ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 7 febbraio 2018

Cattolici doc con patente di essere adulti

E' SCONTRO CON LA CEI

La Scuola di Bologna vuole prendersi anche l'Antimafia

Ci mancava anche lo scontro ecclesiale per il controllo del mainstream antimafia. L’attacco è di quelli eclatanti, ma è passato in sordina, forse perché nessuno si è accorto della sua portata. Il terreno è il campo dell’antimafia dove fa specie che due vescovi si mettano l’un contro l’altro per il controllo della vulgata sulla legalità. Soprattutto se uno dei protagonisti è il segretario della Cei Nunzio Galantino, che della Conferenza Episcopale Italiana sembra anche il presidente ombra.

I fatti risalgono a qualche giorno fa. Galantino viene invitato a Roma a Contromafiecorruzione, un’iniziativa organizzata da Rete Libera di don Ciotti. Nel portare il suo sostegno ai partecipanti, il vescovo si lancia su un j’accuse molto preciso. E’ rivolto agli Stati Generali per la Lotta alle mafie, un organismo ministeriale creato dal titolare della Giustizia Andrea Orlando che ha lavorato su diversi tavoli e ha presentato i suoi lavori a fine novembre scorso a Milano.


In particolare, nel mirino del vescovo segretario è finito il tavolo 13, quello che Orlando ha istituito per affrontare la tematica su Mafia e Religione. A Galantino non sono piaciute le conclusioni di questo tavolo.

“Tra le affermazioni, banalità, non documentate, scritte con una buona dose di arroganza e sicuramente sostenute da preconcetti e mancanza di conoscenze dirette, leggo di una fattuale estraneità delle Chiese, o almeno della Chiesa cattolica, a una lotta alle mafie”, ha detto. E ha proseguito: “Posso esibire, storie, nomi e fatti che, non da oggi, vedono uomini e donne di Chiesa impegnati, non intorno al Tavolo 13, ma per strada mettendoci faccia e impegno”. Poi ha rincarato la dose bocciando di fatto quel tavolo ministeriale: “La mia non è una rivendicazione quanto piuttosto la voglia di prendere le distanze da chi farebbe bene ad abbandonare ideologismi sterili per vedere dove c’è l’impegno e riconoscerlo”.

Insomma, l’attacco di Galantino è significativo, ma sbaglierebbe chi pensasse che l’obiettivo del segretario Cei fosse solo politico, o almeno di quella politica Pd che tramite Orlando ha licenziato il documento sostenendo la tesi che la Chiesa non faccia abbastanza per la cultura antimafia.

No. E’ uno scontro tutto ecclesiale. Per capire il peso di questo scontro infatti è bene andare a guardare chi ha composto fino al novembre scorso il Tavolo 13 promosso dal ministero. In cima troviamo una vecchia conoscenza del cattolicesimo democratico, quell’Alberto Melloni che del ministro Orlando è stato non solo consulente in questo tavolo, ma di cui è anche tifoso politico, avendo appoggiato pubblicamente la sua candidatura nell’aprile scorso alle primarie Pd. Un tifo politico che Melloni non nasconde e che probabilmente si ravviverà in questi giorni dato che l’esponente della minoranza Pd è candidato in un collegio a Reggio Emilia, che non è solo un fortino elettorale rosso, ma è anche la città in cui Melloni vive e insegna, quando non è impegnato in altri incarichi consulenziali.

Ora, a parte la curiosità di Melloni che viene nominato coordinatore del tavolo da Orlando, di cui politicamente fa il tifo, ma evidentemente non ci sarà materia per conflitti di interessi vari, è significativo andare a spulciare anche gli altri nomi del board ministeriale. E qui si scopre che ci sono davvero tante conoscenze di Melloni. Esperti di religione forse sì, ma chissà poi quanto esperti di mafia, malavita, legalità, criminalità organizzata etc…

In tutto, compreso Melloni ci sono 14 membri. E tra questi spiccano diversi componenti della Fondazione per le Scienze Religiose di Bologna, il think tank del cattolicesimo progressista di cui Melloni è segretario plenipotenziario e già beneficiato lautamente dagli ultimi governi, non senza ambiguità.

C’è ad esempio Davide Dainese, classe 1981, che è membro della Scuola di Bologna e si occupa prevalentemente di Tarda Antichità e Patristica. E c’è Silvia Cristofori, ricercatrice di antropologia culturale che ha svolto ricerche in Rwanda e nel contesto migratorio romano. Anche qui non c’è traccia di competenze nel campo di boss e mammasantissima. Forse un po’ di esperienza potrebbe avercela un altro membro del tavolo, e anch’egli membro in via San Vitale a Bologna, don Giuseppe Ruggieri, che è entrato in Fondazione nel lontano 1978 e ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Ma nessuna, ahinoi, nel campo della lotta alla Mafia, né al rapporto tra Chiesa e criminalità organizzata. Insomma: per trovare un qualche membro della Fondazione più o meno con attinenza alla tematica in oggetto bisogna ricorrere a monsignor Corrado Lorefice, da pochi anni vescovo di Palermo. Che almeno è siciliano, il che non significa automaticamente che si intenda di Mafia, ma almeno in questa penuria di competenze fornite da via San Vitale, può fare la sua figura. Di sicuro è considerato affiliatissimo alla scuola di Bologna, dove ha studiato e grazie alla quale ha potuto dare alle stampe un volume sulla Chiesa povera di Dossetti e Lercaro, uno dei “core business” della Fscire.

Non è questo il luogo per analizzare le conclusioni del tavolo, per questo rimandiamo a un successivo articolo, se non dire che le conclusioni scaturite dagli incontri della commissione, appena tre in tutto, hanno fortemente irritato il segretario della Cei. Per una sorta di ingerenza negli affari della Chiesa portati avanti da un governo ma con il lavoro di esponenti di Chiesa, vedi il vescovo Lorefice, e di studiosi che si fregiano, vedi Melloni, la patente di cattolici doc, moderni e molto vicini a Papa Francesco.

E a questo tentativo di indirizzare le politiche antimafia della Chiesa italiana Galantino ha risposto con una veemenza che di fatto smentisce la granitica sicurezza che la Scuola di Bologna ha sempre vantato circa il suo potere nella mappa del cattolicesimo che conta. Di sicuro è uno scontro insolito, dove l’antimafia non è altro che una scusa per disegnare equilibri e scenari di potere diversi.

Con questo documento bocciato da Galantino si chiedono alla Chiesa e alla Santa Sede interventi canonici e magisteriali nuovi, ma si preannuncia anche l’inquietante scenario di un monitoraggio della predicazione dei preti, per controllarli in chiave antimafia.

E si denuncia anche l’impossibilità della Cei a collaborare con il tavolo di Orlando. La relazione licenziata da Melloni e dai suoi uomini parla chiaro quando denuncia “la difficoltà manifestata dalla presidenza (Bassetti) e dalla segreteria (Galantino) della Cei a contribuire in forma di audizione scritta ai lavori del tavolo” oltre al “diniego alla richiesta da indirizzare all’episcopato di una lettera che chiedeva a ciascuna chiesa diocesana di confessione cattolico-romana di prendere posizione sul tema”. Una difficoltà che per Melloni & co è indice della “fattuale estraneità delle Chiese – o almeno sicuramente della Chiesa cattolica – a una lotta alle mafie che, essenzialmente, è condotta soltanto dalle istituzioni dello Stato”.

Firmato, rivisto e corretto per conto di un governo Pd dalla scuola di Bologna, nota esperta di mafie e affini.

Andrea Zambrano
http://www.lanuovabq.it/it/la-scuola-di-bologna-vuole-prendersi-anche-lantimafia

  • IL DOCUMENTO MINISTERIALE

Ossessione antimafia: lo Stato vuole controllare le omelie

Una parrocchia che si fa tribunale del popolo e un vescovo che diventa procuratore generale obbligato a denunciare il minimo sospetto di mafiosità. E in mezzo sacerdoti come tanti osservati speciali per concorso esterno le cui omelie vengono tenute d’occhio da un osservatorio statale apposito: tutto deve essere ricalibrato secondo la nuova definizione di Teologia della liberazione dalle mafie, anche la cura d’anime e l’attività pastorale e spirituale. Soltanto la confessione, grazie a una sentenza della Cassazione, per il momento non sarà toccata.
Per tutto il resto lo scenario delineato dalle conclusioni del Tavolo 13 su Religione e Mafia all’interno degli Stati generali del Ministero della Giustizia va nell’ottica di un controllo statale di tutta l’attività ecclesiastica. Facile capire perché il documento – a cui hanno lavorato 13 “esperti” nominati dal Guardasigilli Andrea Orlando e coordinati da Alberto Melloni – è stato bocciato senza appello dal segretario della Cei Nunzio Galantino. Proprio perché sembra di scorgervi una metodologia di controllo da politburo sulle attività e sulla libertà concordataria della Chiesa cattolica italiana. Ma soprattutto perché parte da premesse di sospetto sulla reale percezione che la Chiesa italiana ha del fenomeno mafioso.
Il documento chiede quindi “alle Chiese (ci sono anche le altre confessioni religiose, ma quella Cattolica è “l’imputato” numero 1) qualcosa di molto di più di ciò che finora è stato chiesto”. In particolare che cosa? Una “vigilanza sulle pratiche devozionali e l’esplicitazione della coincidenza peccato/reato nella adesione alle Mafie”. Sembra da parte degli estensori della Fondazione per le Scienze Religiose di Bologna, che ha avuto nella stesura del documento una larga voce in capitolo per numero di membri e per autorevolezza di componenti, tra cui l’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, sembra che quella delle devozioni pubbliche sia un’ossessione. Complice la letteratura giornalistica fatta di inchini e processioni in favore di boss, molto limitate nel numero e scarsamente documentate a fronte di una terra, il meridione, che di processioni e devozioni vive ancora a differenza del nord Italia, con spirito genuino e sincero di fede di popolo.
Infatti si intima alla Chiesa di “vigilare affinché le espressioni della religiosità popolare non diventino il set su cui inscenare una rappresentazione del potere mafioso con effetti di intimidazione verso le vittime e di seduzione verso i giovani”. Sembrano parole di chi non conosce il sud Italia, dove sicuramente ci sono episodi discutibili ed eccesivi, ma che non corrispondono alla realtà dei fatti. Lo dimostra il fatto che a comprovare le presunte connivenze tra Chiesa e Mafia il lavoro ministeriale non è in grado di elencare che un paio di episodi di sacerdoti, molti anni fa, trovati a celebrare messa in un covo di un boss, un prete arrestato nel ’97 perché palesemente mafioso e pochissimo altro. Tutto il resto è letteratura data per scontata per arrivare ad affermare un postulato del tutto discutibile: la Chiesa non ha fato abbastanza nella lotta antimafia.
Certo, vengono citati esempi luminosi e paradigmatici: don Pino Puglisi, don Peppino Diana, il discorso di Giovanni Paolo II ad Agrigento e la scomunica lanciata ai mafiosi da Papa Francesco. Ma è strano, molto strano, che non si citi l’impegno antimafia del giudice Rosario Livatino, guarda caso servo di Dio. Eppure anche lui è stato un figlio della Chiesa siciliana, fulgido esempio di fede e di lotta alla mafia.
Il documento parla un linguaggio che non appartiene a quello cattolico, più incentrato sulla conversione dei cuori che non sulla resistenza civile. E affronta anche alcuni cenni storici per cercare di spiegare la presunta indifferenza quando non complicità delle strutture ecclesiastiche verso i poteri mafiosi: “Gerarchie ecclesiastiche affaccendate nei decenni della guerra fredda in una viscerale avversione al comunismo hanno favorito e non hanno ostacolato un cattolicesimo imperniato sulla cerimonialità collettiva e sulla devozione ai santi minimizzando la pericolosità quand’anche non favorendola del fenomeno mafioso ai fini di rideclinare in senso anticomunista una nuova societas christiana”. Parole gravi, che di fatto attribuiscono alla Chiesa una sorta di connivenza nel segno dell’anticomunismo.
Insomma: ne esce un quadro di una Chiesa troppo impegnata nella lotta al comunismo e per nulla alla Mafia. Con queste generalizzazioni “savianesche” ne esce umiliato tutto il clero siciliano (di Ndrangheta Camorra non si parla, anche qui una lacuna). Letteratura, si dirà. Ma presentata con il sigillo governativo dello Stato. Che ora passa a incassare una sorta di tributo che sa di imposizione.
E al primo punto troviamo l’aspetto più inquietante: il monitoraggio della predicazione. “Dallo Stato emerge la poca attenzione che la storiografia ha sinora prestato alla predicazione come fonte sia contro sia a favore delle Mafie nelle comunità di fede”. Ma questo è un dato che accompagna la vita delle comunità sacerdotali alle quali sta più a cuore la conversione del peccatore che la denuncia di questo o quel comportamento sospettoso. Perché non è il suo compito. Capirlo non è difficile, ciononostante si propone di costituire un osservatorio sulla predicazione in Italia, composto, si badi, da giudici e giornalisti per consentire ai responsabili delle comunità di fede nelle quali si suppone vi sia un reclutamento criminale di vigilare e poter intervenire con l’auspicio di atti correttivi risolutivi o di predisporre catechesi su ciò che davvero ha valore per la costruzione del tessuto sociale”. Reclutamento nelle parrocchie? Ma su quali basi? Su quali informative di polizia?
Tradotto: in una parrocchia si sospetta che il parroco non parli a sufficienza della mafia. Allora si mette in moto l’osservatorio dove giudici e giornalisti, notoriamente le due categorie più sensibili al professionismo antimafia dovranno verificare il comportamento del sacerdote. Se questi non soddisferà i criteri, bisognerà intervenire per purgare il pericoloso nemico del popolo. Come? Questo il documento non lo dice, ma è importante che passi il concetto. Il candidato del Pd Andrea Orlando saprà riproporre la tematica all’attenzione del Parlamento.
Con questo criterio trionfa il sospetto e il pregiudizio, proprio il terreno più fertile perché il potere mafioso cresca e germini i suoi semi di morte. Ma soprattutto il controllo sociale sull’attività spirituale di ministri del culto. Sembra di essere tornati nella Repubblica Popolare Tedesca. Ma siamo in una sala del ministero di via Arenula con molti cattolici doc con patente di essere adulti.
Andrea Zambrano

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