Liturgia, libertà religiosa, ebraismo: 3 documenti per scardinare la Chiesa. Il Concilio non solo è da ridiscutere ma da invalidare perché si è fatto promotore di gravi errori dottrinali oltre che di un'orgia di abusi liturgici
di Francesco Lamendola
Quando diciamo che è necessario ripensare il Concilio Vaticano II, non questo o quell’aspetto di esso, non questo o quel documento, ma il Concilio nel suo insieme, senza perdersi nelle vane distinzioni fra il Concilio stesso e il cosiddetto “spirito del Concilio” che ha imperversato e impazzato per decenni, fino ad oggi, ci rendiamo conto di dire una cosa molto forte, ossia che il Concilio non solo è da ridiscutere, ma da invalidare, perché, fino a quando sussisteranno gli errori dogmatici e teologici che ne sono alla base, la Chiesa non potrà mai tornare ad essere se stessa, quello che stata per millenovecento anni, con l’assistenza dello Spirito Santo, e cioè la Chiesa cattolica, apostolica e romana, una e santa, ma sarà sempre qualcosa di sostanzialmente diverso, anzi, di estraneo. Il Concilio è da invalidare perché si è fatto promotore di alcuni gravi errori dottrinali, oltre che di una vera orgia di abusi liturgici. Non c’è stato un Concilio “buono”, quello dei dibatti e dei documenti ufficiali, e uno “cattivo”, che vi si è sovrapposto, forzando, con la complicità deimass media, il significato di quei dibattiti e di quei documenti. D’altra parte, il Concilio non è stato, in se stesso, l’origine della deviazione della Chiesa dalla sua millenaria Tradizione: è stato, al contrario, il punto d’arrivo. I fermenti modernisti, combattuti a viso aperto da san Pio X, erano stati costretti a nascondersi, ma non erano stati eliminati; anzi, negli anni successivi alla Pascendi, del 1907, non avevano fatto che ingrossare, sempre di più incontrandosi con un certo spirito d’insofferenza anticattolica cresciuto dentro le stesse facoltà di teologia, gli stessi seminari e le stesse parrocchie; un certo spirito protestante che i cattolici tedeschi e olandesi avevano contratto dalla lunga vicinanza con gli scismatici luterani, e che poi avevano trasmesso a tutta la Chiesa, come un’infezione. E si tenga presente che le simpatie protestanti nascevano dall’aver riconosciuto nei luterani, o almeno nei luterani del XX secolo, dei cristiani ormai tali solo di nome, ma, in effetti, intimamente assai più vicini all’ateismo che alla fede; dei “cristiani” i quali, autonominandosi maturi e responsabili, pretendevano di rifare duemila anni cristianesimo.
Uno dei primi frutti avvelenati di quella contaminazione, sommandosi agli errori del Concilio stesso, era stato il Nuovo Catechismo Olandese, del 1966, nel quale si trovano, ancora in embrione, i germi di tutte quelle pestifere novità, eresie e bestemmie che ora, sotto il pontificato del falso papa Bergoglio, stanno dilagando alla luce del sole e, non che nascondersi, si mostrano ovunque, con ostentazione, con arroganza, nella certezza che nessuno le riprenderà e che l’intero organismo della Chiesa visibile è ormai di fatto in ostaggio nelle loro mani. In generale, ciò che caratterizza le tendenze progressiste, moderniste e filo-protestanti in seno alla Chiesa, specialmente a partire dal Concilio Vaticano II, è il desiderio di giungere a una specie di accordo, di modus vivendi, con il mondo: presentando la cosa sotto la luce positiva del “dialogo”, dell’apertura, della collaborazione, e occultando la sua reale natura di ritirata, di resa, di tradimento del Vangelo, perché una cosa è certa: sul Vangelo non sono possibili compromessi. Lo ha detto Gesù Cristo, e tanto basta: Non potete servire due padroni. Chi sceglie Gesù, rompe la relazione col mondo; e viceversa. O si sceglie di servire il Vangelo di Gesù Cristo, oppure ci si abbandona allo spirito del mondo: spirito di egoismo, di lussuria, di superbia e di cupidigia; spirito d’incontinenza e d’insaziabile ricerca del proprio piacere, del proprio tornaconto. E il tanto celebrato “spirito del Concilio” è nient’altro che lo spirito del mondo; non ha niente a che fare con lo Spirito Santo, con la dimensione del divino: è, in tutto e per tutto, cosa umana, terrena, immanente, senza un briciolo di spiritualità, senza l’ombra di un reale abbandono alla volontà di Dio.
In particolare, tre sono stati i cunei che la malizia di alcuni vescovi e cardinali, sfruttando l'ingenuità e la buona fede della maggior parte dei Padri conciliari, è riuscita a introdurre in quel Concilio che veniva presentato come puramente pastorale e non dottrinale; cunei che la generazione successiva di vescovi massoni e di sacerdoti modernisti si è adoperata ad allargare sempre più, sino a farli penetrare in profondità nella dottrina e, alla fine, a stravolgere e sovvertire la dottrina stessa: la costituzione Sacrosanctum Concilium, sulla liturgia; la dichiarazione Nostra Aetate, sui rapporti della Chiesa con le altre religioni; la dichiarazione Dignitats Humanae, sulla libertà religiosa. Ad essi si può aggiungere un quarto documento, la costituzione Lumen Gentium, sulla organizzazione della Chiesa, la sua natura, la sua vocazione, la sua finalità. Con il Sacrosanctum Concilium, si è attuata una vastissima, radicale riforma liturgica che si è risolta, alla fine, nella distruzione della millenaria liturgia cattolica e nella sua sostituzione con una "liturgia" spogliata del soffio della trascendenza e ridotta a gestualità laica, quasi profana. Con la Dignitatis Humanae, contraddicendo il precedente magistero e in particolare il Sillabo e la Quanta Cura di Pio IX, si accoglie il principio liberale secondo il quale ciascuno è padrone di seguire, in coscienza, qualsiasi fede religiosa; anche se si conserva la foglia di fico della distinzione fra la fede "vera", quella cattolica, e le altre, che però non vengono chiamate false, anzi, sono valorizzate al massimo, specie l’ebraica. Quest'ultimo tema viene ripreso dalla Nostra Aetate, che, come è noto, scaturiva da un documento specificamente dedicato agli ebrei, e nel quale è più facilmente ravvisabile l'influenza del B'nai B'rith, col quale alcuni cardinali e vescovi intrattenevano relazioni più che amichevoli. Non solo le altre fedi religiose sono poste su un piano di dignità intrinseca che le equipara, di fatto, al cristianesimo; si apre anche la strada alla successiva ed esplicita affermazione (di Giovanni Paolo II) che l'Antica Alleanza di Dio con il popolo ebreo è sempre valida, il che equivale a negare che esista una vera differenza fra essere cristiani ed essere giudei e toglie significato alla stessa Incarnazione e alla Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo. Da ultimo, la Lumen Gentium rivaluta al massimo il ruolo dell'episcopato e getta le premesse per una limitazione delle prerogative del pontefice a favore dei vescovi e del concilio. E un primo assaggio di ciò si era visto quando i vescovi, per impulso di quelli tedeschi e olandesi, avevano respinto gli schemi preparatori proposti da Giovanni XXIII, per rifarli tutti di sana pianta. E l'abilità consumata dei distruttori fu quella di inserire delle proposizioni contrastanti con la dottrina e il Magistero di sempre, in maniera tale da far sì che non venissero percepite come tali, ma che apparissero sotto una luce innocua e perfino benefica, mescolate e quasi nascoste in mezzo a tante altre affermazioni del tutto ortodosse. A ciò si aggiunga che le modalità di votazione nelle singole commissioni, le quali, di fatto, si sostituirono alla collegialità del Concilio, furono spesso sleali e truffaldine, Cesare Baronio dice perfino criminali, nel senso che sfruttarono ogni espediente, anche il più meschino e il più sporco, per ingannare deliberatamente la maggioranza ignara e far passare la linea dei "progressisti", i quali, da parte loro, avevano studiato e concordato ogni dettaglio in anticipo, a differenza dei loro avversarti "tradizionalisti". Altrimenti come spiegare, tanto per fare un esempio, che la Dignitatis Humanae venne approvata con 2.308 voti favorevoli e solo 70 contrari, mentre, alla vigilia della stesura del documento, solo poco più di 200 vescovi erano favorevoli alla libertà religiosa? Davvero il 90% dei Padri si era convertita alla nuova posizione dalla mattina alla sera, come san Paolo sulla via di Damasco?
Vediamoli da vicino, alcuni di questi passaggi rivoluzionari abilmente disseminati, e quasi dissimulati, nel corpo dei documenti conciliari. In certi casi, sono poche righe, o una singola frase, che rovesciano il senso dell'intero documento e capovolgono, o sono suscettibili di capovolgere, se debitamente sviluppati, il Magistero di sempre e, quindi, lo stesso Depositum fidei.
Nel Sacrosanctum Concilium, 36, § 1, si afferma: L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini. Chiarissimo, no? Il latino sia conservato come lingua liturgica. Ma subito dopo, al § 2, si aggiunge: Dato però che, sia nella messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si concede alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti. E anche questo parrebbe chiaro: l'eccezione, la deroga alla regola generale. Invece, come tutti sanno, è avvenuto immediatamente il contrario: in pochissimi anni, il latino è stato di fatto abolito in tutta la liturgia di tutta la Chiesa cattolica; e il Messale è stato rifatto nelle lingue nazionali. Difficile pensare a un processo spontaneo; e ancor più difficile credere che gli autori del § 2 non avessero ben chiaro il disegno di "svuotare" il § 1, puntando alla completa eliminazione del latino. L'eccezione che distrugge la regola.
Nella Nostra Aetate, al cap. 2, si afferma che La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni; e si sta parlando delle false religioni. Già qui vi è una patente contraddizione, anche di ordine logico, dovuta alla ripugnanza di tirare la necessaria conseguenza della unicità e della assolutezza della Verità di Cristo: si vuol trovare del "vero" e del "santo" anche in ciò che è falso. Ma v'è di più. Al cap. 4 si afferma: E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse della Scrittura. Eppure, proprio nel Vangelo, è Gesù Cristo in persona che dice: La pietra, rigettata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo (Mc 12,10; Lc 20,17; Atti, 4,11). Perciò non si capisce: gli ebrei sono ancora il popolo dell'Alleanza? ma non ha sempre insegnato la Chiesa, e non è scritto in parecchi documenti del Concilio stesso, che la Chiesa stessa è il popolo della Nuova Alleanza? Usando perfidamente espressioni come rigettatie maledetti, si vuol suggerire che gli ebrei sono già nella salvezza, senza dover riconoscere la divinità di Cristo. Sono passati solo vent'anni dalla liberazione di Auschwitz e tutto il mondo vive un forte di senso di colpa per quel che è successo agli ebrei nella Germania hitleriana. Qualcuno soffia sul fuoco per alimentare quel senso di colpa: fra le altre cose, agitando il ricatto dei pretesi "silenzi" di Pio XII sul genocidio perpetrato dai nazisti...
Liturgia, libertà religiosa, ebraismo: tre documenti per scardinare la Chiesa
di Francesco Lamendola
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GESU' E I "FRATELLI MAGGIORI"
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di Francesco Lamendola
Oggi, ci ammoniscono tutti i mezzi di comunicazione, è la “Giornata della memoria”. Ok, ok, per evitare che tutti mi diano del bastian contrario permanente, faccio anch’io memoria.
Memoria ne ho: mio nonno materno, ebreo tedesco, in Italia dal 1910, passò oltre un anno di vita, tra il 1944 e il 45, nascosto in una soffitta di una casa di Saronno. Riuscì a salvare la pelle, a differenza di due suoi fratelli, quindi miei prozii, che vivevano in Germania e che non tornarono mai dal campo di concentramento in cui erano stati rinchiusi.
Mio nonno si salvò, grazie alla disinteressata ospitalità di amici di Saronno, che lo nascosero in soffitta. Beh, forse non erano tanto disinteressati, perché gli portarono via praticamente tutto, fino all’ultima lira. Del resto, mi raccontava mia madre, c’erano a quell’epoca due categorie di sciacalli: quelli che vendevano gli ebrei alle SS e quelli che li nascondevano. A pagamento.
Poi c’erano quelli che aiutavano gli ebrei rischiando la propria pelle e lo facevano solo perché non potevano accettare l’antisemitismo nazista. Nella zona di Monza – mi rifaccio sempre ai racconti di mia madre – molti ebrei erano stati salvati da ufficiali della GNR, Guardia Nazionale Repubblicana, che li aiutavano a nascondersi in caso di rastrellamenti. Molti furono aiutati anche dal segretario del Fascio di Monza, che sfruttò la sua posizione per procurare a molti ebrei documenti falsi. Poi, nelle radiose giornate della “liberazione”, quel segretario fu ammazzato come un cane, fucilato senza alcun processo, in strada. Aveva fatto del bene? Impossibile! Era un fascista e, come ci insegna il nostro sig. Mattarella, che senza dubbio è un uomo molto colto, non c’è stato nulla di buono nel fascismo.
E, per restare in tema, sarebbe interessante anche ricordare che le leggi razziali emanate in Italia erano leggi “all’italiana”, che consentivano, e consentirono, molte scappatoie. Una legislazione sciagurata, senza dubbio, fatta al rimorchio della Germania. Ma è interessante ricordare che ci furono due paesi alleati della Germania, in cui le leggi razziali vennero applicate all’acqua di rose, come si suol dire, almeno finché i rispettivi capi restarono al potere: l’Italia di Mussolini e l’Ungheria di Horthy. Però non sta bene dirlo, sempre perché il sullodato Mattarella ci ha spiegato che il fascismo è stato tutto brutto e cattivo. Mah! Se lo dice lui… ma ha studiato un po’ di storia?
Non divaghiamo, siamo qui per fare memoria. Perbacco, è o non è la giornata della memoria?
E allora, dato che un po’ di storia l’ho studiata, mi viene alla memoria l’atteggiamento miope e imbelle di Francia e Germania di fronte alla politica di Hitler, a cui fu concesso di mangiarsi l’Austria, la Polonia e la Cecoslovacchia, prima di accorgersi che era un po’ cattivello. Lo si poteva fermare anni prima, ma in pochi erano disposti a “morire per Danzica”… Mi viene alla memoria l’indisponibilità di tante nazioni “democratiche”, che rifiutavano l’ingresso agli ebrei scacciati dai paesi occupati dalla Germania che, prima di adottare la politica di sterminio, espelleva gli ebrei, non senza averli preventivamente spogliati di tutto.
E andiamo avanti con la memoria. È vero, gli ebrei hanno subìto una terribile persecuzione. Oltre settant’anni fa. Ora, dice il fanciullino che vive in me, candido e ingenuo, senza dubbio chi oggi freme di sacro sdegno deve avere un rispetto assoluto della vita umana e della dignità dell’uomo. Poi al fanciullino si sostituisce il vecchio gufo, che si ricorda – è la giornata della memoria! – che di nessuna memoria sembrano essere degni, ad esempio, gli indiani d’America, alias Pellirossa. Gli storici stimano in 10 – 12 milioni le vittime della felice colonizzazione dell’America fatta dai seguaci del Dio Dollaro. Qui è un po’ più difficile fare una “giornata della memoria”, perché fu uno sterminio continuo, sistematico, per circa sessant’anni (dal 1830 al 1890). Poi lo sterminio cessò perché praticamente erano finite le vittime. Star and Stripes forever, evviva. Se lo hanno fatto gli americani, deve esserci qualcosa di buono e di giusto. Non erano né fascisti né tedeschi, quindi erano buoni. Del resto, lo dimostrarono anche a noi, bombardando ben bene le nostre città, insieme agli inglesi, per “liberarci”. Mamma mia, quanta bontà.
E poi, non diciamo nemmeno una parola per ricordare lo sterminio degli armeni? E lo sterminio sistematico dei cristiani nel mondo?
Insomma, questa benedetta “giornata della memoria” non soffre un po’ di amnesie?
Comunque, ed è sempre il fanciullino che parla, chi freme di sacro sdegno, è di sicuro un difensore della vita umana. E invece, perbacco, nessuno dei signori che oggi ci stanno facendo affogare nelle loro commemorazioni ha mai alzato la voce per ricordare che solo in Italia sono già stati uccisi sei milioni di innocenti. E altri milioni e milioni nel resto del civile e democratico mondo. Una strage continua, che pare inarrestabile. Si chiama “aborto”.
Per questo fiume di sangue innocente, nessuno parla? Ma, signori miei, allora qui qualcosa non va. Stropicciatevi gli occhi e guardate, anche voi, cari amici ebrei, che non potete pretendere di fare i perseguitati a vita. Viviamo in un società che ha legalizzato il crimine e per lavarsi la coscienza ogni anno facciamo la “giornata della memoria”? A quando l’istituzione della “giornata della castità” affidata a Ilona Staller?
Facciamo memoria: questa società che ammazza tranquillamente i bambini non nati è la stessa che legalizza l’eutanasia e il matrimonio tra invertiti, ossia che pensa di potersi far beffa di Dio e della Sua creazione e delle Sue leggi.
E ora questa stessa società, per bocca dei suoi supremi reggitori e dei loro infiniti utili idioti e lacchè, viene a farci la morale?
Ma mi faccia il piacere!
Gli stessi ebrei, per salvare la loro dignità, dovrebbero rifiutare questi cerimoniali surreali, grondanti ipocrisia.
Facciamo memoria, perbacco: è o non è la “giornata della memoria”? E allora, o la facciamo per tutti, o non facciamola per nessuno. E ricordiamoci che la prima pietra dovrebbe scagliarla solo chi è senza peccato. Ci sarebbero un po’ di cerimonie in meno, un po’ di retorica in meno e tanta onestà in più.
E ora mi resta solo la curiosità di vedere se qualche cretino mi darà dell’antisemita per quello che ho scritto.
Ma quante contorsioni per attenuare il ruolo dei fratelli maggiori nella morte di Gesù. Il dialogo con le altre religioni va costruito sulla base della verità, del rispetto reciproco e non con le autoflagellazioni a senso unico
di Francesco Lamendola
La morte di Gesù Cristo è stata voluta dai giudei (non tutti, evidentemente); ma questa è una di quelle verità che non si possono più dire, nel clima di dittatura culturale e morale imposto da un malinteso ecumenismo nato con il Concilio Vaticano II e cresciuto a dismisura negli anni successivi, fino a toccare il diapason sotto l’attuale pontificato di Francesco. Pur di non offendere i mostri “fratelli maggiori”, come ebbe a definirli Giovanni Paolo II, bisogna tacere o addirittura stravolgere la storia e le stesse Scritture: perché basta leggere i Vangeli per rendersi conto che la decisione di far morire Gesù nacque negli ambienti del Sinedrio di Gerusalemme, e che i romani furono solo gli esecutori materiali di una sentenza già scritta. I racconti evangelici, se vogliamo prenderli sul serio, non lasciano spazio ad ipotesi alternative: Ponzio Pilato, il procuratore della Giudea, fece di tutto per evitare la condanna di Cristo, che definì “un innocente” e del cui sangue disse di non volersi macchiare; le provò tutte, compresa l’offerta di far liberare un prigioniero a richiesta del popolo, ma la folla pretese la liberazione di Barabba. Pilato esclamò a un certo punto: Ma che ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte (Luca, 23, 22). Alla fine, però, cedette, allorché si vide apertamente minacciato sotto il profilo politico: i capi dei sacerdoti gli dissero chiaro e tondo che, se non avesse condannato Gesù, che aveva voluto farsi re dei Giudei, ciò significava che non era amico di Cesare; il che, tradotto in parole più chiare, significava che lo avrebbero denunciato a Roma presso l’imperatore Tiberio, e avrebbero messo in dubbio la sua lealtà e fedeltà allo Stato romano. Solo a quel punto, e assai a malincuore, Pilato cedette e consegnò loro Gesù, perché fosse crocifisso.
Questo è scritto nel Nuovo Testamento; ed altro ancora, sempre sulla stessa linea. Per esempio, negli Atti degli Apostoli, san Pietro, nel discorso tenuto agli abitanti di Gerusalemme dopo l’Ascensione, disse testualmente (2, 22-24; 2, 36):
Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -, dopo che, secondo il prestabilito disegno, e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha resuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. […]
Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!
San Pietro, dunque, non dice: quel Gesù che i romani, su vostra istigazione, hanno crocifisso; ma dice: quel Gesù che voi avete crocifisso: non certo per negare il fatto, evidente e testimoniato da centinaia di persone, che erano stati i romani ad eseguire materialmente la sentenza, ma per evidenziare che i veri responsabili dei quella morte erano stati i giudei, i quali era come se avessero eseguito la sentenza di propria mano (voi l‘avete ucciso, inchiodandolo sulla croce per mezzo di uomini empi).
Eppure, nemmeno queste parole, così chiare, così inequivocabili, sono bastate a quei cattolici progressisti e buonisti, i quali, intendendo il dialogo con le altre religioni come un calare le braghe, autoaccusarsi di tutte le colpe possibili per il passato, domandare perdono incondizionatamente a tutti quanti, e, come se non bastasse, rimuovere dal patrimonio spirituale e culturale dei cattolici tutto ciò che può fare ombra ai non cattolici, si sono dati da fare in ogni modo per “scagionare” i Giudei , quanto più possibile – perché farlo del tutto sarebbe davvero arduo – e per rovesciare la responsabilità maggiore sui romani.
Prendiamo, quale esempio di questo filone che, a buon diritto, si potrebbe chiamare “revisionista” della cultura cattolica, la monografia di don Chino Biscontin Le ultime ore di Gesù, dove, dietro l’impostazione rigorosamente erudita e quasi specialistica, si vede continuamente lo sforzo di arrampicarsi sugli specchi, forzando al massimo i fatti per tirar fuori da essi ciò che piace alle testi degli “innocentisti”. L’obiettivo dichiarato è scagionare il giudaismo da qualunque addebito.
Scrive, dunque, don Chino Biscontin nel suo libro (Pordenone, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2004): Gesù fu ucciso per ordine del magistrato romano, il prefetto Ponzio Pilato, e da mani romane (p. 55).
Questa è la classica mezza verità: si dice una parte della verità e si tace quella parte che non fa comodo: ma qualsiasi mezza verità non è che una menzogna. Sarebbe un po’ come asserire che Hiroshima fu distrutta da due piloti americani, tacendo che essi non fecero altro che eseguire ordini superiori, che partivano dal presidente Truman.
L’idea che ci fu una condanna capitale formale [durante il processo a casa di Anna] non rientra nella linea di probabilità (?) che qui stiamo seguendo. Il che spinge a ritenere che il sommo sacerdote decise di consegnare Gesù a Pilato anche perché in tal modo si evitava una tale condanna e le procedure per giungere ad essa: tuttavia consegnare Gesù al prefetto romano, con l’accusa, come vedremo, di appartenere ad una qualche forma di resistenza antiromana, insomma con la segnalazione di reato, era una forma indiretta di condanna. Né il sommo sacerdote poteva ignorare che così facendo esponeva Gesù al pericolo diretto e altamente probabile di venire giustiziato, come in effetti avvenne. (p. 61)
Caifa non poteva ignorare? È un modo assai eufemistico per dire che Caifa voleva la condanna a morte di Gesù. Come possiamo affermarlo? Ma perché sta scritto chiaro e tondo nei Vangeli; sin dall’inizio, egli si presentò a Pilato chiedendo la condanna a morte di Gesù, senza neanche specificare quale fosse il capo d’imputazione. Tanto è vero che Pilato, incredulo, domandò cosa avesse fatto Gesù, e gli fu risposto: Se non fosse colpevole, non te l’avremmo consegnato.
Una domanda: don Chino Biscontin ha letto i Vangeli? Oppure, in alternativa, un’altra domanda: crede alla loro verità e attendibilità? Oppure, come facevano e fanno i modernisti, ritiene che i Vangeli non siano parola ispirata da Dio, ma parola puramente umana, e quindi, magari, sospettabile di presentare i fatto in una luce falsa?
Dalle considerazioni sin qui condotte risulta che una qualche e non lieve responsabilità per la morte di Gesù ricade, dunque, sul sommo sacerdote, e sul gruppo di notabili che assieme a lui presero questa decisione. (p. 61)
Una qualche e non lieve responsabilità: che linguaggio meravigliosamente gesuitico! Una qualche e non lieve: un autentico capolavoro di equilibrismo, anzi, di funambolismo verbale: una responsabilità grande, ma non troppo; anzi, semmai piccola; ma non troppo piccola: insomma, una responsabilità così, così. Adelante, Pedro, con juicio. Ma il processo notturno, fu legale? Sì; no; forse. Ma perché, dunque, non una responsabilità piena ed intera? E qui, giù con le circostanze attenuanti: prima fra tutte, che i capi del Sinedrio temevano una ritorsione romana, se dal gruppo di Gesù fosse partita una qualche sedizione nazionalista (ma c’è una sola parola, un solo gesto, nella vita di Gesù, che dia adito al minimo spiraglio per una simile ipotesi?). Inoltre, essi dovevano rispondere alla “provocazione” rappresentata dalla pretesa messianica di Gesù, pubblicamente esercitata, specie con il gesto clamoroso della cacciata dei mercanti dal Tempio. Sì, l’Autore usa proprio questa curiosa, stravagante espressione: Gesù li aveva provocati. E a un certo punto dice:
Gli studiosi sono d’accordo sul fatto che i Vangeli mostrano una evidente tendenza a minimizzare il ruolo e le responsabilità del prefetto romano (pp. 73-74).
Ma di quali studiosi stiamo parlando? Non ne viene citato neanche uno. Piuttosto, emerge quel che dicevamo a proposito del modernismo: i Vangeli sono letti e soppesati con diffidenza, con sospetto: sono troppo filo-romani e troppo anti-giudei (strano, visto che almeno tre di essi, su quattro, si rivolgono sostanzialmente a un pubblico giudaico). Ma allora non possiamo prendere per verità divinamente ispirata quel che dicono i Vangeli? Buono a sapersi: vi sono preti cattolici che, come i protestanti, ritengono di potere e di dover liberamente interpretare le Scritture, e, se non vi trovano quel che essi vorrebbero, non esitano ad accusarle di aver distorto i fatti. E allora di chi deve fidarsi, un cattolico, se non del Vangelo? Ovvia risposta: dei teologi e biblisti progressisti. Il Vangelo secondo Tizio, Caio e Sempronio; e non più secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Quelli erano altri tempi; ora è arrivata la modernità e, con essa, le meraviglia della Chiesa post-conciliare.
Ma chi era Pilato? Non erto colui che cercò, in ogni modo, di evitare la condanna di Gesù, come dicono i Vangeli. No: don Chino Biscontin ne sa più dei Vangeli; è meglio infornato dei testimoni oculari del fatto. Ecco il ritratto che fa di Pilato:… quest’uomo sprezzante e testardo, opportunista e codardo, all’occorrenza duro e crudele (p. 77). Inutile dire che, parlando di Anna, di Caifa e degli altri pezzi grossi del Sinedrio, il Nostro non adopera per niente simili espressioni. Né sprezzanti, né testardi, né opportunisti, né codardi, e nemmeno crudeli. Al massimo, degli uomini un po’ troppo presi dagli ingranaggi della politica, dagli affari materiali del Tempio, e dalla legittima preoccupazione di evitare una rappresaglia romana. Se non proprio anime belle, per lo meno brava gente in perfetta buona fede – o quasi.
Ma quante contorsioni per attenuare il ruolo dei “fratelli maggiori” nella morte di Gesù
di Francesco Lamendola
Articolo d'Archivio Già pubblicato il 06 Novembre 2016
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