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venerdì 20 aprile 2018

Conoscere la realtà alla luce di Dio

In occasione della sua festa ti spieghiamo in poche parole la filosofia di sant’Anselmo di Aosta


Sant’Anselmo nacque ad Aosta nel 1034. Rimasto orfano di padre, prestò abbandonò la casa natale a causa di dissidi con il padre e si stabilì nel celebre monastero di Bec, in Francia. Divenne poi religioso e abate dello stesso monastero e quindi fu nominato arcivescovo di Canterbury. E a Canterbury morì nel 1109.
Conoscere la realtà alla luce di Dio
Per sant’Anselmo, sant’Agostino era sant’Agostino e da lui prese molto. Prese la convinzione secondo la quale si può conoscere la realtà solo nella luce di Dio. Com’è possibile giustificare -si chiedeva- l’esistenza di tante cose, relative e finite, se non si pone come certa l’esistenza di un essere assoluto? Tutte le cosiddette perfezioni che si possono osservare in questo mondo (bontà, ordine, bellezza, armonia, ecc.) non sono mai assolute, ma sempre incomplete e limitate. Ciò dimostra che queste “perfezioni” altro non sono che “partecipazioni” ad una Perfezione assoluta, cioè ad un Bene sommo, ad un ordine infinito, ad una bellezza assoluta, ad un’armonia perfettissima. Di questo, sant’Anselmo era convintissimo, sì: l’esistenza di Dio si può dimostrare attraverso il creato! E a questo dedicò una sua opera, il Monologion.

La prova che non prova l’esistenza di Dio … ma la stoltezza dell’ateismo
Ma c’è anche un’altra opera di sant’Anselmo, il Proslogion, dove lui teorizzò una diversa prova dell’esistenza di Dio, molto più originale. Una prova non fondata sulla realtà oggettiva, ma sulla ragione, sulla struttura del pensiero. Questa prova dice: Dio è la realtà massima. Può la realtà massima mancare di qualcosa? Evidentemente no. Quindi non può mancare nemmeno dell’esistenza. Dunque, Dio esiste.
Molti hanno storto il naso; e anche a noi viene di farlo, ma … c’è un “ma”. Indubbiamente è una prova che non prova; anzi possiamo dire che di per sé è anche pericolosa perché non si può passare dal piano dell’ideale a quello del reale; il reale deve determinare il pensiero e non il pensiero il reale. Credere che il pensiero garantisca il reale è molto pericoloso. Vuol dire aprire le porte al soggettivismo, al razionalismo e al relativismo.
Ma -dicevamo- c’è un “ma”. Sant’Anselmo era uomo fin troppo intelligente e con i piedi bene a terra per dire sciocchezze, per giunta pericolose. Egli, paradossalmente, con questa “prova” non intendeva tanto provare l’esistenza di Dio quanto dimostrare la contraddittorietà del discorso che pretende negare l’esistenza di Dio. Voleva dimostrare quanto l’esistenza di Dio sia parte integrante del “senso comune”.
Insomma, sant’Anselmo voleva dire questo: nella mente dell’ateo è presente la nozione di Dio, ed è da lui espressa e affermata proprio quando ne respinge l’esistenza. Ma come potrebbe l’ateo negare l’ esistenza di Dio, se non ne avesse la nozione? Se  nega, vuol dire che respinge una nozione che possiede come evidenza del “senso comune”. Così facendo, lui sì (l’ateo) si pone su un piano astratto, irreale e contraddittorio. Facciamo parlare sant’Anselmo. Certo, il suo ragionamento non è semplicissimo, ma provocatoriamente persuasivo: Concedimi o Signore, tu che dai l’intelligenza alla fede, concedimi nei limiti del conveniente di intendere che tu sei come crediamo e ciò che crediamo. In verità, noi crediamo che tu sei qualcosa di cui niente di maggiore si potrebbe pensare. Ma forse non c’è una tal natura, dal momento che lo stolto disse nel suo cuore: ‘Dio non esiste’. Senza dubbio però lo stesso insipiente, quando ascolta ciò che io dico (qualcosa di cui niente di maggiore si può pensare), intende quello che ascolta e lo recepisce nel suo intelletto, anche se non intende che quel qualcosa di cui ascolta esista. Altro infatti è che una cosa sia recepita nell’intelletto; altro è intendere che quella cosa esista. Quando un pittore pensa a ciò che sta per dipingere, lo ha nell’intelletto; ma non intende ancora che esista ciò che ancora non ha dipinto. Quando invece abbia già dipinto, ciò che ha dipinto lo ha nell’intelletto e intende che esista. Dunque, anche l’insipiente è convinto che c’è, almeno nell’intelletto, qualcosa di cui non si può pensare niente di maggiore. Quando ascolta ciò, infatti, lo intende, e se si intende qualcosa vuol dire che questo qualcosa è nell’intelletto. Ora, ciò di cui il maggiore non si può pensare, non può essere però soltanto nell’intelletto. Infatti, se fosse solo nell’intelletto, noi potremmo pensare che esista anche nella realtà, ed ecco che questo secondo sarebbe maggiore del primo. Conseguentemente, se ciò di cui nulla di maggiore si può pensare è solo nell’intelletto, ne deriverebbe che ciò di cui il maggiore non si può pensare e ciò di cui il maggiore si può pensare sono la stessa e identica cosa. Questo però non può certamente ammettersi.”
Sant’Anselmo, dunque, riconosce che Dio è il fondamento assoluto di ogni ente conosciuto e della stessa conoscenza. Egli scrive: “Tu esisti così veramente, o Signore Dio mio, che non puoi neppure essere pensato non esistente.” San Tommaso arriverà a dire di Dio che “non può non esistere”, in quanto essere necessario che giustifica l’esistenza degli esseri contingenti. Scrive Antonio Livi a proposito delle argomentazioni di sant’Anselmo: “Non c’è ombra di razionalismo in queste considerazioni, che invece si nutrono di realismo metafisico: tanto che sant’Anselmo manifesta esplicitamente la ‘trascendenza oggettiva’ di questo Dio conosciuto indubitabilmente dal senso comune e riconosciuto dalla filosofia, proprio come una verità che fonda la conoscenza umana.”
L’obiezione di Guanilone
Guanilone, monaco di Marmoutier, scrisse un opuscolo, Liber pro insipiente, nel quale obiettò a sant’Anselmo che l’esistenza di Dio non si può provare senza la fede nella Rivelazione. Mise quasi in ridicolo il ragionamento di sant’Anselmo e disse che è un’inutile immaginazione l’idea di un essere di cui non si può pensare uno più grande. Infatti -obiettò Guanilone- il fatto di poter pensare ad un’isola perfetta non vuol dire che quest’isola esista realmente.
Ma sant’Anselmo gli rispose per le rime. Primo: se la Rivelazione è necessaria per conoscere davvero Dio, non vuol dire che questa fede non debba essere sostanziata dalla ragione. Come appunto abbiamo detto prima, Guanilone era un fideista. Secondo: l’isola non può concepirsi così perfetta da non poterne pensare un’altra di maggiore perfezione, perché si tratta di realtà materiale, su cui, prima della logica, gioca l’immaginazione, la quale fa parte della sfera sensibile e non razionale. Invece, nulla può essere razionalmente concepito al di sopra di Dio.

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