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sabato 24 febbraio 2018

Sulla sua parola..

Sulle parole di papa Francesco, il piccolo Alfie Evans verrà lasciato morire.

Alfie
Pubblichiamo l’articolo del blog Fine dei tempi, le notizie in esso riportate sono  stata accuratamente verificate e corrispondono a verità.
I genitori di Alfie Evans, un bambino di 21 mesi con una misteriosa malattia, hanno ricevuto un colpo devastante da un’alta corte il 20 febbraio, quando il giudice Anthony Hayden ha stabilito che il ventilatore del bambino deve essere spento.
Kate James, 20 anni, e Tom Evans, 21 anni, stanno combattendo l’ospedale per bambini Alder Hey a Liverpool da giugno 2017. Dopo essere stato ricoverato in ospedale nel dicembre 2016, le condizioni del piccolo Alfie hanno iniziato a declinare e l’ospedale ha iniziato a fare pressione sui genitori per privare il loro bambino dal supporto vitale.
Nella sua decisione scritta, il giudice Hayden ha riconosciuto la fede cattolica professata dai genitori di Alfie, dicendo che “è importante che queste convinzioni siano considerate all’interno della vasta gamma di fattori rilevanti” in relazione ai “migliori interessi” di Alfie.”

Il giudice Hayden ha poi citato la lettera aperta di papa Francesco del novembre 2017 alla Pontificia accademia per la vita (Qui) come giustificazione per la rimozione forzata del sostegno vitale di Alfie.
Infatti  ha dichiarato (Qui): “La posizione della Chiesa cattolica romana è talvolta caratterizzata in modo impreciso nei casi riguardanti queste difficili questioni etiche. Il documento di Mylonas (difensore della struttura ospedaliera, ndr) è una lettera aperta, di Sua Santità Papa Francesco, al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, datata novembre 2017. Nel suo messaggio, Papa Francesco ha chiesto “maggiore saggezza” nel trovare un equilibrio tra gli sforzi medici per prolungare la vita e la decisione responsabile di prolungare il trattamento quando la morte diventa inevitabile.
La sua lettera indica che non adottare o sospendere misure sproporzionate può evitare un trattamento troppo zelante.
La parte rilevante della lettera di Papa Francesco, che è stata usata dal giudice Hayden per giustificare la sua conclusione, parla della permissività morale alla sospensione  del trattamento per la dignità del paziente.
E poi cita la lettera di Papa Francesco:
“Oggi è necessaria una maggiore saggezza, a causa della tentazione di insistere su trattamenti che hanno effetti potenti sul corpo, ma a volte non servono il bene integrale della persona.
Circa sessanta anni fa, Papa Pio XII, in un memorabile discorso rivolto agli anestesisti e agli specialisti in terapia intensiva, affermava che non vi era alcun obbligo di ricorrere in tutte le circostanze a tutti i possibili rimedi e che, in alcuni casi specifici, è lecito trattenersi dal  loro uso.
Di conseguenza, è moralmente lecito decidere di non adottare misure terapeutiche, o di interromperle, quando il loro uso non soddisfa quello standard etico e umanistico che in seguito sarebbe stato chiamato “una giusta proporzione nell’uso dei rimedi.”
L’elemento specifico di questo criterio è che considera” il risultato che ci si può aspettare, tenendo conto dello stato della persona malata e delle sue risorse fisiche e morali. “Rende così possibile una decisione che è moralmente qualificata come ritiro di “trattamento troppo zelante”.
Una tale decisione riconosce responsabilmente i limiti della nostra mortalità, una volta che diventa chiaro che l’opposizione ad essa è futile.
Qui non si vuole causare la morte; l’incapacità di impedirlo è semplicemente accettata. Questa differenza di prospettiva restituisce l’umanità all’accompagnamento del morente, pur non tentando di giustificare la soppressione dei vivi.
È chiaro che non adottare, o sospendere misure sproporzionate significa evitare un trattamento troppo zelante; da un punto di vista etico, è completamente diverso dall’eutanasia, che è sempre sbagliata, in quanto l’intento dell’eutanasia è di mettere fine alla vita e causare la morte.
Inutile dire che, di fronte a situazioni critiche e nella pratica clinica, i fattori che entrano in gioco sono spesso difficili da valutare.Per determinare se un intervento medico clinicamente appropriato è effettivamente proporzionato, l’applicazione meccanica di una regola generale non è sufficiente.Deve esserci un attento discernimento dell’oggetto morale, delle circostanze che assistono e delle intenzioni di coloro che sono coinvolti.
Nel prendersi cura e accompagnare un dato paziente, gli elementi personali e relazionali nella sua vita e morte – che è dopo tutto l’ultimo momento della vita – devono essere presi in considerazione in base alla dignità umana.”

Il giudice Hayden, nella sua decisione di ordinare la rimozione del ventilatore di Alfie, rifletteva le parti sopra evidenziate della lettera di Papa Francesco come base giustificativa per la sua conclusione.

http://www.lamadredellachiesa.it/sulle-parole-di-papa-francesco-il-piccolo-alfie-evans-verra-lasciato-morire/
A meno di un anno dall’omicidio di Charlie Gard: Alfie Evans – 18 mesi – è affetto da una patologia misteriosa che, secondo i medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool dove il bambino è ricoverato, sarebbe motivo sufficiente per farla finita e per staccare anche a lui, in nome dell’Europa dei diritti, la spina dell’apparecchiatura che gli permette di ricevere un’assistenza ritenuta oggigiorno mezzo ordinario.
di Cristiano Lugli
La storia si ripete – dicono – e la macchina della morte che la nostra società ha collaudato a pennello, pare non volersi arrestare nemmeno un istante. Gli esperimenti che i russi facevano già negli anni ‘50 sui cani, trapiantando teste canine dentro al corpo di altri cani, non è niente confronto agli abomini che oggi, in nome della scienza e della “tutela dei malati”, si perpetuano con moto progressivo nell’Europa necrofila.
A meno di un anno dall’omicidio di Charlie Gard, staccato dalla macchina che gli permetteva di respirare e “addormentato” nel “sonno” della “dolce morte”, ora tocca ad Alfie Evans – 18 mesi – affetto da una patologia misteriosa che però, secondo i medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool dove il bambino è ricoverato, sarebbe motivo sufficiente per farla finita e per staccare anche a lui, sempre in nome dell’Europa dei diritti, la spina che gli permette di ricevere un’assistenza ritenuta oggigiorno mezzo ordinario. Secondo i medici, Alfie non ha più prospettiva di vita, motivo per cui si sono rivolti all’Alta Corte inglese per avere il via libera a sopprimere una vita troppo qualitativamente indegna per essere vissuta, e troppo compromessa per provare a tentare il tutto per tutto. Il giudice, ovviamente, ha accettato. D’altronde l’uomo moderno, e quindi anticristiano per eccellenza, pone la vita su una bilancia di godimenti e sazietà dei sensi: chi non sia in grado di farlo, è meglio che sparisca per sempre e il mondo, insieme ai brulicanti umanoidi che lo compongono, gliene saranno grati.
Come nel caso di Charlie, Alfie deve morire: punto e basta. Nonostante la forte catena di sostegno nominata “Alfie’s Army”, i fondi raccolti per provare cure sperimentali, e nonostante la forte volontà dei genitori di ascoltare il parere di un medico ricercatore, offertosi volontario per approfondire il tipo di patologia neurologica che affligge il bambino inglese, la sentenza del giudice non tarda ad arrivare e, come la lama del boia, piomba affilata su una famiglia che sta lottando per difendere il proprio figlio dal volere degli aguzzini, custodendo, come dono inviolabile, la vita che Dio ha loro donato, pur provandola al fuoco con il peso della Croce: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”
Il piccolo Alfie è in coma dallo scorso dicembre, e ancora non è chiaro di cosa soffra esattamente. Per questo motivo i genitori hanno cercato a tutti i costi un ospedale che potesse fare una diagnosi precisa al bimbo e, di conseguenza, solo Dio lo sa, curarlo. Ma l’Alder Hey ha deciso appunto di rivolgersi all’Alta Corte perché secondo l’equipe medica “non ci sono più speranze” e “sono esaurite tutte le opzioni”. Peccato che, oltre al medico del quale si è accennato, l’ospedale Bambin Gesù di Roma si è reso disponibile per accogliere il bambino e provare a curarlo. Ma anche questo non basta. Basta solo la vergognosa volontà di metter fine alla vita di una creatura senza nemmeno aver ancora effettuata una dettagliata, accurata e certa diagnosi.
“Perché dovremmo portarlo in un hospice quando c’è un ospedale disposto ad accoglierlo? – ha dichiarato Thomas Evans, papà del piccolo Alfie – Un dottore si è offerto volontario, voleva capire meglio la situazione di nostro figlio, ma i medici dell’Alder Hey si sono rifiutati di parlare con lu. Credono che la vita di nostro figlio sia inutile”.
Di contro, l’ospedale, ha così risposto: “Capiamo la situazione drammatica in cui si trova la famiglia, ma sfortunatamente, nonostante l’impegno dei nostri dottori, non è possibile salvare tutti i bambini”. 
Quindi, senza troppo girarci intorno l’ospedale afferma che quando non si può salvare un bambino – e ovviamente già qui non è ben chiaro cosa si intenda per “salvare”, visto che se la situazione rimane tale, con l’ausilio dei mezzi ordinari che aiutano il bambino a continuare a vivere, non c’è nessuno da salvare da morte imminente – l’alternativa è sopprimerlo levando il sostentamento per vivere. In queste dichiarazioni c’è la chiave di volta per comprendere questo nuovo, infernale, ingranaggio, iniziato con Charlie e ora via via proseguito: il malato impossibile da curare – e anche qui il fatto rimane ad oggi indimostrabile – non deve rimanere malato, ma deve, hic et nunc, morire per decisione di un tribunale che, tramite una folle visione del diritto e della legge, autorizza una squadra di folli medici, traditori di Ippocrate e del principio assoluto primum non nocere, a sospendere l’assistenza a un bambino, sedandolo e uccidendolo con una massiccia dose di antidolorifici.
Il patibolo sopra il quale è stato alzato Charlie Gard, sarà lo stesso per il piccolo Alfie: soppressi in nome della “legge”, gettati dal dirupo perché indegni di stare a questo mondo. Tutto ciò è avvenuto e ancora avverrà con il consenso di quei tiepidi che, invece di sguainare la spada, siedono in panciolle intervenendo all’ultimo minuto, prendendosi l’ultimo atto della scena quali “eroi” di un finale ormai destinato a chiudere il sipario pregno di sangue innocente nel modo più tragico.
Se non ci rialzeremo, se non reagiremo con una risposta bioetica in grado di spronare quell’uomo che fu cattolico, saremo destinati a prenderci la piena responsabilità di quanto sta accadendo in un mondo dove i Marco Cappato e le Bonino sono, in fondo, qualcosa di ormai superato.

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