Ecco cosa c'è (davvero) dietro lo scontro tra i due Papi
La lettera di Ratzinger continua a far discutere. Ecco il teologo progressista che avrebbe convinto Bergoglio della bontà di alcune "svolte dottrinali"
C'è un altro retroscena sulla lettera di Ratzinger. Il papa emerito, rispondendo ad una missiva di monsignor Viganò, ha declinato l'invito a scrivere una "breve e densa pagina teologica" sugli undici "piccoli volumi" riguardanti La teologia di Papa Francesco.
Ma perché?
Il caso è ormai noto. Nella parte diffusa inzialmente dal Vaticano sembrava che Benedetto XVI volesse soprattutto sottolineare l'esistenza di una "continuità interiore" tra i due pontificati e la necessità della fine di un doppio "stolto pregiudizio" relativo alla sua natura solo dottrinale e a quella solo pragmatica di Francesco. Nei giorni successivi, Sandro Magister ha tirato fuori le parti "omesse". Prima si è scoperto che il teologo tedesco si era in qualche modo rifiutato persino di leggere quei testi, poi è emerso che tra gli autori selezionati per la raccolta era presente anche un anti-ratzingeriano doc: il professor Hünermann.
Le motivazioni alla base del rifiuto sono quindi duplici: da una parte quelle fisiche e legate agli impegni pregressi, dall'altra Benedetto XVI si è detto sopreso per la presenza tra gli autori dei libri di un progressista che l'aveva osteggiato, da un punto di vista teologico, nel corso del suo pontificato. Ratzinger, sarà bene sottolineare, non ha scritto in maniera esplicita di non voler contribuire a quei testi a causa della presenza di Hünermann, ma questo resta abbastanza deducibile.
Monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, si è dimesso in seguito alle polemiche sollevate per il caso. Papa Bergoglio ha istituito un assessorato ad hoc per far sì che l'ex prefetto potesse continuare nella sua opera di riforma. Un "farsi da parte", insomma, che non è affatto suonato come una bocciatura. Torniamo, però, al professor Hünermann.
Sempre Sandro Magister, che Luigi Bisignani ha definito il "principe dei vaticanisti" in una sua recenta lettera a Il Tempo, ha rivelato ulteriori particolari sul teologo antiratzingeriano. Hünermann, oltre ad essere stato l'autore di una interpretazione sul Concilio Vaticano II opposta a quella di Benedetto XVI, aveva incontrato Bergoglio a Santa Marta nel maggio del 2015. Ma quella non è stata la prima chiacchierata tra i due. Hünermann e Bergoglio, infatti, si conobbero per la prima volta nel 1968, anno nel quale il teologo tedesco soggiornò a Buenos Aires nel collegio dei gesuiti. I colloqui e gli scambi epistolari intercorsi dopo l'elezione al soglio di Pietro dell'argentino, poi, avrebbero riguardato la necessità di un "cambio di paradigma" teologico.
Alla base di "Amoris Laetita", la discussa esortazione del papa che ha sollevato i dubia di quattro cardinali (Burke, Brandmueller, Caffarra e Meisner) e di larga parte del mondo tradizionalista, ci potrebbe essere proprio una certa visione aperturista promossa da Hünermann e avallata da Bergoglio. Sulla base di questo assunto, quindi, diverrebbe molto complesso parlare di continuità teologica tra il pontificato di Joseph Ratzinger e quello di Jorge Mario Bergoglio. Hünermann, tra le altre cose, sarebbe un sostenitore della non indissolubilità del matrimonio. Ma torniamo indietro nel tempo.
Il professor Hünermann, secondo anche quanto scritto da Benedetto XVI nella ormai celebre missiva, "si è messo in luce per aver capeggiato iniziative anti-papali" e sempre il papa emerito ha scritto che Hünermann "partecipò in misura rilevante al rilascio della 'Kölner Erklärung", che è stato un documento, sottoscritto nel 1989 dal gotha del progressimo teologico, finalizzato ad attaccare l'enciclica Veritatis splendor.
La questione, insomma, appare essersi schiarita: se è vero che tra Hünermann e Bergoglio esiste una perfetta coincidenza teologica allora sarà difficile sostenere la medesima coincidenza tra la visione teologica del pontefice argentino e quella del suo predecessore tedesco. La domanda che sorge spontanea, alla fine di queste brevi sottolineature, è la seguente: com'è stato possibile richiedere che proprio Ratzinger scrivesse una "breve e densa pagina teologica", magari elogiativa, sul testo scritto da un suo pubblico oppositore? Misteri vaticani. Nessuno, intanto, ha ancora chiesto scusa a Ratzinger per quanto successo.
La lettera di Ratzinger continua a far discutere. Ecco il teologo progressista che avrebbe convinto Bergoglio della bontà di alcune "svolte dottrinali"
Francesco Boezi
PAPA/ Parole usate come armi: Francesco dice no (con un occhio a Viganò…)
Nell'omelia di ieri papa Francesco ha rivolto parole durissime ai calunniatori e a chi manipola la realtà. Sullo sfondo ancora la vicenda di mons. Dario Viganò. MAURO LEONARDI
Papa Francesco ieri in piazza San Pietro (LaPresse)Papa Francesco ieri in piazza San Pietro (LaPresse)
Ieri, nell'omelia della domenica delle Palme, Papa Francesco legge la condanna di Gesù da parte del sinedrio con le chiavi dell'intrigo. "La calunnia è la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a incastrare gli altri". A cinque giorni dalle vicende che hanno portato alle dimissioni del Prefetto della Comunicazione, non c'è bisogno di essere dietrologi o "esperti" per vedere queste parole del Pontefice come un'aperta difesa di monsignor Dario Edoardo Viganò e cioè dell'uomo che Francesco aveva fortemente voluto a capo del grande lavoro di riforma dei sistema comunicativo della Santa Sede.
Era già capitato al vescovo di Roma di utilizzare un'occasione ufficiale per dire chiaro e forte il proprio pensiero, pur non facendo nomi, a proposito di vicende che lo avevano ferito. L'ultima volta era stato a dicembre scorso quando, a proposito di Libero Milone, primo Revisore generale del Vaticano, parlò delle "persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma ma, non comprendendo l'elevatezza della loro responsabilità, si lasciano corrompere dall'ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si autodichiarano erroneamente 'martiri del sistema', del 'Papa non informato', della 'vecchia guardia', invece di recitare il mea culpa".
Non confondiamoci. Le dimissioni di Milone furono di segno opposto rispetto a quelle di Viganò. Queste ultime sono state accolte dal Papa "a fatica" — si parla di due o tre incontri necessari a Viganò per convincere Bergoglio ad accettarle — tanto da inventare un modo per far rientrare dalla finestra colui che era uscito dalla porta. Mi riferisco all'inconsueta nomina di Viganò ad "assessore" per il Dicastero della comunicazione con l'esplicito mandato "di poter dare il suo contributo umano e professionale". Non quindi il classico "promoveatur ut amoveatur" ma piuttosto un "amoveatur ut confirmatur" come ha attentamente commentato qualche addetto ai lavori. Ieri, pur senza farne il nome, Papa Francesco ha difeso il proprio uomo in modo molto netto paragonando implicitamente le dimissioni a cui è stato costretto un uomo innocente al "Crocifiggilo" che ha colpito Cristo. "Crocifiggilo! Non è un grido spontaneo — ricorda il Papa — ma il grido montato, costruito, che si forma con il disprezzo, con la calunnia, col provocare testimonianze false. È la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a 'incastrare' altri per cavarsela. Il grido di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare se stesso e mettere a tacere le voci dissonanti. È il grido che nasce dal truccare la realtà e dipingerla in maniera tale che finisca per sfigurare il volto di Gesù e lo faccia diventare un malfattore. È la voce di chi vuole difendere la propria posizione screditando specialmente chi non può difendersi. È il grido fabbricato dagli intrighi dell'autosufficienza, dell'orgoglio e della superbia che proclama senza problemi: "Crocifiggilo, crocifiggilo!".
Non sarebbe giusto però confinare le parole del Papa alla vicenda Viganò. Nel "Crocifiggilo!" che ha condannato Cristo c'è la violenza senza pensiero, l'aggressività senza pietà. E dietro quell'urlo c'è qualcosa di orribilmente universale: la corruzione di chi insinua la violenza nella folla con le armi della maldicenza, della diffamazione, dell'umiliazione. Come se Gesù non fosse un uomo-Dio che vuole salvare, ma un nemico le cui parole e gesta siano una minaccia. E così — come accade anche a noi oggi troppo spesso — la folla decide in base al sentito dire e non guardando l'uomo che verrà inchiodato da quel "Crocifiggilo". Nelle parole di Francesco non ci sono solo le paludi della Santa Sede: c'è, soprattutto, un respiro universale. Un forte invito a spezzare il circolo dell'autoreferenzialità e del potere che si autocelebra, costi quel che costi. C'è la condanna della parola usata come arma: certo un monito ai social network, alla comunicazione e alla politica, ma soprattutto un avvertimento rivolto alle nostre personali relazioni quotidiane quando, con le parole, spesso inchiodiamo vite e persone. Papa Francesco sicuramente vuole riformare la Chiesa e la Curia ma a partire dai cuori delle persone e dalla reale comprensione di Cristo: col suo volto, la sua vita, il suo corpo, il suo cuore.
26 MARZO 2018 MAURO LEONARDI
La lettera di Ratzinger continua a far discutere. Ecco il teologo progressista che avrebbe convinto Bergoglio della bontà di alcune "svolte dottrinali"
C'è un altro retroscena sulla lettera di Ratzinger. Il papa emerito, rispondendo ad una missiva di monsignor Viganò, ha declinato l'invito a scrivere una "breve e densa pagina teologica" sugli undici "piccoli volumi" riguardanti La teologia di Papa Francesco.
Ma perché?
Il caso è ormai noto. Nella parte diffusa inzialmente dal Vaticano sembrava che Benedetto XVI volesse soprattutto sottolineare l'esistenza di una "continuità interiore" tra i due pontificati e la necessità della fine di un doppio "stolto pregiudizio" relativo alla sua natura solo dottrinale e a quella solo pragmatica di Francesco. Nei giorni successivi, Sandro Magister ha tirato fuori le parti "omesse". Prima si è scoperto che il teologo tedesco si era in qualche modo rifiutato persino di leggere quei testi, poi è emerso che tra gli autori selezionati per la raccolta era presente anche un anti-ratzingeriano doc: il professor Hünermann.
Le motivazioni alla base del rifiuto sono quindi duplici: da una parte quelle fisiche e legate agli impegni pregressi, dall'altra Benedetto XVI si è detto sopreso per la presenza tra gli autori dei libri di un progressista che l'aveva osteggiato, da un punto di vista teologico, nel corso del suo pontificato. Ratzinger, sarà bene sottolineare, non ha scritto in maniera esplicita di non voler contribuire a quei testi a causa della presenza di Hünermann, ma questo resta abbastanza deducibile.
Monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, si è dimesso in seguito alle polemiche sollevate per il caso. Papa Bergoglio ha istituito un assessorato ad hoc per far sì che l'ex prefetto potesse continuare nella sua opera di riforma. Un "farsi da parte", insomma, che non è affatto suonato come una bocciatura. Torniamo, però, al professor Hünermann.
Sempre Sandro Magister, che Luigi Bisignani ha definito il "principe dei vaticanisti" in una sua recenta lettera a Il Tempo, ha rivelato ulteriori particolari sul teologo antiratzingeriano. Hünermann, oltre ad essere stato l'autore di una interpretazione sul Concilio Vaticano II opposta a quella di Benedetto XVI, aveva incontrato Bergoglio a Santa Marta nel maggio del 2015. Ma quella non è stata la prima chiacchierata tra i due. Hünermann e Bergoglio, infatti, si conobbero per la prima volta nel 1968, anno nel quale il teologo tedesco soggiornò a Buenos Aires nel collegio dei gesuiti. I colloqui e gli scambi epistolari intercorsi dopo l'elezione al soglio di Pietro dell'argentino, poi, avrebbero riguardato la necessità di un "cambio di paradigma" teologico.
Alla base di "Amoris Laetita", la discussa esortazione del papa che ha sollevato i dubia di quattro cardinali (Burke, Brandmueller, Caffarra e Meisner) e di larga parte del mondo tradizionalista, ci potrebbe essere proprio una certa visione aperturista promossa da Hünermann e avallata da Bergoglio. Sulla base di questo assunto, quindi, diverrebbe molto complesso parlare di continuità teologica tra il pontificato di Joseph Ratzinger e quello di Jorge Mario Bergoglio. Hünermann, tra le altre cose, sarebbe un sostenitore della non indissolubilità del matrimonio. Ma torniamo indietro nel tempo.
Il professor Hünermann, secondo anche quanto scritto da Benedetto XVI nella ormai celebre missiva, "si è messo in luce per aver capeggiato iniziative anti-papali" e sempre il papa emerito ha scritto che Hünermann "partecipò in misura rilevante al rilascio della 'Kölner Erklärung", che è stato un documento, sottoscritto nel 1989 dal gotha del progressimo teologico, finalizzato ad attaccare l'enciclica Veritatis splendor.
La questione, insomma, appare essersi schiarita: se è vero che tra Hünermann e Bergoglio esiste una perfetta coincidenza teologica allora sarà difficile sostenere la medesima coincidenza tra la visione teologica del pontefice argentino e quella del suo predecessore tedesco. La domanda che sorge spontanea, alla fine di queste brevi sottolineature, è la seguente: com'è stato possibile richiedere che proprio Ratzinger scrivesse una "breve e densa pagina teologica", magari elogiativa, sul testo scritto da un suo pubblico oppositore? Misteri vaticani. Nessuno, intanto, ha ancora chiesto scusa a Ratzinger per quanto successo.
La lettera di Ratzinger continua a far discutere. Ecco il teologo progressista che avrebbe convinto Bergoglio della bontà di alcune "svolte dottrinali"
Francesco Boezi
PAPA/ Parole usate come armi: Francesco dice no (con un occhio a Viganò…)
Nell'omelia di ieri papa Francesco ha rivolto parole durissime ai calunniatori e a chi manipola la realtà. Sullo sfondo ancora la vicenda di mons. Dario Viganò. MAURO LEONARDI
Papa Francesco ieri in piazza San Pietro (LaPresse)Papa Francesco ieri in piazza San Pietro (LaPresse)
Ieri, nell'omelia della domenica delle Palme, Papa Francesco legge la condanna di Gesù da parte del sinedrio con le chiavi dell'intrigo. "La calunnia è la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a incastrare gli altri". A cinque giorni dalle vicende che hanno portato alle dimissioni del Prefetto della Comunicazione, non c'è bisogno di essere dietrologi o "esperti" per vedere queste parole del Pontefice come un'aperta difesa di monsignor Dario Edoardo Viganò e cioè dell'uomo che Francesco aveva fortemente voluto a capo del grande lavoro di riforma dei sistema comunicativo della Santa Sede.
Era già capitato al vescovo di Roma di utilizzare un'occasione ufficiale per dire chiaro e forte il proprio pensiero, pur non facendo nomi, a proposito di vicende che lo avevano ferito. L'ultima volta era stato a dicembre scorso quando, a proposito di Libero Milone, primo Revisore generale del Vaticano, parlò delle "persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma ma, non comprendendo l'elevatezza della loro responsabilità, si lasciano corrompere dall'ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si autodichiarano erroneamente 'martiri del sistema', del 'Papa non informato', della 'vecchia guardia', invece di recitare il mea culpa".
Non confondiamoci. Le dimissioni di Milone furono di segno opposto rispetto a quelle di Viganò. Queste ultime sono state accolte dal Papa "a fatica" — si parla di due o tre incontri necessari a Viganò per convincere Bergoglio ad accettarle — tanto da inventare un modo per far rientrare dalla finestra colui che era uscito dalla porta. Mi riferisco all'inconsueta nomina di Viganò ad "assessore" per il Dicastero della comunicazione con l'esplicito mandato "di poter dare il suo contributo umano e professionale". Non quindi il classico "promoveatur ut amoveatur" ma piuttosto un "amoveatur ut confirmatur" come ha attentamente commentato qualche addetto ai lavori. Ieri, pur senza farne il nome, Papa Francesco ha difeso il proprio uomo in modo molto netto paragonando implicitamente le dimissioni a cui è stato costretto un uomo innocente al "Crocifiggilo" che ha colpito Cristo. "Crocifiggilo! Non è un grido spontaneo — ricorda il Papa — ma il grido montato, costruito, che si forma con il disprezzo, con la calunnia, col provocare testimonianze false. È la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a 'incastrare' altri per cavarsela. Il grido di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare se stesso e mettere a tacere le voci dissonanti. È il grido che nasce dal truccare la realtà e dipingerla in maniera tale che finisca per sfigurare il volto di Gesù e lo faccia diventare un malfattore. È la voce di chi vuole difendere la propria posizione screditando specialmente chi non può difendersi. È il grido fabbricato dagli intrighi dell'autosufficienza, dell'orgoglio e della superbia che proclama senza problemi: "Crocifiggilo, crocifiggilo!".
Non sarebbe giusto però confinare le parole del Papa alla vicenda Viganò. Nel "Crocifiggilo!" che ha condannato Cristo c'è la violenza senza pensiero, l'aggressività senza pietà. E dietro quell'urlo c'è qualcosa di orribilmente universale: la corruzione di chi insinua la violenza nella folla con le armi della maldicenza, della diffamazione, dell'umiliazione. Come se Gesù non fosse un uomo-Dio che vuole salvare, ma un nemico le cui parole e gesta siano una minaccia. E così — come accade anche a noi oggi troppo spesso — la folla decide in base al sentito dire e non guardando l'uomo che verrà inchiodato da quel "Crocifiggilo". Nelle parole di Francesco non ci sono solo le paludi della Santa Sede: c'è, soprattutto, un respiro universale. Un forte invito a spezzare il circolo dell'autoreferenzialità e del potere che si autocelebra, costi quel che costi. C'è la condanna della parola usata come arma: certo un monito ai social network, alla comunicazione e alla politica, ma soprattutto un avvertimento rivolto alle nostre personali relazioni quotidiane quando, con le parole, spesso inchiodiamo vite e persone. Papa Francesco sicuramente vuole riformare la Chiesa e la Curia ma a partire dai cuori delle persone e dalla reale comprensione di Cristo: col suo volto, la sua vita, il suo corpo, il suo cuore.
26 MARZO 2018 MAURO LEONARDI
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