Già sant’Agostino diceva: «Questo è l’occulto e orrendo veleno del vostro errore, il volere che la grazia di Cristo consista nel suo esempio e non nel dono della sua persona»... ma oggi E. Ronchi dice: «Io offro la vita significa: vi consegno il mio modo di amare e di lottare, perché solo così potrete battere coloro che amano la morte, i lupi di oggi»
Ermes Ronchi, che ha avuto l’onore di tenere gli esercizi spirituali per la Curia e il Papa nel 2016, è veramente una garanzia. Le sue “perle”, le sue gaffe sono impareggiabili e devono piacere tanto anche alla Conferenza Episcopale Italiana che da anni gli dà spazio su Avvenire, immagino forse per allietare i lettori.
L’impagabile Ermes commenta così il Vangelo del Buon Pastore (IV Domenica di Pasqua Anno B) (QUI). Prima, però, il brano del Vangelo riportato da Ronchi:
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. [...]
Già qui una prima stranezza perché Gv 10,11-18 è stato troncato nella sua frase finale. Manca esattamente questo: «Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Chiaro riferimento alla Passione, morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma per il buon Ermes non è così. Ecco la sua citazione:
Con le parole Io offro la vita Gesù non intende il suo morire, quel venerdì, per tutti. Lui continuamente, incessantemente dona vita; è l’attività propria e perenne di un Dio inteso al modo delle madri, inteso al modo della vite che dà linfa ai tralci, della sorgente che dà acqua viva. Pietro definiva Gesù «l’autore della vita» (At 3,15): inventore, artigiano, costruttore, datore di vita. Lo ripete la Chiesa, nella terza preghiera eucaristica: tu che fai vivere e santifichi l’universo. Linfa divina che ci fa vivere, che respira in ogni nostro respiro, nostro pane che ci fa quotidianamente dipendenti dal cielo.
Io offro la vita significa: vi consegno il mio modo di amare e di lottare, perché solo così potrete battere coloro che amano la morte, i lupi di oggi.
A leggere Ronchi sembra che il Verbo divino si sia incarnato per insegnarci uno stile, un bon ton dello spirito, mica per la nostra redenzione, né tanto meno come atto di giustizia riparatrice: suvvia, Dio Padre non sarà mica un sadico che comanda al Figlio Unigenito di dare la propria vita per poi riprendersela! Dite che è scritto nel Vangelo? Mica c’era il registratore all’epoca. Imbattibile Ermes con la sua teoria dell’incarnazione per lo stile…
Vogliamo rassicurare, poi, l’Ermes che i lupi sono molto meno numerosi delle pecore, sono pochissimi e cattivissimi. In compenso, ci sono una valanga di magnifici babbei, che, come diceva Chesterton, propagano il male pensando di predicare il bene…
Per concludere seriamente, vi invito a leggere l’omelia di San Gregorio magno papa proprio sul Buon Pastore (QUI).
Sentirete anche voi l’aria del Paradiso nella meditazione di San Gregorio.
Andrea Mondinelli
P.S.: Se mettete in Google il titolo dell’articolo i risultati vi sorprenderanno
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https://www.culturacattolica.it/attualit%C3%A0/in-rilievo/ultime-news/2018/04/19/il-mantra-di-ermes-ronchi-i-lupi-sono-pi%C3%B9-numerosi-degli-agnelli-ma-non-pi%C3%B9-forti
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