Come tutti gli anni, la Chiesa ha dedicato la settimana dal 18 al 25 gennaio alla «preghiera per l’unità». In effetti, la data d’inizio corrisponde alla festa della Cattedra di San Pietro, e quella di fine alla festa della Conversione di San Paolo: questi due simboli si prestano facilmente alla volontà di vedere la fede propagarsi per salvare delle nuove anime.
Questo periodo è ormai dedicato al proliferare di scandali e di apostasie pubbliche da parte sia di parroci sia di vescovi. Al punto che Dio deve trattenere la Sua collera davanti a tante blasfemie che gridano verso il Cielo.
Questa settimana, non fu autorizzata dal Papa San Pio X?
Innanzi tutto occorre fare una distinzione: i papi non modernisti non hanno utilizzato l’espressione “unità della Chiesa”, come se si trattasse di una caratteristica che le mancasse. Il Papa, nel 1909, diede la sua approvazione a delle preghiere da recitare in questa settimana «per la conversione dei fratelli traviati». La sua preoccupazione consisteva nel ritorno degli eretici all’unità della Chiesa.
Ma questa divisione tra cristiani non dà un pessimo esempio di quello che voleva Cristo?
Furono i protestanti a considerare così questa realtà: infatti, a differenza di tutte le eresie della storia della Chiesa, la loro ha introdotto il libero esame, la lettura della Bibbia alla sola luce della ragione. Il risultato non si fece attendere: si giunse ad una costellazione di opinioni le più disparate. Tanti protestanti, altrettante chiese. Da cui la seguente constatazione di Bossuet nella sua Histoire des variations des églises protestantes [Storia delle variazioni delle chiese protestanti] pubblicata nel 1688.
Panico tra i protestanti!
Essi avrebbero dovuto rendersi conto che senza «autorità magisteriale» erano votati a questa deflagrazione. Ma invece di porsi il problema della «verità» preferirono «rappezzare». Nel 1857, riprendendo una iniziativa precedente, un cattolico liberale e un pastore crearono in Gran Bretagna l’Associazione per la Promozione dell’unità dei Cristiani. Essa raccolse 6000 membri. Nel 1864 la Santa Sede chiese ai cattolici di non farvi parte. Ma l’interdizione per i cattolici divenne più esigente dopo gli incontri di Chicago del 1886: già all’epoca si tentava di mettere da parte le differenze dogmatiche per intendersi nel solco comune della credenza.
Verso il 1910, l’ecumenismo prese la sua piega moderna di una ricerca di convergenze tra i cristiani di diverse confessioni, che sfocerà nel 1948 nella creazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Vi si ritrovarono protestanti e sette autonome insieme a degli ortodossi.
La svolta del Vaticano II
Il Papato non ha mai permesso alla Chiesa cattolica di entrare in questa grande «fiera delle religioni». Tuttavia, il concilio Vaticano II segnò una vera svolta: affermando che «queste Chiese e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di valore.» (Unitatis redintegratio, n° 3). In altre parole, Dio si degna di servirsi delle sette protestanti in quanto tali per salvare le anime.
Fino ad allora, si sapeva che l’errore poteva essere solo un ostacolo per la condotta delle persone sincere; il loro giungere allo scopo poteva realizzarsi non grazie all’errore e alle sette, ma malgrado esse.
Agli antipodi, Giovanni Paolo II ci ha fatto sapere che: «è cosa di estrema importanza fare una presentazione corretta e leale delle altre chiese e comunità ecclesiali, delle quali lo Spirito di Cristo non rifiuta di servirsi come di mezzi di salvezza» (1).
Così si capisce come sia stato possibile dare inizio a quelle grandi riunioni in cui la preghiera di ciascuno è considerata sullo stesso piano di uguaglianza; come ad Assisi – la prima ebbe luogo il 27 ottobre 1986. Allora si è visto lo stesso Papa, in una chiesa spogliata del Santissimo Sacramento e dei segni di venerazione della Vergine, e i rappresentanti delle altre religioni riunirsi con un ramo d’ulivo in mano «per pregare».
Ma non è un passo in avanti mostrare al mondo un volto di pace e di unità?
Non furono certo i cattolici a dividere la tunica di Cristo. E’ per questo che si parla di «sette» che si separano. Il termine stesso indica il fatto di separarsi dall’unità.
«…facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono.» (2).
La Chiesa non ha bisogno degli artifici degli uomini per essere «Una»
All’approssimarsi della Sua morte, davanti ai Suoi Apostoli, Cristo ha pregato a lungo per l’unità. «… perché siano perfetti nell’unità… come tu, Padre, sei in me e io in te» (3).
Egli vuole far partecipare i cristiani ad un’unità che Egli vive già: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv. X, 30), cioè una sola e medesima sostanza. Non è esattamente quello che proclamiamo nel nostro Credo, dicendo che il Figlio è «consustanziale al Padre»?
Incarnato, Il Figlio è ancora «uno» con il Padre. Egli chiama i suoi a introdursi in questa unità, in questa vita trinitaria: è la grazia santificante.
Dio chiama l’uomo a vivere nella Sua unità. Questa profonda comunicazione di Dio all’uomo lo trasforma al punto che lo rende perfetto nell’unità (4); essa si realizza per tutti gli eletti, al punto che nella Chiesa esiste una comunione degli eletti.
Più una cosa è perfetta, più essa ha dell’unità. L’unità di un mucchio di sabbia non è quella di un essere vivente! La Chiesa possiede dunque uno stato di perfezione fin dalla sua origine, dalla sua esistenza nei disegni dell’eterna Provvidenza. Nel suo essere, essa gode dell’unità di un essere vivente, poiché essa è fatta per questa perfezione nell’unità. Negli esseri spirituali, un’unità spirituale e divina supera necessariamente in intensità un’unità fisica.
Per esistere, la Chiesa ha bisogno solo di se stessa e quindi rimanere indipendente da ogni condizione umana e terrena. E’ essa che conduce l’uomo alla perfezione e non viceversa.
La «tunica senza cuciture» simboleggia la Chiesa;
l'abito di Arlecchino rappresenta il protestantesimo
l'abito di Arlecchino rappresenta il protestantesimo
Nostro Signore Gesù Cristo prega «perché siano perfetti nell’unità» (5), di una unità che precede e supera quelli che essa trasforma.
La tendenza moderna vorrebbe che la Chiesa fosse trascendente solo ad opera dell’uomo. Ora, la Chiesa ci precede ed è dalla sua unità che noi riceviamo la perfezione. L’ecumenismo è dunque sterile: esso fabbrica la comunione degli uomini sulla negazione della trascendenza dell’unica Chiesa di Cristo. Noi diventiamo «uno» in Dio solo per l’unione che ci comunicano la fede e la grazia.
«Una sola fede, un solo battesimo», dice chiaramente San Paolo; poiché la fede, illuminando l’anima la introduce nel dominio in cui essa sarà purificata e vivificata dalla grazia.
Anche l’ubbidienza ai capi visibili della Chiesa non può esimersi da questa realtà. Questa virtù è dell’ordine morale, dunque dell’agire umano: essa può essere solo condizionata dall’ordine ontologico della grazia che ci è comunicata. A questo titolo, essa è garante dell’unità: il Sommo Pontefice è al servizio della verità, dunque ne è depositario.
Ci si accorge allora che la comunione con la Chiesa non è a «geometria variabile», come lascia intendere il lessico moderno con le sue «piene comunioni». I Pontefici moderni hanno creato un conflitto tra l’appartenenza all’unità e l’apparenza di una disobbedienza. Solo a fronte di questo paradosso le reazioni possono essere classificate come «gradi di comunione». Ad un falso problema si oppone una falsa risposta. Gesù dice senza alcun possibile dubbio: «Voi non credete perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce: io le conosco ed esse mi seguono».
Esiste solo un unico ovile.
Per concludere, lasciamo la parola a San Cipriano:
«Nel Vangelo vi è un’immagine del mistero di questa unità, del legame di questa intesa che dev’essere perfetta, ed è la tunica senza cuciture di Nostro Signore Gesù Cristo. Essa non è divisa né strappata… questa tunica la si riceve tutta intera, la si possiede senza che sia danneggiata o tagliata.
«Questa tunica (Gv. 19, 23) è l’immagine dell’unità che viene dall’alto, e cioè dal Cielo e dal Padre. Colui che riceve questa unità e la possiede non può lacerarla, egli l’ottiene tutta intera, una volta per tutte, solidamente. Colui che strappa e divide la Chiesa non può possedere la tunica di Cristo» (6).
«Questa tunica (Gv. 19, 23) è l’immagine dell’unità che viene dall’alto, e cioè dal Cielo e dal Padre. Colui che riceve questa unità e la possiede non può lacerarla, egli l’ottiene tutta intera, una volta per tutte, solidamente. Colui che strappa e divide la Chiesa non può possedere la tunica di Cristo» (6).
1 - Catechesi tradendae – 16 ottobre 1979 – n° 32.
2 - Enciclica Mortalium Animos, 6 gennaio 1928.
3 – Gv. XV, 21.
4 – Gv. XVII, 23.
5 – Gv. XVII, 23.
6 – San Cipriano, L’unità della Chiesa.
di Don Jean-Pierre Boubée, FSSPX
Pubblicato su Le Chardonnet n° 335, febbraio 2018
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