo, la parsimonia, la cautela, e quasi – si direbbe – l’imbarazzo, se non proprio la ritrosia, a parlare della vita soprannaturale: il discorso si concentra sull’etica, ma in termini, a volte, così vaghi e generici, che potrebbero adattarsi a qualsiasi altra filosofia o religione; e, soprattutto, si nota una costante tendenza antropocentrica, come se l’essenza del messaggio cristiano ruotasse intorno all’uomo e fosse, per dirla come oggi si usa, un messaggio di liberazione, magari confondendo e mescolando il piano terreno, storico, per lo più in chiave economica e politica, ed il piano della realtà soprannaturale.
Se si parla della figura storica di Gesù Cristo, ci si concentra sulle parabole e si evita di soffermarsi troppo sui miracoli, per non dire degli esorcismi; anche del miracolo per eccellenza, cuore del Vangelo, ossia la Risurrezione, si parla, sì, ma quasi come di una “coda” della vita di Cristo, già proiettata verso lontananze irraggiungibili e, in fondo, non strettamente attinenti alla sua missione terrena; quasi che il mistero della morte e, appunto, della risurrezione, non fossero “il” mistero cristiano per eccellenza, che si rinnova costantemente nel sacrificio dell’Eucarestia.
Ecco: è il mistero, il concetto di mistero, il grande assente dall’orizzonte di certi “teologi” cattolici che oggi vanno per la maggiore; e, se bisogna dirla tutta, anche dalle omelie di molti sacerdoti: gli stessi che riducono la liturgia a un insieme di atti cui bisogna assoggettarsi, ma, in realtà, privi di un significato profondo; una semplice cornice ereditata dal passato e che si tramanda per forza d’inerzia. Tuttavia, se si sopprime il senso del mistero, si sopprime l’essenza del messaggio cristiano: che non si rivolge alla ragione dell’uomo, bensì ad un livello più profondo e più impegnativo della ragione stessa, quello della fede.
Si osservi l’aspetto di tante chiese moderne, quelle costruite negli ultimi decenni. In esse non si percepisce alcun senso del mistero; non vi è, sovente, nemmeno il rispetto elementare per il comune senso estetico: si vuole esaltare lo spirito della modernità, si vuol stupire l’assemblea dei fedeli con l’audacia o, piuttosto, l’anticonformismo costruttivo. La luce è troppo intensa o troppo scarsa; le linee ed i piani sono spezzati, irregolari; le forme sono anonime, o scomposte, o incomprensibili; domina un freddo funzionalismo che non ha niente di mistico, anzi, neppure di spirituale. Un fedele che voglia raccogliersi in preghiera non si sente nel posto giusto, non trova l’atmosfera adatta al raccoglimento. Non parliamo dell’orientamento: se, nel Medio Evo e fino a tempi assai recenti, era regola universale che le chiese cattoliche fossero orientate verso Est, con il sole che sorge nella direzione dell’abside, cioè del Santissimo, a illuminare tutta la navata, adesso nessuno bada più a simili cose, o, per meglio dire, i moderni architetti disprezzano tali retaggi del passato, impregnati di sapienza esoterica ed alchemica: sono uomini moderni, fieri di esserlo, che non hanno alcuna simpatia per l’irrazionale e che si occupano solo di cose concrete e positive.
Insomma, a partire dall’Illuminismo, e poi, con più forza, con il Positivismo, è come se la cultura cattolica avesse sofferto di un costante complesso d’inferiorità nei confronti di quella profana: adottando, di conseguenza, le prospettive e molti modi di ragionare che sono propri del razionalismo e dello scientismo; non tutta la cultura cattolica e non tutta la teologia cattolica, naturalmente: ma certo quella parte di essa che si autodefinisce “progressista” e che si ritiene, per definizione, all’avanguardia rispetto alla cristianità nel suo insieme. Tale complesso di inferiorità si è ulteriormente accentuato nel corso del XX secolo e ha trovato sfogo, per così dire, in talune posizioni emerse nel Vaticano II e, più ancora, dopo di questo: posizioni che tradiscono una volontà di farsi “perdonare” l’eredità tridentina, nonché la fretta di mettersi “al passo coi tempi”, di “aggiornarsi”, di “aprirsi al mondo”, giocando però su un grosso equivoco: perché il doveroso dialogo con il mondo moderno non può significare un appiattimento sui suoi presupposti razionalisti e sulle sue prospettive relativiste o agnostiche, né, tanto meno, gettare a mare secoli e secoli di tradizione, anzi di Tradizione con la “t” maiuscola – perché, come insegnavano i teologi preconciliari, due sono le fonti della Rivelazione cristiana, entrambe indispensabili per intenderla rettamente: le Scritture e, appunto, la Tradizione.
Quei teologi che la pensavano così, del resto, hanno avuto vita dura fin dai primi anni del Novecento; perché, a dispetto della solenne condanna del modernismo operata da Pio X con l’enciclica «Pascendi Dominici gregis», già a quell’epoca numerosi vescovi rivolgevano le loro simpatie verso preti e uomini di cultura di tendenza modernista e, subito dopo la morte di Pio X, incominciarono una silenziosa persecuzione dei sacerdoti e dei teologi di tendenza “tradizionalista”. Si parla spesso e volentieri di quei preti progressisti, come Lorenzo Milani, che hanno avuto difficoltà da parte dei loro superiori; ma vi sono state anche molte situazioni di segno opposto: valga per tutti il casi dei fratelli Jacopo, Andrea e Gottardo Scotton, di Breganze (Vicenza), dirigenti dell’Opera dei Congressi e autori di importanti libri e manuali di teologia, i quali incorsero nelle ire del “progressista” vescovo di Vicenza, Ferdinando Rodolfi, che giunse al punto di far chiudere il loro giornale «La riscossa» (Andrea morì di crepacuore per i suoi rimproveri).
Né si tratta di vicende vecchie e superate: la divisione fra cattolici “progressisti”, e velatamente modernisti, e cattolici tradizionalisti, è proseguita e prosegue fino ai nostri giorni, investendo sia le sedi vescovili, sia le università e i seminari, sia il mondo dei credenti laici: e siccome i progressisti si sono assicurati, dopo il Vaticano II, le posizioni preminenti nell’ambito della cultura cattolica, e specialmente la visibilità offerta dalle grandi casi editrici, dalle maggiori riviste e dalla presenza nei programmi televisivi, essi sono riusciti a trascinare sulla loro linea, insensibilmente ma efficacemente, l’intero mondo cattolico, Chiesa compresa: sicché sono ormai in pochi ad accorgersi che siamo in presenza di una autentica rivincita del modernismo, che, condannato solennemente nel 1907, riesce ora a dettare la linea in fatto di teologia, di catechismo, di liturgia, per non parlare del cosiddetto ecumenismo e del dialogo con le religioni non cristiane, impostati ormai sui binari di un puro e semplice relativismo.
In particolare, negli ultimi decenni la teologia cattolica è stata largamente permeata, ed inquinata, dalla teologia del cosiddetto protestantesimo liberale, otre che dallo scientismo di matrice laica, materialista e di tendenza implicitamente o esplicitamente atea. Molti teologi cattolici parlano dando per scontato che dal paradigma moderno non si possa prescindere e che bisogni ripartire dalle sue acquisizioni, che si vorrebbero infallibili e definitive (mentre, si noti, perfino settori della cultura laica cominciano a metterli seriamente in discussione): a cominciare dalla psicanalisi freudiana, dall’evoluzionismo darwinista e perfino dal materialismo dialettico marxista; o così, almeno, facevano tranquillamente, fino alla caduta dei regimi sovietici: si veda il caso della “teologia della liberazione”. Tale processo di infiltrazione ha avuto origine sotto la pressione che il mondo cattolico del Nord Europa, largamente minoritario, ha subito da parte del luteranesimo, del calvinismo e di altre confessioni protestanti; e che, come un virus, si è diffusa anche nei Paesi di più antica tradizione cattolica, come quelli dell’Europa meridionale.
Si è trattato di una pressione psicologica e culturale lenta, ma tenace e capillare. Da molti anni, ormai, le società dell’Europa settentrionale e quella statunitense vengono presentate, anche nei Paesi cattolici, come dei modelli vincenti, dunque da imitare: il loro successo nel campo economico, politico, militare e il dilagare dei loro prodotti culturali, non importa se ridotti alle dimensioni del mercato consumista (vedi il cinema hollywoodiano, o la moda dei “best-seller” anglosassoni, magari del tutto privi di dignità letteraria) ha portato molti, anche nel mondo cattolico, a pensare che sia indispensabile mutuare quei modelli culturali. Basta vedere in quale maniera trionfalistica i libri di testo scolastici presentano la storia dei Paesi Bassi moderni, o come descrivono la filosofia di Spinoza, di Locke, di Kant, quasi che esistesse un rapporto immediato di causa ed effetto tra la “libertà di pensiero” (un concetto su cui vi sarebbe molto da dire, visto che Locke, il padre nobile della tolleranza, negava si dovesse avere alcuna tolleranza verso i cattolici) e successo economico o politico. Che un tale rapporto esista è, infatti, un convincimento tipicamente calvinista - lavora duramente, produci, soprattutto guadagna, e questo starà a indicare, molto probabilmente, il favore divino -; e il fatto che, senza accorgersene, tanti cattolici lo abbiano fatto proprio, anche nel mondo della cultura, è un segnale eloquente. Si potrebbero fare moltissimi esempi di tale fenomeno: basti dire che vi erano scuole confessionali cattoliche in cui l’insegnante di storia adottava, come libro di testo, il manuale di Giorgio Spini, un valdese che presenta la Riforma protestante e la Riforma cattolica (che lui chiamava semplicemente Controriforma) in maniera estremamente tendenziosa.
Tale pressione psicologica si è esercitata anche nel campo strettamente religioso, per esempio con il sorgere di movimenti come quello denominato “Noi siamo Chiesa” (e si noti l’immodestia, se non l’arroganza, di quel “noi”, come se non vi fosse legittimità per alcun altro), molto forti nei Paesi di lingua tedesca, ma presenti anche in Italia; e, più in generale, la si respira nei discorsi e nelle stesse prediche di non pochi sacerdoti cattolici, nei testi di catechismo, nei libri di teologia, i quali tutti, col favore dei mass-media, danno l’impressione che la linea progressista sia tutt’uno col cattolicesimo e che qualunque dubbio su di essa, qualunque tentativo di ripristinare elementi della tradizione (come il rito della messa tridentina) equivalgano a un tradimento del Concilio e, per ciò stesso, della Chiesa e del cristianesimo in quanto tali.
Ma tornando al mistero e al soprannaturale: il fatto che, sempre più, nella cultura cattolica, si tenda ad oscurare il primo e a mettere fra parentesi il secondo, è un segnale di quanto in profondità vi siano penetrate, in maniera strisciante e silenziosa, le idee moderniste, laiciste, scientiste, relativiste e semi-protestanti. È un’idea semi-protestante, ad esempio, quella che vorrebbe eliminare, o ridurre ai minimi termini, qualunque mediazione fra Dio e il credente; e che, di conseguenza, tende a svalutare, se non proprio ad ignorare, sia il ruolo del sacerdozio e della Chiesa stessa, sia quello di intercessione svolto dagli angeli, dai santi e dalla Madonna.
Prendiamo il culto degli angeli. Fino al Concilio esso occupava un posto centrale nell’insegnamento del catechismo (insieme alla credenza nel Diavolo e nell’Inferno); oggi, in omaggio alle idee “moderne”, esso è passato alquanto in seconda linea. Non sembra più una dottrina accettabile alla mentalità razionalista e scientista ormai dominante, perciò si tende a parlarne il meno possibile. Ai bambini, fino all’inizio degli anni Sessanta, veniva insegnato che esiste un angelo custode, accanto a ciascuno di essi, per seguirne i passi, per sostenerli, per aiutarli, per consigliarli; oggi non se ne parla più. In compenso, il mondo profano si è impossessato di tale concetto, andando ad occupare il posto vuoto così creatosi: ed ecco la credenza nei cosiddetti “spiriti guida” e il proliferare, nella galassia New Age, delle disinvolte pratiche di “channeling”, tramite le quali chiunque crede di poter accedere all’assistenza di uno spirito disincarnato, che si suppone buono per definizione (mentre il cattolicesimo insegna che vi sono anche gli spiriti malvagi e che non è bene scherzare con le sedute spiritistiche e con le pratiche di necromanzia), in maniera tale da oltrepassare la condizione umana e da farsi simile a un Dio.
Il sacerdote redentorista Andreas Resch, uno dei più insigni studiosi a livello mondiale dei fenomeni paranormali, docente alla Pontificia Accademia Alfonsiana, nel corso di una conversazione con lo scrittore Vittorio Messori, di cui riportiamo solo un breve passaggio, ha tracciato una diagnosi severa, ma acuta, della progressiva secolarizzazione della cultura cattolica (in: V. Messori, «Inchiesta sul cristianesimo», Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993, 2003, pp. 335-7):

«[Dopo aver discusso circa la possibilità teorica della reincarnazione.] Comunque, anche se sono inaccettabili per la fede e non provate dai fatti, le tesi reincarnazioniste sono un segno dei tempi che va decifrato. C’è da chiedersi se la loro intuizione fondamentale non richieda una nuova attenzione sulla fede cattolica sul purgatorio. I protestanti lo avevano negato e così, tra l’altro, ciò che nella dottrina cattolica era attribuito alle anime del purgatorio fu addossato al diavolo, allargando dunque la sua sfera di influenza. È noto del resto che Lutero aveva una relazione quasi anormale con Satana. Ora, certa teologia protestante sembra ricuperare una qualche forma di purgatorio. Ed è un bene; così come sarebbe un bene che anche la teologia cattolica lo “rilanciasse” in pieno: si tratta infatti di un concetto benefico, positivo.  È la possibilità di portare a termine quel perfezionamento che l’uomo in vita non ha potuto compiere. Ed è anche la possibilità di un dialogo fecondo con i defunti: noi preghiamo per quel loro perfezionamento, essi intercedono per noi. […]
In questa prospettiva, che soprattutto mi interessa, di dialogo, di rapporto tra i vivi e i morti, non sono affatto persuaso da certe linee di tendenza della teologia cattolica attuale. L’aver quasi nascosto il purgatorio è tra quelle tendenze. Ma c’è anche l’aver taciuto, troppo spesso, in questi anni, sugli angeli e sul loro ruolo positivo. La riforma liturgica ha riunito in un solo giorno, ad esempio, il ricordo di tutti gli arcangeli; molti tendono poi a far sparire gli angeli custodi. Si tratta invece di un articolo d fede grande, bello, fecondo. Lo constatiamo nelle nostre ricerche: il bisogno di uno “spirito guida” è presente in tute le tradizioni religiose. Rinunciarvi è pericoloso per l’equilibrio della fede e dell’uomo. Per allargarci a un discorso più generale, i cattolici d’oggi sono esposti al rischio del razionalismo che impedisce al’uomo di esprimersi in modo integrale, dunque di vivere in modo davvero umano. Questo razionalismo lo constato anche quando qualcuno viene da me a riferirmi fatti inspiegabili; perfino i sacerdoti sembrano vergognarsi, hanno come paura di uscire dagli schemi accettati dalla cultura dominante. […] 



Protestantesimo liberale e scientismo hanno profondamente inquinato la teologia cattolica

diFrancesco Lamendola
Articolo d'ArchivioGià pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 10/12/2014

Del 29 Gennaio 2018
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