Identità? Figli dell’Europa davvero volete questo? davvero volete ipotecare il vostro futuro? l’Europa è destinata irrevocabilmente a diventare un continente multietnico e multiculturale: una realtà simile a quella statunitense
di Francesco Lamendola
Ormai non è possibile girare per una qualsiasi città dell’Europa centro-occidentale, ad eccezione della Penisola Iberica, senza domandarsi, a tratti, se ci si trovi davvero in Europa o se per caso non si sia stati scaraventati, per una impiegabile e fantascientifica distorsione spazio-temporale, in qualche suq mediorientale o in qualche kasbah marocchina, oppure in una periferia della Nigeria o del Congo, o magari del Bangla Desh, o anche in qualche città cinese. Insegne in lingua araba o in lingua han, cartelloni in hindi o in bengali, turbanti nordafricani, caffettani pakistani, chador e burqua indossati con disinvoltura da donne invisibili, grosse negre con minuscole treccine e ampie gonne multicolori, uomini sikh dalle grandi barbe, ivoriani e senegalesi dalle lunghe tuniche di cotone: par di trovarsi in una fiaba delle Mille e una notte. Solo che non è una fiaba, né un racconto di fantascienza: è la realtà, una realtà irreversibile. Le cose non cambiano più; l’Europa non sarà mai quella di prima, di due o tre decenni fa: il continente degli europei, della civiltà europea, dell’arte, del pensiero e della religione europea, cioè il cristianesimo. Si è creata una situazione di fatto in un tempo più breve di quel che occorreva per rendersene conto: come nel gioco delle tre carte, i nostri politici hanno fatto sì che la stragrande maggioranza dei loro concittadini non arrivasse neppure a realizzare quel che bolliva in pentola. Non è che essi lo abbiano voluto; se ne sono resi volonterosi esecutori. A volerlo, sono stati i signori della finanza mondiale: un circolo esclusivo riservato a pochissimi. Là è stato deciso che l’Europa doveva scomparire sotto il peso di una immigrazione selvaggia proveniente dall’Africa e dell’Asia; che i suoi popoli devono perdere le loro caratteristiche culturali e perfino quelle fisiche; che solo così si raggiungerà il duplice obiettivo di far crollare il costo del lavoro, gettando sul mercato milioni di sottoproletari, e di cancellare l’identità europea, specialmente quella cristiana, come già da tempo studiato e progettato (vedi il Piano Kalergi). Infatti, avere una identità è una forma di autocoscienza, e per trasformare gli esseri umani in bestie da lavoro e in ciechi consumatori è preferibile che essi non ne abbiano alcuna. L’autocoscienza del cristiano, poi, è particolarmente forte: pertanto va abbattuta.
Tutto questo processo è stato realizzato in tempi relativamente brevi, fra la fine degli anni ’90 e oggi: una ventina d’anni o poco più; meno di una generazione. Ora, anche ammesso – per pura ipotesi – che gli europei vogliano e sappiano trovare la maniera di fermare questo flusso gigantesco, cosa resa pressoché impossibile dal ricatto buonista e umanitario – resta il fatto che con i rispettivi tassi d’incremento demografico, degli europei “vecchi”, cioè dei veri europei, e dei “nuovi”, cioè degli africani e degli asiatici che hanno acquisito la cittadinanza europea o che la acquisiranno nei prossimi anni, l’Europa è destinata irrevocabilmente a diventare un continente multietnico e, come si dice, multiculturale: una realtà simile a quella statunitense, con la non lieve differenza che gli Stati Uniti sono stati sempre, fin dall’inizio, una nazione d’immigrati; che hanno avuto due secoli e mezzo per procedere a una qualche forma d’integrazione delle diverse componenti; e che si sono presi la libertà di fissare dei contingenti per ciascun Paese di provenienza, e anche quella di vietare del tutto l’ingresso agli stranieri di provenienza non gradita (ancora oggi non molti sanno che una delle cause della Seconda guerra mondiale, sul versante del Pacifico, furono i provvedimenti razzisti presi da Washington nei confronti della immigrazione di provenienza giapponese; ma, se non si sa questo, non si può comprendere nemmeno Pearl Harbor). Non solo: gli Stati Uniti decisero di escludere dal numero degli immigrati tutti i dementi, i malati, i nullatenenti, gli analfabeti, le prostitute, gli anarchici, selezionando così i richiedenti non solo in base all’etnia, ma anche alle caratteristiche sociali e culturali, e al profilo igienico-sanitario. Non prendevano tutti; non subivano il ricatto buonista e umanitario: non volevano saperne di chi non fosse in buone condizioni fisiche, non sapesse leggere e scrivere, non desse affidamento in quanto ad onestà. Il ragionamento dei loro governati era: prima gli interessi nazionali; nulla che possa comprometterli.
Il nuovo Gesù massone e "Americanizzato"
Ma la differenza sostanziale è che, negli Stati Uniti, entrava solo chi aveva i documenti in regola, chi veniva per lavorare, chi poteva dimostrare di essere quel che diceva di essere: non certo masse di giovanotti senza documenti o con documenti falsi, o con i polpastrelli abrasi per non farsi rilevare le impronte digitali. Non c’era il ricatto dei barconi in pericolo di affondare; non c’era il ricatto: Tu mi devi far sbarcare, perché ne ho il diritto; e una volta sbarcato, troverò il modo di restare in ogni caso. Se gli immigrati si comportavano male e le loro azioni andavano oltre una certa soglia di tollerabilità, scoppiava una dura reazione da parte degli ospitanti. A New Orleans, nel 1891, la folla linciò e appese ai lampioni una decina di italiani, quasi tutti siciliani, in seguito ad alcuni gravi fatti di criminalità partiti, guarda caso, dalla famiglia Provenzano. Nessuno dice che tali azioni fossero giuste, tanto meno legittime; però il significato era chiaro: chi entra in questo Paese ci viene per lavorare; se viene per fare il delinquente, avrà la vita dura. È doloroso che, in tali situazioni, ci vadano sempre di mezzo degli innocenti; ma la sostanza del discorso resta: patti chiari e amicizia lunga; altrimenti, restatevene nei vostri Paesi di provenienza. Ora tutti vedono come vanno le cose in Europa, ma specialmente in Italia; ogni qual volta un “migrante” e un presunto profugo viene pizzicato a delinquere, per esempio rubare o spacciare droga, subito trova un magistrato buonista e progressista che lo giustifica e lo rimette in libertà. Anche se costui ha preso a coltellate gli uomini delle forze dell’ordine. Se poi un cittadino, per difendersi, ricorre alla violenza dentro la sua proprietà, magari per difendere moglie e figli nel cuore della notte, a trovarsi sotto processo è lui, non il delinquente che si è introdotto in casa sua; se gli procura delle ferite, dovrà pagargli le cure mediche, e, se le lesioni sono permanenti, dovrà pagargliele per tutta la vita. Se un capotreno fa scendere dal convoglio uno straniero che viaggia senza biglietto, il giudice condanna il capotreno per abuso d’ufficio e gli rifila qualche mese di prigione. Da noi, cioè, avviene l’esatto contrario di quel cha avveniva (e avviene) negli Stati Unti:la legge non sta dalla parte del cittadino onesto, ma dalla parte del delinquente straniero.
C’è poi un’altra cosa da tener presente. Gi americani del XIX secolo e del principio del XX, cioè nel periodo culminante dell’immigrazione, erano ancora un popolo giovane, vigoroso, pieno di fiducia in se stesso e nel proprio avvenire; mentre gli europei di questa generazione sono gente sempre più fiacca, senile per età e per animo, spenta, rinunciataria: non fanno figli, non credono nel futuro, vedono nero, semmai comprano un cane o si mettono con un “compagno” dello stesso sesso; oppure fanno all’amore con un amico o un’amica e poi tornano ciascuno a casa sua, magari dal papà e dalla mamma. Insomma non progettano alcun futuro, vivono nel presente, non hanno memoria del passato e non hanno alcuna speranza nel domani. La televisione, il computer, il telefonino, un po’ di palestra, un po’ di shopping, qualche viaggetto, qualche serata in discoteca. E basta. Questo, per quanti hanno un lavoro. Per gli altri, per quanti campano senza lavoro, Dio sa come, oppure di lavoro precario, nemmeno tanto: vale a dire che trascinano i loro giorni, nel senso letterale dell’espressione, rimuginando o fantasticando: rimuginando su tutto ciò che non hanno e non possono concedersi, fantasticano sulla vincita al Totocalcio o sul magico incontro con il Principe Azzurro (o con la Principessa), purché danaroso. Gli immigrati africani e asiatici, invece, sono gente piena di energia (il che non coincide per forza con il concetto di aver voglia di lavorare), abituata ai sacrifici e alla vita dura; gente giovane, decisa, con una fede religiosa molto forte, per non dire fanatica; gente abituata ad obbedire ai genitori, a imporsi una disciplina, ma altrettanto propensa a non avere alcuna disciplina, se appena annusa l’aria del Paese ospitante e mangia la foglia che lì troverà solo porte aperte e sentieri facilitati, e che il colore della sua pelle sarà un biglietto di presentazione che le garantirà la precedenza in tutta una serie di strutture e situazioni, dalla scuola alla sanità. Quanto ai figli, per capire quanti ne fanno basta scendere in strada e passeggiare cinque minuti: ad ogni passo s’incontrano donne islamiche con la carrozzella o i figli piccoli in braccio, o donne incinte, o numerose famiglie in processione, a piedi o in bicicletta: contrasto impressionante con le coppie “locali” che se ne vanno a spasso con Fido. Oh, ma Fido è tenuto benissimo, con ogni riguardo: con due o tre copertine per non prender freddo (l’inverno italiano è come quello russo, per quei ferventi cinofili), e la visita dal veterinario al primo starnuto, e la pappa speciale per mantener la linea e assorbire tante vitamine.
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Figli dell’Europa, davvero volete questo?
di Francesco Lamendola
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“Io, profugo musulmano, tutte le notti sogno Papa Francesco”
Mamadou viene dal Mali e nelle sue notti incontra il Pontefice, che prega insieme a lui. Nei giorni scorsi, insieme ad altri richiedenti asilo, lo ha incontrato a Roma: “Mi ha detto che siamo tutti fratelli e sorelle, è stata una grande emozione”
FIRENZE – “Sono musulmano, ma sogno Papa Francesco tutte le notti, sogno che preghiamo insieme. E finalmente nei giorni scorsi ci siamo incontrati. E’ stata una grande emozione”. Mamadou ha 19 anni, ma sembra più grande. Viene dal Mali, dove “la situazione è troppo pericolosa”. Per questo è fuggito, attraverso il deserto, poi la Libia, la detenzione e la guerra. Poi il gommone verso l’Italia, dove è arrivato a giugno 2016. Oggi vive a Firenze, fa parte di un gruppo di studenti di lingua italiana della scuola di lingua ed intercultura per migranti ‘Inaltreparole’.
Mamadou è uno dei 16 ragazzi musulmani, tutti richiedenti asilo o rifugiati, partiti da Firenze per partecipare alla catechesi del mercoledì, come raccontato da Agensir. Quando ha incontrato il Pontefice, gli ha detto che lo sogna spesso. Il Papa ha risposto: “Prega per me, perché siamo tutti fratelli e sorelle”. Mamadou sogna il Papa perchè lo ammira, a lui è molto grato per le sue parole di apertura e solidarietà nei confronti dei migranti. Vede in lui un punto di riferimento culturale e spirituale, pensa a li nei momenti più difficili.
Mamadou è contento di andare a scuola. Impare l’italiano giorno dopo giorno. La scuola di italiano ‘Inaltreparole’ è nata a Firenze nel 2016 da un progetto condiviso fra Agata Smeralda Onlus, Istituto Comprensivo Giuseppe Verdi e Solidarietà Caritas Onlus. All’interno della scuola vengono sviluppati percorsi educativi per favorire la formazione personale e l’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati e il dialogo interculturale con la comunità locale, in particolare con gli studenti delle scuole fiorentine. Sul territorio fiorentino è attiva la collaborazione con altre agenzie formative per la realizzazione di progetti locali e europei, per la formazione di docenti e volontari, per lo scambio di buone pratiche nell’ambito dell’insegnamento della lingua a migranti, dell’educazione degli adulti e dell’educazione interculturale.
La scuola accoglie circa 120 studenti all’anno, ospiti delle strutture Cas, Sprar e Minori non accompagnati gestite da associazioni impegnate sul territorio nell’accoglienza dei migranti, e collabora con il Centro Provinciale di Istruzione degli Adulti (CPIA) per la realizzazione di percorsi condivisi per la Licenza Media.
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