ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 4 gennaio 2018

Maestri di disonestà, doppiezza e deliberata perfidia

EBREI E IDENTITA' CRISTIANA

Ebrei e cristiani: dalla stessa radice o no? Il cristianesimo è realmente una nuova religione oppure è solo una “costola” del giudaismo? è uno dei nodi sui quali si gioca la partita da parte della neochiesa gnostica e massonica
di Francesco Lamendola  

 

Il cristianesimo è realmente una nuova religione, oppure è solo una “costola” del giudaismo? La domanda, fino a pochi anni fa, sarebbe parsa a dir poco bizzarra, per non dire assurda, almeno ad un cattolico; oggi tale assurdità sembra essere sparita, e sono in parecchi, ormai, specie fra i nuovi teologi, ma anche nel clero progressista e neomodernista, a formularla apertamente, quando non rispondono addirittura, con molta sicurezza, in senso pienamente affermativo. Vale pertanto la pena di soffermarsi a considerare la questione con tutta la serietà che merita, visto che ne va della stessa identità del cattolicesimo.

Ce ne siamo già occupati in diversi precedenti lavori (cfr. Gesù ebreo?, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il  20/09/2010; Augias e Pesce: se li conosci, li eviti, sul sito Accademia Nuova Italia il 17/02/22016; Ma quante contorsioni per attenuare il ruolo dei “fratelli maggiori” nella morte di Gesù, su Libera Opinione del 06/11/2016; e L’irrazionale senso di colpa dei cattolici li ha portati ad arrendersi al giudaismo, su Accademia Nuova Italia il 31/12/2017), ma l’argomento è sempre di attualità, anzi scottante. Vorremmo dire perfino “bollente”, visto che è uno dei nodi sui quali si gioca la partita, da parte della neochiesa gnostica e massonica, per scalzare definitivamente la vera Chiesa, fondata da Gesù Cristo, e per sostituirla, in accordo con B’Nai B’rith, con una perversa imitazione, che prende ordini dal giudaismo talmudico e non più dalla propria gerarchia, in accordo e in piena fedeltà alla propria Tradizione e alla sacra Scrittura, secondo il Magistero infallibile  di sempre (cfr. Shoah, Concilio, Williamson: scacco in tre mosse, sul sito di Accademia Nuova Italia il 25/12/2017). Ed è su quel punto che non cessano di rinnovarsi le offensive di quanti vorrebbero snaturare il cattolicesimo e farne una sorta di appendice, più o meno estemporanea, quasi una variante del giudaismo, il quale resterebbe sempre la fondamentale religione di salvezza, dato che Dio non avrebbe mai ritirato la propria promessa al popolo d’Israele.

Nel suo libro Dalla stessa radice. Ebrei e cristiani, un dialogo intrareligioso (Torino, Lindau, 2016) il giornalista Giuseppe Altamore, a un certo punto afferma:

Noi cristiani facciamo parte della stessa alleanza eterna (“Berìt olam”) dei nostri fratelli ebrei e come tali abbiamo assunto col battesimo l’impegno a servire la Chiesa di Cristo e il Dio di Israele. (…) La figura di Gesù che ci separa dai fratelli ebrei è anche colui che ci unisce indissolubilmente al popolo eletto, fino all’abbraccio finale. La fede di Gesù nel Dio di Israele ci unisce, la fede in Gesù ci divide, come alcuni hanno, sia da parte ebraica sia da parte cristiana, sintetizzato. (…)
In verità esiste una continuità che si manifesta anzitutto a livello di linguaggio: gli stessi termini “Chiesa” e “popolo di Dio” hanno origini veterotestamentarie. La comunità di Israele è ricordata con due termini quasi equivalenti “edah” e “qahal”: la prima parola designa una comunità radunata, la seconda la convocazione. Nella famosa traduzione dei Settanta, fatta da ebrei praticanti, i termini saranno tradotti con “synagoge” ed “ekklesìa”. Quest’ultimo sarà poi adottato dal [sic] cristianesimo per definire il momento in cui si raduna il popolo di Dio. Già questa terminologia, ci invita a riflettere sulla continuità tra ebraismo e cristianesimo e la nuova alleanza può rappresentare il rinnovamento di un patto antico presente nelle Sacre Scritture. Del resto, se come ha affermato solennemente Giovanni Paolo II, in Germania, nel 1980, l’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele non è mai stata revocata, il cristianesimo per molti teologi rappresenta l’allargamento della primigenia alleanza tra Dio e Israele a tutta l’umanità tramite il Corpo di Gesù Cristo morto e resuscitato. In altre parole, l’”alleanza di Cristo”, fondata nel sangue del Messia, realizza la sua pienezza di salvezza universale: l’alleanza eterna  aperta a tutti grazie alla fede cristiana. “Questa alleanza di Cristo non abolisce l’alleanza di Dio con Israele che è irrevocabile, ma è un ulteriore patto di Dio, che rende partecipi coloro che credono in Cristo della definitiva pienezza della salvezza escatologica” (Hofmann, Sievers, Mototlese (a cura di), Chiesa ed ebraismo oggi, Pontificia Università Gregoriana, 2005).

Avevamo già avuto occasione d’imbatterci in Giuseppe Altamore, in occasione di una sua intervista al teologo Paolo De Benedetti, apparsa sul mensile Vita pastorale meno di due anni fa, classico esempio di intervista pilotata al fine di orientare le opinioni del lettore e cloroformizzare il suo senso critico (cfr. il nostro articolo: Dialogo fra cristiani e giudei: come non si fa un’intervista, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 25/04/2016): questo, beninteso, se si crede, forse un po’ ingenuamente, che un’intervista, specialmente su questioni culturali e spirituali, dovrebbe porre l’argomento trattato in maniera il più possibile imparziale, in modo che sia il lettore a farsi una propria opinione, sulla base di dati di fatto e non di una ideologia precostituita. Dobbiamo tuttavia tener presente che siamo in Italia, dove perfino l’informazione delle televisioni di Stato è soggetta a un procedimento sistematico di veline, e che tutta la stampa ha sempre avuto il vizio incorreggibile di anticipare il giudizio sui fatti alla narrazione dei fatti medesimi: vizio che non si nota, o si nota assai meno, in altre aree culturali, specialmente in quella anglosassone, ove un tal modo di far “informazione” non sarebbe tollerato e i sedicenti giornalisti verrebbero buttati fuori a pedate nel sedere, se non altro per preservare un minimo di dignità e di decoro ai loro colleghi e alla professione di giornalista in quanto tale. Ma da noi, si sa, quando un giornalista deve intervistare un politico, manca poco che si metta in ginocchio e gli sottoponga le domande in anticipo, per sapere quali gli viene concesso di fare, e quali no; e le cose vanno suppergiù alla stessa maniera anche quando l’oggetto di una intervista riguarda questioni di scienza, di urbanistica, di arte, di musica, di cinema o di letteratura, per non parlare di filosofia o di religione, specialmente se l’intervistato è un eminente personaggio del clero. Con tutto ciò, perfino in Italia esiste un limite oltre il quale si finisce per superare il livello di sopportazione del pubblico.
Adesso ci risiamo, perché il libro Dalla stessa radice. Ebrei e cristiani, un dialogo intrareligioso, fazioso già nel titolo (se il dialogo è intrareligioso, la tesi viene data per acquista prima ancora d’essere argomentata: prendere o lasciare) mostra lo stesso modo di procedere che già avevamo notato nell’intervista sopra ricordata. Il metodo dell’Autore consiste nel gonfiare al massimo tutti gli elementi che portano acqua alla tesi che vuol sostenere, e nel passare sotto silenzio o nel minimizzare fino quasi a farli sparire, tutti quelli che potrebbero rappresentare delle serie obiezioni a ciò che egli si propone di “dimostrare” (ed è il caso delle poche righe, frettolose ed evasive, dedicate al giudizio su Cristo presente nel Talmud). E cioè che non solo non esistono sostanziali differenze di fondo fra cristiani e giudei, ma che i cristiani sono solo dei giudei che si sono scordati d’essere tali: il tutto, ovviamente, citando il celebre aforisma di sant’Agostino: Siamo tutti ebrei, ma guardandosi bene dallo spiegarne il reale significato, che non è affatto quello che viene sottinteso dal Nostro. Basti dire che sant’Agostino giustifica l’antigiudaismo (si badi: l’antigiudaismo, ossia un fatto religioso, non l’antisemitismo, che è un fatto razziale) perché i giudei che uccisero Cristo sono paragonabili a Caino che uccise Abele; e come Dio non punì Caino con la morte, ma lo lasciò vivere, quasi per portare su di sé il peso del rimorso, così non si deve procedere contro i giudei, ma li si deve lasciare in pace, perché possano vivere e portare su di sé la colpa e la vergogna per il crimine indicibile che i loro antenati hanno commesso. Non solo: sant’Agostino paragona i giudei ad Esaù, che ha perduto la primogenitura in favore di Giacobbe; e vede nella loro dispersione il castigo della loro colpa, cioè il rifiuto del Messia: tutte cose che andavano dette, invece di riferire quella frase di sant’Agostino, senza ulteriore commento, perché in quel modo si fa credere al lettore una cosa non vera, ossia che sant’Agostino fosse talmente favorevole ai giudei, da al punto di vedere in essi, quasi anticipando Giovanni Paolo II, i nostri fratelli maggiori: un pensiero che lo avrebbe fatto semplicemente inorridire.

Poi, evocando gli attentati dei terroristi islamici a Parigi, contro Charlie Hebdo e al Bataclan, per esortare alla solidarietà attiva con lo Stato d’Israele (?), Altamore arriva alla conclusione che Israele siamo noi, e ciò dopo aver messo in dubbio che il cristianesimo sia davvero una nuova religione, e non, semplicemente, una sorta di ampliamento del giudaismo, insomma che il cristianesimo sia anche, quanto meno – come aveva osservato Hans Küng – anche ebraismo. Non senza lanciare sprezzanti anatemi contro il fondo melmoso di un persistente antigiudaismo in seno al mondo cattolico, l’Autore vuol farci credere che quella giudaica e quella cristiana non sono due alleanze distinte, ma la stessa alleanza (sono parole sue), e che ricevendo il Battesimo i cattolici contraggono un doppio impegno: quello di servire la Chiesa di Cristo e il Dio d’Israele. Assurdo; e non solo assurdo, ma blasfemo: come se essere cattolici comportasse l’essere giudei. Se fossimo in tempi normali, simili eresie verrebbero immediatamente riconosciute e denunciate come tali; di questi tempi, i tempi di Bergoglio, passano tranquillamente, anzi, vengono lodate e apprezzate, come se fossero cose intelligenti, profonde, veritiere. E che vuol dire l’espressione un dialogo intrareligioso, se non che le due religioni sono, a ben guardare, una sola? Grazie tante, se le cose fossero così, se Gesù fosse “solo” un ebreo che è venuto ad ampliare l’antica alleanza, lasciandola sostanzialmente intatta e sempre valida, ciò vorrebbe dire che avevamo sempre creduto di essere cattolici e invece eravamo, e siamo, anzitutto dei giudei. Ma ciò è falso. 
Ebrei e cristiani: dalla stessa radice?

di Francesco Lamendola
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E se Ahed Tamimi fosse vostra figlia?

DI GIDEON LEVY Haaretz.com
Nelle ultime due settimane, ha fatto irruzione nei salotti degli israeliani, a intervalli di pochi giorni, attraverso un altro rapporto superficiale sull’estensione del suo arresto. Ancora una volta, vediamo i riccioli d’oro; ancora una volta vediamo la figura di Botticelli nell’uniforme marrone da servizio di sicurezza Shin Bet e con le manette, che la fanno assomigliare più a una ragazza di Ramat Hasharon che a una ragazza di Nabi Saleh.
Eppure anche l’aspetto “non arabo” di Ahed Tamimi non è riuscito a toccare alcun cuore qui. Il muro di disumanizzazione e demonizzazione che è stato costruito attraverso vili campagne di incitamento, propaganda e lavaggio del cervello contro i palestinesi ha sconfessato anche la bionda di Nabi Saleh.

Potrebbe essere vostra figlia, o la figlia del vostro vicino, eppure l’abuso che soffre non risveglia sentimenti di solidarietà, compassione o elementare umanità. Dopo l’esplosione di rabbia per ciò che ha osato fare, è arrivato l’impenetrabile. È una “terrorista”. Non potrebbe essere nostra figlia; lei è palestinese.
Nessuno si chiede cosa sarebbe successo se Tamimi fosse stata sua figlia. Non sareste stati orgogliosi di lei, come suo padre, che, in un editoriale che esige il rispetto, ha espresso quell’orgoglio. Non avreste voluto una figlia del genere, che ha scambiato la sua inesistente gioventù per una coraggiosa lotta per la libertà? O avreste preferito una figlia che fosse una collaboratrice? O semplicemente una testa vuota?

E come vi sareste sentiti se i soldati di un esercito straniero avessero invaso la vostra casa di notte, rapito vostra figlia dal suo letto sotto i vostri occhi, ammanettata e arrestata per un lungo periodo, semplicemente perché lei ha schiaffeggiato il soldato che aveva invaso la sua casa, e ha schiaffeggiato l’occupazione, cosa che merita molto più che degli schiaffi?
Queste domande non infastidiscono nessuno. Tamimi è una palestinese, cioè una terrorista, e quindi, non merita alcun sentimento di simpatia. Niente spezzerà lo scudo difensivo che protegge gli israeliani dai sensi di colpa, o almeno dal disagio, sul suo oltraggioso arresto, sulla discriminazione da parte del sistema giudiziario, che non le avrebbe mai prestato attenzione se fosse stata una colona ebrea.
Persino la mano indipendente del giudice, il maggiore Haim Balilti, non ha tremato quando ha stabilito che il “pericolo” posto da Tamimi, una ragazza disarmata di 16 anni, giustifica la sua continua detenzione. Anche il giudice è solo un piccolo ingranaggio nella macchina, qualcuno che fa il suo lavoro e ritorna alle sue figlie e ai suoi figli di notte, orgoglioso del lavoro spregevole della sua giornata.
Israele si nasconde dietro una cortina di ferro che non è più possibile perforare. Nulla di ciò che Israele fa ai palestinesi è ancora capace di suscitare compassione. Nemmeno la ragazza poster, Tamimi. Anche se fosse condannata a vivere in prigione per uno schiaffo, anche se fosse condannata a morte, la sua punizione sarebbe accolta con gioia aperta o indifferenza. Non c’è posto per altre emozioni umane nei confronti di alcun palestinese.
Le organizzazioni che rappresentano i disabili, che hanno intrapreso un’imponente battaglia per i propri diritti, non hanno fatto capolino quando un cecchino delle forze di difesa israeliane ha ucciso un disabile, un doppio amputato, su una sedia a rotelle nella striscia di Gaza con un colpo alla testa. Le organizzazioni femminili, che combattono con forza e aggressività contro tutte le molestie sessuali, devono ancora alzarsi in collera contro la chiusura del caso di una detenuta palestinese che sosteneva di essere stata violentata da un poliziotto di frontiera. E i membri della Knesset non hanno protestato per il vergognoso arresto politico della loro collega, Khalida Jarrar, la cui detenzione senza processo è stata nuovamente estesa la scorsa settimana per altri sei mesi.
Se neanche Tamimi riesce a suscitare sentimenti di solidarietà, shock o senso di colpa, allora il processo di negazione, occultamento e repressione – l’impresa più importante dell’occupazione, dopo gli insediamenti – è finalmente completo. Non c’è mai stata un’apatia così terrificante qui, mai l’autoinganno e le menzogne hanno ​​prevalso qui così completamente e non ci sono mai state così poche preoccupazioni morali di fronte all’ingiustizia. Mai l’incitamento ha vinto così completamente.
Gli israeliani non sono più in grado di identificarsi con una ragazza coraggiosa, anche quando assomiglia alle loro figlie, solo perché è palestinese. Non c’è più alcun palestinese che possa toccare il cuore degli israeliani. Non c’è alcuna ingiustizia che possa ancora destare la nostra coscienza, che è stata completamente estinta.
Non disturbare; i nostri cuori e le nostre menti sono stati sigillati in un modo terrificante.
Gideon Levy
Corrispondente di Haaretz
Fonte: www.haaretz.com
Link: https://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.832065
31.12.2017
Versione italiana
Fonte: www.bocchescucite.org
Link: http://www.bocchescucite.org/e-se-ahed-tamimi-fosse-vostra-figlia-di-gideon-levy/
1.01.2018

Russiagate è in realtà Israelgate, Trump è un agente di Israele, non della Russia

DI ROSANNA SPADINI
comedonchisciotte.org
Quando il Congresso autorizzò Robert Mueller e il suo team di avvocati a indagare su rapporti tra il governo russo e la squadra elettorale di Trump, gli avversari del presidente sperarono che prima o poi sarebbero emerse delle prove concrete sulla collusione di Trump con il governo russo.
Alla fine però la prova principale del Consigliere speciale Robert Mueller, sostenuta nella sua indagine «Russiagate», non ha rivelato la possibile collusione russa, ma un’altra collusione, quella fra  Trump e Israele, che avvenne ancora prima di essere inaugurato Presidente.
Dopo tre incriminazioni che non confermarono la grande narrazione collusiva, Mueller era riuscito a trascinare l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn davanti a un tribunale federale per aver mentito all’FBI. Ma l’incriminazione ha minato la narrativa del Russiagate mentre ne implicava un’altra, molto più sconveniente. Flynn ha ammesso di aver mentito all’FBI a proposito di una telefonata con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergei Kislyak, durante il periodo di transizione tra l’elezione e l’inaugurazione, non durante la campagna elettorale. L’ambasciatore chiese a Flynn di non accanirsi con le sanzioni imposte da Obama alla Russia, per accuse ancora non provate sulla violazione del Comitato Nazionale Democratico da parte di agenzie di intelligence russe.

L’unico problema in cui Flynn aveva proposto una qualche forma di coordinamento con la Russia era stato quella di sconfiggere ISIS e Al Qaeda in Siria, mentre sosteneva che i tentativi dell’amministrazione Trump di collaborare con le sue controparti russe in Siria erano state l’obiettivo di un implacabile sabotaggio da parte di media opportunisti e dei funzionari della sicurezza nazionale dell’epoca di Obama.
Sta di fatto che grazie alla soffocante atmosfera da Guerra Fredda che questi insiders hanno coltivato a Washington, gli Stati Uniti sono stati ridotti ad uno spettatore impotente mentre Russia, Iran e Turchia si sono unite per imporre la fine della guerra, che ha devastato la Siria negli ultimi cinque anni.
L’accusa contro Flynn avrebbe voluto rivelare la collusione tra il Team di Trump e uno stato straniero, ma quello stato non era quello ripetuto fino alla nausea da tutti i media, per un anno intero.
Flynn si era attivato con  Kislyak per fare pressioni sul diritto di veto della Russia contro una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che condannava la crescita degli insediamenti illegali di Israele. E lo ha fatto su ordine di Jared Kushner, genero del presidente, che stava agendo a nome del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Grazie all’imputazione di Flynn, ora sappiamo che il primo ministro israeliano è riuscito a trasformare l’amministrazione Trump nella sua arma personale per minare lo sforzo solitario di Obama di ritenere Israele responsabile di insediamenti illeciti. Un esempio chiaro di una potenza straniera che collude con un’operazione politica americana contro un presidente insediato.
Intanto una squadra di ricercatori del Super PAC democratico (organizzazione di raccolta fondi indipendente) ha scoperto che il genero del presidente non aveva rivelato il suo ruolo di co-direttore della Charles Kushner Foundation durante gli anni in cui la “carità” della sua famiglia finanziava l’impresa israeliana per gli insediamenti illegali. L’imbarazzante omissione ha scalfito a malapena la superficie delle relazioni decennali di Kushner con il governo israeliano guidato dal Likud.
Durante gli anni ’90, l’adolescente Jared Kushner fu costretto a lasciare la sua camera da letto per Netanyahu, che così aveva un posto dove stare quando si trovava a New York per lavoro. Almeno dal 2006, i Kushners hanno donato circa 315.000 dollari agli amici dell’IDF, il braccio di raccolta fondi americano dell’esercito israeliano e decine di migliaia di dollari agli insediamenti illegali israeliani nella Cisgiordania occupata, da Beit El a Gush Etzion .
Quando Jared Kushner aveva 17 anni, aveva fatto un viaggio ad Auschwitz-Birkenau, dove un milione di ebrei sono stati assassinati, e aveva ascoltato il discorso di Benjamin Netanyahu «L’Olocausto avrebbe potuto essere prevenuto. Sappiamo che non avrebbe potuto aver luogo se lo stato ebraico fosse stato istituito pochi anni prima», aveva detto il primo ministro nel 1998, tra le rovine di un crematorio di Auschwitz-Birkenau, mentre Jared Kushner e migliaia di altri adolescenti sventolavano bandiere israeliane, in processione attraverso i cancelli del campo e oltre la caserma. Come parte della commemorazione, il gruppo aveva lasciato poi presto la Polonia ed era  volato in Israele, per completare il viaggio, dal massacro alla rinascita sionista.
A quei tempi, il signor Kushner era un giocatore di basket del liceo e nessuno avrebbe potuto immaginare che diventasse un partner negoziale di Netanyahu. Ma a differenza di altri studenti del viaggio, conosceva il primo ministro, che era in rapporti amichevoli con suo padre, uno sviluppatore immobiliare sostenitore di cause israeliane.
Oggi Netanyahu è al suo secondo mandato come primo ministro, mentre Jared Kushner è il genero del Presidente Trump e un importante consigliere per gli affari mediorientali. Trump ha detto che Kushner proverà a «fare la pace», che il presidente ha definito «l’ultimo affare».
Kushner, durante un corso intensivo di diplomazia, ha parlato con i leader arabi nelle ultime settimane, ma rimane un mistero per molti funzionari mediorientali, perché non ha esperienza di governo o di affari internazionali. La sua conoscenza del mondo arabo equivale a poco più di alcuni viaggi in una manciata di paesi del Golfo Persico e una gita costellata di stelle in Giordania.
La fondazione della famiglia Kushner ha persino fatto donazioni alla «Yeshiva Od Yosef Chai», un’istituzione religiosa ebraica in Cisgiordania, che è servita per una base di attacchi terroristici ai coloni palestinesi. La Yeshiva è stata guidata da una coppia di rabbini, che hanno prodotto un trattato genocida, che il quotidiano israeliano Maariv ha  descritto come «Una guida rabbinica per uccidere i non-ebrei, che ha scatenato un putiferio in Israele e ha messo in luce il potere che un gruppo di teocratici genocidi esercita sul governo».
Netanyahu ha dunque riattivato i suoi profondi legami con la famiglia Kusher, e ci sono indicazioni preoccupanti che le sue agenzie di intelligence abbiano spiato gli Stati Uniti tramite Kushner e la squadra di transizione di Trump.
Eli Lake, un editorialista neoconservatore di Bloomberg che frequentemente si affida a fonti interne di Trump e di Netanyahu, ha  riferito che gli «inviati israeliani hanno condiviso le proprie informazioni sugli sforzi di lobbying dell’amministrazione Obama, per convincere gli Stati membri a sostenere la risoluzione [ONU] con la squadra di transizione di Trump.»
Due ex funzionari della squadra di transizione di Trump dicono che durante gli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, il generale in pensione era stato incaricato di contattare ambasciatori stranieri e ministri degli esteri del Consiglio di sicurezza dell’ONU, in vista di un voto che condannava gli insediamenti illegali. A Flynn fu detto di cercare di indurli a ritardare il voto fino a dopo che Barack Obama avesse lasciato l’incarico, o di opporsi completamente alla risoluzione.
Ciò è rilevante ora perché una delle menzogne ​​di Flynn all’FBI è stata quando ha negato di aver chiesto proprio questo all’ambasciatore russo a Washington.
Invece uno straordinario spettacolo si è svolto questo 2 dicembre presso la Brookings Institution, dove il giovane Kushner si è impegnato in una conversazione chiave con l’oligarca israeliano-americano Haim Saban, che ha fatto l’elogio di Kushner per la collusione ordita con Netanyahu.
Kushner ha così ricevuto elogi pubblici per i suoi tentativi illegali di far deragliare un voto del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che condanna gli insediamenti israeliani. Benché Saban, dopo aver guadagnato la sua fortuna nell’industria israeliana delle telecomunicazioni, sia diventato uno dei donatori più generosi del Partito Democratico.
I milioni di Saban hanno finanziato la costruzione del quartier generale del Comitato Nazionale Democratico e hanno riempito le casse della campagna di Bill e Hillary Clinton. Nel 2012, come ricompensa per le bellissime donazioni del Super PAC di Saban a Obama, il presidente ha  nominato la moglie del miliardario, un’ex modella di Playboy  e stilista per bambini, senza esperienza diplomatica, come rappresentante speciale degli Stati Uniti presso l’assemblea generale delle Nazioni Unite.
Lo spettacolo di un uomo potente del Partito Democratico che difendeva una delle figure più influenti dell’amministrazione Trump era chiaramente destinato ad attribuire una patina di normalità bipartisan alla collusione di Kushner con il governo Netanyahu. Infatti lo sforzo di Saban per proteggere il genero presidenziale è stato immediatamente integrato da un editoriale del DailyMail intitolato «Jared Kushner aveva ragione di colludere con la Russia, perché lo ha fatto per Israele».
Intanto gli insiders della Resistenza liberista anti-Trump hanno minimizzato il ruolo di Israele nella saga di Flynn. Mentre Rachel Maddow di MSNBC ha trascorso l’intero anno ad inveire contro il «Russiagate».
La vera urgenza era la posizione del Consiglio di sicurezza verso l’illegalità degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati dal 1967, inclusa Gerusalemme Est, e questo aveva comportato una flagrante violazione ai sensi del diritto internazionale e un grosso ostacolo alla visione di due Stati, che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza, entro confini internazionalmente riconosciuti: 14 delegazioni hanno votato a favore della risoluzione 2334 (dicembre 2016), gli Stati Uniti invece si sono astenuti.
Ciò che volevano sia Trump che  Kushner, era combattere i palesinesi, non tanto l’ISIS. La Russia comunque votò a favore della risoluzione, non la indebolì e nemmeno pose il veto, come Netanyahu-Kushner avevano sollecitato.
Quindi sembra che Trump non sia stato l’agente di Putin in questa faccenda, ma se mai che suo genero abbia prestato servizio come agente di Netanyahu, probabilmente con qualche autorizzazione da parte di Trump stesso, ma l’accusa non è nemmeno riuscita a provare che ci fosse stata tale autorizzazione. Infatti Michael Flynn ha ammesso che i suoi contatti con Kislyak erano stati autorizzati solo da Kushner «un membro molto “anziano” della squadra di transizione presidenziale».
Intanto i repubblicani stanno forzando la mano, nella speranza che ad assumere il mandato di Trump per il resto della legislatura, possa essere Mike Pence. Ma per ottenere questo risultato occorrerebbe  il voto del 67% dei 100 senatori.
Però, mentre i democratici sembrano desiderosi che si realizzi questo scenario, tra democratici e indipendenti sono favorevoli solo 46/48, quindi ci vorrebbe il voto di 9/11 dei 52 repubblicani del Senato.
La Costituzione degli Stati Uniti non fornisce altro modo per privare il Presidente del suo mandato, se non l’impeachment, un processo per illeciti commessi nell’esercizio delle sue funzioni. Per il momento prove concrete sul «Russiagate» non ce ne sono, se mai ci sono quelle su «Israelgate», ma il fatto non disturba nessun membro del Congresso.
Rosanna SpadiniFonte: www.comedonchisciotte.org
31.12.2017
https://comedonchisciotte.org/russiagate-e-in-realta-israelgate-trump-e-un-agente-di-israele-non-della-russia/

Bannon sarebbe un neonazista. Perché, Jared invece…?

Sento  ripetutamente  i media  bollare Steve Bannon come “neonazista”. Non vanno per il sottile i giornalisti, quando sentono che la caccia è aperta.  Ma naturalmente tacciono che il vero razzista – e di un tipo da far apparire  i nazisti degli  amanti del genere umano   –  Trump lo ha nel suo genero influentissimo, il bel Jared Kushner.
Jared appartiene alla setta degli Habad Lubavitcher, potentissima presso il governo americano da  un cinquantennio. Basti dire che quando il loro super-rabbino Mendel Schneerson n el 1983, compì 80 anni,  il Congresso degli Stati Uniti proclamò tale giorno come “Education Day in USA” e lo onorò con la Decorazione Nazionale d’Onore.
In pratica, una festa nazionale.


Una potenza mondiale.

Si deve ai lubavitcher se in tutte le capitali del mondo occidentale,  a Natale, si accende  ufficialmente in qualche piazza un  enorme candelabro a sette braccia, celebrazione della festa concorrente Chanukkah.  Ciò nel quadro di una annosa campagna dei lubavitcher “per abolire le celebrazioni di Natale dei goy [..] in base alla nota sentenza ebraica che definisce i cristiani idolatri  (Likkutei  Sichos, 37:198”, si legge in uno dei loro volantini.
“Likkutei Sichos”  è la accolta dei discorsi del loro super-rebbe, il sopra citato Scheerson, a cui i fanatici attribuiscono il valore di rescritti talmudici.

Il “messia” Schneerson (1902-1994)

Ora, in questi scritti, il rabbi insegna – né più né meno –   che gli ebrei sono Dio, e gli altri  esseri umani  sono animali destinati a servire gli ebrei, o a perire   nel regno d’israele prossimo venturo, sotto le leggi penali che saranno imposte su di loro. Una di queste è la pena di morte per il peccato di “Idolatria”,  come la celebrazione del Natale di Cristo. Nel mio “Chi comanda in America” ho citato alcuni rescritti di Schneerson  che delineano la sua teologia suprematista. Qualcuno lo ha postato in pdf :
La differenza tra un  ebreo e un non-ebreo si comprende alla luce della ben nota espressione [biblica] ‘differenziamoci’.  Dunque non abbiamo  qui solo il caso di una persona che sia solo di un livello superiore all’altra […] Il corpo di un ebreo è di qualità  totalmente diversa dal corpo di ogni altro individuo delle nazioni.[…] L’intera realtà non-ebraica è solo vanità.  Sta scritto: “E gli stranieri cureranno le vostre  greggi (Isaia 61:5).
In un altro rescritto, il super-rabbino sancisce: l’aborto è un delitto. Va punito con la morte il non-ebreo che lo commette. Non però se l’aborto lo commette un ebreo. “Perché?”, si domanda Schneerson.  E si risponde: “La risposta viene   dal considerare la differenza  generale fra ebrei e non ebrei: un ebreo non è stato creato come mezzo per qualche altro scopo: è egli stesso lo scopo. L’intera creazione esiste per servire i giudei. [Per questo] un ebreo, la cui esistenza è la sola cosa importante, non deve essere punito per [aver eliminato]  qualcosa di secondario”.
Altrove, sui trapianti e loro liceità: “Se un giudeo ha bisogno di un fegato, può prendere  il  fegato di un non ebreo innocente per salvare il primo? La Torah sembra consentirlo. La vita di un ebreo ha valore infinito. Se vedi due persone affogare, un ebreo e un non-ebreo, la Torah ti impone di salvare prima la vita dell’ebreo”.
Israel Shahak, che ha riportato questi due rescritti lubavitcher nel suo saggio Jewish Fundamentalism,  commenta: “Basta cambiare la parola ‘ebreo’con ‘ariano’, ed  ecco la dottrina che ha reso possibile Auschwitz”.
Ora, Jared Kushner ha frequentato la “Chabad House” aperta nell’universitàdi Harvard, dove lo lodano come “studenta mega-donatore a palate”.
In quell’occasione, Jared versò  infatti alla “Missione” (tali sono le migliaia di Chabad Houses nel mondo) 150  mila dollari. Ma è una pioggia continua, centinaia di migliai di dollari  della Kushner Foundaton (“charity”, esentasse). Anche la Donald J. Trump Foundation ha donato a tre diverse istituzioni Lubavitcher 11.500 dollari.   Jared manda i figli alle scuole   della setta lubavitcher.

Il loro Messia non risorse..

Ho  parlato di Menachem Mendel Schneerson (Ucraina 1902, New York 1994)   come di  un super-rabbino. E’ di poco: migliaia di suoi seguaci han cominciato a chiamarlo non “rebbe” bensì “Mosiach”, e lui ha più o meno lasciato fare. Anzi  ha  acceso l speranze messianiche   fino al delirio quando, all’inizio della Guerra del Golfo contro Saddam (1991),  annunciò ai seguaci che tale evento  “annunciava l’arrivo del Messia”,  secondo la midrash Yalkut Shimoni (una compilazione rabbinica di commenti alla Bibbia) : “O voi umili, il tempo della vostra redenzione è arrivato.”

Obama col rabbino Levi Shemtov, il “cappellano” dei Lubavitcher al Campidoglio.

Il punto è che si suoi seguaci comprarono pagine intere di giornali per inserzioni ,appunto  a tutta pagina,  in cui annunciavano che  era giunta la Redenzione. Uno dei suoi sotto-rabbini,  Rabbi Asher Zeilingold dichiarò  alla stampa che “si aspettava che il messia arrivasse da un momento all’altro” e che Schneerson “presto sarebbe stato riconosciuto da Dio come il  salvatore”.
Schneerson si ammalò. Mentre giaceva in agonia alla clinica  Beth Israel Medical Center, circa 2.000 seguaci si radunarono fuori  danzando  e cantavano, e preannunciando la   fine del mondo. Altri pregavano, altri ancora battevano contro il muro dell’ospedale come  fanno al Muro del Pianto.
Al suo funerale, decine di irriducibili credenti danzarono durante tutto il corteo, affermando che la sua morte era una fase “obbligatoria” del suo ritorno come Messia. “Nel momento in cui  la bara veniva posta sul carro funebre, una folla disperata di fedeli Lubavitch  inneggiava preghiere affinché Schneerson si alzasse e si rivelasse il Messia  tanto atteso”, scrisse il Washington Post.
Ad ogni buon conto, non seppellirono il corpo se non dopo tre giorni, perché non si sa mai che risorgesse come Gesù. Scrive Wikipedia: “Tre giorni dopo la morte di Schneerson, il giornale ebraico The Forward scriveva che il movimento si era diviso, con un gruppo che asseriva che il Rebbe era ancora vivo ed un altro che credeva sarebbe risorto: “Ci sono coloro che  dicono che non credono il rebbe sia morto, e altri che dicono che la sua resurrezione è prossima. Alcuni di questi resurrezionisti, hanno cominciato a dormire vicino alla  tomba del Rebbe nel cimitero di Queens, sperando di essere i primi a vedere il loro Messia risorgere dai morti.”
Un indizio in più di quanto i Lubavitcher siano influenzati  dal cristianesimo settario americano, quasi una versione ebraica dei Testimoni di Geova   con  i loro ripetuti annunci della fine del mondo,  o dei “cristiani rinati” che aspettano la “rapture”, ossia di essere rapiti al cielo prima della Grande Tribolazione, che invece subirà  il resto dell’umanità non rinata.
Ancor oggi, secondo l’antropologo Simon Dein : “I membri Lubavitch sostengono che il loro Rebbe è più potente in campo spirituale senza l’ostacolo del corpo fisico. Alcuni asseriscono che egli non sia mai morto. Diversi altri affermano che il Rebbe sia Dio  […] Esistono certi elementi cristiani che sembrano permeare le idee messianiche di questo gruppo.”  (“Mosiach is here now: just open your eyes and you can see him”,   Simon Dein, Anthropology & Medicine, Volume 9, nr. 1/aprile 2002).
Il rabbino e studioso Jacon Neusner, celebre per il suo duetto teologico con Papa Ratzinger  (2007), ha confermato: “Una sostanziale maggioranza dell’importante movimento ortodosso chiamato Lubavitch o  chassidismo Chabad  afferma che il loro Rebbe, Rabbi Schneerson , sepolto nel 199a senza lasciare successori… presto ritornerà per completare la redenzione in qualità di Messia”.
Sono copiature di “messianismo cristiano” tanto riconoscibili, che un antropologo Joe Marcus li ha paragonati a quelli della prima cristianità: “Entrambi i capi accettarono tacitamente la fede messianica dei loro seguaci ma furono reticenti nel dichiararsi messia direttamente. Il cataclisma della morte del Messia ha portato a credere nella sua esistenza continuativa e persino nella sua resurrezione”.    Magari con la piccolissima differenza che i cristiani non coltivano il razzismo metafisico di credersi, collettivamente, popolo-dio.
Fatto sta che la diffusione delle credenze Lubavitcher è molto   vasta negli ambienti ebraici apparentemente lontani. Dopo la morte di Schneerson, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti propose una mozione — sponsorizzata dai Rappresentanti Chuck Schumer (j), John Lewis(j), Newt Gingrich, e Jerry Lewis  (j), e da altri 220 membri del Congresso americano — per assegnare a Schneerson la Medaglia d’Oro del Congresso degli Stati Uniti d’America. Il 2 novembre 1994 la mozione fu unanimemente approvata da entrambe le Camere onorando Schneerson per i suoi “straordinari contributi all’educazione mondiale, alla moralità e per le importanti azioni di carità”.  Sic.

A proposito di tanta moralità e carità:

Un  Lubavitcher famoso, rabbi  Mani Friedman, alla domanda sul come secondo lui gli israeliani devono trattare gli arabi, ha risposto: “Il solo modo di combattere una guerra morale è il modo ebraico: ‘Distruggi i loro luoghi santi. Uccidi uomini, donne e bambini (e il  loro bestiame)”.
https://www.haaretz.com/news/chabad-rabbi-jews-should-kill-arab-men-women-and-children-during-war-1.277616
Questa è dunque la ideologia che motiva Jared Kushner, i suoi familiari,   il suocero di cui è diventato il massimo ascoltatissimo consigliere  sul Medio Oriente.
La credenza nel loro messia risorto  e gli ovvii prestiti dal  cristianesimo non fa dei Lubavitcher un movimento ereticale, come sostengono alcuni.  Non eisste un vero concetto di eresia nell’ambiente: un ebreo è sempre un ebreo anche se è sabbateo, o frankista.  Del resto l’idea che i goym siano “animali parlanti” è  mainstream nell’ebraismo talmudico, così come la prescrizione di sterminare dei nemici, uomini donne bambini e animali. In varie occasioni il rabbino-capo italiano, Di Segni, ha dato manifestazioni di simpatia verso i Lubavitcher e la loro “missione” (convertono gli ebrei poco praticanti), ne condivide  totalmente le posizioni su Gerusalemme:
senza rilevare la stranezza del  loro “resurrezionismo”.
Ci si può alfine chiedere  come mai gli ebrei non hanno accettato il Messia cristiano    con la credenza nella “sua morte e la credenza nella sua resurrezione ed  esistenza continuativa” mentre non si scandalizzano che i Lubavitcher credono la stessa cosa del “loro” messia. Evidentemente, la differenza sta che il primo non adottò né predicò il suprematismo  razziale. Questo è  evidentemente il discrimine.
E poi ci dicono che Bannon è “nazista”..

Perché il Mossad ha simulato un attentato dell’ISIS in Vaticano?


Posto Scriptum – un lettore mi segnala:
“Sul numero 369 del mensile “Panorama Difesa” (mese dicembre 2017) a pag.35, nella rubrica “Intelligence”, facendo riferimento a un articolo del Jerusalem Post, si scrive di una esercitazione antiterrorismo organizzata dal Mossad e dall’ICT (International Institute for counter-terrorism) dall’11 al 14 settembre scorso, in località Herzliya più un’altra rimasta segreta, avente come tema: “un attentato dell’ISIS in Vaticano”. Come citato dal giornale israeliano, nel wargame live, sarebbe stato ricostruito fedelmente il vaticano simulando tutte le possibili tipologie d’attacco. Alla simulazione avrebbero assistito anche membri di servizi di sicurezza stranieri occidentali tra cui italiani (AISE) e del Vaticano”.
(Ritengo questo piuttosto “un avvertimento”   e una iniziativa del  loro marketing sulla “security”, di cui sono leder mondiali  e vogliono esportare. Se volessero davvero fare un “attentato dell’ISIS”, non lo direbbero ai giornali)

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