ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 12 marzo 2018

Il Mahatma di Santa Marta

L’IRREVERSIBILE DEMITIZZAZIONE DEL PAPATO - UN'INDECOROSA INTERVISTA AL "GHOST WRITER" DI BERGOGLIO



L’indefesso cantore della neo-chiesa, Vatican Insider, pubblica oggi un’intervista all’Arcivescovo Victor Manuel Fernandez, Rettore dell’Università Cattolica Argentina e ghost writer di Beroglio, «Senza lo sguardo di fede si riduce il Papa a personaggio» (qui).

Il contenuto è come sempre connotato dai toni del panegirico, ma rivela alcuni dettagli che contraddicono palesemente la tesi sostenuta dall’intervistato e chiaramente condivisa dall’intervistatore.  

Alla domanda di cosa abbia caratterizzato maggiormente il pontificato, Fernandez risponde: «Come cattolici crediamo nel mistero dello Spirito che scioglie i nodi e trasforma la realtà a suo modo e con i suoi tempi. Se mi chiedesse che cosa ha fatto Gandhi, potrei dirle che non ricordo più esattamente le azioni e i risultati raggiunti. Ma so senza alcun dubbio che ha lasciato un segno importantissimo nella storia e che ha provocato dei cambiamenti che non hanno lasciato immutata l’umanità». 

Non è dato sapere cosa intenda il Presule con la sibillina espressione «lo Spirito che scioglie i nodi e trasforma la realtà a suo modo e con i suoi tempi»: pretendere che un Vescovo conciliare si esprima in termini cattolici è un’opera titanica che si infrange sugli scogli dell’equivoco e del circiterismo fine a se stesso. 

Ma paragonare Bergoglio a Gandhi suona quantomeno paradossale per chi, con le proprie parole, vorrebbe presentare un’immagine positiva di Francesco e dimostrare che l’inquilino di Santa Marta «non è mai stato amante del culto della personalità», che «è molto vicino al popolo», mentre «chi non vede tutto ciò dal punto di vista della più autentica fede cattolica, finisce dimenticando la finalità di tutto, che è Gesù, e rimane fermo al personaggio». 

L’affermazione che Francesco non sia amante del culto della personalità confligge con quel che afferma Fernandez, perché da un lato egli gli attribuisce un ruolo che, almeno apparentemente, sarebbe unico e mai svolto in precedenza da altri Pontefici: «Non sarà dimenticato il suo invito costante, con parole e gesti, al ritorno alla freschezza originale del Vangelo e al suo cuore fatto di misericordia e di giustizia per i più deboli», come se i predecessori di Bergoglio non avessero mai insistito sulla fedeltà al Vangelo o lo avessero addirittura adulterato, privandolo dell’originale freschezza e negando giustizia ai più deboli. 

E ancora, laddove afferma: «Non finirà di risuonare il richiamo a una Chiesa più spogliata, gioiosa e capace di aprirsi al dialogo e al servizio», come se la Chiesa prima di Francesco fosse stata triste ed chiusa al dialogo. 

Non sfugge poi il monito: «Anche se qualcuno nel futuro pretenderà di tornare indietro a tal proposito credo che la grande riforma irreversibile di Francesco, già raggiunta, consiste nel fatto che questo difficilmente sarà accettato. Chi può pensare che dopo Francesco possa prosperare un papato di condanne, che ostenti potere e ricchezza, che non sia disposto al dialogo con tutti, che ignori i deboli di questo mondo?» 

Sarebbe da provare che la rivoluzione che Bergoglio ha imposto alla Chiesa sia un fatto positivo, e che sia irreversibile. Queste sono petizioni di principio che rivelano una precisa impostazione ideologica progressista, ma che confermano solo un dato di fatto: che cioè egli ha operato un cambiamento in seno alla Chiesa. 

Ed è da notare il ricorso ad una costante ed ostinata contrapposizione tra un prima e un dopo Bergoglio, tipico della mentalità rivoluzionaria più che della fedeltà all’insegnamento di Cristo che la Chiesa deve viceversa testimoniare e che non può esser caratterizzata da nessuna discontinuità con il passato. Ne troviamo conferma in queste parole: «Ci sono ancora molti membri della Chiesa che parlano poco di Gesù Cristo, che non dimostrano affetto e ammirazione quando lo nominano, che preferiscono giudicare i difetti altrui e presentare le norme etiche come rocce per non accettare la vertigine che si prova annunciando l’amore incondizionato di Dio verso ogni persona. […] Allo stesso tempo, ci sono ancora molte resistenze a lasciare le comodità sulle strutture che ci danno sicurezza, ma che ogni volta di più attirano una minor quantità di fedeli». 

Quell’enfasi su «ci sono ancora» dimostra una valutazione negativa su un passato imprecisato - remoto? prossimo? - che finisce per scadere nella tipologia delle generiche accuse che contraddistinguono non poche allocuzioni di Bergoglio, e che non consentono né di comprendere chi ne sia il destinatario, né in cosa consista il suo errore, né come possa correggersi. 

Se c’è un momento in cui si parla poco di Gesù Cristo, ciò avviene proprio in questi anni, e gli scritti di Francesco non fanno eccezione, ad iniziare dalle sue encicliche e dagli altri atti ufficiali, dove parole come solidarietà, accoglienza, discernimento compaiono molto più frequentemente del nome di Nostro Signore. Ed in ogni caso, parlare di Cristo non basta, se questo serve per cancellare il Suo insegnamento, indebolirlo, annacquarlo in nome dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, di un solidarismo orizzontale o di un’ostentata insofferenza alla dottrina, confinata con disprezzo alla discussione tra teologi, mentre si ignorano ostentatamente questioni delicatissime come la disputa sulla Grazia o sulle finalità del Sacrificio Eucaristico che contrappongono - né potrebbero non contrapporre per sempre - Cattolici e Protestanti.

Non è dato comprendere se certe frasi fatte siano state partorite dalla feconda fantasia di Fernandez e quindi passate a Bergoglio o viceversa: chi sono coloro che «preferiscono giudicare i difetti altrui e presentare le norme etiche come rocce per non accettare la vertigine che si prova annunciando l’amore incondizionato di Dio verso ogni persona»? Come si fa a parlare di Gesù Cristo senza comprendere che il suo Vangelo non è un vago appello filantropico alla fratellanza, ma un comando divino di conformarsi alla Sua volontà? L’amore di Dio non è banalmente incondizionato: «Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv XV, 14). E chi non obbedisce a Dio, non può esserGli amico, e carità esige che chi non è amico di Dio sia ammonito affinché si emendi, seguendo quelle «norme etiche» che altro non sono se non la Parola di Dio, che è stabile come roccia. Affermare che l’amore di Dio non pone condizioni, implica anzitutto che la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre conseguente al loro peccato sia un’impostura; se è un’impostura, allora la Sacra Scrittura insegna l’errore, e questa è una bestemmia contro Dio, che non ci inganna; se l’uomo non è giudicato e punito per una colpa di cui non si emenda, non ha senso nemmeno la Passione redentrice di Cristo, che si è incarnato per salvare ciascuno di noi, a patto che crediamo in Lui, entriamo nell’unica Chiesa tramite il Battesimo e conserviamo la Grazia fino alla nostra morte. 

Qui non si tratta di preferire di giudicare, ma del compito grave ed essenziale del Ministro Sacro ed in particolare dei Sacri Pastori: amministrare la giustizia di Dio, giudicando, assolvendo o condannando il gregge affidato loro da Cristo. Senza giudicare il peccatore, non lo si può nemmeno assolvere, né fargli comprendere che deve chiedere perdono, se vuole salvarsi. E il Pastore che non giudica viene meno al suo ruolo, manca di virtù e si rende responsabile della colpa del peccatore che abbandona alla dannazione senza ammonirlo. 

La «vertigine» di cui parla Fernandez non ha nulla di cattolico, anzi è segno di un’arroganza sacrilega che offende Dio nella Sua stessa essenza, essendo Egli somma Giustizia, al pari di somma Misericordia. Se non si vuol giudicare, non si devono nemmeno ascendere gli Ordini Sacri, che investono il fedele di un munusdivino, da esercitare in nome di Dio con timore e tremore, senza permettersi di render lecito ciò che Egli ha stabilito indefettibilmente come illecito. Questo atteggiamento lassista, proprio della neo-chiesa bergogliana per sua stessa ammissione, è una delle maggiori cause della crisi presente e l’entusiasta elogio del Prelato argentino alle presunte innovazioni di Francesco ne è la prova evidente. Un lassismo che peraltro si coniuga con un gelido rigorismo nei confronti di chi vuol rimanere fedele all’insegnamento del Salvatore che la Sua Chiesa ha trasmesso senza compromessi e cedimenti nel corso di due millenni. 

Un’altra frase di Fernandez lascia sconcertati: «Io vedo che dentro l’ambito cattolico, lo stile di Francesco sta producendo un’irreversibile demitizzazione del papato. Finora alcuni cattolici potevano criticare i Papi, ma ora c’è un’enorme libertà nel farlo senza che nessuno venga sanzionato per questo. Ciò toglie alla figura del Papa quell’alone eccessivamente sacro, di essere superiore e intoccabile». 

Sconcerta anzitutto l’ammissione della «irreversibile demitizzazione del papato», dalla quale casomai un Pontefice dovrebbe guardarsi, visto che egli è tale proprio per conservare intatta quella divina istituzione che Cristo ha stabilito, senza permettersi di sminuirla o, peggio, demitizzarla, come se il Papa fosse una sorta di personaggio costruito e mitizzato per dar credibilità alla Chiesa o per legittimarne un potere usurpato. Se la cruda realtà dell’effettiva volontà di Bergoglio di umiliare il Papato non fosse sotto gli occhi di tutti, una frase del genere dovrebbe suonare come un oltraggio al Vicario di Cristo. Purtroppo Fernandez ha perfettamente ragione: questo papa sta demolendo sistematicamente il Papato; ma questo non rende meno grave la sua affermazione, che dovrebbe esser presa in serissima considerazione da molti Prelati, che pure si dicono conservatori. 

Quanto alla «enorme libertà» di cui godrebbero i fedeli di criticare Bergoglio «senza che nessuno venga sanzionato per questo», credo che la stampa abbia dato sufficiente prova dell’inconsistenza - che sconfina nel ridicolo - di una simile affermazione. Chi non si mostra più che ossequiente; chi osa formulare la benché minima critica, ancorché motivata, finisce invariabilmente rimosso. L’elenco delle vittime delle epurazioni si allunga di giorno in giorno.

E sarebbe da evidenziare che le critiche a Bergoglio non hanno come scopo di togliere «alla figura del Papa quell’alone eccessivamente sacro, di essere superiore e intoccabile», ma al contrario di difendere la sacralità del Papato che proprio lui, per stessa ammissione di mons. Fernandez, ha contribuito irreversibilmente ademitizzare. Il silenzio assordante del papa dinanzi ai Dubia ed alle numerose petizioni a proposito di Amoris laetitia, unito ad altre estemporanee affermazioni in materia dottrinale o morale, disciplinare o liturgica, lascia presumere ch’egli si consideri - non per il ruolo di Romano Pontefice che ricopre, ma per virtù propria - «superiore e intoccabile». Diversamente, si sarebbe degnato di rispondere a dei Principi della Chiesa, senza umiliarli pubblicamente o lasciandoli screditare tramite i suoi cortigiani. E nemmeno i laici sono esenti dal contemptus dell’intervistato, per il quale chiunque «può aprire un blog, e diffondere anche menzogne e calunnie, o sospetti infondati»; salvo trovarsi un contenzioso con uno dei più potenti studj legali del mondo, ingaggiato dalla Segreteria di Stato. 

Sempre a proposito di Bergoglio «superiore e intoccabile», Tornielli chiede al Presule se dopo Amoris laetitia ci sia confusione nella Chiesa. E Fernandez risponde: «Amoris laetitia implica un cambio paradigmatico nel modo di trattare situazioni complesse, anche se ciò non comporta l’apertura di tutte le porte. Va sicuramente più in là della possibilità per alcuni divorziati risposati di poter ricevere la comunione. Questo cambio, che ci impedisce di essere duri e matematici nei nostri giudizi, è molto fastidioso per alcuni. Ma il Papa ha fatto pubblicare una nota nel “Acta Apostolicae Sedis” come “magistero autentico”. Solo il Papa può prendere una decisione di questo tipo e Francesco l’ha fatto. Quindi, non c’è alcuna confusione. Sappiamo già cosa il Papa richiede. Un’altra cosa è che ti piaccia o meno, che ti sembri buono o meno. Ma quindi non si deve dire: “è confuso”. Si deve dire: “non mi piace”. O meglio: “Io preferisco una Chiesa con norme più ristrette”». 

Qualsiasi persona dotata di raziocinio, dinanzi ad Amoris laetitia non penserebbe minimamente che vi sia della confusione, ma semplicemente che Bergoglio pretende di poter cambiare la dottrina, in virtù di un «cambio paradigmatico», che poi non è altro che il «doctrinal shift» di cui vaneggiano i Vescovi tedeschi. E se il cattolico dice «non mi piace», questo non significa che stia formulando un giudizio di gradimento personale, ma piuttosto usa la ragione illuminata dalla Fede, che gli mostra l’inconciliabilità tra i sofismi bergogliani e l’insegnamento immutabile di Cristo e della Chiesa. Così, egli non dice «Io preferisco una Chiesa con norme più ristrette», ma meno ipocritamente «Io preferisco la Chiesa ad una sua parodia che per piacere al mondo adultera la Parola di Dio». 

Chiede Tornielli: «Non crede ci sia il rischio di ridurre i messaggi del Papa a slogan, che come tutti gli slogan finiscono per diventare vuoti, cioè per essere usati secondo le convenienze, ma senza un reale cambiamento?» E Fernandez risponde: «I grandi santi e riformatori, quelli che hanno provocato reali cambiamenti nella Chiesa e nella storia, non hanno amato gli slogan ma i gesti e il dono di sé. Però è da tempo ormai che nella Chiesa viviamo di slogan». Da queste parole si dovrebbe logicamente arguire che «da tempo» - ossia dal Vaticano II - «nella Chiesa viviamo di slogan». Tutto il repertorio trito di frasi fatte - dialogo, accoglienza, farsi altro, mettersi in atteggiamento di ascolto, fare eucaristia, spezzare la Parola e il Pane - è un ininterrotto slogan di ovvietà, una congerie diflatus vocis che, lungi dall’aumentare il numero dei fedeli cattolici, li ha viceversa allontanati in un esodo che in questi anni ha conosciuto un’impennata vertiginosa. All’ultima celebrazione penitenziale in San Pietro, lo scorso 9 Marzo, la diserzione ha raggiunto vette che non si eran viste nemmeno quando, durante la guerra, gli Alleati bombardavano la Città Santa in pieno giorno. 

E si noti: dire che «i grandi santi e riformatori, quelli che hanno provocato reali cambiamenti nella Chiesa e nella storia, non hanno amato gli slogan ma i gesti e il dono di sé. Però…» è un’ammissione che di grandi santi e riformatori, da cinquant’anni, non se ne sono visti, men che meno sul Soglio di Pietro. 

Non è nemmeno corretto parlare genericamentente di «cambiamenti» operati dai Santi, ma di riforme nel solco della Tradizione e del Magistero, oltre ad una lotta implacabile contro gli eretici. Nihil est innovandum, nisi quod traditum est.

Fernandez non manca di tornare sulla contrapposizione fittizia - tanto cara a Bergoglio - che vede i farisei da un lato e i suoi seguaci dall’altro: «c’è chi dice di essere “a favore della vita”, ma preferisce non parlare degli immigranti, dell’impegno per i più poveri, della lotta per la giustizia affinché muoia meno gente a causa della malnutrizione o delle malattie che potrebbero essere curate». Ora non mi risulta che i movimenti “a favore della vita” propagandino lo sterminio degli affamati, né che teorizzino la lotta alla ricerca per curare le malattie. Viceversa, chi si riempie la bocca di slogan sull’accoglienza indiscriminata degli immigrati -sostenendo che essi non rappresentano alcun problema sociale né tantomeno religioso per chi ne è invaso - quasi sempre è insofferente ai «volti inespressivi» di quanti manifestano davanti alle cliniche che praticano l’aborto recitando il Rosario, e non di rado li considera dei «fissati», trovando un valido alleato nei silenzj di Bergoglio e nelle sue nomine alla Pontificia Accademia per la Vita. Ed al grottesco mutismo della Gerarchia in occasione dell’approvazione delle DAT, ha fatto da contraltare una inesausta teoria di interventi, anche dello stesso Francesco, a proposito dell’immigrazione, alla cui accoglienza la CEI, tramite le sue associazioni caritative, non è esattamente estranea, gestendo numerosi centri che beneficiano dei finanziamenti del Governo. Come si vede, ancora slogan. 

Quanto a coloro che «ripetono frasi di Francesco come slogan, e addirittura parlano della “primavera della Chiesa”, forse per non sembrare oppositori o per assicurarsi qualche posto nella Chiesa», vien da chiedersi se tra costoro non si possano annoverare quanti, nonostante gravi elementi circa la loro coerenza di vita, rimangono impunemente al loro posto o sono addirittura promossi. 

Contro quel che si augura il Presule argentino, l’ingenuo potrebbe auspicare che i Sacri Pastori, più che «non corrispondere allo spirito di questo Papa», cercassero di uniformarsi a Cristo, del quale dovrebbero essere immagine, essendo ministri della Sua Grazia. Ma evidentemente «corrispondere allo spirito di questo Papa» ha la priorità: e meno male che non se ne voleva fare un personaggio… 

Per concludere, torniamo all’inizio dell’intervista, dove Fernandez fa un ardito parallelo con Bergoglio: «Se mi chiedesse che cosa ha fatto Gandhi, potrei dirle che non ricordo più esattamente le azioni e i risultati raggiunti. Ma so senza alcun dubbio che ha lasciato un segno importantissimo nella storia e che ha provocato dei cambiamenti che non hanno lasciato immutata l’umanità». 

Proprio La Stampa, che di Vatican Insider è referente, ha pubblicato tempo fa un articolo (qui) nel quale si recensisce Great Soul, un saggio scritto da un ex caporedattore del New York Times, Joseph Lelyveld, e recensito dal Wall Street Journal. In questo articolo si legge che il Mahatma fu «un pervertito sessuale, un politico incompetente, un fanatico fissato, un razzista inesorabile, impegnato a promuovere se stesso, professando il suo amore per il genere umano come idea, mentre di fatto disprezzava gli individui» (qui). É un fatto documentato che il Governo indiano abbia acquistato alcuni anni or sono, per la modica somma di 60 milioni di rupie (equivalenti a 813.000 euro), il carteggio amoroso tra Gandhi e l’architetto ebodybuilder Hermann Kallenbach, suo amante tedesco di origini ebraiche: un carteggio dal contenuto scabroso, corredato anche di fotografie, che giace ora nei penetrali dell’Archivio Nazionale Indiano, ma che all’epoca portò la moglie Kasturba ad abbandonare il tetto coniugale. Al di là dei discutibili vizj di Mohandas Karamchand Gandhi, non si dovrebbe dimenticare che le riforme ch’egli intraprese, dopo essersi impadronito della direzione del partito del Congresso, finirono per avvantaggiare la borghesia commerciante ed i latifondisti, e che egli operò principalmente per favorire la destabilizzazione dell’India fortemente voluta dall’Impero Britannico (qui). Un personaggio che nella realtà è ben diverso dall’icona che se ne è voluta dare, e che ha sedotto schiere di preti e suore del Postconcilio, convinti che l’avvocato rivoluzionario vestito da monaco rappresentasse quel pacifismo indù che invece fu solo un atteggiamento ipocrita di facciata. Ovviamente l’ignoranza sesquipedale di questi e quelle ignora l’ostilità di Gandhi verso le tradizionali istituzioni indù e la sua tolleranza verso la componente mussulmana, che prima della divisione di India e Pakistan si era resa responsabile di terribili massacri, senza parlare del mezzo milione di morti e dei 10 milioni di profughi.

Tutte cose che, a ben vedere, ricordano l’insistenza con cui il Mahatma di Santa Marta promuove l’immigrazione in Italia e in Europa, foriera di non minori sciagure.

Copyright MMXVIII - Cesare Baronio


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